L’occasione di recensire il libro di Jeremy Holmes “Il cervello ha una mente propria. Attaccamento, neurobiologia e la nuova scienza della psicoterapia” mi è data da una piacevole coincidenza: circa un anno fa l’autore, che è psichiatra e psicoterapeuta psicoanalitico nel NHS (Sistema Sanitario nazionale britannico) e visiting professor presso l’Università di Exeter (Regno Unito), pubblicò sulla rivista psicoanalitica on-line Frenis Zero un articolo in inglese in cui esponeva in maniera più sintetica i contenuti del libro già pubblicato in lingua inglese (Confer Books, 2020). Il titolo dell’articolo è “Friston’s Free Energy Principle: New Life for Psychoanalysis?”, che richiama già nel titolo il nome del neuroscienziato che ha inaugurato il trend di ricerche a supporto del nuovo approccio alla psicoterapia che Holmes vuole lanciare con questo volume. Karl Friston, che ho avuto il piacere di ascoltare in un memorabile congresso a Losanna nell’ottobre 2011 (intitolato “The Freudian Unconscious: Between Neuroscience and Psychoanalysis”, presieduto da Ansermet e Magistretti, con la partecipazione di Vittorio Gallese, Howard Shevrin, Ariane Bazan, Cristina Alberini ed altri illustri ricercatori), è psichiatra, neuroscenziato e matematico, e lavora all’”University College” di Londra (UCL) nel campo del “neuroimaging”.  

Holmes nel suo libro illustra il modello di Friston attraverso cinque proposizioni chiave:  

        1) I sistemi stabili devono analizzare l’ambiente per ottenere informazioni rilevanti: ad ogni specie di essere vivente corrispondono delle “affordances”, cioè quegli aspetti specifici del suo ambiente che sono essenziali per la sua sopravvivenza e dei quali esso si deve necessariamente occupare (cibo, predatori, nicchia ecologica). Ovviamente, nel caso della specie umana le “affordances” comprendono le relazioni con gli altri esseri umani che sono cruciali per la sopravvivenza dell’individuo. «A seconda della propria nicchia ambientale, il cervello di ciascuna specie è progettato dall’evoluzione per selezionare le caratteristiche salienti del proprio ambiente e ignorare quelle irrilevanti. La mente/cervello ha bisogno di calcolare sia la precisione (in quale misura il proprio modello a priori del mondo corrisponde all’input sensoriale) sia il significato generale, o contesto, dei suoi input, all’interno di strutture temporali che si allungano progressivamente man mano che si risale la gerarchia neurale verso la coscienza» (pagg.12-13).

2    2) I sistemi neurali utilizzano l’inferenza attiva per minimizzare l’incertezza/sorpresa: il cervello/mente calcola continuamente la probabilità che un dato evento si ripeta, essendo la sorpresa come un input sensoriale altamente improbabile. Per simulare queste capacità di calcolo probabilistico, ci si avvale della leggi di Bayes (su cui in questa sede non è il caso di soffermarsi). Quello che è importante sottolineare è che l’inferenza attiva è  top-down (ossia le previsioni partono dalla corteccia pre-frontale per esercitarsi sulle afferenze sensoriali e corporee che si interfacciano con l’ambiente esterno) ed è a priori basata sulle probabilità che un’esperienza passata si ripeta. Il margine di errore dell’inferenza attiva è importante da tenere in considerazione in quanto, per quanto accurati siano i calcoli probabilistici della mente/cervello, l’ambiente esterno è in continuo cambiamento e quindi anche le mappe probabilistiche su cui è regolata l’inferenza attiva devono continuamente essere aggiornate.

        3) I cervelli creano i propri mondi, interni ed esterni: ogni specie vivente crea il proprio mondo secondo le “affordances” della propria specie. Ai livelli più alti della gerarchia neurale il Sé possiede due strategie complementari per plasmare il proprio mondo: da una parte l’”agency”, ossia l’azione; e, dall’altra,  capacità di correggere continuamente i propri modelli generativi del mondo.

      4) Gli organismi viventi hanno dei limiti: esiste un’interfaccia o confine tra le afferenze che dal corpo procedono verso la corteccia cerebrale (bottom-up) e i modelli generativi a priori che dalla corteccia cerebrale procedono in direzione top-down. Tale interfaccia, chiamata “coperta di Markov”, prevede che esistano dei limiti alla precisione del flusso bottom-up ed alla completezza del flusso di informazioni top-down.

     5)    L’energia è tanto informativa quanto neuroelettrica: Friston ha applicato al cervello le equazioni di Shannon sull’entropia che è inversamente proporzionale alla quantità di informazione (massima entropia equivale ad assenza di informazione).

