“Gotico” è
una parola di origine rinascimentale e vuole significare genericamente
“barbaro”, selvaggio distruttore della tradizione classica. E’ quindi una
parola spregiativa con la quale il rinascimento intende contrapporre se stesso,
presunto restauratore dalla grandezza antica al medioevo. Perduta la carica
polemica nel corso dei molti secoli che ci separano dal rinascimento, rivalutata
anzi l’arte gotica, soprattutto in seguito agli studi dedicati al medioevo da
romanticismo che giungerà a propugnare la rinascita, oggi la parola serve
soltanto a designare i caratteri specifici del XIII secolo, senza alcun
pregiudizio, positivo o negativo. In questo senso il termine “gotico” resta
in uso per indicare l’arte dell’Occidente europeo fra l’esaurirsi del
romanico ed il sorgere del rinascimento.
Dal punto di vista storico,
l’arte gotica coincide con il costruirsi, dalla crisi dell’impero, delle
monarchie nazionali, che organizzano solidamente e burocraticamente lo stato,
contrapponendosi al prepotere della vecchia nobiltà feudale e alleandosi alla
borghesia cittadina, il cui potere economico è utile all’affermarsi del
potere sovrano, così come quest’ultimo, dando assetto stabile e unità di
legge, è utile alla crescita finanziaria della borghesia, come accade, in modo
particolare, in Francia. L’organizzazione
statale monarchica trova anche giustificazione nei nuovi sistemi filosofici, in
particolare in quello di S. Tommaso, secondo il quale, riprendendo un’idea
aristotelica, “l’uomo è per natura animale sociale” e come tale tende ad
aggregarsi in società, “ma non può esservi vita sociale in una moltitudine,
senza il governo di uno solo che miri al bene di tutti; il bene comune è
preminente rispetto al bene individuale”. Al tempo stesso, entro l’ambito
regno, e spesso in lotta col sovrano, sopravvivono, come residui del sistema
feudale, ducati mascherati, contee, ossia vaste zone territoriali affidate al
governo di un “signore”, che accentra in sé il potere. Accanto a queste
organizzazioni laiche occorre considerare anche altre comunità potenti che
vivono autonomamente e che hanno grande importanza nella vita sociale
dell’epoca. Le comunità religiose, i cui monasteri, talvolta appartati fuori
dai centri abitati, sono autentiche cittadelle autosufficienti e fortificate,
rette dall’abate o dal priore.
Il gotico dunque è l’arte dei
monarchi, dei “signori”, dei monasteri, della borghesia ricca, non di quella
popolare fondatrice del comune. Ciò non significa che il popolo si
disinteressasse a questi edifici religiosi, considerandoli estranei. Anzi, tutti
contribuiscono alla loro costruzione, ciascuno secondo le proprie possibile, si
tratti dei nobili, dei commercianti e delle loro corporazioni, si tratti dei
plebei. Si vuole sottolineare invece che le grandi cattedrali gotiche sono
espressione di una società che è retta in maniera diversa rispetto alla
collettività comunale italiana. Poiché si accentuano lo studio e le ricerche,
conducendo alle estreme conseguenze ogni innovazione tecnica, l’arte gotica si
sviluppa ampiamente in ogni ramo, dall’architettura alla scultura, dalla
pittura alla miniatura, all’oreficeria, alla tappezzeria, all’arredamento.
Nella prima metà del XIII secolo, gli ordini mendicanti non cooperano ancora
direttamente alla creazione artistica. Di recentissima istituzione, i loro
conventi sono poco più che delle locande, e i loro oratori delle rimesse. Frati
predicatori e frati minori lasciano al clero la cura di ornare santuari, e anzi
li stimolano a farlo, fornendogli nuovi temi iconografici derivati dalla loro
predicazione. San Bernardo che dalle abbazie cistercensi bandiva ogni immagine,
aveva già accettato che l’arte figurativa decorasse le chiese urbane per
“permettere ai vescovi che devono tener conto di tutti, colti e ignoranti, di
sollecitare la devozione carnale del popolo con immagini concrete, quando non
possono farlo attraverso immagini spirituali”; e San Francesco voleva
“preziosamente adorne” le chiese che albergavano il corpo di Cristo.
