Jung:
<< Gli infermieri mi hanno riferito che
proprio
tutto tranquillo non è andato … Lei ha
manifestato
più volte un’espressione di angoscia,
ha detto
di avere due teste, diceva di avvertire il
suo corpo
profondamente estraneo a se stessa>>.
Sabina non
risponde, appare molto labile
emotivamente
e lancia continui sguardi seduttivi.
Poi, dopo
una lunga pausa in cui sembra voler
ricompattare
la propria affettività, dice:
(Sabina)
<< Il dottor Heller… sono molto seccata di
come sono
stata trattata da lui a Interlaken>>.
Jung
invita il dottor Lublinsky ad entrare
nella
stanza per raccogliere da lui, che ha
accompagnato
la nipote la sera prima, qualche
notizia
anamnestica. Jung non fa mistero dei
propri
pregiudizi ‘etnici’ e annota in cartella tra
parentesi
qualcosa che la dice lunga sulla sua
opinione
sui russi: <<Lo zio, da vecchio ebreo
russo, dà
sempre delle risposte scarse ed evasive,
inoltre non parla bene il tedesco>>.
(Giuseppe Leo, “Vite Soffiate. I vinti
della psicoanalisi”, p.61)
Ho
inteso introdurre questa recensione dell’importante libro di
Aleksandr
Etkind “Eros dell’Impossibile” (ETS, 2021) con
questo
estratto di un capitolo del mio romanzo “Vite soffiate. I
vinti
della psicoanalisi” (Frenis Zero, 2011, di prossima
pubblicazione
in inglese) non per narcisistica mania di “citarsi
addosso”
(direbbe Woody Allen) ma perché, seppure nella
ricostruzione
romanzesca che ho fatto del primo colloquio
clinico
(basato sulla cartella clinica originale dell’ospedale
Burghölzli)
tra la paziente Sabina Spielrein e lo psichiatra Carl
Gustav
Jung il 17 agosto 1904, mi è sembrato uno spunto di
riflessione
sulla reciproca “diffidenza” culturale esistente tra
Russia
ed Europa occidentale all’inizio del XX secolo.
Se
il caso Spielrein è destinato ad incrinare la teoria
dell’analista
come “schermo opaco” e agli sviluppi, che
conosciamo
bene, nella direzione dell’integrazione del
contro-transfert
nella relazione paziente-analista,
questa
annotazione
sul carattere russo da parte di Jung è un “sintomo”
di
come la psicoanalisi russa, in quegli anni ai suoi albori,
dovesse
fare i conti con pregiudizi etnici non da poco da parte
dell’”establishment”
analitico europeo occidentale. Di questo è
un
ulteriore segno quello che Jung scrive il 29 gennaio 1905
nella
stessa cartella clinica, quando egli riporta l’effetto positivo
delle
abreazioni connesse con l’analisi del complesso illustrato
nella
nota dell’8 gennaio. La sera precedente, durante la visita
serale
di Jung, Sabina, seduta sul divano nel suo modo
abitualmente
<<orientaleggiante, voluttuoso, con un’espressione
sensuale
e sognante sul volto>> (ibidem,
p.77), non rispondeva
alle
domande e si limitava a sorridere. Forse anche qui è
all’opera
quel pregiudizio per cui tutte le donne russe si ispirano
alla
sensualità di Sheherazade?
Sabina
Spielrein (1885-1942)
L’opera
di Etkind, che in russo uscì nel
1993, e che ha
avuto
un’ultima
versione aggiornata nel 2016, era davvero un peccato
che
mancasse in edizione italiana, e va riconosciuta a Luciano
Mecacci
la meritoria impresa di essersi “imbarcato” in una
traduzione
e curatela di dimensioni davvero impressionanti,
visto
che si è trattato di revisionare anche i ricchissimi apparati
bibliografici
dei contributi in italiano che sulla storia della
psicoanalisi
russa non erano da decenni stati aggiornati.
