Nel periodo romanico la scultura è un'attività complementare
dell'architettura: non ci sono
grandi statue, ma per lo più decorazioni nelle facciate, nei portali e nei
pulpiti delle chiese, ispirate ai testi sacri e alle vite dei santi.Solo con
l'affermarsi dello stile gotico la scultura acquista a poco a poco (fino ad
arrivare al '400) una vera e propria autonomia attraverso un recupero dell'espedienza
classica. Nel '400, infatti, la produzione plastica è improntata da un
accentuato naturalismo, un preciso interesse per l'anatomia umana e per la
ricerca espressiva. Gli schemi compositivi utilizzati sono geometricamente
semplici e si fondano, come in pittura e in architettura, sullo studio della
prospettiva e delle sue applicazioni. In genere tutta la scultura umanistica fa
riferimento all'antico, ma si possono distinguere due correnti di classicismo:
classicismo di tradizione ellenistica, che si tramanda attraverso il mondo
bizantino e il gotico; e classicismo di tradizione romana. Queste due tendenze
si sviluppano in maniera molto articolata e alcuni artisti attingono liberamente
dalle fonti classiche, dando luogo ad una produzione relativamente eclettica. Il
centro della scultura umanistica è la Toscana, e in particolare Firenze, nella
quale hanno lavorato scultori come Lorenzo Ghiberti, Donatello, Brunelleschi, i
Della Robbia, Verrocchio, Antonio del Pollaiolo. Del periodo gotico non sono da
dimenticare neanche Andrea Pisano, Arnolfo di Cambio, l'Orcagna, Tino da Camaino.
TINO DA CAMAINO , scultore e architetto, allievo di G.
Pisano, lo seguì a Pisa, dove fu nominato capomastro dell'Opera del Duomo
(1311) ed eseguì la tomba di Arrigo VII (1315). Famosissimo è il monumento
funebre del Vescovo Orso a Firenze in Santa Maria del Fiore, eseguito, dopo il
1321, insieme con la "Madonna" e la "Carità". Chiamato a
Napoli da Roberto D'Angiò gli fu commessa la costruzione del mausoleo della
regina Maria di Valois, nella chiesa di Santa Chiara. Fu artista di notevole e
singolare, tra i più importanti successori di G. Pisano, del quale , tuttavia,
più che l'aspra drammaticità, eredita la linea, che avvolge a effetti di
eleganza. Anche quando, per probabile influsso di Arnolfo, si fa monumentale,
non cerca di rendere volumetrica la massa, ma di distenderla bidimensionalmente
in ampie superfici.
L' ORCAGNA (Andrea di Cione), fu scultore, architetto e pittore e si
inserisce in una fase di transizione fra tardo-gotico e cultura quattrocentesca.
L' opera fondamentale della sua attività è stato il tabernacolo di
Orsammichele, nel quale riprende lo schema architettonico dei monumenti
arnolfiani e rileva plasticamente le figure secondo l' insegnamento di Giotto;
sovraccarica però gli ornati in modo tale da distrarre dall' essenzialità
delle forme. Come pittore firmò e datò la "Pala Strozzi" e gli
affreschi di Santa Maria Novella.
NANNI DI BANCO fu
un' altra figura importante del periodo di transione fra gotico e Rinascimento a
Firenze. La sua prima opera documentata è la statua marmorea del Profeta Isaia
per il Duomo, per cui eseguì anche il San Luca. Per Orsammichele scolpì le
statue collocate entro nicchie, di San Filippo, Sant' Eligio e dei Quattro Santi
coronati; si ispira, nei Quattro Santi e nel San Filippo, alla statuaria
classica distinguendosi però, per il carattere statico e fermo, dalla commossa
e fervida assimilazione dello spirito classico proprio di Donatello.
Goticheggiante è la Vergine Assunta per la Porta della Mandorla del Duomo.
LORENZO GHIBERTI , scultore, orafo e pittore, esordì come
orafo nella bottega di Bartoluccio di Michele. Nel 1401 partecipò a Firenze al
concorso per la seconda porta del Battistero: fra tutti i concorrenti, giudicati
sulla base della formella del Sacrificio di Isacco, l' incarico venne affidato
al Ghiberti, stimato artisticamente più maturo del Brunelleschi e del
Donatello, anch' essi concorrenti. La realizzazione della porta, iniziata nel
1403, richiese venti anni di lavoro e rappresentò l' ultima grande opera in
gotico fiorentino. Le 28 formelle, di gusto ancora gotico e con elementi
ispirati all' antichità classica, rappresentano venti storie della vita di
Cristo, i quattro evangelisti e quattro padri della Chiesa. Durante l'
esecuzione della porta, parecchi furono gli altri suoi lavori: il San Giovanni,
in bronzo (nella nicchia esterna di Orsammichele); il Battesimo di Cristo e
Battista con Erode (1427), per il fonte battesimale di Siena; la statua di San
Matteo (1419-1422); una lastra tombale in bronzo di Leonardo Dati (1425-1426).
