DONNE E MAFIA

CON LA LEGGE ] CONTRO LA LEGGE ][ DONNE E MAFIA ] CONCORSO DI PERSONE NEL REATO ] ASSOCIAZIONE DI STAMPO MAFIOSO ] PENTITISMO ] IL RUOLO DEL SINGOLO ]

"DONNE E MAFIA"

Organizzato nell'ambito del progetto "Cittadinanza, Mafia e Memoria"

 

Questo convegno è incentrato sull'argomento specifico del ruolo delle donne all'interno delle organizzazioni mafiose e sull'impatto che queste hanno nella trasmissione dei valori culturali ed educativi all'interno delle famiglie.

Nelle famiglie meridionali tutti sappiamo che per tradizione c'è una dominanza della cultura maschile e che alle donne sono riservati ruoli marginali, circoscritti nelle mura domestiche o comunque subalterne. Questa divisione dei ruoli tende piano piano a cambiare nella cultura generale e anche particolare, più rapidamente dove ci sono maggiori stimoli esterni, più lentamente dove le occasioni di confronto con le altre realtà, dirette o indirette - cioè attraverso la cultura e i mezzi di comunicazione - sono rare o comunque limitate.

Tradizionalmente la donna è posta in una posizione subalterna, non ha autonoma volontà decisionale, né autonoma rilevanza; le sono riservati i compiti della procreazione e della cura ed educazione dei figli secondo i canoni stabiliti. La maternità è considerata molto importante, perché il numero comunque accresce la forza del clan. Questa funzione principale fa sì che alla donna sia portato più rispetto come madre e come moglie, sia nei rapporti diretti che nell'immaginario collettivo.

La donna, attraverso il canale educativo, è appunto titolare di un grande potere che però non le permette nessuna vera autonomia, ella educa i figli per il marito e come lui desidera, li prepara a prendere lo stesso posto già precostituito nella società. La donna difende e tramanda i valori educativi, sociali e culturali in genere.

 

La mafia è, nel suo sviluppo storico, un fenomeno meridionale e la famiglia di mafia ricalca e sottolinea quest’importanza della consanguineità, della forza del gruppo con una rigida ripartizione dei ruoli.

La donna, anche qui, tramanda gli schemi tradizionali, permette la conservazione della medesima condizione, sia per i maschi che per le femmine.

Le donne, nel loro ruolo subalterno, hanno sempre aiutato e sostenuto gli uomini nel loro lavoro e, nell'ambiente mafioso, hanno fatto da "prestanome" cioè sono diventate intestatarie fittizie di beni acquistati con proventi illeciti.

 

Negli ultimi decenni però, l'importanza della donna è andata crescendo in generale nella società e alcuni riflessi di questo si sono visti anche nell'ambito dell'ordinamento giuridico della mafia.

Con il crescere dell'urbanizzazione anche le occasioni di guadagno illecito si sono spostate più intorno alle città ed è nato il racket del controllo della prostituzione e del traffico di droga, nuove attività che gli uomini hanno preso in mano, spostandosi in città e lasciando le famiglie in campagna. Sono rimaste così affidate alle donne le tradizionali attività legate al territorio e all'agricoltura, sia da un punto di vista di gestione e di riscossione del "pizzo" o tangente, sia dal punto di vista dell'accrescimento del patrimonio terriero a seguito di acquisti a prezzi irrisori di terre vendute a seguito di numerosi atti intimidatori. Le donne hanno in un primo tempo solo seguito le direttive dei mariti, ma poi hanno intrapreso anche propri progressi, rivelandosi non meno efferate dei coniugi.

Quest’autonomia gestionale appresa dalle donne si è rivelata utile anche durante i periodi di assenza dei mariti, dovute a latitanza o a detenzione. Le donne hanno sempre fatto e saputo fare quello che si richiedeva loro da parte degli uomini, e così hanno ampliato le loro competenze, anche da un punto di vista tecnico, sostituendo la semplice attività di "passacarte" con metodi più moderni (fax e computer).