L’impresa
di Etkind mi ha ricordato un articolo di Bob
Hinshelwood
uscito nel 1995 sull’International Journal of
Psycho-Analysis
in cui l’analista britannico esplorava i punti di
accesso
culturale (quindi non solo le vie appartenenti
al mondo
medico
e scientifico) con cui la psicoanalisi era penetrata in
Gran
Bretagna: attraverso il mondo dell’arte con Virginia
Woolf
ed il gruppo del Bloomsbury, il mondo dei pedagogisti,
quello
dei pensatori politici egualitari e utopisti (Hinshelwood,
1995,
in italiano 2009). Ma il libro di Etkind ha una ben più
ampia
portata perché la storia russa di quegli anni ha un
respiro
ed una drammaticità assolutamente incomparabile con
quella
di qualsiasi nazione europea “occidentale”. In Russia la
psicoanalisi
non accede nel mondo culturale attraverso un
gruppo
elitario come quello del Bloomsbury, ma diventa anima
di
una rivoluzione scientifica e medica sulle ali di una
rivoluzione
politica, che non era il sogno di qualche utopista, ma
divenne
carne e sangue per milioni di persone. E anche morte
purtroppo.
Etkind analizza bene come l’intreccio tra tensioni
ideali
rivoluzionarie e idee psicoanalitiche prima della presa del
potere
bolscevico nel 1917, e dopo la stabilizzazione della
vittoria
nella Guerra Civile sia passato anche attraverso gli
intellettuali
dell’Età d’Argento come i letterati Mandelstam,
Blok
e Bulgakov, artisti
come Kandinskji, filosofi come Ivanov,
Rozanov,
Belyi, drammaturghi come Evreinov e Stanislavskij, e
come
il progetto di una palingenesi dell’Uomo nuovo investisse
tutti
i settori dell’espressione della creatività russa. All’inizio,
come
in tutti i Paesi in cui la psicoanalisi si è infiltrata nel
tessuto
culturale “autoctono”, ma ben prima che in Francia o in
Inghilterra,
la psicoanalisi ha dovuto circolare, contaminandosi,
nei
circoli dei poeti simbolisti, negli ambienti spiritualisti
dominati
da Solovev, in quelli antroposofici dominati da Steiner.
“Eros
dell’impossibile” fu un’espressione di Ivanov in cui la
lettura
di Nietzsche si combinava a pratiche orgiastiche di
gruppo,
in cui l’interesse per la sessualità si riallacciava a sette
religiose
tradizionali come quella dei flagellanti (chlysty).
Ma il
mondo
russo pre-rivoluzionario era pure mosso da tensioni nel
mondo
scientifico che volevano tradursi in iniziative di
governance
amministrativa e politica: già in “Anna Karenina”
abbiamo
la figura di Levin alle prese con quel libro di Economia
politica
che vorrebbe, partendo dalla psicologia sociale delle
masse
contadine, riuscire ad abbozzare un modello di convivenza
e
di amministrazione dell’azienda agricola che su tale psicologia
si
basi. Anche il mondo della pedagogia russa aveva analoghe
aspirazioni
di riforma dell’educazione, basate sulla psicologia,
già
dal secolo precedente (si pensi alla figura di Stolz
nell’Oblomov
di Goncharov).
Quindi sarebbe sbagliato far
risalire
l’interesse per la psicoanalisi in Russia prima della
Rivoluzione
esclusivamente ad interessi psicologici da parte di
ambienti
spiritualisti o filosofico-irrazionalisti: era ben viva già
un’inquieta
ricerca tra medici e psicologi a cui non bastavano le
pratiche
ed i modelli fino ad allora in voga, come l’ipnosi
(Bechterev)
o la reflessologia pavloviana. Anche il mondo degli
ospedali
psichiatrici già agli inizi del secolo, tradizionalmente
refrattario
a ogni approccio psicologico alla cura, si mostrava,
almeno
con Serbskij (allievo di Korsakov), timidamente aperto
alla
psicoanalisi grazie all’influenza di Jung e Bleuler. L’altro
allievo
di Korsakov, Gannushkin, rimarrà invece fieramente
fedele
alla tradizione kraepeliniana. Ironia della
sorte, quando
un
paio di decenni dopo, Tatiana Rosenthal avrà bisogno di un
ricovero
in ospedale psichiatrico a Mosca per una grave
depressione
con ideazione suicidaria (nel 1921), verrà curata da
Gannushkin
anziché da Serbskij. Forse fu anche per questa
circostanza
che la pioniera della psicoanalisi russa non venne
adeguatamente
trattata, durante quel ricovero di mesi. Doveva
elaborare
non solo il sentimento di disperazione per la sorte del
marito,
Michail Rosen, finito in prigione perché accusato di
corruzione,
senza che i suoi eroici tentativi di salvarlo da una
condanna
a morte avessero dato i loro frutti; ma
era anche
affaticata
dal peso della responsabilità di farsi carico dell’unico
figlio
di 6 anni, Adrian. Uscita dall’ospedale psichiatrico il 3
aprile
1921, il 15 aprile si suicidò. Gannushkin per inciso sarà
anche
il curante di un altro illustre suicida, il poeta Esenin.
