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Cap. XIQuel che passò fra don Giovanni e donna Elvira. Nel firmamento erotico di don Giovanni la stella - diremo poi di che grandezza e di che genere - di donna Elvira, fu preceduta nel suo apparire da un satellite: anche le cameriere sono satelliti, e anche esse non splendono di luce propria. Così sentenziò il Maggiordomo, quando la messaggera di quella dama si presentò recando in nome della sua padrona un gran fiasco di vetro finemente intagliato e arabescato, contenente un prezioso rosolio di cacao, confezionato - disse - dalle monache di Santa Teresa. - Roba un po' troppo dolce, - risentenziò l'esperto - ma finissima: buona per dame e per astemi. I1 mio padrone lo gradirà moltissimo. Io trovo ottimo il contenente: è certo un Murano dello scorso secolo. Il nome della vostra padrona, per sapere a chi dobbiamo essere grati del presente ? - La mia
padrona è donna Elvira Soldevilla, la moglie del primo notaio dello stato, per
le province d'Andalusia. -
Importante. Apprezzo i personaggi di una certa gravità. L'atto privato della
moglie di chi fa tanti atti pubblici, ci lusinga. Ringraziatela da parte nostra
e arrivederci. - Un
momento. La signora ha scritto al vostro padrone chiedendo di parlargli di un
affare urgente. Ora vuol sapere quando dovrà venire. - Conosco
coteste urgenze. Ma il mio padrone è molto occupato. Ditele di provare a venire
lunedì prossimo, a undici ore antimeridiane. Il lunedì,
all'ora indicata, don Giovanni era però impeditissimo: la sua testa stava sotto
gli arnesi del barbiere e le sue mani sotto quelli della manicure. Come se ciò
non bastasse, era anche di pessimo umore. Quando il Maggiordomo entrò annunziandogli
donna Elvira Soldevilla, egli domandò seccato: - Cosa
vuole? -- Affare
urgente. Ve ne avevo parlato, non ricordate? - Sì, ma
tutte queste donne mi annoiano. - Di già?
Signore, è enorme ! Voi farete sdegnare la Fortuna; che è dea capricciosa,
dovreste saperlo! Siete l’uomo più amato e più ricercato del mondo, io
credo, e ve ne rendete immeritevole col vostro brutto carattere. A parte i
sentimenti, però, io vi ricordo che non potete venir meno ai dettami della
cortesia, i quali esigono che si sia sempre gentili con le dame. - Se la
cortesia minaccia di soffocarmi, io finirò di essere cortese. Mi pare più
necessario essere leali e naturali. Mi accorgo che in tutto quello che tu mi fai
fare manca appunto la naturalezza e la lealtà. - La lealtà
è retorica, mio signore, e la naturalezza è barbarie: l’uomo
civile
non può essere leale, perché rischia la libertà o la vita solo a dire
al primo ministro "siete un ladro" e al re: "siete un
imbecille" ; né può essere naturale, perché si farebbe cacciare in un
ospedale di matti ad andar nudo per via o a prendere la donna che gli piace
ovunque la incontri, o peggio ancora a dare un calcio a quella che non gli
piace. -
Va bene, sarò ancora cortese. È bella, questa signora ? -
Tutte le signore hanno diritto ad essere belle, per lo meno fino ai
cinquant'anni, e un cavaliere compito deve inchinarsi a questo loro diritto. Pel
caso in particolare, vi assicuro che donna Elvira ha molti numeri. I1 barbiere
e la manicure avevano frattanto terminato la loro bisogna. Don Giovanni ordinò
: - Falla
entrare. Donna
Elvira fu introdotta nel salottino, che in francese intraducibilmente si
chiamava fin da allora boudoir.
