Allòri,
Cristòfano
pittore
italiano (Firenze 1577-1621), figlio e allievo di Alessandro. Come colorista
(studiò particolarmente la scuola bolognese) si affermò tra i più eleganti
esponenti dell'eclettismo, dipingendo soprattutto paesaggi e ritratti. È famosa
la sua Giuditta e Oloferne
(Firenze, Palazzo Pitti), uno dei più bei quadri del Seicento
fiorentino. Importanti anche alcuni dipinti di soggetto religioso: Adorazione
dei pastori, Adorazione dei
Magi(Firenze, Palazzo Pitti).
Allòri,
Alessandro
pittore
italiano (Firenze 1535-1607). Nipote e allievo del Bronzino, soggiornò a Roma
dal 1554 al 1559, dove approfondì la conoscenza dell'opera di Michelangelo. Fu
molto richiesto dai contemporanei per la decorazione di ville e palazzi (Villa
di Poggio a Caiano, studiolo di Francesco I in Palazzo Vecchio, Firenze). Nel
1560 affrescò la cappella Montaguti nella chiesa dell'Annunziata (Firenze).
Altre sue opere si trovano in S. Spirito ( Cristo e l'adultera, 1577) e in S.
Maria Novella. La sua opera riflette lo spirito nuovo della Controriforma,
espresso attraverso i modi del manierismo.
Daddi,
Bernardo
pittore
italiano (Firenze, prima metà sec. XIV). Ritenuto scolaro e seguace di Giotto,
ne raccolse gli
elementi chiaroscurali e narrativi negli affreschi della cappella Pulci e
Beraldi con Storie dei SS. Lorenzo
e Stefano in S. Croce a Firenze e nel trittico con la
Vergine e due Santi agli Uffizi (1328). A cominciare dal piccolo trittico
dell'oratorio del Bigallo a Firenze (1333), per influsso dei Senesi e forse
meglio di Maso di Banco egli volse a maggior studio del colore e della
linea,modulandoli e graduandoli preziosamente, come nell'anconetta
dell'Accademia di Firenze (1334), nel polittico con Storie della sacra cintola del Museo Comunale di Prato, nel
polittico di S. Maria Novella a Firenze (1344) e nella
Maestà per il tabernacolo di Orsanmichele (1347) pure a Firenze.
Andrèa
del Castagno
pittore
italiano (Castagno d'Andrea, S. Godenzo, ca. 1421-Firenze 1457). La critica
contemporanea (Salmi, Procacci, Berti) ha appurato una conoscenza di Paolo
Uccello. Tuttavia la sua pittura mostra che guardò molto a Masaccio e a
Donatello, accentuando anzi il plasticismo dei corpi per mezzo anche di forti
scorci e sottolineando il rude carattere popolare dei suoi personaggi,
dimostrando così di voler restare fedele al carattere realistico del primo
Umanesimo. Scomparso l'affresco del 1440 nella facciata del palazzo del Podestà
a Firenze, con la rappresentazione dei ribelli impiccati dopo la battaglia di
Anghiari (donde gli derivò il soprannome di Andreìn degli Impiccati),
documentano la sua prima attività gli affreschi del 1442 nella cappella di S.