Pyotr
Borisovich Gannushkin (Russian: Пётр
Бори́сович
Га́ннушкин;
March 8, 1875 – February 23, 1933)
Per
avere l’idea di quanto in anticipo sugli altri Paesi europei la
psicoanalisi
fosse penetrata in Russia dobbiamo pensare che la
rivista
“Psichoterapija” già prima degli inizi degli anni ‘10
pubblicava
i primi articoli psicoanalitici (che nel 1910
ammontavano
a ben il 42% di tutti gli articoli della rivista).
Byrubov
e Osipov ne
erano i redattori più attivi. All’inizio degli
anni
’10 anche le società scientifiche, dei neuropatologi e degli
psichiatri,
si arricchirono della presenza di medici interessati
alla
psicoanalisi, e Byrubov, Osipov e Droznes fondarono nel
1911
la Società psicoanalitica russa, col beneplacito di Freud.
Una
delle prime Società psicoanalitiche ma anche quella con la
vita
più breve.
Se
è vero che, come scrive Etkind, <<la psicoanalisi divenne
popolare
in Russia effettivamente dopo la Rivoluzione del
1917>>
(p.217), e che <<concetti presi in prestito dalla
psicoanalisi
entrano nelle discussioni letterarie>> (P.218), in
questo
ambito già negli anni 20 si distinsero le tenzoni tra riviste
letterarie,
quella di Voronskij “Pereval” contro quella del
gruppo
Proletkult, che però si richiamavano entrambe al
freudismo.
Sempre più letterati erano interessati, all’indomani
della
rivoluzione d’Ottobre, ad esplorare l’inconscio: Zamjatin,
Ivanov.
Frattanto Trockij assumeva sempre di più il ruolo di
promotore
dell’Uomo nuovo non solo attraverso il cambiamento
delle
strutture economiche e sociali ma anche <<attraverso gli
esperimenti
psicologici e pedagogici>> (p.222). <<Il principale
esecutore
dei piani di trasformazione dell’uomo fu il
Commissario
del popolo per l’istruzione Anatolij Lunacharskij.
Non
meno importante fu il ruolo che ebbero come propagandisti
i
membri del Proletkult. Pur incerti e ignorando il senso
comune,
molti bolscevichi intellettuali, in particolare Nadezhda
Krupskaja
(…) e Nicholaj Bucharin sostennero questa
posizione>>
(p.222). Quello che mirabilmente analizza a questo
punto
Etkind, cioè con la fine della Guerra Civile, fu il
contributo
di un “vuoto morale” che se all’inizio agì da fattore
propulsivo
per la diffusione della psicoanalisi, più
in là avrebbe
contribuito
alla deriva autoritaria del bolscevismo. E con essa
alla
fine della psicoanalisi russa. <<La vita di milioni di persone
doveva
essere ridisegnata da capo. I giovani, i profughi e i
neo-promossi
nei quadri del Partito comunista provarono un
vuoto
di norme morali, l’assenza di modelli di azione
comprensibili
e in qualche modo giustificati nella sfera
interpersonale,
familiare e anche professionale. Le
ricerche
moderne
sulla storia della scienza hanno collegato i periodi di
sviluppo
di discipline come la psicoanalisi, la psicologia sociale e
la
sessuologia proprio a epoche di bruschi cambiamenti, quando
il
posto delle norme tradizionali e dei regolatori del
comportamento
– la religione, il diritto, la tradizione – è lasciato
vacante
e tocca alla scienza colmarlo urgentemente.