Essa
aveva il viso nascosto da un velo, il corpo da una sontuosa mantilla. Entrò
d'impeto e cominciò a parlare in tono piccato: - Quello
che mi avete scritto e poi fatto dire per mezzo della mia cameriera, non è
dunque la verità, se adesso avete creduto potermi lasciare senza riguardi ad
attendere più d'un'ora in anticamera. Non solo io sono una dama, ma anche una
moglie onesta, e vo trattata coi guanti. Sono entrata adesso per dirvi il fatto
vostro, mio poco garbato signore. Di certo voi siete abituato a facili amori con
donne facili e presumete
trattar tutte ad un modo. Don
Giovanni colse il tempo per profferire un : - Ma... - No! -
l'arrestò donna Elvira togliendosi il velo - Non pretendo che mi domandiate
scusa. Mi basta solo avervi fatto capire chi sono. Ed ora addio, conte: io me ne
vado e spero non incontrarvi più sui miei passi... Del resto, ero venuta per
dirvi nient'altro che questo: non cercate di turbare il mio cuore, di fare anche
di me, col fascino menzognero delle vostre lusinghe, una creatura perduta.
Finora io mi sono negata all'amore che voi mi
avete chiesto... ma una povera donna debole non sa, non
sa fino a qual punto può resistere!... Don
Giovanni approfittò della seconda pausa per dire immediatamente : - È stato
il mio Maggiordomo a rispondere ringraziando a voce del vostro rosolio, e quanto
a me non ho che sottoscritto una copia dei moduli formulati pure dal mio
Maggiordomo per accusare ricevuta della vostra lettera. Donna
Elvira insorse drammaticamente, lasciandosi scivolare nell'indignazione la
mantilla da le spalle : - Rendetemi
quella lettera, quel pegno di dannazione di cui mi pento, dovuto a un'ora di
follia. Quale donna non si smarrisce un istante ? Non abusate di me, ne fo
appello al vostro onore: quella lettera... Don
Giovanni cercò in un mucchietto di carte sul suo scrittoio, ne prese una: - Eccovela.
Rimandate la cameriera e vi farò rendere anche la bottiglia. L'impeto di
donna Elvira cadde d'un subito, come una folata di maestrale. Giunse le mani,
curvò le spalle, per poco non sbottò a piangere: - Mio Dio,
don Giovanni... vi ho offeso... perdonate! Ho torto... voi
non
immaginate il tormento del mio cuore... Il pensiero di essere amata da voi
suscita un conflitto nell'animo mio... Ho mentito, sì, vi confesso d'aver
mentito… Da quando vi ho visto la prima volta il mio cuore vi appartiene. Mi
credete adesso ? - Si, ma
io... Donna
Elvira, in uno scatto che parve d'uragano gli si slanciò al collo
appendendovisi con le braccia, e lo coprì di baci: - Caro,
caro, idolo, sì, t'ho capito! Non dirmi più nulla. Non vedi che sono qui tutta
tua? Non badare alle sciocchezze che ho detto... i tuoi capricci sono sacrosanti
ed io mi ci sottometterò. Io resterò sempre qui, presso di te, non rivedrò più
quel mio odioso marito! Se tu sapessi che cosa insopportabile per una donna di
fini sentimenti vedersi accanto a letto sempre un uomo in berretto da notte!