Tarasio in S. Zaccaria a Venezia. Tornato a Firenze nel 1444, fornì il cartone
con la Deposizione per la vetrata
di un occhio del tamburo della cupola di S. Maria del Fiore. Tra il 1445 e il
1450 eseguì la decorazione ad affresco di una parete del refettorio del
convento di S. Apollonia con la Crocifissione, la
Resurrezione e la Deposizione
di Cristo nel registro superiore e l' Ultima Cena in quello inferiore. Si
contrappongono così un paesaggio aperto, con assonanze cromatiche col colore di
Domenico Veneziano, e uno spazio chiuso e architettonicamente definito, in cui
domina sempre con tono vigoroso ed eroico la figura umana, i cui fermi volumi
vengono definiti da linee precise che dosano la loro esposizione alla luce,
impedendone la dispersione. Nell' Ultima Cena la prospettiva, scientificamente
esatta, subisce una forte contrazione luminosa, che esalta l'individualità con
cui sono visti gli apostoli, avvicinati all'osservatore dalla linea bianchissima
della tovaglia. Dal 1450 A. è impegnato nella decorazione di una loggia della
villa Pandolfini a Legnaia(presso Firenze): una serie di figure di donne e
uomini illustri (la Sibilla Cumana, la Regina Ester, la Regina Tomiri, Pippo
Spano , Farinata degli Uberti,
Niccolò Acciaioli, Dante , Petrarca , Boccaccio). Anche in questi
affreschi (ora agli Uffizi), la geometrica spartizione cromatica del fondo non
genera profondità, ma fa sbalzare in avanti le figure potenziandone il gesto e
l'azione. Ideologicamente si può accostare a questo ciclo, tipicamente
umanistico, l'affresco col Monumento
equestre a Niccolò Tolentino(1456) in S. Maria del Fiore, che presenta un più
accentuato studio lineare in funzione del movimento. Fra le altre opere si
ricordano la Crocifissione, staccata dal convento degli Angeli, e la Pietà,
affresco per il convento di S. Apollonia, ambedue conservate (accanto alle altre
opere succitate) nel refettorio di S. Apollonia, e gli affreschi per due
cappelle della chiesa della SS. Annunziata, raffiguranti rispettivamente la Trinità con S. Gerolamo fra la Madonna e Maria
Cleofe(1454-55) e Il Salvatore e S.
Giuliano(ca. 1455).
Cimabùe
(
Cénni di Pèpi). Pittore italiano (Firenze ca. 1240-Pisa 1302). Si formò
nell'ambito del neoellenismo bizantino, nonché del gusto "dialettale"
dei mosaici del battistero fiorentino, alla cui esecuzione prese sporadicamente
parte. La più antica sua opera a noi nota è il
Crocifisso di S. Domenico di Arezzo (ca. 1275) in cui si avverte già
chiaramente il premere di un'intensa forza espressiva di valore drammatico
nuovo, entro gli schemi della composizione medievale. Di qualche anno più tardi
è la Madonna in maestà degli
Uffizi, caratterizzata dalla tensione che una dinamicità latente conferisce
alla simmetrica, serrata composizione. Verso il 1280 si collocano gli affreschi
della chiesa superiore di S. Francesco ad Assisi:
Evangelisti nella volta della crociera,
Storie della Vergine nel coro, Scene
dell'Apocalisse, Giudizio e Crocifissione
nel braccio sinistro del transetto, Storie
di San Pietro nel braccio destro, queste ultime poi continuate da seguaci. Anche
se fortemente deteriorati, si avvertono ancora in essi il senso grandioso dello
spazio e la concitata drammaticità delle figure, alternata a pause di pacata
armonia. Dopo i lavori di Assisi, le composizioni di C. mostrano di tendere a
una più distesa impaginazione, il linguaggio a farsi meno aspro ed emotivo, il
ritmo a rallentare. Si giunge così al Crocifisso
già in S. Croce a Firenze (ora al Museo dell'Opera di S. Croce), in parte
distrutto dall'alluvione del 1966, cui il chiaroscuro più fuso conferisce un
tono di drammatica catarsi. Probabilmente vicino a esso si colloca la
Maestà della Vergine con San Francesco nella chiesa inferiore di Assisi,
peraltro assai ridipinta. Nelle ultime opere ( Maestà del Louvre; mosaico con
San Giovanni, 1302, nel duomo di Pisa) è avvertibile l'influsso delle nuove
forme della scultura pisana.
Ghirlandàio,
Doménico Bigórdi, detto il-
pittore
italiano (Firenze 1449-1494). Allievo di A. Baldovinetti, nel primo periodo
della sua attività venne influenzato anche da Andrea del Castagno e Domenico
Veneziano ( Tre Santi, pieve di Cercina; affreschi della collegiata di S.
