Cap. XIII - Cap. XIV
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Cap. XIII

In cui don Giovanni si accinge a emulare davvero don Giovanni.

 

- Mio signore, - disse un bel giorno il Mag­giordomo a don Giovanni - ho la netta impressione che noi andiamo difilati verso la borghesia.

- Perché?

- Non verso la borghesia ceto, ma verso la borghesia simbolo. Per il ceto borghese, al quale mi onoro di appartenere, io ho anzi la massima stima: checché se ne dica dagli ignoranti, la borghesia ha dato e dà il maggior contributo spirituale alla civiltà umana: medici, chirurghi, pedagoghi, causidici, ma­gistrati, ingegneri, notai, speziali, sono in massima parte borghesi. Borghesi in massima parte artisti, letterati, filosofi. Borghese fu Omero e fu Esiodo; borghesi furono Euripide, Socrate, Platone, Aristo­tele, Virgilio Marone, Orazio Flacco, Ovidio, Lucano, Seneca, i padri della Chiesa, Dante Alighieri, Ario­sto, Tasso, Donatello, Leonardo da Vinci, Michelan­gelo, Raffaello Sanzio, Tiziano, Velasquez, Rubens, Rembrandt, Murillo, Rabelais, Corneille, Molière, Racine, Pascal, Descartes, Shakespeare, Galilei, Newton, Monteverdi, Scarlatti, Bach...

- Concludi.

- E quando la storia non si scriverà più se­condo la cronologia dei sovrani e dei guerrieri e non sarà più fondata sulla narrazione di quei successivi massacri che vengono chiamati guerre, né sulla cosidetta gloria di quei masnadieri in grande stile che vanno sotto il nome di uomini di stato e di grandi capitani, ma si comincerà a scrivere per ricordare ed esaltare il progresso intellettuale umano attraverso le grandi opere, le invenzioni, le scoperte, i viaggi, le azioni di bene, di bellezza e di utilità, allora apparirà chiaro che la borghesia è stata il fiore della società, mentre l’aristocrazia, tranne poche eccezioni, non ha prodotto che i già mentovati capi di stato, ministri e generali. Ma di ciò parliamo piano, perché se dei malevoli ci odono rischiamo di finire in galera o sul patibolo: certe verità costano troppo care! Parliamo invece a voce più alta della borghesia-simbolo, di quella che, secondo la discu­tibilissima opinione del volgo, rappresenta l'antitesi dell'eroismo e del genio non solo, ma anche del coraggio, della bravura, del talento, dell'avventuro­sità e della personalità. Io nego che borghesia sia questo assortimento di virtù o pregi negativi; ma se fosse, ebbene, signore, direi che voi e io c'imborghesiamo maledettamente.

- Io non me ne accorgo. Ho per ora soltanto la sensazione di recitare una parte che non mi si attaglia, questo sì.

- II buon attore recita bene qualunque parte. Voi dovete essere un buon attore se avete avuto già l’ispirazione di uscire dalla vostra vita : dovete sforzarvi a esserlo, una volta che avete me al fianco. Concedetemi di essere immodesto. Giovatevi del sug­geritore che vi ha inviato il destino e datemi ascolto. La parte è bellissima: solo occorre mettercisi dentro un po' più completamente. Perché l’interesse del pubblico non diminuisca, noi dobbiamo ricorrere ai colpi di scena. Anche l’autore più castigato non ne risparmia. Dopo un esordio brillantissimo noi, invece, siamo andati avanti per forza d'inerzia, affidandoci al caso. E' vero che io l’ho aiutato, vostro malgrado, ma in misura borghese. Ecco che c'entra la bor­ghesia-simbolo. Ora non si tratta, non deve trat­tarsi più di ciò, e il buon senso mi obbliga a met­tervi dinanzi un aut-aut: o fare un affarone, spo­sandovi con una delle più ricche ereditiere di Spagna, o lanciarvi in qualche avventura magari scandalosa, che provochi gran chiasso e aumenti il nostro credito.

