Araldica Scalese

 

Notizie e disegni tratti da "Araldica Scalese" di
SALVATORE AMICI
atti del Convegno di Studi "Scala nel Medioevo"
(1995)

Per visualizzare gli stemmi e le notizie delle famiglie selezionarne il nome

Le Famiglie nobili di Scala

d'Afflitto Alfano Amato
d'Amato Bonelli Bonifacio
Bonito Campanile Castriota
Confalone Coppola Crisconio
Criscuolo De Pando Falcone
Ferrari Ferrigno Frisari
Mansi Manzelli Mustacciuolo
Oliva Ristaldi Romano
Sannella Sasso Sebastiano
Spina Staibano Trara
Verone

La finalità di protezione dei pellegrini che si recavano in Terra Santa, gli interessi delle Repubbliche marinare dell’Occidente, il desiderio dei cadetti delle famiglie feudali di trovare fortuna e gloria, oltre, naturalmente, all’anelito di liberare i luoghi che erano posti sotto il dominio dei Turchi, spinse papi, re, signori feudali, ma anche una massa incontrollata di persone comuni, a quelle imprese che vanno sotto il nome di Crociate’. Fu allora che il signore feudale dell’XI-X1I sec. "prendendo la croce"’ sentì anche il bisogno di farsi facilmente identificare, per cui assunse, oltre alla croce, "un colore conforrne ai sentimenti e alle fortune sue, od un’insegna esprimente qualche glorioso suo fatto o personale accidente. Da questi distinto, ne’ torneamenti e nelle battaglie, adoperavasi a renderlo glorioso; poi, riportato in patria e sospeso nella sala d’armi..." veniva mostrato ai discendenti come trofeo di gesta gloriose.

Con le Crociate si può dire perciò che ebbe inizio anche la storia dello stemma cosi come oggi lo intendiamo e prima di tale periodo e raro trovare esempi che giustifichino una retrodatazione.

E pur vero che l’usbergo e la barda, divenute d’uso comune per proteggere I’uomo ed il cavallo che andavano in battaglia, avevano creato il problema di trovare un sistema per la identificazione del combattente giacché egli, divenuto certamente più protetto, era altrettanto inidentificabile agli occhi, soprattutto, dei suoi compagni d’arme.

Il signore del feudo aveva perciò posto le sue truppe sotto un unico vessillo e segnato i simboli, propri del feudo, sia sugli scudi pettorali dei soldati che sulle gualdrappe delle bardature dei cavalli, facendo così nascere le armate che potremmo definire stemmate, ma non certo Io stemma così come oggi è inteso

Quelle insegne erano esclusive del feudo e ad esso così intimamente legate da essere con esso trasmissibili. Solo più tardivamente si tramutarono in simboli personali.

Le armature però non servivano solamente per combattere. Esse venivano utilizzate anche nei tornei, nelle giostre od anche nelle parate.

Finemente cesellate e decorate con simboli che richiamavano il nome del cavaliere o le sue qualità fisiche e morali, erano il mezzo più adatto per identificare colui che la indossava.

Dall’armatura I’insegna passò nei sigilli, sicché la sua divulgazione aumentò notevolmente in uno spazio di tempo relativamente breve.

L’uso dei sigilli, infatti, contribuì alla sua rapida diffusione anche fra i non combattenti, tanto che fu in primo tempo adottato dalle donne, poi, nel XIII sec. dagli ecclesiastici (vescovadi), dai borghesi, dalle congregazioni di artigiani – quelle delle Arti maggiori (Giudici e Notai, Medici, Speziali e Droghieri, Mercanti della lana, ecc.) seguite poi da quelle Arti dette rninori (Beccai, Calzolai, Fabbri, ecc.) e, infine, nel XIV sec., dalle abbazie e dai contadini".

In Scala abbiamo un esempio di sigillo che ci e stato lasciato dal Mansi. Egli infatti, nella sua opera manoscritta conservata nella Badia di Cava de’ Tirreni riporta il signum del notaio Nicola Frisari attivo in Scala dal 1328 al 1331. E uno scudo troncato con quattro elementi non identificabili, posti tre in fascia nel capo ed uno in punta tra le gambe di un compasso aperto (o uno scaglione ?).

Gli stemmi quindi, così come oggi noi li intendiamo, non risalgono oltre il XII sec. e gli araldisti concordano, quasi tutti ormai, che essi sono entrati nell’uso appunto da quando dagli scudi passarono nei sigilli come già accennato.

Secondi il Menestrier, autore di importanti lavori di araldica, gli stemmi si dividono in sei classi principali: di dominio di dignità, di comunità, di concessione, di padronanza e gentilizi.

Noi qui ci interesseremo dell’ultima categoria del Menestrier, gli stemmi gentilizi, esaminando quelli delle famiglie della nobiltà scalese che, secondo il Camera,

"come quelle di Amalfi e Ravello surte da un istesso stipite, ai suoi tempi vantava una certa supremazia sulle altre del Regno, si per aver sortita un origine dal sangue romano, differente da molte altre che o per privilegi accidentali, o per compensi di servigi resi allo stato, furono da sovrani Normanni, Svevi, Angioini, Aragonesi ecc. decorati del cingolo militare, sì anche per aver dato principio assieme cogli Amalfitani al Militar Ordine Gerosolimitano, di cui Gerardo loro concittadino e monaco di somma reputazione si vuole primo Priore."

La nobiltà scalese proverrebbe dalla discendenza di patrizi romani? Mons. Cesario d’Amato però osserva "che i protagonisti della nostra leggenda fossero patrizi, pròceres, sarebbe da dimostrare". E poi prosegue:"Il fatto è che Scalesi ed Amalfitani, almeno da quanto divennero potenti per commerci e ricchezze, amarono riportarsi al patriziato romano; e per molti secoli ebbero il privilegio, riconosciuto costantemente da Longobardi, Normanni, Svevi, sino all’evo moderno, di reggersi jure romano, con le leggi dell’Impero Romano, non con quelle dei conquistatori stranieri."

Si tratta comunque di una nobiltà da loro stessi conquistata con il diuturno e costante lavoro mercantile.

A Scala dunque, per dirla con il Camera, spetta, "tra tutte le città istoriche di questa vaga e magica regione", la precedenza, sia per antichità di fondazione che per origine nobilissima.



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