LAVORI

     DI N. E G. PISANO.

 

Pagina iniziale.

Arte romanica e bizantina.

Arte del 1400.

Arte gotica.

Gotico italiano.

Scultori.

Arnolfo di Cambio.

Nicola Pisano.

Giovanni Pisano.

Lavori di N. e G. Pisano.

Andrea Pisano.

Pittori.

 

       Di Nicola Pisano, gran patriarca dell’arte italiana e creatore, avanti Dante e Giotto, della sua nuova classicità, conosciamo le date estreme, ma non quelle iniziali. Nel 1260 firmò il pulpito del Battistero di Pisa; nel 1265 – mentre probabilmente dirigeva l’esecuzione dell’arca di S. Domenico in Bologna, nella quale ebbero parte cospicua i suoi discepoli, Arnolfo e Lapo – s’impegnò d’eseguire, insieme al figlio Giovanni ed ai suddetti allievi, il pulpito della cattedrale di Siena; tra il 1272 e il 1273 rifece l’altare, ora distrutto, della chiesa di S. Jacopo di Pistoia; nel 1278 portò a compimento la fonte monumentale nella piazza del Comune a Perugia, sottoscritta col figlio Giovanni; nel marzo 1284 è ricordato come non più tra i viventi. E’ probabile che la sua origine sia pugliese, e la sua formazione si sia svolta nell’ambito di quel classicismo d’intonazione aulica suscitato nelle Puglie dalle ambizioni di Federico II. Punto di arrivo, non già, come comunemente si ripete, della sua attività di scultore, ma di siffatta formazione provinciale e “letteraria”, è da considerarsi il pulpito di Pisa esaltato, appunto per questi aspetti, da una lunga tradizione accademica. Ma esso manifesta pure, nelle oscillazioni e deformità di stile, interpretate come il risultato dell’intervento di aiuti, la crisi formale maturata per l’esperienza di una realtà più viva e profonda, più generosamente umana, che consente il passaggio al pulpito di Siena e alla parte scultorea della fonte di Perugia, opere tanto complesse e, appunto per questo, spesso negate, contro ogni evidenza, all’artista.

Nel pulpito del Battistero pisano l’intelaiatura architettonica, si disvela tra le poderose sculture che, secondo la norma classica, seguono il suo ritmo o lo assecondano. Nelle prime tre formelle (“Natività”, “Presentazione al tempio”, “Adorazione dei Magi”), il classicismo delle botteghe pugliesi si potenzia di energia e vivacità sino a raggiungere la monumentalità. Resta, s’intende, il voler inserire motivi così differenti in un amalgama unico, con il risultato, che già si riscontra in simili “tentativi”, di una mancata chiarezza, in un rapporto di conseguenza, tra le sculture, puramente gerarchico e non più stilistico. Si distingue, l’opera di Pisano, da altri grandi esempi del tempo, come Pier della Vigna, per un maggior vigore, come maggior “pudore” artistico, ma anche per un imperioso risalto che le immagini assumono nel loro scandirsi all’interno degli enormi volumi. Solo nelle altre formelle si troveranno tracce di quella crisi a cui si era accennato, anche per il chiaro intervento degli aiuti, non più della mano dell’artista stesso.

Ovvero, si passa da una concezione statica della scultura, ad una dinamica. Quindi, si abbandona lo stereotipo della forma come gabbia, come ammassatrice di immagini, ma ora i rilievi stessi scorrono più fluidi, con un filo che passa di blocco in blocco. La modellazione viene per tal via ad acquistare un carattere funzionale, in rapporto al quale nessuna articolazione, nessun passaggio e nessun attacco può rimanere inerte o distaccato.

A Pisa, nonostante la chiarezza, questa differenza è solo accennata. Nell’arca di S. Domenico a Bologna, come nelle opere perugine e senesi, il problema è espresso con maggiore immediatezza.

Nel pulpito di Siena, ed anche qui ebbero parte Arnolfo, Lapo e Giovanni, l’impianto è ampliato in un ottagono. Ne consegue un allargamento delle superfici e per questo allo schema pisano si aggiunge “La strage degli Innocenti”. Gli otto lati, oltre ad una semplice dilatazione, causa anche un’attenuazione della statica rigidezza del poligono e gli stessi raccordi angolari diventano parte integrante del fregio, scandendone persino il giusto ritmo. Questo, creando questa nuova misura, dà un nuovo respiro all’opera.

Nel complesso, c’è una nuova misura, un nuovo ambiente che cambia a seconda della “mano” operante. Soprattutto nella fonte perugina troviamo elementi chiarificatori, che permettono di attribuire i ruoli, tra Nicola ed in particolare a suo figlio Giovanni. Ad esempio, vi sono differenze tra i rilievi dei due: Nicola scolpisce un azione che si svolge nel piano. In maniera più accentuata rispetto a quella del padre, Giovanni invece sfrutta il piano come base per amplificare la tensione dei corpi.

Infine, mentre in Nicola, concretezza e chiarezza sono necessarie, “l’umanità in esilio” perde ogni armonia, rompe i legami col mondo stesso, si dibatte inquieta, senza tregua né riposo.

 

Per quanto riguarda Giovanni Pisano, egli doveva essere molto giovani al suo esordio, a Siena. Influenzato, parecchio, dal padre, come dagli aiutanti di questo, Arnolfo per primo, non è comunque difficile trovare in tutte le sue opere, in quella senese, iniziale, come nelle altre, i caratteri fondamentali e personalissimi dell’artista. Notevoli le sue attività, nel Battistero di Pisa e nel prospetto del Duomo di Siena.

Nel Battistero Giovanni esegue principalmente i busti all’interno dei timpani, realizzati probabilmente da Arnolfo. Nell’insieme dell’opera, la chiave di lettura dello scultore è comunque rilevabile in molte altre occasioni, come ad esempio particolari sculture nell’insieme. Opere eccellenti la “Sibilla” e “Maria di Mosé” del Duomo di Siena. In queste un vivace e presente scatto, un’energia particolare mista a potenza espressiva, e vera e propria passione. Il pulpito della Cattedrale di Pisa, disfatto nel 1595 per un incendio e ricostruito in seguito (uniche differenze le pochi parti andate perdute), venne eseguito tra il 1302 e il 1310. Traspare subito, nell’opera (che in è il pulpito più maestoso di quelli visti sinora), un senso architettonico parecchio vicino a quello ormai passato di Nicola Pisano, ma con quella sensibilità che il tocco del figlio Giovanni rende chiaramente distinguibile. Nelle parti riconducibili all’artista tra le nove formelle del parapetto, troviamo il moto ritmico che fungeva da legamento tra ogni parte completamente scomparso, mentre ora una sorta di espressionismo “astratto” sfida la scultura ed il rilievo a superare la materia.

Dopo il pulpito pisano, però, le notizie sull’artista si fanno molto rare, a parte alcune chiamate soprattutto per consulenze e suggerimenti, tra cui quella a Prato nel 1317.

Con l’opera di Giovanni Pisano si conclude la grande stagione della scultura pisana. Sul suo fondamento, particolarmente a Siena, cresce l’opera degli epigoni che diffusero quelle forme ovunque, in Italia.