All’epoca delle prime missioni domenicane e francescane, le città sono dunque
sovrastate da una nuova generazione di cattedrali, in guisa di perpetuo sermone.
Il processo diventa poi molto più rapido. A Parigi, Notre Dame è terminata nel
1250, ma dopo quasi un secolo di lavori. A questo punto, la crescente prosperità
della borghesia, la più efficiente canalizzazione delle oblazioni e la volontà
di persuadere in fretta accelerano le costruzioni. Nei cantieri si lavora
indefessamente, come se fossero uno dei frutti decisivi della lotta per la verità.
I lavori della nuova cattedrale di Chartres cominciano nel 1191, e ventisei anni
dopo l’edificio è terminato. L’opera è condotta ancora più alacremente ad
Amiens e a Reims, dove inizia nel 1212; l’essenziale è già fatto nel 1233;
cantieri immensi, che furono luogo d’investimenti enormi e delle più grandi
imprese artigianali. I capitoli a quel tempo ne affidavano la direzione a dei
tecnici, che passavano da un’impresa all’altra a seconda delle ordinazioni.
Uno di essi, Villard de Honnecaurt ha lasciato un libro d’appunti che lo
rivela impegnato nella ricerca di miglioramenti operativi e d’apparecchi di
sollevamento destinati ad economizzare la manodopera e ad accelerare
l’avanzamento della costruzione, e lo mostra inoltre capace di tradurre in
concreto certe formali teorie e di concepire in astratto l’insieme di un
edificio. I “dottori in pietre” avevano perfettamente assimilato la scienza
dei numeri insegnata nelle scuole, e si autodefinivano “maestri “,
intendendo così riallacciarsi all’università. Gli edifici ch’era loro
costruire, infatti, inserivano nella materia inerte il pensiero dei professori
ed il suo cammino dialettico. Ed erano una dimostrazione della teologia
cattolica. Più che mai, in quell’epoca L’architettura fu affermarsi di
luce. Ancora più delle chiese da cui derivavano, le cattedrali s’illuminano
dunque degli splendore divino. A Parigi il grande vano superiore della Sainte
Chapelle è ormai soltanto un’aerea gabbia che imprigiona ogni raggio di luce;
i muri scompaiono e da ogni parte, la luce invade uno spazio interno
perfettamente omogeneo. A Reims, Jean d’Orbais crea finestre interamente
trasformate ilo cui tipo si diffonde ovunque; successivamente il maestro Gaucher
abolisce tutti o timpani del portale della facciata, sostituendoli con
invetriate. Ovunque sbocciano i rosoni, allargandosi sino a toccare lo scheletro
dei contrafforti. Cerchi di perfezione, simboli di perfezione cosmica, essi
rappresentano l’irradiazione creatrice, la processione e il ritorno della
luce, un universo di emanazioni radiose e di riflessi. La cattedrale diventò
meno retorica, più spoglia di ornamenti, più tesa ad un’analisi dialettica
delle strutture. Essa si propose la chiarezza delle dimostrazioni scolastiche,
le sue forme furono originate dallo spirito di chierici, che per tutto l’anno
affilavano le armi della propria ragione per cimentarsi nei grandi tornei
pasquali, i dibattiti
, graffianti duelli del pensiero. Come loro, il maestro d’opera procede
scomponendo ed isolando parti analoghe, e quindi le parti di tali parti, prima
di riunire logicamente. La cattedrale sviluppa verticalmente, in un gioco
d’intelligenza persuasiva, una geometria tessuta sulla luce. Poiché la
cattedrale non combatte gli errori valdesi, i suoi scultori non situano Cristo
nell’indigenza, nella solitudine e nel tradimento, ma mostrano il fondatore di
una chiesa, seduto al centro del suo clero come un vescovo; e poiché la
cattedrale lotta contro i catari, negatori della creazione, dell’incarnazione
e della redenzione, ciò che soprattutto proclamano i suoi ornamenti è
l’onnipotenza di un Dio trino e uno, un Dio creatore, un Dio fatto uomo, un
Dio salvatore. Come l’uomo romanico, l’uomo gotico vive al centro del cosmo,
vi aderisce per “coordinazioni reciproche” e ne subisce costantemente gli
influssi in tutta la propria carne. I suoi umori sono in relazione con gli
elementi della materia, il corso degli astri orienta il corso della vita. Egli
però non è passivo come l’uomo romanico, né schiacciato dall’universo.