Gimignano con Storie di S. Fina). Attento in seguito alle ormule del Verrocchio
e a quelle del primo Leonardo, si avvicinò anche alla cultura fiamminga per il
tramite di Hugo van der Goes ( Vecchio e nipote , Parigi, Louvre; Cenacolo,
1480, Firenze, chiesa di Ognissanti). Nel 1481 si recò a Roma per dipingere
nella Cappella Sistina ( La vocazione di Pietro e Andrea è l'unico affresco
superstite); tornato a Firenze eseguì per la cappella Sassetti di S. Trinita
gli affreschi con Storie di S.
Francesco e la pala con l' Adorazione dei pastori (1483-86). Nel 1485 iniziò
gli affreschi con Storie della
Vergine e di S. Giovanni nella cappella maggiore di S. Maria Novella, servendosi
di numerosi aiuti (la bottega di G. fu infatti una delle più famose e
frequentate a Firenze negli ultimi anni del sec. XV); tale opera (il cui
restauro è stato portato a termine nel 1991) è da considerarsi il capolavoro
dell'artista, abilissimo riassunto delle ricerche formali fiorentine di tutto il
secolo, vivace e piacevole documentazione della vita quotidiana della borghesia
del tempo di Lorenzo il Magnifico. Degli ultimi anni sono alcune ottime opere di
cavalletto come l' Adorazione dei Magi (1487,
Firenze, Uffizi), alcuni ritratti femminili ( Giovanna Tornabuoni, Lugano,
collezione Thyssen), la Visitazione(1491,
Parigi, Louvre). §Pittori furono anche i fratelli David e Benedetto e il figlio
Ridolfo, tutti noti col soprannome di Ghirlandaio.
David(Firenze 1452-1525) fu il principale aiuto di Domenico; tra le opere
tutte di sua mano si ricordano i mosaici della Madonna con Bambino e angeli(1496, Parigi, Musée de Cluny),
l' Annunciazione (1510, Firenze, SS. Annunziata) e l'affresco con la
Crocifissione(Firenze, S. Apollonia).
Benedetto(Firenze 1458-1497) fu anch'egli collaboratore del fratello e
sicuramente sua rimane una Natività(ca.
1492; parrocchiale di Aigueperse). Ridolfo(Firenze
1483-1561) unì i modi ancora quattrocenteschi del padre con influssi da Fra'
Bartolomeo, di cui fu allievo ( Madonna della cintola, 1514-15; duomo di Prato),
ottenendo grande successo presso i contemporanei.
Giòtto
I
cicli decorativi: problemi di identificazionePittore e architetto italiano
(Colle di Vespignano ca. 1265-Firenze 1337). Scarsissime sono le notizie
biografiche dell'artista, attorno alla cui giovinezza sono fiorite varie
leggende. Forse la più nota di esse narra la scoperta del genio di G. fanciullo
da parte di Cimabue, pittore presso la cui bottega fiorentina egli svolse
tradizionalmente il proprio alunnato, completando la sua formazione con
l'attività giovanile a Roma, dove si recò probabilmente col maestro. Il
problema delle prime manifestazioni dell'arte di G. è connesso
all'individuazione della parte da lui avuta in due importanti cicli decorativi:
gli affreschi alti nella navata della chiesa superiore di S. Francesco in Assisi
e l'esecuzione almeno dei cartoni per l'ultima zona dei mosaici della
cupola del Battistero di Firenze. L'incertezza della data di esecuzione dei due
cicli, cui si aggiunge la discussione sulla data di nascita del pittore, aumenta
le difficoltà di questa individuazione che, soprattutto riguardo agli affreschi
di Assisi, ha visto i pareri più diversi. Sembra tuttavia attendibile che nelle
Storie del Vecchio e del Nuovo Testamento di Assisi sia riconoscibile la
mano di G. in quelle della prima campata verso la facciata e sull'interno di
questa, dove è visibile anche l'apporto di maestranze di educazione romana. Le
