L'ESERCITO
DEL SILENZIO
di
Fabio Rampelli
Milioni
di persone ferme, silenti, a scandire un tempo
che non vuol saperne di passare e resta sempre
lì, su quelle immagini strazianti di binari
e lamiere, di bambole di carne e zainetti. Era
impensabile che avrebbero suscitato questa sensazione
di forza, solo per il fatto di tacere per ore
e tutte insieme. Donne, anziani, bambini, destra,
sinistra, benestanti e poveracci, tutti lì
a mettere in mostra la propria indignazione, a
schierarsi. Ci sono eserciti regolari che vestono
la divisa di nazioni antiche, eserciti irregolari
che indossano divise non riconosciute ma egualmente
fascinose, eserciti clandestini che assaltano
altri eserciti con la pratica dell'agguato e del
colpo alle spalle, eserciti del terrore che si
saziano di sangue innocente e si nutrono di vigliaccheria.
Ed eserciti che si radunano disarmati e, taciturni,
sembrano dire: "Sparateci ora, prendete coraggio
e affrontate il nostro coraggio". Eserciti
del silenzio che dichiarano guerra. Ma ora non
suona la mitraglia, non urla il boato di una bomba,
perché chi ha voluto il massacro non dichiara
guerra e non accetta guerre: la guerra, in fondo,
è una cosa seria. Prevede un avversario
stabile, contempla un preavviso per le ostilità,
accende l'orgoglio del nemico che si organizza
e resiste. È fatta di truppe che s'avanzano
tra le montagne o per i deserti, di tecnologia,
mappe e tattica militare, intelligenza e intelligence.
Un colpo, una risposta. Fino alla resa o all'espugnazione.
Poi la firma di un trattato di pace che riconosce
il bottino per i vincitori e i diritti per i vinti
e la storia continua
Vengono in mente i
cortei chiassosi del Medioriente, donne urlanti,
gorgheggi incomprensibili, strade polverose, bandiere
sfilacciate, bare portate in spalla da folle tumultuose,
fucilate per aria e vessilli incendiati. Poche
migliaia di chilometri più in qua milioni
di persone immobili, come pietrificate, conservano
incredule il dolore e lanciano segnali che attraversano
il Mediterraneo. L'Europa dei popoli è
già in piedi, piange i suoi figli assassinati
oggi a Madrid, ieri a Nassiriya. Sembra aver sempre
saputo che una nazione si fonda sul sangue e non
su panetti di burro, quote latte e arance rosse.
Né sulla moneta unica. Ecco. Dal sacrificio
terribile di centinaia di vittime prende forma
l'auspicio che la nuova Europa si faccia strada,
che quella grandezza fatta di cattedrali e castelli,
mura fortificate e ineguagliabili città
possa rigenerarsi. Le ambasciate spagnole sparse
nel mondo hanno visto sfilare in poche ore decine
di migliaia di persone, accorse per accendere
una fiaccola, inondare di fiori la memoria degli
innocenti e lasciare due righe in ricordo. La
gente d'Europa c'è, si specchia nei volti
trasmessi da tutte le televisioni del pianeta
e scopre somiglianze antiche nei tratti somatici,
nelle espressioni, negli idiomi, negli stessi
occhi lucidi e luminosi, nello stesso dolore.
Composto, ma profondo. Guarda e si commuove, percepisce
l'attentato vigliacco come la violazione di una
storia comune e accende, da Madrid e da Roma,
una scintilla di sentimento nazionale. Il terrorismo
è di fronte a noi, selezionerà le
sue vittime per mettere zizzania, costruirà
un percorso sanguinario per condizionare le decisioni
degli Stati e le scelte dei cittadini, per dimostrare
che l'intransigenza del mondo occidentale è
un errore
Ve la ricordate, negli anni '70,
la storia dei brigatisti rossi considerati da
intellettuali giustificazionisti "compagni
che sbagliano"? Anche stavolta il terrorismo
troverà ampi settori della società
pronti a 'comprendere', ad analizzare "i
fenomeni sociali e culturali che hanno costituito
il brodo di coltura per l'esplosione dell'integralismo
islamico
", a giudicare con le attenuanti
generiche quella violenza efferata che sarebbe
"causata dallo sfruttamento delle risorse,
dalle colonizzazioni occidentali, dal debito estero
del terzo mondo". E mentre si svilupperanno
approfonditi dibattiti sulle cause del terrorismo
e si strumentalizzeranno immagini di repertorio
di bambini africani, tanta gente inerme sarà
dilaniata. Un orologio ammaccato, due fasci di
luce alti quanto il cielo, una donna cosparsa
di cenere da capo a piedi saranno lì a
ricordarci l'apice della sofferenza umana. Qualcuno
utilizzerà le vittime per costruire "l'indispensabile
linea del dialogo", altri l'adotteranno per
un disegno di "forte" contrapposizione
al terrore. Il tempo, dal canto suo, transiterà
sulle generazioni che, in tanti angoli del mondo,
attraverseranno la loro vita terrestre senza poter
praticare i diritti civili. Donne infibulate,
bambini sfruttati, uomini imprigionati per reati
d'opinione o condotti al patibolo per l'impiccagione,
milioni di vittime di tirannie feroci. Gente che
attende l'avvento della libertà dopo aver
intercettato - con una parabola rudimentale -
una civiltà che fabbrica eroi, ma solo
di celluloide. A chi giovano le discussioni accademiche
nei salotti-bene? E' tempo di dare voce all'esercito
del silenzio.
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