Gian Cesare Marchesi

Il "countertrade" e le sue tecniche

Guida agli scambi in compensazione

Capitolo quinto (parte seconda)


(segue:
5.0.0 - La compensazione in Italia)

5.4.0 - Le normative valutarie

Le normative valutarie recentemente introdotte in Italia (T.U. del 31 marzo 1988, pubblicato sulla G.U. del 10 maggio 1988) ed entrate in vigore il 1° ottobre 1988 hanno portato una ventata di liberalizzazione anche alle operazioni che prevedono un regolamento compensativo ed hanno tolto l'obbligo della preventiva autorizzazione del Ministero del Commercio con l'Estero.

Tale necessità trovava precedentemente la sua ragione nel dettato della circolare UIC del 31 agosto 1981, n.2 (modificata dalla circolare UIC n.2/1 del 23 dicembre 1981) che precisava: le importazioni ed esportazioni in compensazione privata, anche di merci " a dogana" qualunque sia il valore dell'operazione, sono effettuate su presentazione in dogana di autorizzazione Mincomes. Si trattava indubbiamente di una norma alquanto restrittiva, la cui osservanza non sempre si adattava alle necessità temporali degli operatori interessati a concludere operazioni compensative.

Per ciò che concerne il countertrade si fa ora invece riferimento al DPR N. 454 del 29 settembre 1987, art. 7, 3° comma, che così recita: le obbligazioni tra residenti e non residenti possono essere regolate per compensazione, della quale deve essere data successiva, tempestiva comunicazione all'Ufficio Italiano dei Cambi attraverso una banca abilitata.

Un'apposita comunicazione è prevista per le obbligazioni tra residenti e non residenti regolate per compensazione. Questa dichiarazione si compone di tre sezioni: la prima riguarda notizie da fornire secondo gli stessi criteri indicati per la dichiarazione valutaria relativa alle operazioni correnti e finanziarie. La seconda sezione riguarda i debiti e i crediti oggetto di compensazione, suddivisi con riferimento alla natura dell'operazione ad essi sottostante. E' prevista, per ciascun riquadro, l'evidenza (con relativa indicazione della data) rispettivamente dell'operazione più antica e di quella più recente oggetto di compensazione.

Se la compensazione si completa con un regolamento valutario superiore a Lire 10 milioni, la dichiarazione va presentata all'atto del regolamento unitamente alla terza sezione ad esso relativa; se invece il regolamento in parola manca (ovvero è di importo non superiore a Lire 10 milioni) la dichiarazione riguardante la compensazione va presentata alla banca prescelta entro il giorno 10 del mese successivo a quello in cui la compensazione è avvenuta.

Anche per quanto concerne la stipula di una polizza assicurativa e la corresponsione dei relativi premi nei confronti di una Compagnia "non residente" non occorre più disporre della preventiva autorizzazione Mincomes, mentre resta l'obbligo dell'autorizzazione rilasciata dal Ministero dell'Industria, Commercio ed Artigianato.

E' utile altresì ricordare che qualora un contratto commerciale prevedesse (nelle clausole di pagamento) l'utilizzo di una linea di credito finanziario strutturata sulla base di quanto previsto all'art. 15 della legge 227 del 24 maggio 1977 (copertura assicurativa SACE e condizioni stabilite dal "Consensus"), non è ancora ammesso che siano considerati anche pagamenti in forma compensativa. Questo divieto è solitamente ben specificato nel testo della "convenzione finanziaria" stipulata fra la banca finanziatrice e quella finanziata e ci si augura che venga anch'esso presto rimosso, o comunque rivisto, alla luce di un ampliamento delle capacità negoziali degli operatori nazionali.

Un ulteriore passo avanti nella liberalizzazione delle norme direttamente od indirettamente concernenti la compensazione si è recentemente riscontrato nella nota emanata da Mincomes "Orientamenti in materia di rilascio di autorizzazioni di importazioni dai Paesi a commercio di Stato, in supero rispetto ai contingenti fissati e per prodotti per i quali non siano fissati contingenti d'importazione". In base a tale nuovo indirizzo si avrebbe ora una più ampia disponibilità delle nostre Autorità a considerare -caso per caso- la possibilità di "sconfinare" da quei precedenti vincoli quantitativi e qualitativi che in molte circostanze impedivano l'effettuazione di esportazioni verso i Paesi dell'Est in contropartita di altri determinati prodotti.

E' ancora comunque necessario sottolineare che nel caso in cui le merci ricevute in contropartita, anzichè entrare nel territorio italiano, dovessero dirigersi verso una terza destinazione (ad esempio se il tondino di ferro ceduto in contropartita dall'Unione Sovietica venisse collocato dall'operatore nazionale in un paese dell'Africa australe), si applicherebbero le disposizioni regolanti il "commercio di transito" che, nonostante i recenti snellimenti normativi, costituiscono tuttora -in molti casi- un impedimento allo svolgimento di questo tipo di transazioni.

Da quanto sopra illustrato risulta evidente che anche se la compensazione non è ancora entrata a far parte, per quanto almeno concerne le nostre normative, di una prassi operativa ordinaria, le nostre Autorità hanno ormai espresso e dimostrato una maggiore comprensione alle problematiche del settore e si dimostrano più sensibili di quanto non riscontrato in passato alle istanze poste dagli operatori per l'abbattimento di tutti quegli ostacoli che frenano la nostra competitività nei confronti della concorrenza estera.