due Storie di Isacco della seconda campata sono dalla critica
italiana prevalentemente riconosciute come il primo testo, e rivoluzionario, del
giovane G., ma è forse più attendibile la tesi che esse siano di un artista
maturo, strettamente vicino ad Arnolfo di Cambio, fino forse ad averne seguito i
concepimenti e i possibili abbozzi. La data delle ultime
Storie è forse del penultimo quinquennio del sec. XIII. Quanto ai
mosaici dell'ultima zona del Battistero, l'esecuzione si addentra nel sec. XIV,
e se non è possibile dare per certa la partecipazione di G. all'ideazione,
certo vi è molta parte del suo influsso. Dopo le
Storie di Assisi, G. dovette eseguire il
Crocifisso di S. Maria Novella in Firenze ; dopo il 1290 diede
probabilmente inizio al ciclo dei ventotto riquadri con le
Storie francescane affrescato nella fascia bassa della chiesa superiore
di Assisi. Non manca chi nega la presenza di G. in questo ciclo, tesi avvalorata
dall'evidente diversità dello stile poi espresso da G. negli affreschi
padovani. Vanno però tenuti in conto l'evoluzione dell'artista e il largo
apporto di collaboratori anche nei riquadri (dal secondo al diciannovesimo) di
più sostenibile autografia del maestro. Un frammento dell'affresco con l'
Indizione del Giubileo da parte di Bonifacio VIII (1300; Roma, S. Giovanni in
Laterano) dimostrerebbe il gravitare dell'artista nell'ambito delle commissioni
papali, connesse strettamente con l'iniziativa dei francescani conventuali. A
Firenze ai primi del Trecento G. eseguì la
Madonna di S. Giorgio alla Costa e il
Polittico di Badia(Firenze, Uffizi). Con i soggiorni a Rimini (dove,
scomparsi gli affreschi, rimane il Crocifisso
del Tempio Malatestiano) e a Ravenna, si iniziò l'opera di diffusione del
linguaggio giottesco che via via condizionò il divenire delle diverse scuole
regionali. Dopo il 1304 G. cominciò la decorazione ad affresco della cappella
di Enrico Scrovegni all'Arena di Padova. Il progetto stesso dell'edificio gli
viene rivendicato: dell'attività di G. architetto sarebbe questa la
testimonianza più completa e, con il campanile di S. Maria del Fiore, più
significativa. Nell'interno, i circa quaranta riquadri con le
Storie di Gioacchino , S. Anna e la Vergine e la
Storia di Cristo , più le figure decorative alle pareti, le allegorie
dei Vizi e delle
Virtù nello zoccolo , il Giudizio
Universale sulla parete d'ingresso, fanno del complesso un monumento
straordinario e, a parte gli aiuti materiali, di completa autografia del
maestro. Giotto e la pittura in ItaliaCon gli affreschi dell'Arena si compie il
processo di cambiamento della pittura in Italia. Gli aspetti fondamentali e
permanenti sono: l'impostazione della rappresentazione secondo coordinate
spaziali anche e soprattutto in profondità, per cui la scena ricava i suoi
contorni in un preciso spazio della visione e si scala nei punti di lontananza
tra lo spettatore e l'orizzonte; il disporsi degli oggetti secondo schemi
strutturali eminentemente architettonici, coordinati in andamenti di forme
conchiuse e di equilibrata compensazione; un'attitudine sintetica nel proporre
l'esperienza del reale, riduttiva alla sostanza dell'oggetto e analitica solo
nella misura in cui il particolare diviene espressivo di un significato
generale; l'evidenziazione plastica, volumetrica dell'oggetto attraverso la
graduazione del chiaroscuro; l'individuazione di un nodo dell'azione