L' ultima porta del Battistero, la Porta del Paradiso, impegnò il Ghiberti dal
1425 al 1452, attraverso varie elaborazioni dei progetti che portarono il numero
delle scene da venti a dieci. In questa porta lo scultore mise in luce un'
eccezionale perizia tecnica insieme con la capacità di rinnovare la propria
arte traendo partito dai principi elaborati da Brunelleschi e da Donatello.
Infatti le scene, divenute più complesse, si inquadrano in una straordinaria
varietà e profondità di piani determinati dal rimpicciolirsi delle figure o
suggeriti dagli ampi sfondi di paesaggio e dagli elaborati effetti
architettonici. Tra i lavori di questo periodo: il Santo Stefano in bronzo
(1420), in Orsammichele; l' Urna dei Santi Proto, Giacinto e Nemesio, al Museo
Nazionale di Firenze; delle Madonne col Figlio, in terracotta, conservate al
Metropolitan Museum di New York. Al 1432 risale l' incarico per l' urna di S.
Zenobi per il Duomo, in cui va ricordata la scena maggiore "Resurrezione di
un Bimbo"; quest' ultima opera venne portata a termine nel 1442. Tra le
opere minori, ma non per questo meno significative, si hanno dei disegni per le
vetrata del Duomo: quello dell' Assunta (1405), e quelle dei Santi, Ascensione,
Getsmani e Presentazione al tempio, eseguite tra il 1432 e il 1445. Tra gli
ultimi lavori sono da ricordare l' incorniciatura della prima porta del
Battistero di Andrea Pisano, eseguita su disegni del padre dal figlio Vittorio,
e l' Eterno in trono in Santa Maria Nuova, eseguita da Bernardo Rossellino. Tra
gli scritti del Ghiberti si hanno due Commentari, in cui si riprometteva un
trattato di architettura che non scrisse mai, ed una autobiografia, nella quale
manifestava le ragioni del suo operato.
FILIPPO BRUNELLESCHI , scultore e architetto, fu tra le maggiori e
più complete personalità artistiche del '400. Ebbe una grandissima influenza
sulla sviluppo dell' architettura rinascimentale italiana, non tanto per le
originali e peculiari qualità stilistiche, quanto per l'assoluta aderenza del
linguaggio e dell' articolazione strutturale delle sue opere alle istanze
culturali del secolo e per l' altissimo livello raggiunto nella tecnica
edilizia. Proveniente, come la massima parte degli artisti del suo tempo, da una
formazione artigiana, fin dall' inizio l' esigenza di approfondire sul piano
della ricerca estetica e di quella tecnica lo studio del mondo classico, punto
di riferimento primario per gli artisti del Rinascimento, per rifondarne il
carattere intuitivamente razionale sopra una logica "scientificamente"
razionale. Per gli artisti del '400, infatti, il riferimento all' arte classica
non si poneva, come già in parte nel '500 e, più tardi, col neoclassicismo, in
quanto reimposizione di un mito e di un modello, anche sociale, ma come
riconquista, alla luce della promessa di potere che le scienza faceva all' uomo
nei confronti della natura, di un' universalità non più misticamente
concepita, come nei secoli precedenti, trascendente in maniera assoluta dall'
uomo, ma da questi affermata in quanto mezzo per la conoscenza. E' ancora da
sottolineare come il Brunelleschi, coerentemente con queste promesse, abbia
posto per primo, sia col suo atteggiamento nei confronti della commitenza, sia
con l'affermazione della competenza tecnica, il problema del riconoscimento
della professionalità dell' artista, fino al XIV sec. considerato semplice
mestierante al servizio delle corti, problema che, se oggi appare superato e
improponibile, poteva allora avere un certo peso sia per la conquista dell'
indipendenza dell' espressione artistica sia in generale, per il progresso
culturale.