5.5.0 - L'atteggiamento della SACE in materia assicurativa

Nel precedente capitolo si è illustrata la posizione generalmente assunta dalle Export Credit Agencies nei confronti delle coperture assicurative richieste dalle transazioni compensative e si è fatto cenno alle problematiche di tipo operativo e strutturale che impediscono a questi Enti di poter agire con la stessa autonomia con la quale si muovono le strutture assicurative di matrice privata.

Anche per quanto riguarda il nostro "sistema" che, come noto, fa riferimento ai principi della legge n. 227 del 24 maggio 1977 (Legge Ossola), non si riscontrano sostanziali differenze che possano consentire agli operatori nazionali di "coprire" adeguatamente i rischi derivanti dalla eventuale inadempienza contrattuale della controparte nella consegna dei prodotti di ritorno.

D'altro canto occorre ricordare che la 227, pur avendo costituito per il nostro paese un momento significativo nel sostegno delle esportazioni, è ormai largamente obsoleta ed inadeguata a corrispondere alle istanze ed alle necessità di un commercio internazionale sempre più pervaso da forme esasperate di concorrenzialità e di protezionismo. Si parla da tempo di una revisione della 227 e ci si augura che ciò possa avvenire al più presto per poter uscire dallo "stallo" in cui si trovano le possibilità di assicurazione dei crediti verso l'estero. Fra paesi "in sospensiva" o in "pausa di riflessione", operazioni "non assicurabili", ecc. sono rimaste ormai ben poche le possibilità di ricorrere al sostegno pubblico per la copertura dei rischi "politici" derivanti da transazioni commerciali con l'estero.

In realtà gli Organi della Sezione Speciale per l'Assicurazione del Credito all'Esportazione (SACE) hanno manifestato in varie occasioni la loro sensibilità e la loro disponibilità nel venire incontro alle esigenze degli operatori, ricercando quelle soluzioni che, nel rispetto di quanto concesso dagli spiragli della 227, possano "in qualche modo" sopperire alle necessità di tutela dei rischi degli operatori nazionali.

Sulla scia di queste "aperture" sono già state rilasciate da parte della SACE alcune polizze riferentesi ad operazioni compensative, dopo che gli operatori hanno concordato con le loro controparti estere talune particolari formule contrattuali che consentissero alla SACE stessa di far rientrare il rischio fra quelli ammessi (o, quanto meno, non esclusi) dalla 227.

In alcuni dei casi sopra riferiti, l'esportatore nazionale ha fatto sì che nel contratto di vendita del bene "primario" venisse previsto un pagamento in valuta , rappresentato da "titoli di credito" aventi importi e scadenze ben definiti (Lettera di credito, cambiali-tratte, pagherò cambiari, ecc. garantiti dalle Autorità monetarie estere) e che l'impegno al controacquisto venisse trasformato in una "garanzia collaterale in merci" fornita dalla controparte estera a tutela del pagamento della sua obbligazione principale. In caso di mancato pagamento dei titoli di credito originari (circostanza questa che si presenterebbe nel caso in cui la controparte non consegnasse i beni compensativi promessi che, quindi, non potrebbero dar luogo ad una monetizzazione in valuta) si verificherebbe il caso di "sinistro" e l'Assicurato dovrebbe attivarsi (in un certo senso "per conto" della SACE) per escutere la "garanzia collaterale in merci". In caso di insuccesso, e decorso l'waiting period previsto in polizza, la Compagnia risarcirebbe il danno.

Questa formula, peraltro non sempre adottabile soprattutto nei confronti della controparte estera, consente alla SACE di aggirare due dei principali ostacoli attualmente esistenti nella 227 ed abitualmente presenti in un "normale" contratto compensativo:

- la mancanza di un "titolo di credito" redatto con importo e data di scadenza certi;
- la necessità di dover ritirare merci per una successiva rivendita.

A differenza quindi di quanto visto in precedenza, non è il contratto di controacquisto quello che viene tutelato dalla polizza assicurativa, bensì ancora quello della vendita del bene primario. A parte le discrepanze "formali" esistenti fra i due diversi meccanismi, rimane ancora una sostanziale differenza fra le modalità di valutazione del "rischio-paese" da parte delle ECA in genere rispetto agli Assicuratori privati. Questi ultimi, infatti, assicurano l'inadempienza degli obblighi contrattuali del controacquisto e valutano il rischio del paese estero sulla base di criteri differenti da quelli, tipicamente finanziari, generalmente adottati dalle Compagnie pubbliche. Capita così che un paese estero, abitualmente in default sul piano finanziario, sia assicurabile dalle Compagnie private estere semplicemente perchè non ha mai fatto registrare inadempienze circa la consegna dei propri prodotti in esportazione.

Recentemente tuttavia, pur essendo -come detto- esclusa, a termini della legge n. 227, la possibilità per la SACE di assumere in garanzia un vero e proprio contratto di controacquisto, gli Organi della Sezione hanno deciso di adottare una ben più ampia apertura per le operazioni assistite da garanzia di pagamento rappresentata dalla consegna di beni, in quanto ritenuta idonea a ridurre il rischio di mancato pagamento.