- E tu chiami questo «buonsenso» ?

- Diamine! Il buon senso non è pantofolaio, non va sempre terra terra: c'è il buon senso del contadino, quello dell' artigiano, quello del profes­sionista eccetera eccetera, e c'è anche quello del­l' uomo di genio. C'è il buonsenso alato. Non è un tratto di buonsenso il proverbio dei nostri antichi (voi sapete che i proverbi sono le gemme di cui il buonsenso s'incorona) che dice: audaces fortuna juvat? Signore, voi siete don Giovanni: ma finora non avete fatto nulla di simile a quello che fece il cavaliere di cui prendeste il nome e che volevate provocare la notte del vostro arrivo a Siviglia, ricor­date? Quegli uccise padri, fratelli e mariti delle donne di cui s'incapricciò, derise e burlò in malo modo fidanzati ed amanti, pose lo scompiglio in non so quante case dabbene, mandò a rovina parec­chie famiglie, eccetera eccetera. Noi siamo ancora ben lontani dal meno importante di questi fatti. La nostra fama finirà presto con lo scapitarne. Le donne, e anche gli uomini, si attendono da noi qualche cosa di grosso, d'insolito, di scandalistico. E' un impegno morale che abbiamo, a cui non possiamo venir meno senza diventare banali e farci ridere dietro.

- Senti : - rispose seriamente il giovine – oltre il piacere sensuale che questa mia vita mi procura e un certo benessere esteriore, io nulla vi ho tro­vato e vi trovo che mi appaghi in altre mie aspi­razioni, più serie e più profonde che non ti dico. Speravo, e spero sempre, come tu stesso mi facesti intravedere, trovare un indizio sulle mie origini, rin­tracciare mia madre, rivedere la fanciulla che è rima­sta fissa nel mio pensiero. Ma quanto alle emozioni nuove, quelle che possono fare degna di essere vis­suta una vita anche breve, no, ancora no, io non ne ho provate, tranne un po' d'amarezza, diversa da quella che m'accompagnò fino alla mia fuga dal convento, ma sempre amarezza; un po' di disgusto dinanzi a certe realtà che non avevo mai immagi­nate. E' per questo che, se tu hai ideato qualche cosa di nuovo e di meno vile di quel che mi son ridotto a fare, se non si tratta di una delle solite donne da lusingare o da soddisfare, qualunque sia il rischio che bisognerà correre, io l’accetto.

- Ora sì che parlate bene. Riconosco che avete dei momenti oratorii felici; peccato che siate più intuitivo che concettoso. La filosofia e le scienze esatte, tra cui primissima la scienza del vivere, non sono materie vostre. Riuscirete sempre più facilmente a commuovere che a convincere, a suscitare un'e­mozione che a risolvere un teorema. Ecco perché stiamo bene insieme e ci completiamo. Bisogna però che vi rassegniate a porre in pratica i miei postulati. A noi! Io vorrei che vi decideste a mettere le mani su qualche dama o damigella importante: su una vedova, per esempio, come la marchesa di Vera Cruz, o su una dama separata dal marito come donna Anna d'Acuňa, oppure sulla giovane Solar del Rio...

- Non conosco le prime due, e non m'inte­ressano affatto. A Solar del Rio ho già scritto.

- Scritto? Per Bacco! benissimo! e...

- La lettera è pronta: tu la consegnerai, se­condo il suo desiderio, alla sua mandataria, quella strana donna, Consuelo, che me l’ha sollecitata, e che tornerà.

- Benone! Le avete scritto che siete disposto a rapirla ?

- Le ho scritto che vorrei che ella fosse la fan­ciulla che io cerco; e ho trascritto i versi che feci e mandai a quella…

- Miele, miele! Occorreva qualche cosa di più concreto. Se la signorina vi risponderà che non è colei, che farete voi ?

- Continuerò a cercare.