Ponendolo al vertice delle creature materiali, al più alto livello delle
gerarchie del mondo visibile, il sommo artefice lo chiama a collaborare alla
propria opera: creandolo, egli l’ha concepito come agente della creazione a
sua vita. La teologia delle cattedrali accompagna ed interpreta l’impulso che
fa progredire prati, campi e vigneti a spese delle sodaglie, che fa sviluppare i
sobborghi delle città, che spinge i mercati alle fiere, i cavalieri in
battaglia e i Francescani alla conquista delle anime, tutta insomma l’alacre
letizia che anima la nuova età. La creazione non è finita e l’uomo vi
contribuisce con le sue opere. Così, insieme alla materia, viene ristabilito
anche il lavoro manuale. Il pensiero dei maestri di Parigi e di Oxford condanna
il disprezzo per il lavoro ostentato dall’aristocrazia dei tempi stasi, e che
a ben vedere, Cluny e perfino Citeaux, professavano ancora. Laddove i
“perfetti” catari si rifiutavano di porre le proprie fatiche al servizio
della materia, gli umiliati di Lombardia e i Fraticelli di San Francesco
lavorarono tutti con le proprie mani, trasformando il mondo e contribuendo
secondo le proprie capacità alla perpetua creazione dell’universo proprio
come gli ignoti dissodatori che, in quell’epoca, deviavano il corso dei fiumi
e alle sterpaglie sostituivano i campi arati. Nei nuovi manuali dei confessori
qualsiasi professione fondata sul lavoro è legittima, e i moralisti si danno da
fare a cercare delle ragioni che giustifichino il profitto. Sulle porte delle
chiese urbane le immagini dei lavori dei campi che simboleggiano le diverse
stagioni e, assumono nello sviluppo economico del XIII secolo, il loro pieno
significato. E quando i maestri delle corporazioni offrono una vetrata, vogliono
che vi siano raffigurate sin nei più piccoli particolari le tecniche dei
rispettivi mestieri: elogio, fin nella cattedrale, del lavoratore trionfante.
Al
centro della creazione e della iconografia della cattedrale si colloca dunque la
figura dell’uomo. L’uomo gotico è anch’esso un prototipo: egli non ha il
volto emaciato degli asceti né i lineamenti molli dei prelati, che soffrono del
mal della pietra e muoiono di trombosi, né è vittima delle deformità
conseguenti all’età, al lavoro o al piacere. Dal pensiero divino egli nasce
adulto, al punto esatto di maturità, cui lo condurrà la sua crescita e da cui
la vecchiaia lo farà decadere, ed assomiglia come un fratello al divino vasaio
che su archivolti di Chartres lo foggia nella creta. Deformarne il corpo in un
eccesso di realismo o per piegarlo alle esigenze di una cornice, come facevano
gli artisti romanici, equivarrebbe a sminuire la perfezione o Dio, un
sacrilegio. Le armonie razionali che lo uniscono alla creazione devono
evidenziarsi nella sua effigie, giacché condizionano le sue forme specifiche.
La statura ed i volti di Adamo ed Eva, a Bamberg, s’iscrivono nelle armonie di
una geometria perfetta: sono degli esseri redenti, chiamati ad una gloriosa
resurrezione, mondi di ogni peccato. I raggi di Dio già illuminano e li
trasportano verso la gioia. Sui loro volti di luce si disegna un sorriso
angelico.