Brunelleschi entrò dapprima come apprendista in un laboratorio d' orafo;
partecipò quindi nel 1401-1402 al concorso per le porte del Battistero di
Firenze in cui venne giudicato vincitore "ex aequo" col Ghiberti, col
quale, tuttavia, non volle collaborare. La formella presentata al concorso,
raffigurante il Sacrificio di Isacco, presentava infatti una concezione
stilistica, incisiva e drammatica nel rilievo quanto compositivamente semplice,
del tutto differente da quella inflessione naturalistica e di ritmo più lento e
decorativo eseguita dal Ghiberti. Mentre attendeva al mestiere di orafo (nel
1404 divenne maestro della corporazione), compiva i primi interventi,
prevalentemente di carattere tecnico, nelle "fabbriche" fiorentine e i
primi viaggi di studio a Roma. Assieme al matematico Paolo dal Pozzo Toscanelli
elaborò le regole geometriche della prospettiva, intesa, in opposizione all'
empirismo medievale e, in architettura, alla concezione puramente basata sul
mestiere, come indagine scientifica delle leggi della visione e come
rappresentazione obiettiva del reale. Risale al 1421 il progetto definitivo
della prima opera interamente condotta dal Brunelleschi, la cupola di Santa
Maria del Fiore a Firenze. Sue opere architettoniche sono anche l' Ospedale
degli Innocenti e le chiesa e la relativa sagrestia di San Lorenzo. Quest'
ultima, poi, è forse l' opera che maggiormente esprime la sensibilità spaziale
del Brunelleschi e la sua concezione di un equilibrio geometrico formale che
stabilisce un ordine prospetticamente lineare e idealmente immutabile. Più
complesso spazialmente e formalmente più vigoroso, appare lo stile
brunelleschiano nella cappella Pazzi e nella chiesa di Santo Spirito, in cui
emerge una nuova tendenza di accentrare gli elementi architettonici nel punto in
cui si imposta la cupola; è ormai di certa attribuizione la parte centrale di
palazzo Pitti.
La sua fama di scultore rimane comunque affidata, oltre alla formella del
Sacrificio di Isacco, al crocifisso ligneo di Santa Maria Novella e, molto più
tardi, ai quattro Evangelisti negli occhi angolari della Cappella dei Pazzi, la
cui modellatura e spazi interni sono strettamente subordinati alle leggi
architettoniche della costruzione.
DONATELLO (Donato di Niccolò di Betto Bardi), figlio di un
cardatore di lana fiorentino, si formò nella bottega del Ghiberti (1403) e
nell' ambito dei cantieri del Duomo (dal 1407). Nelle prime opere, i due
discussi Profetini per la Porta della Mandorla in Duomo, 1406-1408, e il David
marmoreo del museo del Bargello, 1409, sono evidenti delle reminiscenze
tardo-gotiche, ma già il Giovanni Evangelista (1409, museo dell' Opera del
Duomo) e il San Marco (1411-1412, Orsammichele) esprimono un rifiuto dei moduli
gotici e una nuova visione classico realista. Donatello fu cioè perfettamente
conscio del fervore di ricerche dell' ambiente culturale fiorentino, nel quale
attuò subito delle scelte precise, legandosi d' amicizia col Brunelleschi,
assieme al quale compì viaggi a Roma (1404-1408) per scavare, disegnare,
misurare sculture e monumenti antichi. Questo processo di maturazione giunge a
compimento nel San Giorgio, per una nicchia di Orsammichele, dove lo scultore dà
una prima soluzione al problema del rapporto tra forma e spazio, inteso come
reciproca integrazione. La figura del Santo occupa saldamente uno spazio ad essa
commisurato, quasi determinandolo, mediante il movimento a spirale suggerito
dalla disposizione delle gambe e dello scudo, divergenti dall' assetto frontale
e dalla lieve torsione del busto.
La ricerca di Donatello fu polivalente e si attuò in diverse direzioni,
valendo per lui la conoscenza del classico soprattutto come stimolo per un'
appassionata indagine della realtà; ne sono testimonianza le statue dei Profeti
scolpite nel ventennio successivo per il campanile (ora in gran parte al Museo
dell' Opera del Duomo), figure in cui la drammatica umanità si esprime in forme
d' intenso e talora spietato realismo (Geremia, 1426 circa, Abacuc, 1427-1436).