Con certi gusti, poi! Mangerebbe sempre ulive! E, quasi non bastasse, quella sua
mano... Ci ha al pollice e all’indice delle macchie d'inchiostro che niente
riesce a cancellare: come se scrivesse con le dita! Tu invece sei perfetto in
tutto! E' vero che porti spesso un giustacuore intessuto con capelli di tutte le
donne che hai amato? Me lo mostrerai, no? e sceglierai tu stesso la ciocca dei
miei. Qual'è la donna che hai amato di più? E' vero che la czarina ci ha un
neo sotto il seno sinistro? Quale è la più bella delle figlie dell'imperatrice
di Austria? Dicono che una sia storpia. Ti piace la mia caviglia? Vedrai che
eleganza saprò sfoggiare io qui, in casa tua! Resterò un pezzo; non torno più
a casa: ho pensato già come collocare mio figlio... - Voi avete
un figlio? - esclamò don Giovanni, tornando a galla da quel diluvio - E sareste
capace di abbandonarlo per un uomo che conoscete appena? - Ti
sorprende? Ti turba? Oh, caro! come sei complicato! Ma tu sei il mio primo vero
amore, vedi ? Mio figlio potrò riaverlo quando voglio. Se sapessi che bellezza
di bambino! In quel
momento si udirono fuori, dall'anticamera, delle voci concitate. La donna
tacque e tese l'orecchio, finché non si aprì la porta e si presentò il
Maggiordomo. - Signore,
- annunziò egli - ai nodi d'amore si mischia talvolta qualche altro nodo che
viene al pettine: un nodo coniugale. -
Che c'è? - domandò don Giovanni. -
Domandate piuttosto chi c'è. C'è chi, unito alla metà che avete
accanto, forma l'intero. Donna Elvira fece una faccia difficile a definire se atterrita o incuriosita. - Don
Gonzalo ! - Un bel
nome da marito. - chiosò il Maggiordomo. Don
Giovanni balzò: i suoi occhi si animarono, le sue guance si colorirono un poco. - Un fatto
nuovo e diverso, allora? Mi piace. Donna Elvira, tu, dunque, sei mia. Vuoi
restare qui o preferisci ritirarti in quell'altra camera? è la mia camera da
letto. - Sì, -
decise la donna, teatralmente agitata - vado di là. Che orrore! Ma non
l'ammazzare... saremmo rovinati. E in fondo non è cattivo. Riprese
velo e mantiglia e s'involò nella camera indicatale. Don Giovanni andò a
prendere, da una sedia ove era deposta, la sua spada e aspettò, con la mano
sull’elsa. Intanto il Maggiordomo, impugnata pel collo una bottiglia, che
teneva in una delle grandi tasche della sua palandrana, andò per introdurre
l’ospite indesiderabile, dietro il quale già stavano, sorvegliando i suoi
movimenti, due servi, l’uno armato di una scopa, l’altro di un battipanni. Don Gonzalo
Soldevilla, uomo sui quarant'anni, magro, un po' lugubre nel suo abito nero, si
guardò attorno, allarmato da quegli atteggiamenti bellicosi. - Vorreste
anche assassinarmi? - domandò con voce sorda. - V'ingannate.
- rispose don Giovanni, eccitato e pronto all'evento ignoto che si aspettava -
Noi saremo uomo ad uomo. Voi avete una spada al fianco, io ho la mia. Ordino ai
miei uomini di ritirarsi e lasciarci soli checché avvenga. - Io non
vengo per un duello. - disse modestamente don Gonzalo. - E allora
beviamoci sopra. - concluse il maggiordomo rassicurato: e portò alla bocca la
bottiglia che non serviva più da arme. Poi egli e i due servi si ritirarono. - Se amate
tanto la vostra vita e non vi serve la mia, - domandò don Giovanni un po'
smontato - che cosa volete? - Non è
difficile capirlo: - rispose timidamente il primo notaio d'Andalusia - ridatemi
mia moglie. Don
Giovanni volle allora provarsi ad essere crudele. - Oh bella!
e perché? - Non so
vivere senza di lei. -
Guarda! Mi viene la voglia di fare lo stesso esperimento: se interessa
tanto a voi, può darsi che interessi anche a me. -
Per voi non può essere lo stesso.
Se le togliete una parte di quei bei capelli, che è posticcia, e il bistro di
sotto gli occhi, e i colori del viso, vedrete che non è bella. - Non
monta. Le bellezza è monotona. Ho desiderio di una donna brutta. - Quando ha
i nervi, diventa anche volgare. Mi à rotto non so quanti specchi... non cura la
casa… Quello che spendo per lei non basta mai. - Non ò
visto finora donne di questo genere. Può darsi che mi diverta. - Ne avete
tante per voi! Che cosa v'importa di una piccola donna? Io non ho altro che lei.