Le donne partecipano anche alla commissione di delitti ma questo si accerta raramente e comunque non si tratta delle donne dei mafiosi, ma di donne occasionali. I mafiosi tengono le loro donne dietro le quinte, pronte ad agire in assenza del marito.

 

La cultura maschile o maschilista di cui si è detto prima ha permeato anche i giudici e le loro decisioni tanto è vero che l'articolo del codice penale n°416 bis che punisce di per sé l'appartenenza ad un’associazione mafiosa, indipendentemente dall’effettiva, personale e diretta, commissione di reati, non veniva applicato alle donne. Si agiva quasi come se alla donna non fosse riconosciuta nessuna personalità giuridica, nessun diritto, nemmeno quello alla cattiveria.

Nel comportamento delle donne era sempre visto da parte dei giudici un atteggiamento succube della volontà dei mariti, ma la posizione dei giudici assai di recente è cominciata a cambiare perché ci si è accorti che la mafia sfruttava bene questa nuova forma di impunità che derivava dall'avere proposto alle proprie donne come invisibili agli occhi della magistratura.

Alla donna di mafia sono ormai riconosciuti compiti ordinari come facilitare le comunicazioni tra i mariti latitanti o detenuti e altri uomini di onore, passare ordini, o prestarsi ad intestazioni fittizie di beni.

Compiti straordinari nel senso di partecipazione attiva ad una fase decisionale ed organizzativa dell'azione sono stati recentemente accertati dalla magistratura a carico di una donna, sorella di un mafioso (Vito Vitale).

Le donne non sono ammesse all’affiliazione, cioè quali membri attivi dell'organizzazione, ma godono comunque di luce riflessa ed a loro è sempre attribuito un prestigio proporzionale quello goduto dal marito all'interno dell'organizzazione. Tutto questo non deve meravigliare, sono regole comuni del vivere sociale e la mafia è un’organizzazione in piena regola, una società dentro e contro la comunità più generale dello Stato, un ordinamento giuridico a se.

 

Le donne, che tendono sempre a mantenere lo status quo, cioè la stabilità della situazione, in genere non hanno reagito positivamente al nuovo fenomeno del pentitismo. Hanno, piuttosto, nella maggior parte dei casi cercato di ostacolarlo, negano l'evidenza, persistendo in un atteggiamento omertoso, legandosi a volte più alla famiglia di origine in cui non c'erano pentiti.

Meno frequentemente le donne hanno a volte sostenuto i mariti in queste nuove scelte e li hanno difesi perfino a volte in casi di separazione o divorzio per riscattarne il nome per amore dei figli e per il loro futuro. Si sono anche avuti casi in cui vedove di mafia si sono nettamente schierate contro l’organizzazione, costituendosi parte civile nei processi penali, cioè comparendo nel processo al fine di ottenere la liquidazione dei danni civili subiti a seguito del reato commesso, liquidazione che può essere operata anche dal giudice penale una volta accertata la colpevolezza dell’imputato.

 

In un quadro così in evoluzione le donne possono cambiare anche più positivamente, acquistando maggiore consapevolezza di se e mettendo in pratica i recenti istituti del diritto di famiglia. In questo senso l’azione sociale fatta dai governi locali e dalle associazioni di volontariato che agiscono a livello capillare può forse dare dei risultati. Cambiamenti si vedono – secondo i rappresentanti delle organizzazioni che operano sul territorio – per lo più nel ceto medio in cui le ragazze s’interrogano maggiormente sul loro futuro, mentre il ceto più svantaggiato economicamente non considera proprio un destino diverso e quello più benestante non lo considera perché non ritiene certo appetibile un guadagno meno cospicuo e più faticoso, ancorché onesto e meno rischioso.

 

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Aggiornato il 12/06/01