In base alla delibera assunta dalla SACE sarà pertanto possibile, in deroga alla pausa di riflessione od alla sospensiva stabilite verso determinati paesi, concedere la copertura assicurativa alle operazioni che offrono garanzie di pagamento rappresentate dalla consegna di beni per un valore corrispondente al credito vantato dall'impresa italiana.

Ai fini dell'assunzione in garanzia è necessario, tuttavia, che le garanzie suddette siano rispondenti alle legislazioni locali, che sia acclarata la libera importabilità dei beni oggetto della garanzia o la loro possibile destinazione a mercati terzi e, infine, che gli introiti valutari derivanti dalla vendita dei beni siano ritenuti congrui.

La relativa valutazione del rischio sarà quindi improntata a criteri diversi da quelli tipici del "rischio paese", in quanto la SACE dovrà necessariamente tener conto anche della solvibilità del paese sotto lo specifico aspetto della sua attitudine ad adempiere obbligazioni di consegna di beni.

5.6.0 - Le strutture d'intermediazione operanti nella compensazione

Nelle operazioni di countertrade si nota quasi sistematicamente la presenza di un operatore che si inserisce fra i vari produttori/esportatori ed i vari importatori/utilizzatori in una posizione intermedia, indispensabile per la corretta esecuzione dell'operazione. Si tratta di un ruolo naturale che scaturisce dalla necessità di demandare ad una organizzazione idonea l'esecuzione di tutte quelle incombenze che per motivi istituzionali, strutturali, documentali, finanziari, ecc. non possono essere solitamente espletate nell'ambito delle aziende strettamente manifatturiere o, comunque, di utilizzazione finale dei prodotti compensativi.

Sono rari i casi in cui non sia evidente questa necessità e tali eccezioni si riscontrano quasi esclusivamente in quei contratti di "cooperazione industriale" che prevedono per l'esportatore primario l'utilizzo dei prodotti compensativi nell'ambito del proprio ciclo produttivo.

Nell'intermediazione degli scambi in compensazione e nella consulenza, agiscono sostanzialmente i seguenti tipi di organizzazioni:

a) le strutture consulenziali e/o assistenziali (banche, società di consulenza, Istituzioni varie di natura pubblica o semi-pubblica, ecc.),
b) le sezioni create nell'ambito di grandi Gruppi industriali per curare lo svolgimento di questo tipo di transazioni ("countertrade units", Trading Companies di Gruppo, ecc.),
c) i "Traders",
d) i "Countertraders" indipendenti,
e) le Trading Companies indipendenti ( General Trading Companies, Tradings di servizi, ecc.)

Ciascuna delle figure sopra elencate ha proprie funzioni, caratteristiche e prerogative che è necessario ben individuare al fine di orientare appropriatamente le scelte a seconda delle esigenze delle specifiche operazioni da intraprendere. Tutto ciò, beninteso, nell'ottica di quegli operatori che si trovano a dover affrontare il countertrade senza disporre ancora della esperienza e delle strutture necessarie alla completa gestione dell'operazione.

5.6.1 - La consulenza nel countertrade

Occorre innanzi tutto distinguere fra la funzione consulenziale specifica , che si esplica in termini di assistenza diretta e personalizzata rivolta all'operatore per accompagnarlo nella finalizzazione della transazione compensativa (contatti con le parti coinvolte nell'operazione, ricerca dei canali di sbocco dei prodotti compensativi, assistenza nella stesura dei contratti e nella ricerca dei mezzi finanziari necessari alla "copertura" dell'operazione, ecc.) e la funzione di assistenza istituzionale fornita da strutture preposte allo sviluppo dell'interscambio (Istituto Nazionale per il Commercio con l'Estero "I.C.E.", Camere di Commercio, Consorzi Export, ecc.). Da questa distinzione derivano, ovviamente, differenti modalità di utilizzo dei servizi disponibili.

Per quanto concerne il settore bancario occorre sottolineare che in Italia non risulta siano state ancora create all'interno degli Istituti di credito apposite "sezioni" specializzate nella fornitura di consulenza in materia di countertrade e pertanto l'assistenza al cliente si limita a ciò che tradizionalmente viene offerto in termini di "servizio estero" generalizzato. Se da parte di qualche istituto viene concesso qualcosa di aggiuntivo, ciò è dovuto più all'iniziativa personale dei singoli Funzionari che non a precise strategie aziendali. Per contro, le principali banche internazionali hanno da tempo istituito nel loro ambito speciali dipartimenti che forniscono alla clientela le informazioni e l'assistenza necessarie ad operare nel campo compensativo. E' il caso, ad esempio, della Barclays Bank International, della National Westminster Bank, del Midland Bank Group, della Morgan Grenfell and Co. Ltd., di varie banche austriache e francesi, e delle numerose banche statunitensi che hanno addirittura creato apposite "Tradings" (a seguito dell'emanazione dell'Export Trading Company Act dell'ottobre 1982) per svolgere le operazioni di countertrade.

5.6.2 - Le Tradings di Gruppo e le "countertrade units"

Si tratta di strutture create nell'ambito di vasti raggruppamenti industriali o di aziende di ampia dimensione, con il compito di gestire direttamente tutte le transazioni compensative che derivano dalla vendita all'estero dei prodotti originati dalle stesse aziende del Gruppo.