- Evvia ! E se la baronessina del                        Rio, fosse più ricca, più leggiadra, più bella della vostra intro­vabile ninfa?

- Non è possibile che sia più leggiadra e più bella ai miei occhi.

Il Maggiordomo trovò più conveniente arren­dersi, o meglio fingere di arrendersi. Con la rapi­dità d'ideazione che era sua prerogativa, egli fece scaturire un piano da quel breve scambio di botte e risposte col suo padrone. Lasciò che una pausa troncasse l’argomento del Rio, per raccogliersi e attaccarne uno diverso.

- E se io vi dicessi che invece io credo di avere scoperto altrove la pista della vostra incognita?

Don Giovanni lo fissò attentamente per legger­gli dentro.

- E' una delle tue solite magagne?

Quegli sostenne lo sguardo con intrepidezza.

- Le mie magagne, come voi le chiamate, o più semplicemente trovate, come le chiamo io, non sono state finora rivolte al vostro bene? E, nel caso questione, che cosa vi fa supporre che sia di una esse, a scelta di nome ?

- L'intuito: tu hai detto giusto poc' anzi.

- Beh, l’intuito à il torto di fondarsi spesso su un nulla: nasce dalla fantasia dentro di noi e rimane molte volte aereo; mentre il concetto nasce da una verità fuori di noi che noi troviamo: è dun­que, un assoluto, mentre quello è un relativo. Quindi voi rischiate ogni volta di cogliere il segno relati­vamente. Ma tregua alle schermaglie verbali. Mi risulta che nel monastero delle Clarisse è stata rin­chiusa una giovine che fu trovata dai parenti in possesso di una lettera d'amore, scritta in versi e non firmata. Non vi pare una coincidenza merite­vole di chiarimento?

Don Giovanni tornò a fissarlo con la stessa intensità di prima.

- T'ho già detto che sono disposto a tentare qualunque impresa pericolosa, pur di fare qualcosa di diverso. Non è necessario allettarmi col miraggio di ritrovare quella che cerco. Purché tu non m' ín­viti a fare del male a una persona innocente.

- Ohi! ohi! torniamo in convento? Ogni tanto sento in voi parlare ed agire il pio studente di teo­logia. Persuadetevi che non è possibile camminare, e peggio ancora andar di corsa decisi a vincere, nella stretta strada della vita popolata di passanti, con lo scrupolo di non pestare i piedi a qualcuno e di non dare gomitate nelle costole a qualche altro. I riguardi e le debolezze non servono che a farci soverchiare dai più risoluti; e se ci lasciamo but­tare a terra, diventa difficoltoso proseguire e per­fino rialzarci. Noi non faremo male a nessuno, andate là! Aprire il paradiso dell'amore a una donna chiusa anzitempo nel purgatorio, non è farle male: è darle la sua parte di vita. Così faceva, in fondo, don Gio­vanni primo, colui di cui avete preso il nome e il vestito. Procurate una buona volta di prenderne il temperamento. Da parte mia vi garentisco che l'avventura sarà bellissima: penetrare in un monastero di stretta clausura, (dove però, sia detto fra paren­tesi, eccezioni alla regola non sono mai mancate), riuscire a giungere a una novizia, involarla...

- …meritare il capestro...

- Macché! Antiche ubbie! non s'impicca più nessuno per simili inezie. Non fu impiccato il vostro predecessore, né, prima di lui, messer Lutero, che sollevò uno scandalo mondiale, né, prima ancora il monaco-pittore Filippo Lippi con la sua mona­ca-modella Lucrezia Buti... Ma noi faremo chiasso, piuttosto, e la vostra fama ne uscirà ingigantita. Se la ragazza è ricca, come io ho motivo di sperare, voi potrete sposarla...

- Ti ò già detto di non contare su una simile eventualità, se non per la donna che amo.

- Auguriamoci che sia lei. Ma se lei non sarà, la daremo, dopo, in moglie ad un altro, va bene? Troveremo facilmente il cavaliere pieno d'abnegazione che si presti a redimere una vittima di don Giovanni...