Lasciatemi il mio lumicino, voi che avete tante stelle. Il giovane
volle ancora reagire alla debolezza che cominciava a vincerlo. - Chissà
non sia piacevole spegnere il lume degli altri... Ma infine perché ci tenete
tanto? -
Signore…. è la madre di mio figlio. Don
Giovanni ammutolì. - E il
bimbo - proseguì il notaio con voce sempre meno sicura - non sa vivere senza di
lei, e non ama me che attraverso sua madre. Ciascuno di noi è indispensabile
agli altri due: io servo soltanto a farli vivere, a pagare loro il necessario
e alcuni capricci... ma senza di essi che cosa sarebbe della mia vita? Don
Giovanni lo guardava continuando a tacere. - Egli
capisce molto più che per la sua età. Ha cinque anni. Un suo fratellino, che
oggi ne avrebbe sette, è morto quando egli stava per nascere. Che dolore,
sapeste! E lui ora è se stesso e quell’altro in uno per me e per sua madre.
Ha capito che essa da alcuni giorni ha perduto la testa per voi, ed è inquieto
e triste. Ogni volta che la vede uscire, piange... - Stupido,
cosa vieni a raccontare, adesso? - gridò la voce di Elvira. I due si volsero e
scorsero la donna sull'uscio della camera da letto. Essa proseguì: - Chi
l’ha detto che il bimbo piange? - L'ho
visto io, - rispose umilmente il marito – l’ho visto io piangere mentre tu
non c'eri. Poco fa sono rincasato e non t'ho trovata e c'era lui che appunto
piangeva, domandando di te a Ines. - A chi
vuoi far credere queste storie? - incalzò la moglie, né più né meno che se
fossero a casa loro e senza testimoni - Petrillo era da mia sorella dove io
l’avevo mandato con Ines per restare lì a giocare con le sue cuginette, fino
a stasera, fina a quando io sarei rincasata. - Petrillo
cominciò a piangere per istrada rifiutandosi di andare dalle cugine senza la
sua mamma. E gridava che la sua mamma era andata via, era partita chissà per
dove, e che egli non voleva, non voleva... E dagli
occhi del primo notaio d'Andalusia sgorgarono e scivolarono giù per le gote due
lucciconi poco consoni alla gravità della sua carica. Donna
Elvira, agitatissima, si mise a pestarsi le tempie coi pugni e a scalpitare come
una giumenta morsa dalla mosca cavallina. - Non è
vero! Non è vero! Mi dici queste cose per farmi tornare a casa! Ma stavolta no,
no e no, sono decisa a piantarti! Prenderò il bambino e me lo terrò qui!... Si udì una
vocetta lontana. - Mamma!
Mamma! Don
Giovanni sentì stringersi la gola sino a soffocarne: gli parve che quella voce
e quel nome uscissero dal fondo del suo cuore, dove dormiva la sua infanzia
deserta. - Petrillo!
- gridò la madre, accorrendo. Sulla porta apparve il bimbo, un bimbo gracile e
quasi femmineo, in braccio alla cameriera, la stessa che era venuta più volte
al palazzo a portare
lettere e doni di donna Elvira. - Mamma! -
invocò ancora il piccino, tendendo le braccia. - Piangeva,
signora, - si scusò Ines - io non ho potuto resistere... sapevo dove
trovarvi... - Ecco la
tua mamma. - disse donna Elvira baciando il figlio - Resterai qui con lei,
adesso, eh ? - No, a casa! - lamentò Petrillo attaccandosi a lei. Don
Giovanni decise in un attimo. - Via,
questo marmocchio! - gridò - Portatelo via, prima che lo faccia volare dalla
finestra! E si mosse,
dando a vedere di voler dare esecuzione alla sua minaccia. - Mio
figlio? - urlò la madre, serrando il piccino fra le sue braccia - Siete
pazzo? Provatevi! Son buona a cavarvi gli occhi, io! - Babbo!