In taluni casi viene affidata a queste organizzazioni l'intera operazione di "aller-retour", mentre in altri casi viene loro trasferito solo il compito di collocare i prodotti compensativi. La decisione di costituire una struttura complessa, in un certo senso autonoma e polifunzionale qual'è una Trading, o di limitarsi a creare una "countertrade unit" sotto forma di centro di costo più snello e meglio controllabile, dipende dalle necessità specifiche dell'azienda, o del Gruppo di aziende, e dall'importanza che viene attribuito al commercio compensato visto nel medio-lungo termine.

5.6.3 - I "Traders"

Con tale termine s'intendono qui definire quegli operatori "indipendenti" che abitualmente importano determinati prodotti per immetterli sul mercato di consumo o di utilizzo finale. Ci si riferisce, ad esempio, agli importatori di legname, di pesce, di pellami, di minerali, di fertilizzanti, di cereali, di carni, ecc. Sono, in ultima analisi, coloro che da sempre gestiscono tali prodotti e che pertanto sono in grado di assorbire (o di collocare su mercati terzi) i beni che possono essere offerti in compensazione ad un esportatore di prodotti nazionali.

A parte pochi casi particolari, i Traders rappresentano l'ultimo anello della catena che si crea nella struttura di una operazione compensativa, con la particolarità che la loro specializzazione merceologica è talmente analitica da non consentire molti sconfinamenti. In altri termini, se un'operazione compensativa prevede il controacquisto di una gamma di differenti prodotti (es. fosfati e cotone grezzo, oppure frutta conservata con pesce e minerali di ferro, ecc.) non è sufficiente l'individuazione di un solo Trader, ma occorre garantirsi l'appoggio di tutte le strutture commerciali specializzate nei vari prodotti in questione.

5.6.4 - I "Countertraders"

Si tratta di organizzazioni specializzate nel brokeraggio delle operazioni compensative, che sono cioè in grado, proprio per loro caratteristica peculiare, di "collocare" in tempi ragionevolmente brevi qualsiasi prodotto da qualsiasi paese provenga. A differenza delle Trading Companies (delle quali verrà tracciato un più ampio profilo nel prosieguo di questo elaborato) che generalmente "gestiscono" l'operazione (o parte dell'operazione) con assunzione diretta di taluni rischi ad essa connessi, i Countertraders solitamente si limitano ad "avvicinare" le parti, cioè a reperire il Trader giusto per quella specifica merce liberando così l'esportatore primario dalla preoccupazione di non sapere come e da chi far ritirare i prodotti di ritorno che gli sono stati proposti in pagamento delle sue vendite.

Il limite di demarcazione che separa i Traders dai Countertraders e dalle stesse Trading Companies non è in verità così netto come potrebbe apparire dalla semplice enunciazione qui esposta ed in molti casi le pur differenti figure si confondono, rendendo estremamente difficile stabilire un parametro di chiara identificazione.

Nel grafico che segue sono indicati schematicamente i legami che uniscono operativamente i vari soggetti nell'azione di collocamento di prodotti compensativi.



La distinzione che si è voluta tenere in questo elaborato è comunque chiaramente soggettiva, non esistendo a livello ufficiale alcuna specifica nomenclatura che distingua inequivocabilmente le varie figure citate.

In termini pratici la distinzione fra i tre tipi di "intermediari" diventa più netta se ci si riferisce ai vari tipi di risposte che possono essere date di fronte ad una richiesta d'intervento in una operazione compensativa. Se infatti ipotizziamo che l'azienda manifatturiera Bianchi S.p.A. stia trattando la vendita di un impianto ad un cliente estero che gli offre in pagamento semi di girasole, legname e tessuti di cotone, e che abbia rivolto l'identica richiesta d'intervento rispettivamente ad un Trader, ad un Countertrader e ad una Trading Company, possiamo immaginare le seguenti differenti risposte:

a) da parte del Trader: " non mi interessa la vendita dell'impianto, così come non sono interessato all'acquisto del legname e dei tessuti di cotone. Possono invece interessarmi i semi di girasole alle seguenti condizioni:.........."

b) da parte del Countertrader: "non mi interessa la vendita dell'impianto; posso però occuparmi della ricerca di chi è interessato ad acquistare tutti e tre i prodotti di ritorno, purchè mi venga garantito un margine del .....% a copertura delle mie commissioni e del <premio di sfioramento>"

c) da parte della Trading Company: "mi potrebbe interessare l'acquisto dei tessuti di cotone alle seguenti condizioni:..... Comunque potrei essere interessata a gestire con o senza di te l'intera operazione, dalla vendita dell'impianto all'acquisto di tutti i prodotti compensativi, a con- dizioni da concordare una volta esaminati tutti i termini della trattativa........"

Sul piano strettamente economico, per l'esportatore che richiede l'intermediazione, si presentano diverse possibilità a seconda dell'interlocutore scelto:

a) il ricorso al Trader potrebbe rappresentare una strada più ardua, che consente però di conoscere rapidamente quanto l'esportatore potrà ricavare dalla vendita dei prodotti compensativi e stabilire quindi l'entità delle eventuali differenze rispetto al "prezzo" richiestogli dalla sua controparte estera;
b) l'utilizzo del Countertrader gli comporta la corresponsione di una percentuale che, il più delle volte, non tiene conto di eventuali altri rischi (ad esempio quelli derivanti dalla ritardata consegna dei prodotti compensativi o dalla inaspettata sostituzione di certi beni con altri) che generalmente rimangono a carico dell'esportatore primario;
c) l'intervento della Trading potrebbe significare un costo simile a quello del Trader, o del Countertrader (in dipendenza del ruolo svolto dalla Trading), oppure un onere decisamente più modesto qualora esistesse un interesse reciproco nel trasferire alla Trading la gestione dell'intera operazione.