- Spiegami adesso come t'è venuta in mente la monaca.          

- Novizia, prego: ancora non è professa, quindi rischio minimo da parte nostra. Ecco qua: essa vi à scritto.

- Quando? Io non ricordo d'aver ricevuto nes­suna lettera da un monastero.

- Una delle tante lettere su cui voi soffermate, che probabilmente avete scorso con gli occhi senza leggerla. Per fortuna, io le conservo tutte, anzi vi confesso che ho l’abitudine di rileggerle dopo che sono passate per le vostre mani. Le rileggo e le valuto. La signorina in questione vi scriveva, dunque, che vi ama, che è pazza di voi, pure con­fessando di non avervi mai visto, chiusa com'è nella badia. Ma aggiungeva che non vi sarà difficile met­tervi d'accordo con la conversa portatrice della let­tera, la quale sarebbe tornata di tanto in tanto per prendere una risposta.

- Ed è tornata?

- Sicuro! Ho visto subito che conversare con la conversa era facilissimo: essa è abituata a sbri­gare ogni sorta di servizi esterni, e anche interni, per le religiose e per le educande: dall'acquisto di libri profani all'introduzione di fidanzati nel recinto del giardino del monastero. E abbiamo preso taluni accordi a vostra insaputa…

- Tu eri certo che io avrei accettato?

- Mio Dio, certo no, perché vi so ancora pieno di scrupoli; ma ci speravo.

- Va bene. Noi andremo a conoscere la novizia... che si chiama?

- Ignoro il suo vero nome, che la conversa ignora. Dice che la chiamano: sorellina Rosario.

- Sorellina Rosario. - ripeté il giovane, un po' colpito. E pensò che quell'attributo e quel nome mal si adattavano all'empietà dell'avventura che si organizzava. Ma era scritto: don Giovanni era stato un empio, ed egli non poteva esserlo meno del suo grande predecessore.

 

 

Cap. XIV

Conversazione nel giardino del monastero.

 

Neppure in Andalusia dicembre è il mese più adatto a godersi all'aperto il crepuscolo e il chiaro di luna ma ha delle notti calde pei venti che proven­gano dalla prossima Africa, e lunghe: quindi più propizie agl'innamorati che non vogliono essere visti. La sera si annunziava calda, malgrado l’immi­nenza del Natale, e nel giardino del monastero delle Clarisse alcune educande e alcune suore potevano attardarsi piacevolmente in attesa della cena e delle preghiere. Era un vasto giardino, un po' cupo, chiuso da un muro alto, ammantato d'edera e di caprifo­glio, con sedili di pietra qua e là, e viali che face­vano capo all'edificio austero della badia e dell'adia­cente cappella. Nel folto di un boschetto, però, si sapeva che c'era la capanna del giardiniere, alla quale era severamente vietato a monache, novizie ed educande appressarsi.

Nel lembo più basso del cielo visibile fra gli alberi s'indugiava una striscia di porpora, ultimo vestigio del giorno trascorso. Più in alto invece, dal buio crescente cominciavano a sbucare grandi stelle tremolanti, mentre declinava, galleggiante in un aereo mare lattiginoso, una grossa fetta argentea di luna.

Su un sedile stavano, con lavori di cucito o di filato in mano, tre educande fra i sedici e i diciotto anni: Clara, Lucilla e Assuncion. Interrotto il lavoro pel buio, chiaccheravano fra loro; di fronte, su un altro sedile, una suora ancora giovane che le sor­vegliava, Dolores, e una novizia, Rosario, che guar­dava il cielo.

- Che gioia - bisbigliava la più birichina, Lucilla, - se questa sera si saltasse la penitenza!

- La penitenza giova all'anima vostra! - rim­beccò severamente la suora, che l’aveva udita.

- Si, - osservò compunta Assuncion - ma non picchiate tanto forte col flagello, suor Dolores, come iersera!...