La grandezza di Donatello risiede proprio in questo suo porsi come massimo
interpretedel classicismo fiorentino e di superare ogni limite di stile con
esiti perfino anticlassici. Lo stesso artista che esegue l' elegante S. Ludovico
da Tolosa (1423 circa, Museo dell' Opera di Santa Croce), in bronzo dorato,
scolpisce in legno l' ascetico Crocifisso di Santa Croce (1420), la cui profonda
moralità non fu intesa neanche da Brunelleschi, se è vero che questi rimproverò
all' amico di "aver messo in croce un contadino".
Verosimilmente intorno al 1423 ebbe inizio la collaborazione tra
Donatello e Michelozzo: gli interventi di quest' ultimo furono assai modesti nei
lavori per il fonte battesimale del Battistero di Siena (1425 circa); il
bassorilievo bronzeo col Convito di Erode è esempio già maturo della tecnica
donatelliana dello "stiacciato" per ottenere una perfetta graduazione
prospettica dei piani. Più evidenti tali influenze sono invece nella struttura
architettonica del sepolcro di San Giovanni XXIII (1425-1427 circa, Firenze,
Battistero) e nel sepolcro del cardinale Brancacci (1427, Napoli). Dopo il 1430,
le sue ricerche sull' antico si fecero più intense (del 1433 è un altro
viaggio a Roma) ed ebbero come frutto opere fondamentali: il David bronzeo del
Bargello (1430-1433), nelo quale alla neo-ellenistica eleganza del giovane corpo
ignudo si unisce l' assorta consapevolezza del volto infantile; la Cantoria del
Duomo (1433-39, Firenze, Museo dell' Opera del Duomo), dove si svolge
ininterrotta una sfrenata danza bacchica di putti; lo stesso motivo, frenato e
maggiormente composto dall' inquadratura architettonica di Michelozzo, è
ripreso nel pulpito esterno della Cattedrale di Prato (1429-38). In nessun'
altra opera scultorea del '400 come queste di Donatello il repertorio di motivi
decorativi tratto dall' antico è interpretato con tanta libertà e fantasia,
continuamente interpolato a reminiscenze tardo antiche, paleocristiane e
cosmatesche (si vedano i veri e propri capricci decorativi dell' Annunciazione
di Santa Croce, 1428-33).
Tra il 1435 e il 1443, Donatello lavora su commissione di Cosimo de'
Medici alla decorazione della Sacrestia vecchia di San Lorenzo, eseguendo 8
medaglioni in stucco dipinto (Evangelisti e Storie del Battista), due sovraporte
anch' esse in stucco, con figure di Santi, e due porte bronzee, scompartite in
formelle con figure di Martiri e Apostoli.
Nel 1443 si trasferì a Padova dove la sua presenza (fino al 1454) fu
fattore determinante per l' evoluzione dell' intera civiltà artistica
settentrionale: qui egli creò, nel monumento equestre al Gattamelata una
versione moderna dei monumenti romani, ultimo suo omaggio al
"classico" sia pur incrinato dal realismo , per nulla eroicizzato, del
volto del condottiero, e iniziò col grande complesso dell' Altar Maggiore nella
Basilica del Santo, l' ultima fase della sua attività. In questo insieme di
straordinaria drammaticità, Donatello ha avvertito la sua estrema sensibilità
per le situazioni storiche, il progressivo dissolversi degli ideali dell'
Umanesimo, e le sue opere dell' ultimo periodo fiorentino sono immagini di
angoscia esistenziale, di meditazione sul dolore e sulla morte; un' ultima
fiammata di passione corrode la forma della Maddalena lignea del Battistero
(1454-55) o le figure dei due pulpiti bronzei di San Lorenzo (1460, in parte
eseguiti da aiuti).
Protagonista e simbolo di un' intera civiltà figurativa, Donatello ne ha
consumato così in fondo la crisi, sulla base della quale si sarebbe aperta una
nuova via per artisti che molto gli devono come formazione, tra i quali Leonardo
e Michelangelo.
Una famiglia di scultori e ceramisti molto
importante fu quella dei Della Robbia.