5.7.0 - Le Trading Companies

L'attività di interscambio italiano con i mercati esteri risale alla storia più remota e, se non ha sinora consentito alle nostre Case di commercio estero di conseguire crescite pari a quelle delle più note "Compagnie" olandesi, francesi o inglesi di origine coloniale, o delle ben più famose Sogo Shosha giapponesi (Per un esame sul "fenomeno trading", sulle sue origini ed i suoi sviluppi nei tempi moderni, vedasi l'opera di S.Alessandrini, Le Trading Companies ed il commercio italiano di esportazione, ed. Cescom/F.Angeli, Milano, 1982), ha purtuttavia contribuito in misura notevole all'affermazione del prodotto nazionale su tutti i mercati mondiali.

Si è trattato il più delle volte di un commercio condotto "all'italiana", con apporto di fantasia, intraprendenza e coraggio individuali, a dispetto delle difficoltà frapposte dalle barriere linguistiche, dall'esiguità dei mezzi finanziari disponibili, dalla mancanza degli adeguati supporti normativi e con gli inevitabili risvolti della medaglia rappresentati, talvolta, dall'improvvisazione e dalla discontinuità.

Quando la vivacità della domanda internazionale consente all'intero sistema economico l'assorbimento delle lacune testè citate, ad un operatore che si ritira dalla scena ne subentra subito un altro che si presenta col suo nuovo bagaglio di idee e di iniziative di fronte alla controparte estera. Ma quando, come da qualche tempo si sta purtroppo verificando, il mappamondo commerciale si liofilizza a pochi validi mercati, il protezionismo e la concorrenzialità di altri paesi vecchi e nuovi si fa più pressante e la professionalità non lascia più molto spazio alla fantasia, anche l'operatore più "indipendente" si sente pervaso da dubbi e da incertezze e comincia ad interrogarsi sull'economicità di continuare un lavoro ad personam piuttosto che ricercare nuove forme di collaborazione e di integrazione orizzontali.

Sull'utilizzo dello strumento "Trading Company ", peraltro per nulla nuovo, esistono tuttora molti pregiudizi e qualche prevenzione, dettati il più delle volte dalla scarsa conoscenza che si ha sull'argomento, o da rigurgiti di individualismo che impediscono di effettuare le necessarie scelte in termini di economia di scala.

5.7.1 - Chi sono

Per diradare un pò della nebbia che ancora circonda queste aziende si può cercare, innanzi tutto, di fornire loro una più precisa identità anche se, come per le persone fisiche, i dati somatici ed i segni particolari possono variare notevolmente da soggetto a soggetto.

Semplicisticamente parlando le Trading Companies sono aziende di import-export, ma considerato che nell'accezione più comune e, come vedremo più avanti, nel modus operandi si identificano con questo termine organizzazioni di una certa rilevanza, si dovranno, almeno in questa sede, escludere le piccole Case di commercio estero, cioè quella nutrita e combattiva schiera di aziende medio/piccole e talvolta individuali, che pur svolgono un significativo ruolo
nello sviluppo dell'interscambio italiano (Per un più completo quadro delle Case di Commercio Estero operanti in Italia e delle loro caratteristiche più salienti, consultare l'Annuario Functions and services Member list edito dall'Associazione Nazionale del Commercio con l'Estero , A.N.C.E., Corso Venezia 47/49, 20121 Milano).

Una Trading Company assomma in sè, in una certa misura, le caratteristiche operative di differenti figure imprenditoriali:

- commerciante che acquista e rivende nell'ambito dell'interscambio;
- rappresentante, agente, concessionario, procacciatore d'affari, intermediario in genere;
- Confirming House e Shipping House ;
- Holding di partecipazioni;
- consulente finanziario, valutario, doganale, organizzativo e di marketing.

Tale organismo produce solitamente solo servizi, a meno che certe produzioni industriali non vengano curate da aziende manifatturiere appartenenti alla Trading stessa. Non è inoltre da confondersi nè con un Istituto finanziario inteso in senso lato, nè con una Casa di spedizioni internazionali.

La complessità e l'eterogeneità delle funzioni e delle esperienze che fanno capo alla Trading Company già definiscono un campo di identificazione più ristretto nello spettro più generale in cui si muovono gli operatori dell'import-export e comportano la necessità per questo tipo di organizzazioni di disporre di un insieme di mezzi, sotto il profilo strumentale, finanziario e conoscitivo, altrimenti non necessario.

5.7.2 - Mezzi strumentali

In termini strumentali l'asset più prezioso della Trading Company è costituito dagli uomini che la compongono e che la guidano. L'organizzazione gestionale ha pure una sua rilevanza, ma una Trading Company ben organizzata e carente di quadri specificatamente idonei diventa come una vettura di Formula Uno pilotata da un neo-patentato.

L'"uomo-Trading" deve aver vissuto ed operato abbastanza a lungo nei paesi esteri ed averne assimilato mentalità, metodologie ed esigenze. E' portato parossisticamente a considerare i paesi stranieri come una periferia della città in cui abitualmente risiede. Rio de Janeiro, Dallas, Jeddah o Singapore significano per lui un aeroporto, una strada di accesso a tanti uffici, stabilimenti o cantieri in cui si incontrano sempre le stesse persone: il cliente o il fornitore.