rappresentata, sul quale si compongono e si traguardano i gesti dei personaggi e
che enuclea il senso drammatico della scena. Questa struttura sintetica,
spaziale, plastica e drammatica non può
essere
intesa soltanto come altissimo raggiungimento di G., ma come punto di arrivo di
una complessa elaborazione storica. Sul tradizionale discepolato di G. presso
Cimabue è il più ampio margine di discussione. La forza plastica in Cimabue si
attua per tensione interna delle figure, la volumetria di G. è elemento della
complessiva costruzione spaziale; la drammaticità di Cimabue è potenziamento
dell'espressività bizantina, l'azione di G. si costruisce secondo una regia di
desunzione classica. Importante per G. fu, come già detto, il suo rapporto
indubitabile con l'ambiente romano della fine del sec. XIII, in cui figura
centrale e determinante era l'architetto e scultore Arnolfo di Cambio. Se il
nuovo senso della pittura di G. è di ordine architettonico e plastico, fu
Arnolfo che a Roma mise a punto compiutamente la nuova spazialità; Pietro
Cavallini a Roma non fu né maestro, né discepolo di G., ma manifestazione
collaterale dello stesso ordine di ricerche. Arnolfo collegò G. alla grande
stagione della scultura gotica anche di Francia, che fu stimolo al complessivo
rinnovamento figurativo.Un nuovo stile per le ultime opereAttraverso i
francescani la bottega di G., fattasi impresa organizzata, ebbe commissioni in
tutta Italia. Si rinnovava intanto anche lo stile del maestro. Dalla grande
tavola con la Maestà nella chiesa
di Ognissanti a Firenze (ora agli Uffizi) al mosaico della
Navicella in S. Pietro a Roma, di cui restano due angeli (a Roma, Museo
Petriano, e a Boville Ernica), agli affreschi della cappella della Maddalena
nella chiesa inferiore di Assisi, ai due cicli murali in S. Croce a Firenze,
nelle cappelle Peruzzi ( Storie di S. Giovanni Battista e di S. Giovanni
Evangelista) e Bardi ( Storie di S. Francesco ), la spazialità giottesca si fa
meno serrata, più articolata e distesa, il colore più tenero, in una sempre
fresca e rinnovata sensibilità. Dalla fine del 1328 alla metà del 1333 G. fu a
Napoli per Roberto d'Angiò e lavorò nella chiesa francescana di S. Chiara e in
Castel Nuovo. Poco o nulla rimane della sua opera, ma anche a Napoli il suo
influsso fu determinante, come a Milano, dove G. lavorò intorno al 1333 per
Azzone Visconti; il suo magistero di architetto ha un'eco nel complesso di S.
Gottardo. Nel 1334 G. fu nominato architetto della città di Firenze; nella
parte bassa il campanile del duomo segue il suo progetto, così come parte delle
formelle scolpite che lo adornano.
Giovanni
da Milano
pittore
italiano (notizie dal 1346 al 1369), detto anche Giovanni da Como. La formazione
di questo grande artista va fatta risalire agli ambienti pittorici lombardi di
influenza giottesca e la sua prima opera sono forse gli interessanti affreschi
nella cappella del castello di Montiglio (purtroppo danneggiati). Recatosi a
Firenze nel 1346, abbandonò la città toscana in seguito alla peste del 1348 e,
ritornato in Lombardia, vi eseguì alcuni cicli di affreschi oggi scomparsi.
Nuovamente a Firenze verso il 1365, affrescò le Storie di Maria nella cappella Rinuccini in Santa Croce, che
vengono considerate la sua opera più notevole , importante anche come premessa
del gotico internazionale toscano, e realizzò anche alcune tavole. Intorno al
1369 fu chiamato a Roma da papa Urbano V, ma delle sue opere in Vaticano non è
rimasto nulla.
