Un'aquila di mare,
planata dagli strapiombi d'una valle, squarcio lungo le
pendici d'una catena ad arco rosicchiata alle spalle dal
ghibli: vento mestruale, che invortica le cime e a
precipizio cala fra gli sterpi, sulle giummare, fra le
tartane. Lo scirocco fa lo sterrato rosso, brucia la
terra, la calcina, la impasta a rocce metamorfiche:
blocchi colossali, orrendi e spigolosi di profili biblici,
scabrosamente pencolanti, ma che dilavano a un nord d'acquamarina.
Vista
dall'alto, dall'occhio d'un deltaplano, dalla scaletta d'una
mongolfiera, o semplicemente dal belvedere, Castellammare
del Golfo non appare una rocca di vento, ma un'aquila di
mare. Votatasi a tramontana per sfuggire allo scirocco;
un'aquila che non ha scelto però il volo, un volo cieco
nel Tirreno, ma la riva, planandovi distesa ad ali aperte.
Sicché lo scirocco, sempre in agguato dallo squarcio, a
volte la raggiunge, ne sommuove il sangue ancorato, la fa
ansimare: dal corpo spiegato dell'aquila partono allora
cavalloni, e guadagnano il largo: è come se il mare
prendesse le ali e divenisse un Icaro, un enorme morto a
galla sfrangiato di bianco.
Rostro
dell'aquila è il castello, fortezza di punta su una
lingua di terra squadrata a banchina, mercato anticamente
di tonni e di paranze, poi di vino, più di recente di
marmitte; una vecchia fortezza espugnata dai venti, mai
dal mare, ma dal mare allacciata, ora tempestata da un
diluvio di schiuma, ora marezzata da dolce chioccolio:
oggi e ieri, quando le regine del castello, scese alle
vasche della prima cinta, prestavano loro fianchi e
caviglie, sotto un mare di trine e di granchi.
Il
fortilizio del castello abbraccia la vasta linea dell'orizzonte,
delimitato ad Est da punta Raisi, a Ovest da capo San
Vito. Sui due lati del castello-rostro, le rientranze
delle ali distese sono, per conformazione concava, rade
marine. Sul lato orientale 'Cala Petrolo', foderata ad
arco da moderni bastioni. (Più a oriente la costa si
frastaglia, per poi slargare nella 'plaja', più d'un
chilometro di spiaggia dorata e odorosa, fino alla foce
del fiume San Bartolomeo, l'antico, mitico Crimiso.)
Sul lato
occidentale 'Cala Marina', piccolo golfo nel golfo, a
ferro di cavallo, che parte dalla banchina ai piedi del
castello, prosegue con una spiaggetta a mezzaluna di rena
granellosa, carica di esche, di cromosomi animali, una
spiaggetta dove da sempre si allineano come sarde al sole
i barconi della pesca, ieri più fitti, oggi spulciati e
per lo più in riparazione. La cala prosegue sull'altro
versante con la scogliera bassa dei 'Cerri' dove sporge
la gibbosità dello 'scogghiu chianu', scivoloso di
polipi e di lippo, e termina con un molo foraneo che
chiamano porto, già lanterna vecchia, una muraglia d'approdo
artificiale che avanza dritta nel mare per un paio di
centinaia di metri, simile al braccio d'una gru ammarata.
Più
avanti la costa diviene ripida, alterna fazzoletti di
sabbia a piccole rade scagliose, raggiungibili solo dal
mare, piega infine verso nordovest fino a un promontorio
declive di rocce scistose e traforate, che formano un
sottopassaggio naturale; a seguire un arco; infine uno
scoglio aguzzo. Località 'In testa alla porta'. Giacché
è un varco di salvezza, la svolta a gomito per chi,
provenendo dalle acque burrascose del golfo aperto (avviene
di colpo, proditoriamente, a ogni giro imprevedibile di
vento), ritrova un mare abbonacciato, la linea del porto,
i frontoni a botte dei magazzeni sulla riva, le case a
scalea, bianche e floreate, la chiazza verde e
balaustrata della villa, l'occhio attraccato del castello,
la sommità della chiesa Matrice.
Per chi
viene dal mare, Castellammare del Golfo è un veliero
galleggiante, visto lateralmente, in tutta la sua
lunghezza inalberata. A più alberi. Le case digradano,
al pari esatto della velatura d'un veliero, in linee
scalari, ventose e mai scompigliate, mai ammainate.
A
partire dai tetti più alti: gli alberi di mezzana, di
maestra e di trinchetto; lungo i pennoni del primo: a
scendere: controbelvedere, belvedere volante e fisso,
contromezzana, mezzana; lungo il secondo, dall'alto:
controvelaccio, velaccio fisso, gabbia, maestra; lungo l'ultimo:
controvelaccino, velaccino fisso, parrocchetto,
trinchetto; fino alle sartie della scalinata sulla marina;
fino ai magazzeni di fiocco e controfiocco. Spiccano, nel
mezzo della velatura, gabbia e parrocchetto volanti: in
realtà un folto di palme e fusti secolari: la villa: né
forse è un caso che questa ospiti pappagalli i più
strani, veri parrocchetti, e preti al sole.
Visto
dal mare, il castello è un naviglio a sé: un brigantino
goletta forse, o uno sciabecco, che pare abbia combattuto
cento battaglie di costa, senza mai salpare. Questa,
forse, la nostalgia più acuta di quelle pietre, pietre
sveve su fondamenta arabe: sciogliere gli ormeggi,
azzerare la vertigine, le promesse d'un orizzonte
irradiato e irraggiungibile.
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