Friston è solo l’ultimo, in ordine cronologico per Holmes, dei cinque “padri fondatori” di questo nuovo paradigma basato sull’energia libera. Gli altri (di cui si occupa il Primo Capitolo) sono Helmholtz, Claude Bernard, Thomas Bayes, ma anche e soprattutto Freud. Quest’ultimo con i suoi concetti di “energia libera” (legata ai processi primari) ed “energia legata” (dei processi secondari), di “catessi” sembra aver inaugurato per Holmes una geniale modellizzazione che però il fondatore della psicoanalisi non è riuscito a portare fino alle sue conseguenze ulteriori. In particolare il concetto psicoanalitico di “legame” (binding), che Laplanche e Pontalis collegano ai “confini” (boundaries) intendendo che l’energia legata (e non libera) possa essere “tenuta a bada”, anziché sfociare in un libero sfogo distruttivo/creativo, per Holmes si coniuga bene coi concetti di entropia e di ordine (neghentropia) che la fisica aveva già ai tempi di Freud cominciato ad approfondire. Anche i processi omeostatici, essenziali per tenere in vita le forme viventi secondo Bernard, si basano su forme di energia che deve essere legata contro i tentativi dissipativi (di aumento dell’entropia) da parte dell’ambiente circostante.  

In questa ottica assume una luce ancora più pregnante la frase di Freud contenuta nel Compendio: «Meta [dell’Eros] è stabilire unità sempre più vaste e tenerle in vita: unire insieme dunque; meta [di Thanatos], al contrario, è dissolvere nessi e in questo modo distruggere le cose» (p.575). In modo opportuno, e suggestivo, Holmes collega questa frase di Freud con il concetto di “confine” (così cruciale in psicoanalisi): la morte verrebbe concepita come dissoluzione di confini.  

Ma prima di entrare in questo Primo Capitolo occorre leggere attentamente l’Introduzione, in quanto essa fissa le definizioni che prioritariamente vanno condivise prima di procedere nella lettura.  

         a)    Secondo il FEP (Principio di Energia Libera) l’energia non va intesa solo come un fenomeno fisico (ad es., calore, radiazione elettromagnetica), ma l’energia «è una categoria esplicativa sovraordinata, simile alla gravità (…), con connotazioni sia fisiche sia mentali» (p.3).  

         b)    Secondo il FEP, il cervello ha il compito di selezionare, gestire e mantenere l’omeostasi rispetto ai flussi di energia neurale che afferiscono a partire dagli organi di senso (esterocezione) e dal corpo (enerocezione e propriocezione) in direzione bottom-up. Il cervello assolve tale compito prevedendo con inferenze attive a priori in senso top-down, sulla base delle esperienze passate, quali significati siano più probabili.  

       c)     Nel FEP l’energia è libero o legata. L’energia libera per essere utile al mantenimento dell’omeostasi e quindi delle strutture vitali (neghentropia) deve essere legata.  

Il Secondo Capitolo prgrammaticamente dovrebbe dimostrare quanto il FEP si possa applicare all’esperienza quotidiana e al pensiero psicoanalitico. Per la verità è alquanto apodittico ed eccessivamente sintetico nell’operare i parallelismi tra i concetti di Bion di funzione alfa, di barriera di contatto, di “capacità negativa” e di identificazione proiettiva ed i concetti del FEP. Questo ci fa comprendere quanta strada ci sia da compiere nel colmare quel ‘gap’ epistemologico che si frappone tra il FEP e la teoria psicoanalitica.  

Il Terzo Capitolo, invece, portando avanti dei parallelismi tra campi del sapere meno disomogenei, il FEP e le neuroscienze relazionali, risulta essere più fertile nel fornire suggestive esplicazioni riguardanti la sintonizzazione affettiva e la sincronia bio-comportamentale sia nelle diadi madre-bambino che in quelle terapeuta-paziente.  

Anche il Quarto Capitolo, incentrato sulle applicazioni del FEP alla psicopatologia appare ben congegnato. In esso Holmes elenca i due principi di vulnerabilità che concorrono in vario modo a rendere fragile il Sé:  

I)                   Il primo è la possibilità, sempre in agguato, del trauma (che agisce in senso bottom-up).  

II)                Il secondo è la compromissione della capacità di inferenza attiva (che agisce in senso top-down). Questa, come abbiamo visto, dipende dall’”agency” e dalla capacità di revisione dei modelli in relazione alle magmatiche e continue modificazioni dei contesti di vita.  

In base ai due modelli di malfunzionamento della Minimizzazione dell’Errore di Previsione (PEM) Holmes stabilisce una dicotomia essenziale:

         a)    da una parte, i malfunzionamenti in cui le informazioni sensoriali possono essere annullate da modelli top-down eccessivamente semplicistici e/o anacronistici: per Holmes è questo il caso delle psicosi.  

      b)    Dall’altra, al contrario, il malfunzionamento consiste in un eccessivo livello di precisione sensoriale (esterocettiva o enterocettiva) tale da sommergere e compromettere le capacità top-down di inferenza attiva: sarebbe questo il caso dell’autismo (esterocezione) o dei disturbi di somatizzazione e depressivi (enterocezione).  