Max
Eitingon (1881
– 1943)
Ma
Etkind è molto accurato anche nel dotare di prove storiche i
retroscena
di questo intreccio che via via diventa “perverso”,
con
la psicoanalisi che viene assediata da istanze ideologiche
sempre
più asfissianti, fino a contare i primi suicidi tra le sue
fila,
come quello di Tatiana Rosenthal. Una di quelle “vinte”
della
psicoanalisi che come la Spielrein avevano condiviso
comuni
origini, comuni ideali di riscatto della loro condizione
femminile
(discriminata dal regime zarista) attraverso gli studi
universitari
a Zurigo, un comune destino di oblio per essere
entrambe
riscoperte in anni recenti. Ma i retroscena che ci
illustra
il libro di Etkind non sono solo quelli che hanno
condotto
al suicidio o all’emarginazione professionale: sono
anche
quelli di personaggi senza scrupoli, di “doppio-giochisti”
che
in tempi difficili fanno gli psicoanalisti di giorno e le spie di
notte.
Come nel caso di Eitingon, tanto stimato da Freud. Il
libro
di Etkind a tratti assume i toni di un thriller o di un
poliziesco
sulle tracce di storie e di biografie che sembrano
tratte
da Grisham o da Agatha Christie.
Altra
tappa storica fondamentale fu poi l’esilio “in massa” del
1922
a cui furono condannati parecchi intellettuali dalle
autorità
bolsceviche. Ciò permise ad essi di venire a contatto coi
circoli
psicoanalitici dell’Europa occidentale ed in alcuni casi di
fare
un’analisi personale cogli esponenti più illustri di Vienna,
Budapest,
Zurigo o Berlino. Ma intanto già nel 1921, lo stesso
anno
del suicidio di Tatiana Rosenthal, il primo illustre
psicoanalista
russo, Osipov, scelse la via dell’esilio a Praga.
Otto Schmidt (1891-1956)
Negli
anni 20 la psicoanalisi e gli psicoanalisti si rendono conto
di
aver bisogno di appoggi politici forti perché…il vento sta
cambiando.
Una figura importante è quella di Otto Schmidt, il
marito
di Vera, la fondatrice dell’Asilo psicoanalitico di Mosca.
Fu
uno dei grandi ideatori dei piani quinquennali staliniani, e
prima
dell’avvento di Stalin aveva diretto la casa editrice di
Stato
(Gosudarstvennoe Izdatel’stvo), con la quale promosse la
pubblicazione
di gran parte delle opere di Freud in russo. Poi
passò
a occuparsi di scienze naturali e di esplorazioni glaciali,
probabilmente
salvandosi grazie a questo cambio di rotta dalle
epurazioni
staliniane. Ma il suo ruolo di “garante politico” fu
indubbio
nella nascita dell’Asilo psicoanalitico di Mosca. Ma
non
fu sufficiente a evitarne la chiusura nel 1925 (Schmidt,
2014).
Ivan
Dmitrievich Ermakov (1875–1942)
Non
altrettanta fortuna ebbe Ermakov, il primo presidente della
Società
psicoanalitica russa, che morì in un lager nel 1942 e a
cui
va il merito principale di esser stato il curatore delle opere
di
Freud in russo. Ma già nel 1927 si sentono più palpabili i
segni
della fine della Società russa di psicoanalisi: Lurjia, allora
segretario,
si dimise, e Vul’f, il presidente, si recò in missione a
Berlino
senza far più ritorno a Mosca. L’emigrazione di Vul’f
coincise
col suicidio di Ioffe, un altro psicoanalista. <<Fu il
tempo
della completa sconfitta ideologica e organizzativa della
opposizione
trockista. L’attività della Società russa si spense.
Ancora
nel 1930 si tenne qualche riunione (…) La pratica
medica
psicoanalitica continuò per gli sforzi segreti e forse non
retribuiti
di poche persone rimaste sole. (…) Il terribile destino
di
Sabina Spielrein è la migliore illustrazione di come fossero
percepiti
questi sforzi nelle disumane condizioni degli anni ’30.
