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Sentinella quanto resta della notte?
di P. Giovanni Rizzi

Questioni preliminari di linguaggio
Innanzi tutto occorre sgombrare il campo dalle attuali confusioni concettuali e terminologiche.
L'odierna situazione di crisi politica internazionale, con i risvolti tipici della globalizzazione, purtroppo sta contribuendo in modo pericoloso a confondere concetti, termini e ambiti dei rapporti con l'islam, soprattutto nel mondo italiano.
Si sente, infatti, dire che l'islam non coincide con il "terrorismo dei terroristi" musulmani, che l'islam è una grande civiltà, che dobbiamo "dialogare" con i musulmani, anzi che sarebbe opportuno in questi frangenti portare a conclusione l'iter giuridico di approvazione di un'intesa tra l'"islam italiano" e lo Stato Italiano ; oppure si ascoltano testimonianze opposte da "brivido" nelle interviste sui mezzi di comunicazione sociale tra la gente comune come tra "personaggi di grido", e talvolta anche presso esponenti politici; spesso si assiste a una vera gazzarra politica di strumentalizzazioni tutte nostrane, che fanno dell'islam un pretesto per altre operazioni.
Purtroppo questo linguaggio, che accoglie definizioni politiche, culturali, civili, giuridiche e religiose è troppo ibrido, approssimativo, fonte di gravi confusioni, affrettato e ispirato da una situazione politica di preoccupazione, che non si rivela buona consigliera.
L'attuale emergenza politica non deve affrettare nessun processo né di rifiuto, né di accostamento o d'integrazione del mondo musulmano. L'emergenza politica non deve coinvolgere emotivamente nessuna delle questioni storiche, culturali, giuridiche e religiose che ineriscono all'odierna questione islam: non s'improvvisano valutazioni sensate in questi campi.
All'attuale emergenza politica nel nostro paese può essere concesso di sollecitare un'ordinaria etica civile di convivenza, di ragionevole tolleranza, di attenzione umanitaria per eventuali casi di necessità, all'interno di un clima di vigilanza per la sicurezza del paese, così che siano possibili le indagini necessarie perché questa sicurezza sia effettivamente garantita. Ma deve anche essere chiaro che non si può partecipare a un'operazione di polizia internazionale contro il terrorismo, per ragioni di prestigio politico quando sarà convocato il tavolo dei vincitori. Ancor meno un cristiano può partecipare a una guerra per una simile ragione.
Inoltre, c'è il rischio che il linguaggio dei politici usi termini come "dialogo", espressioni come "rispetto delle religioni" ecc., collocandoli in un'ottica politica, della vita laica della "pòlis", ma ottenendo l'effetto collaterale di coinvolgere anche la portata e l'esperienza che simili termini o espressioni hanno nella cultura teologica cattolica. Il cittadino italiano cattolico sarebbe così portato a dare un senso anche teologico e moralmente normativo a termini o a espressioni, che invece ricorrono in un discorso civile e politico, ma che non possono presumere di ricollegarsi a un maturo dibattito intra-ecclesiale.
In altri termini, sembra che ci si stia muovendo verso il grave equivoco di classificare frettolosamente e strumentalmente un linguaggio, di per sé teologico, come "politicamente corretto", oppure "politicamente scorretto".
In realtà, qualunque linguaggio che parli di "dialogo", di valutazioni storico-culturali, religiose o teologiche, qualunque iniziativa di carattere giuridico, che porta sempre con sé importanti risvolti costituzionali, è da far maturare e da situare in momenti diversi da quelli attuali. Ciò è vero soprattutto perché una reale formazione, sui problemi connessi all'attuale questione islam, non si può improvvisare, ma va preparata con un'assimilazione ade-guata di un cammino formativo che dovrebbe portare a un discernimento su cosa sia l'islam.

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