LUCA DELLA ROBBIA , formatosi nella scuola del Ghiberti e
studioso dell' esperienza di Donatello, fu il più insigne. Pure intimamente
legato ad una concezione naturalistica e incline ad effetti di estrema
suggestione, Luca si dimostra, rispetto al maestro, maggiormente aperto verso
gli ideali formali del Rinascimento: oltre all' accenno, tutt' altro che
episodico, alla costruzione brunelleschiana dello spazio, l' impianto
monumentale dei volumi, spesso plasticamente isolati, e il ritmo ampio e
composto del modellato plastico costruiscono un linguaggio pienamente coerente
con le esperienze dei maggiori artisti quattrocenteschi. Evidenti appaiono
questi caratteri già nella prima opera, la cantoria per il Duomo di Firenze
(attualmente conservata nelle sale del museo del Duomo) in cui si delinea, come
motivo originale, la continuità ritmica tra un riquadro e l' altro. Costante è
la tendenza ad isolare plasticamente le figure, tendenza che condurrà, nelle
opere più tarde, alla composizione semplicissima di un gruppo unico
stagliantesi sul fondo. Dopo le cinque formelle esagonali eseguite per la base
del campanile del Duomo (terminate nel 1439) e i rilievi per i due altari
marmorei del Duomo, ai quali lavorò a fianco di Donatello, nel 1441 attese alla
realizzazione del tabernacolo, oggi nella chiesa di Peretola, in cui compare per
la prima volta la particolare tecnica delola terracotta invetriata, procedimento
già noto ed applicato, al tempo, soprattutto nella produzione artigianale e di
stampo popolaresco, perfezionato dal Della Robbia e adattato alle esigenze della
plastica monumentale. La serie delle terracotte, se da un lato rappresenta una
riscoperta della tradizione popolare, si presenta contemporaneamente come un
superamento di questa, dal momento che non si pone come realizzatore di un
ideale naturalistico, ma come fatto stilistico autonomo che permette di otenere
particolari effetti luministici, particolarmente grazie al valore pittorico che
assume il bianco del rilievo rispetto al brillante azzurro del fondo. Tra le
terracotte invetriate ricordiamo il Cristo risorgente e l' Ascensione nel Duomo
di Firenze (1446-1451), la Madonna di San Pietro, la Madonna di via dell' Angolo
(attualmente al museo del Bargellino), la Madonna delle rose e la Madonna della
mela pure al Bargello e la Madonna Frescobaldi, ora a Berlino. La terracotta si
arricchisce di delicati toni di giallo, di bruno e di verde nel prezioso fregio
di fronde e di frutta che circonda la marmorea tomba del vescovo fiesolano
Benozzo Federighi, in Santa Trinità a Firenze. Tra le altre opere, risultano di
particolare interesse la porta in bronzo per la sagrestia di Santa Maria del
Fiore (1446-1464) e la decorazione della cappella del Crocefisso in San Miniato
al Monte.
Luca ebbe a Firenze una fiorente bottega in cui gli succedette il nipote ANDREA
. Questi apprese dal parente sia i fondamenti della tecnica scultorea, sia la
particolare lavorazione della ceramica invetriata. Dotato di una personalità
artistica meno aperta e originale di quella di Luca, nel suo primo periodo di
attività subì a tal punto l' influenza del maestro che per lungo tempo la
critica rimase incerta sull' attribuizione di alcune opere, quale la famosa
Visitazione in San Giovanni Fuorcivitas a Pistoia. In un momento successivo
maturò uno stile personale, orientato verso una grande sensibilità pittorica e
coloristica, frutto, forse, di un avvicinamento all' opera del Verrocchio e dei
pittori toscani del tempo. Tra le sue opere sono da ricordare i Puttini sulla
Loggia degli Innocenti a Firenze (1466), le sculture del Santuario della Verna
(1479 circa), la decorazione della chiesa di Santa Maria delle Carceri a Prato
(1491), l' Annunciazione del cortile degli Innocenti e la decorazione di San
Paolo a Firenze (terminata nel 1495). Numerose sue Madonne sono conservate nel
Museo Nazionale di Firenze.
GIOVANNI è figlio di
Andrea, e la sua produzione presenta un carattere più distintamente artigianale
rispetto a quella dei suoi predecessori. Eseguì una serie grandissima di
sculture in terracotta che, nonostante l' accentuazione dei valori cromatici e
l' inclinazione verso esperienze stilistiche di un certo rilievo, quali quelle
del Verrocchio e di Benedetto da Maiano, rivelano sempre la fondamentale
influenza delle opere del padre. Carattere originale e distintivo è l'
accentuato verismo. Tra le opere ricordiamo la Resurrezione dell' Accademia di
Firenze (1510), la Natività, la Deposizione del Bargello e gli Atti di
Misericordia dell' ospedale del Ceppo a Pistoia.