Qualsiasi
attività sistematica, in particolare all’aperto, come la
formazione
di un circolo psicoanalitico, era pericolosa per tutte
le
persone coinvolte>>(PP.261-262).
Moshe Wulf (1878-1971)
Questo
ampio respiro ed orizzonte del libro “Eros
dell’Impossibile”
ha anche una strutturazione direi quasi
cinematografica
in quanto, al pari di certi film (penso ad
esempio
a “Novecento” di Bertolucci) alterna capitoli di
“microstorie”
(per usare l’espressione di Ginzburg) a capitoli di
più
ampia portata, in cui il flusso spesso cataclismatico degli
eventi
finisce per modificare assetti di potere e quindi ricezione
della
psicoanalisi. Quadretti di famiglia in un interno alternati a
potenti
paesaggi storiografici. È talmente affascinante questa
sapiente
alternanza di struttura del libro di Etkind che il lettore
è
invitato a “creare” i suoi richiami tra le “microstorie” e
la
“macrostoria”.
Le prime comprendono i profili, tratteggiati in
modo
davvero magistrale, di personaggi quali Lou Andreas
Salomé,
Sergej Pankeev (meglio noto come l’Uomo dei Lupi), la
vicenda
di Sabina Spielrein, Lev Trockij, William Bullitt
(l’ambasciatore
americano nella Mosca di Bulgakov). Ognuno di
questi
capitoli meriterebbe un libro a sé, ma merito di Etkind è
stato
quello di estrapolare da ognuna di queste vicende un
“exemplum”,
una collana di “Vite parallele” che ci aiutano a
entrare,
come in un film di Sokurov o di Balagov, e a respirare
l’aria
di un’epoca di incontrovertibili cambiamenti.
Lou
Andreas Salomé (1861-1937)
Un
libro veramente pregevole, in conclusione, che da tanti anni
attendevamo
nell’editoria italiana, dato che l’ultima opera
disponibile
risaliva al testo di Angelini del 1988. Da allora tanti
enigmi
gli storici della psicoanalisi russa hanno dovuto
affrontare
e non tutto è ancora chiarito. Misteri che non tutti gli
storici
occidentali hanno potuto affrontare e che solo uno
studioso
di origine russa come Etkind è riuscito
encomiabilmente
se non a risolverli tutti, quantomeno a
discuterli.
Ricordo che nel 2005 scrissi a Paul Roazen (1992),
chiedendogli
espressamente quale fosse secondo lui il segreto del
suicidio
di Tatiana Rosenthal. Dopo un po’ mi contattò uno dei
figli
per comunicarmi la sua morte. In molti di questi pionieri
della
psicoanalisi russa possiamo trovare quella forza profetica
che
tanto li aveva impegnati come sostenitori
di un
“impossibile”
che era diventato “possibile” sotto i loro
occhi…ma
per poco.
BIBLIOGRAFIA
Angelini,
A. (1988), La psicoanalisi in
Russia, Liguori, Napoli.
Balagov,
K. (2018), Dylda (“Beanpole”),
film con Viktoria Miroshnichenko, Vasilisa Perelygina, Andrey Bykov.
Hinshelwood,
R. D. (1995), “Psychoanalysis in Britain: points of cultural
access. 1893-1918”, International
Journal of Psychoanalysis, 76, pp.135-151 [trad. ital. di
Giuseppe Leo in La psicoanalisi e i suoi confini, Astrolabio, Roma 2009].
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vinti della psicoanalisi, Frenis Zero, Lecce.
Marti,
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XXXII, n.346 [Trad. ital. "La psicoanalisi in Russia e
nell'Unione Sovietica dal 1909 al 1930", in AA. VV. , Critica
e storia dell'istituzione psicoanalitica, Il Pensiero
Scientifico Editore, Roma 1978.
Roazen,
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Followers, trad it. Einaudi, Torino 2011.
Schmidt,
V. (2014), “Scritti su psicoanalisi infantile ed educazione”,
edizione italiana a cura di Giuseppe Leo, Frenis Zero, Lecce.
Sokurov,
A. (2007), Alexandra, film
con Galina Vishnevskaya, Vasily Shevtsov, Raisa Gichaeva.