Babbo! - guaì Petrillo - Andiamo a casa!... a casa!... Donna
Elvira, col figlio fra le braccia, scappò di corsa seguita dalla cameriera. Don
Gonzalo, sulla porta, si volse a guardare il suo rivale, feroce odiatore di
bambini, e lo scorse pallido e, gli parve anche, commosso. Non certo per la
fallita conquista di sua moglie. Sentì il
bisogno di fargli un cenno di ringraziamento e di saluto. Cap. XIIPrimo incontro di don Giovanni con Consuelo. I.'
episodio di donna Elvira, nella vita amorosa di don Giovanni, agli occhi del
Maggiordomo, non rappresentò che un passivo; e questi non mancò di dolersene
col suo socio. -
Caro il mio signore, se per la città si sparge la notizia
che voi fate diventare, a forza o con gherminelle, oneste le donne che non hannovoglia
di esserlo ed eccitate il sentimento materno delle mamme che
stavano per metterlo da parte, il nostro prestigio andrà in ribasso. A meno
che non ci decidiamo invece ad aprire una scuola femminile di morale
cristiana. - Io non
saprei trattare come una donna di piacere una madre. Mi sembrerebbe di offendere
anche nelle carni l'innocenza del figlio. Mi ripugna già ingannare e tradire l'
uomo che à fede nell'amore e nella purezza della propria donna. - Secondo
voi, allora, le donne con cui divertirsi dovrebbero essere soltanto le prostitute e le
ragazze. Ci sarebbe da star freschi! - So bene
che quel che si fa non è quello che dovrebbe farsi. Eppure, tanto la morale
religiosa quanto le leggi civili dànno ragione ai mio sentimento: l'adulterio e
la prostituzione delle madri sono vietati e puniti. E' infame la moglie che mescola
alle carezze del fiducioso marito quelle recenti di un amante, ed è ancora più
infame la madre che bacia il figlio con la bocca ancora immonda di una avventura
sessuale. A queste
parole il Maggiordomo diventò serio e appuntò gli occhi su un pensiero. Reagì
presto, per concludere, riprendendo la solita faccia: - Vi eviterò
le giovani madri, va bene? e possibilmente le giovani mogli. Ma penso che ci
restano anche le vedove: per quelle non avrete nessuna pregiudiziale, spero. E'
un campo dove si può mietere in pace con le leggi e con la religione. Non siamo
in grado di garentire che il Maggiordomo mantenesse questo suo impegno e che
da parte sua don Giovanni esigesse da ogni signora che conobbe la certificazione
del suo stato civile. Fatto si è che l’improvvisato professionista della
galanteria si mostrava riluttante a ogni incontro con nuove signore, ma
preferiva andare ogni tanto a fare una visita a Estrella, dalla quale in verità
era incessantemente sollecitato. Non per
questo, però, venivano meno, le lettere e i doni delle ammiratrici; anzi
aumentavano. Il vedersi neglette, accresceva e perfino esasperava in
esse il desiderio di essere considerate, ritenute
degne d'attenzione e di qualcosa di più. Don
Giovanni cominciava a metter fuori, oltre l’indole proclive alla mestizia e al
mutismo, un temperamento autoritario e intollerante che spesso sconcertava il
suo Mentore, pur così pieno di risorse. Costui non aveva mezzi di convincerlo,
quando egli s'impuntava a non voler fare qualche cosa che, a giudizio del suo
fedele, sarebbe stata utile all'azienda familiare, o a volerne fare qualche
altra poco opportuna o disutile affatto. Non voleva
saperne, per esempio, di frequentare locali pubblici. Una volta sola, che andò
a una tertullia per secondare il desiderio di Estrella, vi furoreggiò al
suo apparire fra il pubblico femminile; ma la piantò in asso, quando si vide
fatto segno a cento inviti a danzare da dame e damigelle, e ridotto a confessare