- Vi diverte guardare le stelle Rosario? - do­mandò la suora sdegnando rispondere.

- Si. - disse l'interpellata, scuotendosi.

- E pensate alle stelle anche nell'ora delle pre­ghiere? - chiese argutamente Lucilla - Iersera non avete saputo rispondere alla litania della morte.

- La morte è eterna sorelle; - rispose Rosa­rio – io credo non fare offesa al Signore levando una preghiera alle cose più belle che egli creò pas­seggere come noi.

- C'è una cosa più bella e più sacra nel mondo: - ­ammonì la suora - il dolore.

- E’ il fratello minore della morte. – osservò Clara.

- Il dolore ci darà la luce dei cieli, - disse Assunciòn - ha spiegato frate Domenico in una pre­dica.

-         La vita per noi non ha luce. - sospirò Lucilla.

-         Eppure - esclamò Rosario con esaltazione - il divino maestro Gesù disse che nella vita c'è una fiamma, e la chiamò Amore. Molto sarà perdo­nalo  disse, a chi avrà molto amato.

-         È vero! - confermò il coro delle fanciulle.

-         - Sulle nostre labbra - ammonì ancora suor Dolores - questa parola è impura: suona peccato!

-         Ma la santa a cui spesso ci rivolgiamo, - soggiunse Rosario - Maria Maddalena, non fu crea­tura d'amore? E Gesù, nella sua infinita clemenza, non la ritenne degna dei cieli?

Suor Dolores insorse con voce aspra:

- Rosario, voi bestemmiate: è il demonio che v' ispira a farvi discutere così sul mistero delle leggi divine! Voi…

Avrebbe proseguito con parole ancora più acerbe, se non l’avesse interrotta a tempo un suono di mandolini, che, varcata l’alta muraglia, scendeva nel giardino palpitando come un volo di falene musicali. Tutte ammutolirono, tendendo involontariamente l’orecchio. Suor Dolores reclinò il capo, si fece il segno della croce e recitò a fior di labbra una preghiera.

- Serenate anche stanotte - bisbigliò Lucilla -­ e più presto del solito.

Chissà se canteranno come ieri - chiese As­suncion - È assai dolce con questo sereno ascoltare; è vero, sorellina Rosario ? Sembra la voce delle stelle e della luna.

- Fa ricordare cose passate e liete… - vaneggiò Clara, un po' rapita.

-         Voi avete tutte qualche rimembranza piace­cevole da carezzare. - disse Rosario, con amarezza.

-         E voi no ?

- Io non ho mai varcato la soglia del monastero. È come se fossi nata qui, sotto un albero del giar­dino. Il mio passato è nebbia e silenzio.

- Forse è meglio per voi, Rosario. - disse la suora gravemente.

- Non sapete confermò Lucilla - quale diffe­renza ci sia con la vita del mondo . . .

- E’ meglio nascere ciechi o diventarci? - domandò Rosario, ironica - io sono nata cieca: voi avete visto il sole e, quel che più conta, ritornerete a vederlo.

- E’ vero: - disse Assuncion            - dev'essere doloroso ignorare quel che c'è oltre il muro che ci sta attorno

E suor            Dolores, severa:

- Qui c' è la cosa più grande, figliole: c'è Dio.

Rosario allora insorse:

- E fuori, sorella, c' è tutto quello che Dio à creato per noi e che noi rinneghiamo. Anche questo è peccato.

Suor Dolores non ebbe il tempo d'indignarsi, perché la parola le fu mozzata da uno scoppio di risa stridule, che fece trasalire le ragazze. Dal viottolo del boschetto apparve un'ombra sbilenca e sciamannata che si spingeva innanzi una carriuola di arnesi da giardiniere.

- E' quello scemo di Pasquito, l’ortolano. - dissero le ragazze riconoscendolo.

- Indietro villanzone! - gridò la suora - Non sai che non devi mostrarti quando in giardino ci sono le ragazze?