Oltre alle doti di fantasia e di intraprendenza già evidenziate più sopra, l'uomo-Trading deve avere la capacità di muoversi con versatilità e professionalità, in perfetta simbiosi con le altre tessere che compongono il mosaico della sua compagine societaria.

Senza voler, in questa sede, sottovalutare le piccole Case di commercio estero, una Trading di una certa dimensione deve poter seguire a tempo pieno i prodotti abitualmente trattati, con una rete efficiente di strumenti operativi che, a seconda delle varie necessità, comprenderanno la presenza all'estero di varie formule strategiche, quali ad esempio:
- affiliazioni o filiali;
- uffici di rappresentanza;
- staff viaggiante di sede;
- licenziatari o rappresentanti;
- agenti o procacciatori di affari.

Il tutto deve essere gestito e controllato dal centro con facilità di dialogo e rapidità di risposte.

Dalle strutture logistiche disponibili scaturiscono, fra l'altro, le modalità di gestione dei prodotti-merce abitualmente trattati, la cui schematizzazione può essere rappresentata dal grafico seguente:



5.7.3 - Mezzi finanziari

Pur non volendosi e non dovendosi sostituire ad un Istituto finanziario, la Trading Company deve avere un'estrema capacità di utilizzo degli strumenti del credito disponibili sia in Italia che all'estero. In questo tipo di azienda, infatti, la componente finanziaria assorbe normalmente una quota stimabile fra il 40 ed il 50 per cento dell'intera gestione.

D'altro canto il contributo finanziario offerto dalla Trading può essere talvolta determinante per la conclusione ed il buon fine di una trattativa commerciale. In pratica, l'offerta finanziaria messa a disposizione della controparte italiana o della controparte estera consiste in:

- anticipazioni su merci formanti oggetto di contratti di vendita con pagamenti differiti;
- emissione di bid bonds , performance bonds ed altre garanzie connesse con la partecipazione a gare internazionali od appalti;
- assunzione di partecipazioni, maggioritarie o minoritarie, in imprese italiane od estere;
- assistenza finanziaria in tutte quelle altre forme di intervento che possano rendere più agevole l'operazione con l'estero.

I mezzi finanziari di cui la Trading dispone, al di là delle risorse proprie, trovano origine nelle linee di credito ottenibili da un "sistema bancario" con il quale la Trading ha indubbiamente maggior capacità negoziale di quanto non possa normalmente disporre il medio operatore.

5.7.4 - Mezzi conoscitivi

Questa terza categoria di mezzi è stata tenuta separata dalle altre due che l'hanno preceduta in quanto ne compendia le caratteristiche e qualifica in modo particolare una Trading rispetto ad un'altra e la stessa Trading Company in generale.

Si tratta in sostanza di un bagaglio di conoscenze, ovvero di esperienze, già acquisite e della capacità di assimilarne di nuove.

La Trading Company italiana che, come visto in precedenza, opera in un contesto nazionale per taluni aspetti ancora "diffidente" nei confronti di questo strumento d'integrazione commerciale, ha peraltro solitamente effettuato nel tempo delle scelte, indubbiamente limitative ma comunque qualificanti, in termini geografici o merceologici.

Tali scelte sono state dettate, il più delle volte, da esigenze strutturali interne o dall'affezione a quella determinata area od a quegli specifici prodotti. Ecco allora che a queste scelte si è accompagnata un'esperienza su quel mercato, o gruppi di mercati, su quel prodotto o gruppi di prodotti, che costituisce oggi uno dei "mezzi" più significativi della Trading.

Se la versatilità e la diversificazione dell'azione di una Trading Company rappresentano una sua caratteristica tipica, la specializzazione ne enfatizza, e per converso ne limita, taluni aspetti di cui occorre tener conto avvicinandosi per la prima volta a questo tipo di organizzazione.

Fra le migliaia di aziende operanti oggi in Italia nel settore dell'interscambio, le caratteristiche più sopra schematizzate possono investire non più di una dozzina di società, alle quali si può attribuire il significato internazionale del termine Trading Company.

Da tutto ciò comunque scaturisce che, nello sviluppo dell'interscambio italiano, il canale Trading ha certamente una sua validità, peraltro non ancora del tutto sfruttata, pur non disponendo di quelle facoltà taumaturgiche che si vorrebbero capaci di invertire le tendenze recessive di un commercio estero oggi più che mai afflitto da condizionamenti interni ed esterni.

5.7.5 - Caratteristiche operative

Dall'identikit che è stato tracciato sulla Trading Company italiana è risultata l'immagine di un'organizzazione dotata di mezzi strumentali, finanziari e conoscitivi in grado di assistere con efficacia e professionalità l'operatore nazionale nello svolgimento del proprio lavoro con l'estero. Ne sono emersi, per contro, anche alcuni limiti strutturali, riferiti soprattutto alle aree ed ai prodotti trattati

Benchè infatti la Trading si qualifichi spesso come aperta a tutte le operazioni con l'estero, nella pratica quotidiana ciò non è sempre vero. Già la prima suddivisione di base, fra importazioni ed esportazioni, vede il formarsi di due gruppi distinti di Trading Companies: quelle che principalmente si occupano di import e quelle, peraltro più numerose, che curano di preferenza operazioni di vendita all'estero.