di non saper ballare: verità che non fu creduta, ma che mortificò tutte le
invitanti che si ritennero rifiutate per disdegno. Amava, invece, andare spesso a teatro, tanto all' opera quanto al dramma. Ma vi si recava in istretto incognito, in palchetti chiusi da gelosie, ove soltanto il personale di servizio del teatro lo vedeva entrare, senza sapere chi fosse. Era così al sicuro dalle indiscrezioni, e per maggior cautela vi arrivava a spettacolo cominciato e ne usciva qualche minuto prima della fine. Una notte
tornava dall'avere assistito alla rappresentazione di Amare oltre
la morte di Calderon de la Barca, di cui era rimasto
profondamente commosso. Lo seguiva il suo Maggiordomo, che dopo aver tentato
invano più volte di attaccare discorso toccando vari tasti, si era rassegnato
alfine a restare, silenzioso anche lui, alle sue calcagna e
ad abbandonarlo alle sue meditazioni. L'aria era
frizzante e così ventosa che pareva che sotto te raffiche anche le stelle in
cielo, come i rari fanali per le strade, oscillassero e stessero ogni tanto per
spegnersi, e che accelerasse il suo corso tra i cavalloni argentei dei cirri, la
navicella della luna. A un tratto
il silenzio fu lacerato da un grido, che scosse il meditabondo. Seguirono passi
affrettati e un parlar concitato di tre voci, l’una femminile - la stessa
che aveva gridato - le altre due, rauche e sgarbate, maschili. I riflessi di un
lontano fanale acceso
dinanzi a un tabernacolo, permisero di intravedere delle ombre umane
inseguentesi. - Dammi il
mio poco denaro Jaime! - diceva la
donna,
correndo dietro ai due uomini - Datemi il mio
denaro, Josè! Perché volete negarmelo? Non ho altro io...
mi spetta! - Va all'
inferno! - rispondevano gli uomini, soffermandosi a respingerla e proseguendo
poi a passo più rapido - Legati un macigno al collo, piuttosto e poi buttati
al fiume. - E' un'
infamia! - gridò ancora disperatamente la donna - Siete due ladri! Don
Giovanni vide le due ombre maschili volgersi verso la donna, correrle addosso,
sferrarle mia scarica
di manate al viso e alle braccia che essa protendeva per farsene scudo. Subito
risonarono acute grida di dolore. Fosse
effetto del suo stato d'animo dopo il dramma, fosse la suggestività della
notte, delle strade solitarioe del vento, don Giovanni aveva sentito già il
primo grido femminile scendergli nelle viscere come una lama acuta, a ferirlo.
La brutale scena di violenza, ora, gli fece perder la testa. D'impeto,
senza riflettere, si slanciò, col suo spadino sguainato. Prima che i due uomini
avessero il tempo di mettersi sulla difensiva o di contrattaccarlo,
una gragnuola di piattonate, simili a colpi di sferza, si abbatté sulle loro
schiene e sulle loro spalle. Gridando a lor volta, non seppero far di meglio che
scappare a rotta di collo, per scansare il peggio, tanto più che un altro uomo
accorreva di rinforzo al loro assalitore, agitando un bastone. Era il
Maggiordomo, che viceversa interveniva per calmare i bollenti spiriti del suo
padrone, nella tema che il mettersi a tu per tu con dei malacarne in un
quartiere malfamato potesse attirare contro l’inesperto cavaliere, e per
riflesso contro di lui, qualche guaio più grosso. Ma il fatto
era fatto: gli avversari volti in fuga, don Giovanni padrone del campo aiutava a
rialzarsi da terra la donna ch'era caduta, nel trambusto. - Vi hanno
fatto del male? - le domandò egli, tirandola sotto la lampada del tabernacolo,
per constatarlo. - No, no...
qualche ammaccatura... - rispose essa - ma non è niente. Grazie, grazie!...
Siete stato tanto buono... Che voce
dolce e musicale! una voce di contralto, che aveva toni di campana in sol.