Raffaèllo
Sànzio
Biografia: gli
esordiPittore e architetto italiano (Urbino 1483-Roma 1520). Più che i primi
insegnamenti fornitigli dal padre pittore, Giovanni Santi, dovettero influire
sulla primissima formazione di R. gli stimoli di un centro di altissima cultura
come Urbino, che gli offriva come testi di studio le opere di Piero della
Francesca e di Luciano Laurana. Anche nel successivo apprendistato nella bottega
del Perugino, il giovanissimo allievo dimostrò di essere in grado di assimilare
e superare con straordinaria facilità la lezione del maestro, in un rapido
percorso che va dalla predella della pala peruginesca per S. Maria Nuova a Fano
(1497) all' Incoronazione della Vergine per la cappella Oddi in S. Francesco a
Perugia (1502-03, ora a Roma, Pinacoteca Vaticana), al primo programmatico
capolavoro, lo Sposalizio della
Vergine per la chiesa di S.
Francesco a Città di Castello (1504, ora a Milano, Brera).Biografia: il periodo
fiorentinoQuasi a segnare la conclusione di una esperienza, nello stesso anno
1504 R. si trasferì a Firenze, entrando in contatto con un ambiente
estremamente vivo e stimolante, dove erano attivi artisti del livello di
Leonardo e Michelangelo. Le opere del periodo fiorentino, fino al 1507, dai
raffinati ritratti (Dama col liocorno, Roma, Galleria Borghese; Agnolo Doni,
Maddalena Doni, La gravida, Firenze, Palazzo Pitti) alle tanto celebrate
Madonne ( Madonna Connestabile, San Pietroburgo, Ermitage; Madonna del prato,
Vienna, Kunsthistorisches Museum; Madonna del cardellino, Firenze, Uffizi; La
bella giardiniera, Parigi, Louvre) dimostrano la stupenda facilità con cui R.
seppe inserirsi in tale temperie culturale, assimilando apporti diversi e
contrastanti, come lo sfumato e la composizione piramidale proposti da Leonardo
e la tensione dinamica di Michelangelo (quest'ultima faticosamente meditata in
un'opera complessa e di trapasso come la Deposizione
per Atalanta Baglioni, 1507, Roma, Galleria Borghese); ne risultano composizioni
di grande naturalezza dove i ritmi si svolgono armoniosamente in uno squisito
equilibrio tra concretezza dell'immagine e perfezione formale.Biografia: il
periodo romanoChiamato a Roma da papa Giulio II nel 1508, R. iniziò il più
intenso e fecondo periodo della sua breve vita con la grande impresa della
decorazione ad affresco delle Stanze Vaticane. I soggetti allegorici della
Stanza della Segnatura (compiuta nel 1511), esaltanti la sintesi del pensiero
antico con la renovatio operata dal
cristianesimo attraverso la raffigurazione del Vero (spirituale: la Disputa del
Sacramento; razionale: la Scuola
d'Atene ), del Bene (le Virtù, le Pandette di Giustiniano, le Decretali di
Gregorio IX), del Bello (il Parnaso); quelli della Stanza di Eliodoro (1511-14),
di ispirazione storico-politica, celebranti l'intervento divino in favore della
Chiesa, con riferimento alla missione di Giulio II; i temi della Stanza
dell'Incendio di Borgo (1517), in larga misura dovuta a collaboratori, modello
per secoli di "pittura storica", rappresentano la compiuta maturità
dello stile raffaellesco nella misura della composizione monumentale e una delle
massime sintesi della cultura del Rinascimento. Il linguaggio di R. vi appare
straordinariamente arricchito: dal magistrale equilibrio spaziale e compositivo
della Scuola di Atene si passa alla
tensione drammatica della Cacciata
di Eliodoro(dove è sensibile una nuova attenzione agli esempi
michelangioleschi), al colorismo ricco e pastoso della Messa di Bolsena,
all'audace luminismo della Liberazione di S. Pietro, precorritore delle
esperienze di Caravaggio e di Rembrandt. Mutato il clima culturale della corte
papale con la successione di Leone X, pontefice di interessi eruditi e
classicheggianti, a Giulio II, R. seppe farsi interprete delle nuove tendenze,
divenendo, poco più che trentenne, il principe indiscusso della scena artistica
romana, accolto nei circoli letterari e umanistici. Egli assunse un numero