Una seconda selezione, di tipo merceologico, separa nuovamente quelle aziende che "trattano" abitualmente un certo tipo di bene da quelle che si possono invece definire General Trading Companies.



Infine, con riferimento alle aree geografiche in cui sono presenti, si notano aziende confinate in pochi paesi per una vasta gamma di prodotti, o per pochi specifici prodotti, ed aziende che operano in un "mondo" più esteso, per molti o - ancora- per pochi specifici articoli.

Lo spettro, come si può notare, è ampio e diversificato, in quanto la struttura delle Trading Companies italiane, anche di quelle maggiori, non consente loro di muoversi sul modello delle grandi ed omnipresenti Sogo Shosha giapponesi. Ne fa fede un semplice dato significativo: una delle sette più importanti società mercantili giapponesi ha curato, in un esercizio recente, operazioni per un valore di 31,3 miliardi di dollari, laddove nello stesso periodo una delle più note Tradings italiane non ha superato i 100 milioni di dollari.

Tutto ciò comunque non sminuisce la validità della realtà italiana, se si considera la Trading Company di casa nostra alla luce delle sue particolari esperienze e prerogative.

Per entrare nel vivo di questa realtà, immaginiamo di effettuare una visita negli uffici di una Trading Company italiana, così da poter verificare come opera e, quesito spesso ricorrente, sapere quanto costa l'utilizzo di questo servizio.

5.7.5 - Un esempio

Ipotizziamo la "C.P.S. Trading" che agisca in un'area geografica abbastanza ampia (per esempio nei P.V.S.) e che fornisca un insieme di servizi che possono interessare un vasto spettro merceologico, particolarmente significativo nel settore export. La struttura estera di questa azienda comprende affiliazioni, uffici di rappresentanza, licenziatarie, agenti e procacciatori d'affari.

La sede operativa italiana gestisce principalmente le seguenti attività:

- acquisto in proprio e rivendita, tramite la propria organizzazione estera, di beni di origine nazionale od estera (commercio di transito);
- concessionaria (funzione sub-delegata alle proprie affiliazioni estere) di marche nazionali od estere, con servizio di assistenza post-vendita garantito all'utilizzatore finale;
- rappresentanza di vendita di specifiche marche o prodotti sui mercati esteri (retribuita a provvigione);
- partecipazione a gare di fornitura internazionale, in proprio e/o per conto di fabbricanti italiani;
- preparazione, presentazione e gestione di progetti "chiavi-in-mano" per la realizzazione di opere civili o industriali, con o senza prtecipazione al capitale di rischio;
- partecipazione a consorzi o joint-ventures per la realizzazione di opere civili o industriali, laddove la presenza di una Trading Company possa catalizzare e coordinare più aziende di produzione;
- esecuzione di operazioni di compensazione al fine di agevolare la penetrazione di prodotti nazionali in quei Paesi che presentano problematiche di liquidità valutaria;
- messa a disposizione dell'operatore nazionale della necessaria assistenza nei settori commerciale, finanziario, trasportistico, doganale, contrattuale, valutario ed amministrativo in genere, che possa favorire la conclusione di operazioni d'interscambio.

In considerazione della complessità di funzioni svolte e della diversificazione attuata nella gestione del "prodotto", si può ipotizzare un organigramma strutturale del tipo illustrato nel grafico seguente.



La "C.P.S. Trading" ha stabilito da tempo Accordi di stretta collaborazione commerciale con una rosa qualificata e selezionata di aziende manifatturiere i cui prodotti, per certi paesi, vengono affidati per la commercializzazione alle sue strutture, con uno schema di gestione quale appare nel grafico qui di seguito riportato:



A questo canale "tradizionale" si affiancano le operazioni spot per questo o quel prodotto da collocarsi nei paesi in cui la "C.P.S. Trading" abitualmente opera.

Uno dei risultati meno appariscenti, ma non per questo meno significativi dell'azione svolta dalla Trading è dato dall'immagine che la stessa ha costituito e dalle conoscenze che, in termini di rapporti interpersonali, ha acquisito nei paesi in cui agisce. Una rete di "amicizie" che le possono consentire di accedere con facilità alle persone giuste nel momento giusto.

5.7.6 - I costi dell'intervento

Il quadro tracciato ha messo in evidenza, da un lato, le molteplici sfaccettature in cui si può esprimere la fornitura del servizio e, dall'altro, un insieme di rischi ed impegni a cui la Trading Company va incontro.

Ciò determina un costo che non può essere semplicisticamente espresso in un "listino a percentuale", ma che comporta valutazioni da essere effettuate caso per caso con estrema cura.

I fattori che intervengono nel computo spaziano dall'entità dell'intervento al grado di rischio dell'operazione ed il risultato che ne deriva può essere giudicato solamente nell'ottica di un'economia di scala, laddove i due principali interlocutori trovino una reciproca convenienza ad utilizzare in modo razionale, ed in un certo senso integrato, le rispettive esistenti strutture.

Dall'esame dei dati di bilancio della Trading Company giapponese citata in precedenza si rileva che a fronte di un giro d'affari pari a 31.300 milioni di dollari, il gross trading profit è stato di $ 550 milioni, pari cioè all'1,75 per cento circa, che scende a $ 165 milioni, pari cioè a circa lo 0,50 per cento, se si considera il profitto commerciale al netto delle sole spese di vendita e generali.