Non corrispondeva all' aspetto estremamente modesto
della donna, coperta di uno scialle di seta, ma sbiadito e un po' logoro, né
alla sua età poiché al lume la sua testa apparve d'argento. Pure, proprio
vecchia non era,
se i suoi grandi occhi azzurri conservavano tanta luce e le sue membra smagrite
un'agilità e una scioltezza, avanzo di una giovanile eleganza e leggiadria di
forme. Le guance erano però vizze e cascanti benché la luna le incipriasse e
il fanale le avvivasse di una sfumatura di rossetto. Anche lei
alla doppia tenue luce scorse le fattezze del giovane e le fissò
attentamente. Le fissò con un' attenzione che poteva sembrare indiscreta
e sfrontata. - Chi siete,
signore? - gli domandò. Egli non le
rispose che con un'altra domanda: - Quei due
cialtroni vi hanno derubata, dicevate? Siete senza denaro? Essa
insistette: - Vi
supplico, signore, ditemi chi siete. Vorrei sapere il nome di chi mi haà
soccorsa, per raccomandarlo alla Madonna nelle mie preghiere. Frattanto
era sopravvenuto il Maggiordomo e aveva subito riconosciuto la donna. - Ah, è
Consuelo. Tu preghi ancora, amica? Ma gli abitatori del cielo non pare che ti
abbiano dato fin'oggi ascolto, se ti hanno ridotta in istato fallimentare. O hai
cominciato a pregare troppo tardi? Consuelo gli
rivolse un' occhiata fredda, e rispose con risentimento appena dissimulato: - Non è mai
tardi per rivolgersi alla Provvidenza divina, e se essa non ci ha ascoltato
per venti anni, basta che ci ascolti un minuto, anche in punto di morte. Io
chiedeva... - Il nome
del mio padrone? Egli è don Giovanni. Ma non à bisogno di nessun servizio.
Buona notte. - I1 tuo
tono con questa povera donna è antipatico – disse don Giovanni con asprezza
- Noi non l’abbiamo aiutata per avere il diritto di trattarla così. - Don
Giovanni ! - mormorò Consuelo, delusa - Questo nome ricorda tante cose tristi!
Esso non vi si adatta, signore. Il giovane
avvertì uno strano sbigottimento a queste parole. Guardò di nuovo la donna,
che continuava a scrutarlo coi suoi occhi così azzurri e così giovani nella
faccia avvizzita. - Non mi
avete risposto - le disse - se quei due figuri vi hanno tolto del denaro, se ne
siete rimasta senza... - No, no,
non me l’hanno tolto; - rispose essa evasivamente - non me ne hanno dato, ecco
tutto... Ma che importa? Debbo a loro, così, di avervi conosciuto... di potervi
ringraziare... del bene che mi avete fatto... - Voglio che
prendiate questo. - disse lui, mettendole in mano la sua borsa. - Oh,
signore! - esclamò la donna con voce improvvisamente piena di pianto - Che
volete fare? troppo... Io non lo merito... Vi diranno tutti che non lo merito...
I1 vostro denaro è nobile e nelle mie mani s' imbratta ... II giovane
ebbe uno scatto quasi violento. - Nobile?
No, no, non è nobile ! Diventa un po' migliore quando me ne disfaccio. Prendetelo, via! -
Consuelo prese la borsa, poi ratta si chinò a baciare la mano che glie
l'aveva data e s'allontanò. -
Buona notte. Dio vi benedica ! Don Giovanni
rimase un momento immobile a seguire con gli occhi la sua ombra che svaniva. - Vogliamo
andarcene a casa, signore? - gli disse la voce del buon senso, cioè del Maggiordomo
- Questi luoghi non sono dei più sicuri; e se i due malandrini di poco fa pensassero di ritornare con
rinforzi per la rivincita rischieremmo una brutta partita. Si mossero,
in silenzio. Dopo pochi passi don Giovanni disse : - Consuelo.
Che bel nome, invece, ha lei ! Tu la conosci? E' chiaro che tenevi molto a farmi
sapere che non gode la tua stima. Chi è dunque? dimmelo pure. -
Una procuratrice. -
Che vuoi dire? -
Una che, non potendo più dare direttamente, procura quel che occorre per
fare felice un giovanotto. -
Possibile ? con quegli occhi e quel
viso, stanco, ma ancora bello e sopratutto pieno d'espressione. Oh, il viso era più bello anni fa, e gli occhi e l'espressione e tutto il resto si dice che abbiano furoreggiato. Ma ogni cosa mortale passa, e la bellezza e la gioventù non sono che la parte più breve della vita, secondo il computo di Aristotele. Non dissero
altro, e ripresero la via verso il palazzotto. |
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