Ricapitolando, la compromissione dell’inferenza attiva è lo snodo centrale di qualsiasi psicopatologia. Essa può essere dovuta ad una compromissione dell’”agency” e/o al fallimento della revisione dei modelli alla luce delle esperienza passate. La compromissione dell’inferenza attina può essere l’esito di:  

-         - Un eccessivo peso attribuito alle inferenze top-down (psicosi);

-         - Un eccessivo peso attribuito alle enterocezioni (disturbi da somatizzazione, depressione) o all’esterocezione (autismo);

-         - Un ridotto numero di a priori (disturbi post-traumatici);

-        - Una rimozione delle enterocezioni, tale che essere siano inutilizzabili per il livello conscio della PEM (depressione);

-        - Una difficoltà a trovare altre persone significative con cui creare vissuti di condivisione intersoggettiva (“duetti per uno”): da ciò deriverebbero modalità di PEM disadattative e solitarie (in caso di abuso di sostanze, condotte suicidarie, disturbi di personalità);

-        - Modalità di funzionamento che non tengono conto del grado di complessità appropriato alla situazione: a priori eccessivamente semplicistici (disturbi di personalità), o incapacità di ridurre la complessità e inibire l’azione (disturbo ossessivo-compulsivo).  

Il Quinto Capitolo si incentra sull’affermazione che alcune procedure specifiche della tecnica psicoanalitica (libere associazioni, analisi dei sogni, sessualità, transfert, mentalizzazuione) si baserebbero sul disaccoppiamento degli automatismi top-down/bottom-up in modo da individuare dove e come la PEM stia creando problemi. La finalità sarebbe quella di separare le sensazioni dalle inferenze e perciò consentire al terapeuta di lavorare su un piano di regolazione degli affetti in modo da far percepire al paziente la sorpresa non più come foriera di un significato di pericolo. Riferimenti a concezioni recenti quali “l’inconscio dinamico sottocorticale tripartito” di Feldman, di “granularità” dell’esperienza di Kashdan et al. (2015), di “fiducia epistemica” e di “ipervigilanza epistemica” (Fonagy et al., 2008) risultano utili nell’allargare l’interpretazione delle teorie psicoanalitiche sui disturbi e sulle tecniche anche a prescindere dal principio dell’energia libera (FEP).  

Il tema dell’attaccamento secondo il FEP, appena introdotto in una sezione del Primo Capitolo, viene diffusamente sviluppato nel Sesto Capitolo. I vari stili di attaccamento vengono concepiti come “attrattori” capaci di stabilizzare le complesse dinamiche relazionali caregiver-bambino. In continuità col precedente, il Settimo Capitolo tratta dell’attaccamento terapeuta-paziente, del dialogo che essi sviluppano tra loro  e di come esso possa aiutare a dipanare i processi PEM che sono restati bloccati. Interessanti sono a tal proposito gli studi che hanno messo a confronto gli stili linguistici con i risultati dell’AAI (Adult Attachment Interview). Alcuni studi (Talia et al., 2014; Talia, et al., 2018; Talia et al., 2019) sulla base dell’analisi dei trascritti di sedute di psicoterapia individuale, hanno indagato gli atti linguistici (nel senso di Austin, 1962) interconnessi nelle conversazioni terapeutiche con cui entrambi i partecipanti alla diade analitica cercano di influenzare, di controllare, di modellare l’andamento prevalente del discorso, di ottenere vicinanza o distanza emotiva, eccetera. In particolare, «Talia e collaboratori (2014) ritengono che le specifiche categorie di attaccamento predicano il modo in cui i clienti parlano e gestiscono il dialogo nelle loro sedute di psicoterapia. Il discorso dei clienti con attaccamento sicuro-autonomo è caratterizzato da una attenzione ai turni di parola, che conduce a nuove formulazioni (formulations) e soluzioni alle difficoltà create reciprocamente. Di contro, il dialogo degli individui distanzianti resiste alle nuove prospettive, sminuendo o smentendo le emozioni che emergono e gli sforzi intesi alla ristrutturazione. I clienti con attaccamento ansioso tendono ad avvitarsi in monologhi confusivi in cui il terapeuta ha difficoltà a impegnarsi o promuovere un dialogo reciproco» (pag.76).  

Infine, l’Ottavo Capitolo contiene un riassunto delle implicazioni che il FEP può proporre allo psicoanalista ed allo psicoterapeuta psicodinamico.  

In conclusione, il libro è un lavoro pionieristico, che come tutte  le imprese ‘groundbreaking’ ha proprio il significato letterale di questa parola inglese: esso apre nuovi sentieri. Chiaramente queste nuove strade non sono ancora confortevoli, si tratta ancora di sentieri che intorno hanno il deserto: molta ricerca ancora deve essere fatta perche il FEP possa trovare ulteriori evidenze e prove scientifiche a suo supporto in questa meritevole opera di creazione di ponti tra le neuroscienze e la clinica, in particolare la comprensione di come funziona il trattamento psicoanalitico. Ma il solco Holmes lo ha tracciato e sicuramente esso promette di condurci verso nuove vie di ricerca che superino quell’atteggiamento di “allegiance” (pag.2) che è così diffuso tra gli psicoanalisti, per cui il “bias” o “transfert” dei ricercatori influenza inconsciamente i risultati ottenuti, indipendentemente da quanto essi cerchino di contrastare questo fenomeno (pag.2).

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