- Sì. - rispose,            tornando a ridere, Pasquito: egli rideva da solo, rideva in compagnia, rideva se lo, minacciavano o se lo beffavano.

- Vattene. Domani ti denuncerò al padre priore, per farti punire a colpi di staffile.

- No. - rise ancora il buon uomo; e ritornò indietro camminando a ritroso.

- Veramente osservò Clara - non so che ci sia di male per quel poveraccio se si mostra.

- È un uomo. - ribatté secca la suora.

- Soltanto perché indossa i calzoni. - fece no­tare con candida finezza Lucilla; e per fortuna suor Dolores non poteva vedere, al buio, la sua faccia. - Ma certo un bruto di quella fatta sa più di bestia che di compagno della nostra progenitrice Eva.

- E guardarlo non è peccato. - aggiunse Clara.

- No, tutt' altro: è penitenza. - concluse As­suncion.

Clara: - Forse se invece di lui apparisse così a un tratto, un vero uomo...

Assuncion: - Su i vent' anni...

Lucilla: - E magari sui trenta...

Clara: - Uno di quei cavalieri che vengono in chiesa alla sera ad accompagnare le dame, per farsi benedire con esse...

Dolores (inquieta): - Figliuole!...

Assuncion: - …Uno come don Giovanni!...

Dolores si fa tre volte il segno della croce e non s'ac­corge che Rosario nell'ombra, a quel nome, ha un sobbalzo, si stringe le braccia contro il petto e mor­mora:

- Gesù, che mi pianti nel cuore sette lame!... sette lame!...

In buon punto, a togliere di pena chi soffriva a quelle chiacchere, rintocchi di campana caddero sul cristallo della sera come cave gocce di rame.

- È l'ora della preghiera e delle penitenze, fi­gliuole. - disse, alzandosi, suor Dolores - Andiamo a raggiungere in chiesa le vostre compagne.

- Ahimè! le penitenze!... - mormorò Lucilla.

Assuncion, passando davanti a Rosario che non si era mossa, si soffermò per dirle piano indicando il cielo, dove una nuvola alta veleggiava lentamente accogliendo quanto rimaneva di luce sotto l'orizzonte:

- Rosario, guardate quella nuvola. Non pensate come penso io che in questo stesso momento anche qualche persona cara la guardi e che i nostri occhi s'incontrino lassù con quegli altri occhi?

- Quante volte - rispose Rosario, con tristez­za - ho guardato le nuvole, il cielo, le stelle, quel che v'ha di più bello da guardare!... Ma io non ho nessuno che le guardi pensando a me, quando io le guardo...

Le educande si avviarono; Rosario continuava a restare immobile. Suor Dolores si rivolse a lei con indulgenza :     

- Date ascolto ancora a qualche tentazione, Rosario ?

- No… - rispose la giovane, scuotendosi - l'aria è così soave...

E il suo dolore, accanto al più celato dolore dell'altra, si avviò dietro l’insofferenza delle tre più fortunate, verso le non sincere preghiere e le temute e detestate penitenze.

Soltanto il buio rimase in quell'angolo del giar­dino; ma presto vi giunsero il riflesso dei ceri che venivano accesi nella chiesuola e che trasparivano dall'ampia finestra della facciata. Vi giunse anche quello di una lanterna cieca che s'affacciò dalla sommità del muro. Vi s'affacciò pure una testa umana che si sporse a guardare nell' ombra. E tosto una voce bisbigliò:

- Non c'è nessuno.

Dall' esterno del giardino, a pie' del muro, un' altra voce sullo stesso tono disse :

- Vostra Signoria può avventurarsi.

La prima voce apparteneva a un personaggio per noi nuovo: un lacchè, in livrea assai vistosa; la seconda al nostro ottimo amico, il Maggiordomo; quanto alla signoria, corrispondeva a don Giovanni in persona, in quel momento in procinto d'arram­picarsi, mediante una romanticissima, ma ormai disu­sata scala di seta, sul muro di cinta del monastero.