incredibile di incarichi e mansioni pittoriche, architettoniche, archeologiche
(quale conservatore delle Antichità di Roma si dedicò tra l'altro, nel 1517,
all'impresa di rilevare la pianta di Roma antica), tanto che dovette crearsi una
vastissima bottega imprenditoriale e servirsi dell'opera di collaboratori quali
Giulio Romano, Perin del Vaga, Giovanni da Udine, cui si deve in gran parte la
realizzazione degli affreschi della
terza Stanza, della
Loggia di Psiche alla Farnesina (nella quale è invece di R. la classica, serena
evocazione della Galatea, 1511), della stufetta del cardinale Bibbiena e delle
Logge Vaticane, affacciate sul cortile di S. Damaso e arricchite col repertorio
decorativo delle grottesche*, tema derivato dalla decorazione della
Domus Aurea e adottato più tardi anche nella decorazione delle logge di
Villa Madama. Nel 1514, alla morte del Bramante, R. fu nominato architetto capo
della fabbrica di S. Pietro (inizialmente assieme a Fra' Giocondo e a Giuliano
da Sangallo); a lui si deve il progetto (trasmessoci dal Serlio) che modificava
profondamente quello bramantesco non solo per la trasformazione della pianta
della chiesa da croce greca a croce latina, ma per un diverso sentimento formale
tendente a conferire all'edificio, mediante stretti deambulatori e la
moltiplicazione delle cappelle, un accentuato chiaroscuro pittorico. Questa
tendenza caratterizza anche altri edifici di R., quali il perduto palazzo
Branconio dell'Aquila (noto da un disegno del Parmigianino) e il palazzo
Pandolfini di Firenze. Di chiara erivazione bramantesca sono invece la chiesetta
di S. Eligio degli Orefici (1510), caratterizzata da estrema eleganza
strutturale e purezza di proporzioni, e la cappella Chigi in S. Maria del Popolo
(terminata nel 1520), che rivela anche una sicura conoscenza dei monumenti
antichi. Il richiamo alle strutture degli antichi edifici termali è presente
nel ritmo grandioso di Villa Madama, progettata da R. (ma solo in parte da lui
stesso realizzata) per Giulio de' Medici, poi Clemente VII, sulle pendici del
Monte Mario; l'artista progettò anche il superamento dei dislivelli del terreno
mediante terrazze e giardini e poderose sovrastrutture a nicchioni, sulle quali
sorgono le logge decorate a grottesche. Le nuovissime "invenzioni"
strutturali e decorative dell'architettura di R. furono vere matrici, attraverso
Giulio Romano, Sansovino e Sanmicheli, dell'architettura manieristica della
prima metà del Cinquecento. Biografia: l'ultimo decennio. L’attività
pittorica dell'ultimo decennio, oltre ai cartoni per la superba serie di arazzi
della Cappella Sistina (1515-16, ora a Londra, Victoria and Albert Museum),
registra ancora una sequenza di capolavori, dai penetranti ritratti ( Ritratto
di cardinale, Madrid, Prado; Baldassar Castiglione, Parigi, Louvre; Leone X,
Firenze, Uffizi; La velata, Firenze, Palazzo Pitti), alle più famose pale sacre
( Madonna di Foligno, Roma, Pinacoteca Vaticana; Madonna Sistina, Dresda,
Gemäldegalerie; Madonna della seggiola, Firenze, Palazzo Pitti; S. Cecilia,
Bologna, Pinacoteca, modello di "sacra conversazione" destinato a
enorme fortuna), fino alla grande e tormentata Trasfigurazione (Roma, Pinacoteca
Vaticana) che, rimasta incompiuta alla morte del maestro, fu poi terminata da
Giulio Romano. Alla sua morte, R. era già entrato nella leggenda: forse nessun
altro artista è stato nel tempo altrettanto amato e idealizzato, ma proprio per
questo la sua opera, che ha goduto di ininterrotta fortuna dal classicismo
secentesco in avanti, ha subito notevoli deformazioni interpretative, sia
nell'accentuazione dei valori formali volti in accademia (dai neoclassici ai
puristi), sia nelle forzature spiritualistiche e romantiche (dai nazareni
tedeschi ai preraffaelliti inglesi). Tutta la critica moderna ha invece voluto
sottolineare la portata storica dell'opera di R. nell'ambito della complessa
situazione culturale del Rinascimento.
