Cap. XV - Cap. XVI
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Cap. XV

Come e perché l’emozione fu più grande, ma meno piacevole del previsto.

 

 

Uno scoppio improvviso di suoni, un piccolo mare canoro rovesciò su di essi i suoi cavalloni aerei, facendoli trasalire.

- L'organo. - disse don Giovanni – Sono le suore e le educande che pregano ?

- Pregano... - rispose 1' uomo ridente - pre­gano... le brutte...

- E sorellina Rosario è con esse ?

- Rosario... Rosario è bella. - precisò Pasqui­to, scompisciandosi dalle risa e fregandosi le mani.

- E' bella, dunque? - ripeté il titubante pro­fessionista dell'amore - Che pena! Ascolta: quando essa verrà... Tu lo sai che deve venire di nascosto, durante la messa, per parlare ­con me?

- Sì. Si fa così.

- Tu vigilerai, allora, perché non ci sorpren­dano ?

- Sì. Io qui... conversa là. - e indicò la chie­setta. E rise : - Si fa così.

Al suono dell'organo si unì un coro di voci bianche, dolci, più melodiose dello strumento, ma anche più accoranti.

Un'altra voce, assai meno soave di quelle, bisbigliò fra gli alberi:

- Signore, ho pensato che è meglio trovarmi qui, più vicino, per darvi man forte in caso d'allarme e per aiutarvi a salire al ritorno se, come speriamo, non sarete solo. I1 Maggiordomo vigila dall'altra parte del muro. Pare che ci sia un'ombra sospetta.

- Va bene, Alfonso. - rispose don Giovanni -­In caso di bisogno da parte mia ti chiamerò. Tu mi avvertirai se saremo scoperti. Per ora scostati e la­sciami solo.

Il giardiniere ridacchiava scrollando la testa, quasi che si facesse beffa di tutte quelle precauzioni.

A un tratto un'ombra apparve sul limitare della cappella, gettando un lampo di bianco, e s'avanzò rapida, fuggitiva, per spegnersi nel buio quasi asso­luto del boschetto.

Don Giovanni la scorse e rimase interdetto, finché non si sentì spingere dalle mani dell' idiota.

- Rosario... Rosario... sì.., sì ...- sus­surrò la voce molle di costui.

Egli s'avanzò di qualche passo tra gli alberi fitti fra cui penetrava in trame di chiaro e d’oscuro l’albore lunare; finché, alzando la lanterna, non si trovò a faccia a faccia con la novizia che lo fissava con gli occhi sbarrati. Rimasero un momento immo bili in ­silenzio. Essa si fece il segno della croce:

- In nome del padre, del Figlio, e dello Spirito Santo…

- Come siete luminosa e pura nel vostro tur­bamento, Rosario! - disse egli piano, malsicuro.

- No, sorella Rosario. - corresse ella.

- Sorella? Ah, è vero: vi chiamano sorellina. È un anticipare i voti che non avete ancora presi, non è vero? Ma cotesto nome monastico è troppo grave sulle mie labbra. Qual'è il vostro nome di fanciulla?

Essa gli prese fra le dita gelide la mano che reggeva la lanterna per volgergliene la luce sul viso, e lo fissò un istante attentamente.

- Siete bello e gentile. No, non avete il cipiglio di colui... Non è vero che siate il demonio...

- No, sono soltanto un uomo… e forse ap­pena mediocre. Che cosa temevate di trovare in me di soprannaturale?

- Oh, io no, non avrei mai temuto... Ma c'è stato chi mi ha messo questo spavento nel cuore, quando ho confessato che bastava il vostro nome, pure senza avervi mai visto, a turbarmi.

Egli si lasciò sfuggire involontariamente un domanda:

- Mi amate, Rosario?

- Tacete! - rispose la giovane con un sobbalzo, come se uno staffile l’avesse colpita su la pelle nuda - Questa parola mi da non so quale angoscia. E le suore sono di là e potrebbero udirla... Nessuna parola, suona così forte, anche se bisbigliata appena come un sospiro, quanto la parola "amore „. E voi la profferite con una voce che, fra queste mura e questi viali che mai non l’hanno udita, risuona spie­tatamente dolce, così dolce che fa tanto male!

E allora don Giovanni parlò nello stesso stile, ma non nello stesso tono:

- Questa parola può anche essere pura, Rosa­rio. E a guardarvi così vestita di candore, essa mi s'intenerisce sulle labbra e diventa buona come una preghiera. Vorrei farvi intendere che anch'io ho biso­gno di tenerezze e di bontà, quali non ho ancora provato. Io guardo la vostra bellezza come un simu­lacro d'altare...

Essa domandò con un scatto ardente :

- Dunque, vi sembro bella malgrado le orribili bende che mi fasciano?