ANDREA DEL VERROCCHIO fu
scultore, pittore e orefice. La sua importanza nella storia dell' arte consiste
nell' influenza che egli esercitò sui suoi allievi Leonardo da Vinci e Lorenzo
Credi. Apparteneva a quella tradizione di artisti che lavoravano con l' ausilio
di varie tecniche. Tra il 1465 e il 1467 eseguì la lastra tombale di Cosimo de'
Medici nella cripta di San Lorenzo e il lavabo marmoreo nella sacrestia della
stessa chiesa. Sempre per i Medici, scolpì
il rilievo in terracotta con
la Resurrezione (Firenze - Bargello) e il David bronzeo. Intorno al 1483 portò
a compimento l' Incredulità di San Tommaso per Orsammichele. Il gruppo bronzeo,
di ponderosa forza espressiva, prelude all' ultima grande creazione del maestro,
il monumento equestre a Bartolomeo Colleoni a Venezia.
ANTONIO DEL POLLAIOLO si
formò vicino ad Andrea del Castagno, del quale fu allievo e collaboratore (dal
1453 al 1456 era al suo fianco in Sant' Egidio), e affascinato dalle ultime
opere di Donatello, svolse la sua attività contemporaneamente come pittore,
scultore ed orafo. Accanto alle ascendenze dei due maestri, la sua produzione
giovanile si ricollegò anche alla visione figurativa di Domenico Veneziano e di
Filippo Lippi: il portato di queste diverse esperienze artistiche si esprime
nell' acuta individuazione lineare della figura umana, intesa a definirne l'
essenza dinamica. L' esaltazione del movimento ed il cromatismo vibrante di luce
sono i caratteri fondamentali della produzione del Pollaiolo, che iniziò come
orafo descrivendo, nel supporto della Croce d' Argento ora al Museo dell' Opera
di Firenze (1457), scene in bassorilievo del Battesimo di Cristo, Mosè ed i
Profeti. Le sue prime prove pittoriche furono le tavolette della Resurrezione
(New York) e la Crocifissione (Londra). A questo primo periodo appartiene anche
l' esecuzione della Assunzione di Santa Maria Egiziaca(Poggibonsi, Pieve di
Staggia), dove l' esperienza di orafo e scultore sovrapposta a quella pittorica,
diede luogo ad un linearismo vibrante.
Al 1464 risalgono i
disegni dei profeti Amos ed Isaia,
eseguiti poi dal fratello Piero, nelle Tarsie della Sacrestia Nuova di Santa
Maria del Fiore; al 1465 la tavola dell'Arcangelo e Tobiolo per la Mercatanzia
di Orsanmichele (Torino, Galleria Sabauda); al 1466 la realizzazione, compiuta
in collaborazione con il fratello, della pala d' altare ora agli Uffizi; inoltre
Antonio fu impegnato dal 1466 al 1475/80 nel disegnare e preparare i cartoni per
trenta ricami (3 sono andati perduti) con le Storie del Battista, per i
paramenti del Battistero.
In questi anni l'artista si
spostava da Firenze a Padova, arricchendo di nuove esperienze le sue opere, e
poi a Spoleto, presso Filippo Lippi, prima di recarsi a Roma.
Il goticismo che ancora appariva nel Pollaiolo, a contatto con i classici
antichi, subì una trasformazione: la linea divenne protagonista ed interprete
dell'intenso e continuo movimento; l'anatomia fu centro degli studi del maestro,
per svelare, in campo scultoreo e pittorico, la sua potenzialità dinamica ed i
suoi rapporti con lo spazio.
Scolpì il gruppo bronzeo di Ercole ed Anteo (Firenze, Museo Nazionale),
carico di vibrazioni di luce e di movimento, e dipinse una serie di opere,
dall'Apollo e Dafne al Martirio di
San Sebastiano (Londra National Gallery), caratterizzate da un profondo
classicismo. La linea e la luce lampeggiante scavano, creano contrapposizioni,
vibrano, con risultati che hanno fatto parlare di un "luministico
impressionismo" della pittura del Pollaiolo; queste stesse notazioni
luministiche si trovano anche nel bassorilievo della Nascita del Battista
dell'altare di San Giovanni (1477-80; Firenze, Opera del Duomo)
Nel 1489 Antonio, insieme al fratello Piero, ricevette l'incarico della
tomba bronzea di Sisto IV e si recò di nuovo
a Roma, dove terminò l'opera nel 1493. Iniziato forse prima del precedente, nel
1497 terminava anche il secondo monumento romano ad Innocenzo VIII, in San
Pietro. Al Pollaiolo sono inoltre attribuiti due delicati profili femminili, uno
scudo ligneo con la Morte di Milone, ed un bronzeo David, di ricordo
donatelliano.