- Alfonso resterà sul muro, pronto a darvi man forte ad ogni evenienza. - aggiunse il Maggior­domo - Ma di evenienze non ve ne saranno affatto. Aspetterà il vostro ritorno in compagnia, per reggervi la scala.

Don Giovanni, giunto sul ciglio del muro, prese la lanterna cieca dalle mani del nominato Alfonso, che, tratta su la scala, la fece penzolare dall'altro lato e aiutò l’intrepido padrone a discendere.

Intrepido a qualunque costo voleva essere don Giovanni, spintosi a quell'estrema caccia d'emo­zioni; e non vacillò quando, fatti appena pochi passi nel giardino, vide un'altra lanterna muovere contro la sua, e l’ombra d' un uomo che la reggeva appres­sarglisi.

- Chi sei? - domandò a mezza voce - Sei il guardiano ?

- Sì, - rispose l’ombra, facendo seguire una ri­satina.

- Mi aspettavi? Una conversa di qui ti ha prevenuto?

- Sì.

- Non c' è nessun altro con te? Non mi hai tradito ?

- No. - negò l'uomo, sempre sullo stesso tono ilare.

- Vuoi del denaro, non è vero?

- Dai. - e il giardiniere, ormai vicinissimo, porse la mano.

Don Giovanni gli depose un doblone d'oro. Quegli l’osservò curiosamente al lume della sua lanterna, vi ridacchiò sopra e l'intascò.

- Ne vuoi dell'altro? - chiese il giovane.

- No.

Che strano individuo! Un po' scemo, era evidente, ma non privo d'un suo particolare carattere. Don Giovanni volle interrogarlo ancora.

- Sei così misero e non senti maggior bisogno di denaro? Cosa comprerai con questa moneta?

L' uomo tacque un momento, forse per dar tem­po alla domanda di penetrare nel suo torbido cervello.

- Niente. Bella. Metto con medaglie.

- Quali medaglie?

- Madonna... San Domenico... Santa Clara…

- E tu non hai bisogno di nulla per la tua vita?

L' uomo non rispose: ridacchiò.

- Non andresti a spenderla all' osteria, per di­vertirti ?

Una scossa del capo silenziosa, e risata.

- Non la daresti a tua moglie?... hai moglie?

Risata più forte e più espansiva, e parole:

- Mi vogliono, due... tre... Marta, Teresa, Angiola... Una alla volta, moglie…

- Hai certo una madre. Perché non daresti il denaro alla tua mamma?

L'uomo non rise più. La sua voce si mutò in un lamento.

- Mamma... balbettò.

Parve a don Giovanni che un tremito l’assalisse.

- L' hai perduta? gli domandò con riguardo.

Il giardiniere si mise a piangere con un suo verso ridicolo, che pareva l’uggiolio d'un cane; ma il continuatore del burlador di Siviglia non sentì vo­glia di burlarsene; avvertì anzi qualcosa di strano, come se il buffo dolore dell' uomo gli si trasmettesse, eccitando un tasto penoso dentro il suo petto.

- Questo individuo - pensò, dimenticando do­ve si trovava e la ragione che ve lo aveva spinto - è poco più che una bestia, infinitamente meno di ciò che si chiama un uomo di mondo; egli non è mosso che dall'istinto, appena corretto dalla paura delle punizioni e delle bastonate fra cui è cresciuto. E questo istinto non gli detta che ilarità per ogni cosa, anche per l’amore della donna, che in lui non può essere che senso, come in una scimmia o in un cane. Soltanto il ricordo della madre, il nome della madre, lo commuove, desta 1' unica reazione non sensuale dentro la sua appannata coscienza. Io, invece, spreco i miei giorni e le mie notti a dare un senso artifi­ciosamente elevato a effimere unioni con donne in foja, trascurando le ricerche che mi ero proposto d fare, per ritrovare mia madre…

 
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