Sono valori percentuali estremamente bassi se valutati col metro europeo, ma che diventano macroscopici se consideriamo le cifre in assoluto. Evidentemente la possibilità di gestire ingenti volumi diversificati di affari consente a quelle strutture, da una parte, un assorbimento indolore dei rischi d'impresa e, dall'altra, il conseguimento di interessanti margini netti.

Non è questo il caso delle colleghe italiane in genere che, pur facendo registrare a livello di gross trading profit una percentuale media di circa il 10 per cento e del 5 per cento al netto di spese di vendita e generali, totalizzano risultati netti notevolmente inferiori a quelli conseguiti dalle Sogo Shosha.

Come tutti i dati statistici, anche questi indici vanno interpretati in senso generale. La determinazione, infatti, del giro d'affari di una Trading può essere oggetto di riflessione laddove si consideri, ad esempio, il solo "fatturato diretto", oppure anche l'insieme delle transazioni finalizzate in proprio o per conto terzi.

Comunque si valutino le cifre, rimane una realtà italiana ben definita, che poco ha a che vedere con quanto avviene nei paesi dove la presenza delle Tradings incide in misura molto più significativa nel settore dell'interscambio.

Fra le componenti di costo più penalizzanti del nostro "microcosmo-trading" vanno annoverate le coperture dei rischi sui crediti e sugli investimenti esteri, gli oneri finanziari e gli oneri del personale, la cui incidenza non può essere trascurata nella determinazione del "prezzo" di vendita di un servizio che -in ogni caso- può trovare il suo assorbimento nell'economia di un'integrazione orizzontale delle varie componenti operative.

5.7.7 - Le Trading Companies e il countertrade

La specializzazione che ha portato le Trading Companies italiane ad occuparsi in via prevalente di una particolare area o di particolari prodotti oppure, ancora, a privilegiare l'export piuttosto che l'import, ha determinato anche un loro differente approccio nei confronti della gestione delle operazioni compensative. Si riscontrano così casi di aziende che operano nel countertrade solamente per transazioni da loro stesse promosse e che, quindi, non accettano di buon grado di essere coinvolte in scambi compensativi avviati da terzi; così come vi sono altre aziende che dimostrano la più ampia disponibilità a fornire la loro assistenza a chi gliela richiede, beninteso nell'ambito dei mercati/prodotti di loro interesse.

Per comprendere meglio tutto ciò è opportuno ricordare che la Trading agisce in qualità di azienda profit oriented e, come tale, effettuando in forma autonoma le proprie scelte strategiche senza condizionamenti di tipo esterno.

D'altro canto l'esperienza di chi opera nel settore indica che, in molti casi, il solo esame preliminare sulla fattibilità o meno di uno scambio compensativo rappresenta un costo non indifferente che talvolta riesce difficile poter recuperare, a causa proprio di quelle errate modalità di approccio iniziale che molte aziende manifatturiere hanno adottato nel gestire i primi contatti con le loro controparti estere. Ciò ha consigliato, ad esempio, molti Countertraders (soprattutto stranieri) di richiedere una specifica fee iniziale a coloro che li interpellano per sottoporre una richiesta d'intervento nella gestione dei prodotti di ritorno.

Da tutto quanto più sopra esposto risulta evidente che il ricorso all'intermediazione della Trading deve essere attuato effettuando le scelte più appropriate, sia per quanto concerne le strategie preliminari nell'avvio delle trattative con la controparte (ved. Cap. 4.2.0), che per quanto riguarda l'individuazione della struttura commerciale potenzialmente interessata a fornire l'assistenza richiesta.

Per agevolare l'operatore in questa azione di verifica e di ricerca, le Tradings italiane aderenti all'Associazione Nazionale del Commercio con l'Estero (A.N.C.E.) hanno costituito, nell'ambito associativo, una "sezione Countertrade" che ha raccolto in forma sistematica le disponibilità delle aziende associate ad operare negli scambi in compensazione, ed ha identificato le aree e le merceologie nelle quali le singole strutture sono particolarmente interessate. Il ricorso preventivo alla banca-dati dell'A.N.C.E. può quindi permettere una più rapida individuazione della Trading potenzialmente idonea a fornire la specifica intermediazione richiesta.

5.7.8 - L'Associazione Nazionale del Commercio con l'Estero (A.N.C.E.)

Si tratta dell'Ente che raggruppa, in forma associativa, oltre un migliaio di Case di Commercio Estero, fra le più qualificate nello spettro del trading italiano.

L'Associazione (che ha la propria sede in Corso Venezia 47/49, 20121 Milano, tel.: 02-7750320/1, tlx.: 313594 Ascom I, fax.: 02-705543) ha una caratteristica prettamente interprofessionale, senza fini di lucro ed è presente con propri rappresentanti in numerosi Enti od iniziative finalizzati allo sviluppo del commercio estero italiano.

Sommario
del volume
Profilo
Capitolo
primo
Capitolo
secondo
Capitolo
terzo
Capitolo
quarto/1
Capitolo
quarto/2
Capitolo
quinto/1
Capitolo
quinto/2
App. n. 1
App. n. 2
App. n. 3
App. n. 4
Bibliografia
Indirizzi
utili
Indice
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