Pàolo
Uccèllo
nome
con cui è noto il pittore italiano Paolo di Dono (Pratovecchio 1397-Firenze
1475). Nel 1407 fu tra gli aiuti del Ghiberti per la prima porta del Battistero
di Firenze, ma la sua formazione rimane oscura: è probabile un rapporto con lo
Starnina (per cui gli si è anche attribuito il famoso ciclo della Tebaide degli Uffizi). Nel 1425 P. lavorò come mosaicista in
S. Marco a Venezia (opere perdute) e non è improbabile che la lontananza da
Firenze,mentre vi si affermavano i principi teorici del Rinascimento, sia alla
base della posizione particolare, eterodossa e sperimentale, del pittore.
Tornato a Firenze nel 1430, diede una prima misura di sé negli affreschi con
Storie della Creazione nel chiostro verde di S. Maria Novella, dove è
ancora sensibile l'influsso del Ghiberti, e lasciò il primo compiuto capolavoro
nell'affresco a monocromo del Monumento
equestre di Giovanni Acuto(1436; duomo). L'opera è esempio altissimo
dell'impegno con cui P. affrontò la risoluzione prospettica dello spazio, e
insieme della sua libertà di ricerca rispetto al metodo scientifico
brunelleschiano, come appare in altre opere dello stesso periodo (affreschi con
Storie di santi monaci nel loggiato superiore del chiostro di S. Miniato
al Monte, staccati e restaurati nel 1969, con interessanti sinopie; decorazione
dell'orologio del duomo fiorentino, del 1443, con poderose teste di profeti).
Nel 1445 P. fu a Padova, dove lasciò, nel ciclo di affreschi di personaggi
illustri in palazzo Vitaliani (ora scomparso) un modello destinato a esercitare
un grande influsso in ambiente settentrionale, e in particolare sul giovane
Mantegna. Segue una serie di capolavori fiorentini: gli affreschi con
Storie del Diluvio e di Noè nel chiostro verde di S. Maria Novella
(1447-48); la Natività di S.
Martino alla Scala (ca. 1446, oggi agli Uffizi) la cui sinopia singolarissima
testimonia delle ricerche del pittore sul problema della resa prospettica della
visione binoculare; i tre pannelli celebranti la
Battaglia di S. Romano(ca. 1456) per palazzo Medici (ora divisi tra gli
Uffizi, il Louvre e la National
Gallery di Londra), massima espressione del genio visionario di Paolo. Queste
opere chiariscono la particolarissima posizione di P. nell'ambito del
Rinascimento fiorentino: la sua arte, insieme nuovissima e intrisa di nostalgie
tardogotiche, intellettualistica e ingenua, scientifica e fantastica, non poteva
essere sentita che come eterodossa e marginale rispetto agli sviluppi del
razionalismo rinascimentale (di questa eterodossia appare esemplare un'opera
come il San Giorgio e il drago del
1456 ca., ora a Londra, National Gallery con altra versione al Musée
Jacquemart-André di Parigi). Nella produzione tarda, in cui questi aspetti si
accentuano, sottolineando l'isolamento dell'artista, sono da ricordare la
deliziosa predella con Storia della
profanazione dell'ostia consacrata(1469; Urbino, Galleria Nazionale delle
Marche), eseguita a Urbino, dove l'artista si era recato nel 1465, e la
Caccia del Museo di Oxford, ultima affascinante favola poetica di questo
singolare narratore.