E lui, insistendo:

- Forse vi fanno più bella e più degna del­l'amore di cui vi parlo.

Ma Rosario parve non sentire di nuovo che le parole " bella„ e "amore„.

- Sl, ditemi che sono bella, perché io non mi conosco Qualche volta ho intravisto la mia immagine un vetro o in una spera d'acqua, ma così, per­duta in una glaciale lontananza, da darmi un senso pauroso d'irrealtà. Pensavo che, se ero simile a quell’immagine, dovevo apparire non come le altre persone apparivano ai miei occhi, ma come un fantasma. Qui non abbiamo specchi, che pure sono comuni nel mondo.

- Voi sapete qualche cosa del mondo. Ci siete stata in altro tempo? E quale era il vostro nome?

- Quale? Io sono stata sempre Rosario, anzi sorellina Rosario, da bimba. No, non mi sono mai trovata fra gente diversa da quella di qui. Ricordo come limite della mia vita soltanto quel muro spie­tato e una cosa immensa e irragiungibile sopra di me: il cielo. Mi hanno fatto capire che un giorno, circa vent'anni fa, qualcuno mi depose sotto l’arcata d’ingresso del monastero, e così fui raccolta come cencio dalla strada.

Don Giovanni, mentre essa parlava, sentiva dile­guarsi del tutto il senso di curiosità e di attesa che lo aveva tratto in quel luogo, e subentrarvi un inaspettato sbigottimento. I1 suono dell' organo e i canti,  che di tanto in tanto si ripetevano, lo aumentavano.

- Anche voi ? - si lasciò scappar detto, pure accorgendosi che anche il colloquio prendeva u piega assai diversa da quella a cui si era preparato, ma molto più vicina al suo sentimento - È assai triste, non è vero?

- Sì, triste; - rispose Rosario, interpretando diversamente le sue parole - ma questa tristezza può finire. Quando con l’eco dei discorsi e dei fatti del mondo la notizia della vostra presenza a Siviglia giunse qui dentro, io ebbi il segreto avvertimento che forse da voi poteva giungermi un nuovo destino.

- Non avete avuto una mamma? - domandò' ancora egli, seguendo il filo del suo predominante pensiero.

- No; mio padre e mia madre non mi amarono neppure un momento se poterono così facilmente disfarsi di me. Non ho avuto nessun affetto. E fin da bambina, qui tra le monache rigide o indifferenti, io cominciai a pensare che la prima ragione di vivere è essere voluti bene. E voler bene. Nessuno me ne voleva e io non ne volevo a nessuno. Mi sentivo separata da tutti da un involucro di vetro, traspa­rente, ma impenetrabile, come per la mia immagine.

Don Giovanni sentiva invece, ad ascoltarla, ri­sorgere la desolazione del suo tempo trascorso. Ora l’interesse per la giovine donna diventava in lui acuto ma prendeva forma di pietà per lei e per se stesso.

- Anche voi siete cresciuta così sola? - do­mandò - Dunque il mondo, che si presenta ai nostri occhi popoloso e gaio, è pieno di tante disperate solitudini?

Nemmeno questa volta essa parve sentire: cotali parole potevano essere sue, ma se ne aspettava ben altre da          lui. Ebbe anzi un atto di insofferenza e di sollecitazione: la sua figura bianca guizzò nell’ombra appressandosi al giovane.

- Ditemi ancora qualche parola come poco fa - gli disse con voce che annunziava un turba­mento - Ditemi pure... sì, non temo più niente... che m'amate.

Egli si rese conto che le sue considerazioni accorate non giungevano a lei e che invece, nella situazione che egli era venuto a cercare, rischiavano di apparire ridicole. Reagì a se stesso con vivacità.

- Dimentichiamo ogni malinconia, è vero! Lasciate le insulse paure. Verrete con me in un palazzo che è pieno di specchi: lì sì che potrete vedervi a vostro agio. Avrete vesti eleganti dei più bei colori, un letto di piume, monili...

Lo interruppe una voce che, in una pausa dei canti e dei suoni della chiesa, parve un accento scaturito da un altro organo, lontano.

- Badate a non sfidare Dio!

Rosario, estatica per le parole di don Giovanni non udì. Ma udì bene egli, e corse verso il muro per vedere chi aveva gridato. Vi trovò Alfonso che vi si era già arrampicato e guardava dall' alto.

- È ancora quella strega? - domandò Alfonso al Maggiordomo, che rispose dall’altra parte della muraglia:

- È lei. Adesso scappa. Quella lì ci attirerà addosso la ronda. Sbrigatevi costà!

Don Giovanni rimase un istante perplesso. Capì da chi era venuta quella voce: ricordò di averla udita una notte, tempo prima. E ricordò anche che nel venire al monastero aveva notato un'ombra che seguiva lui e i due servi, un' ombra non nuova che più volte aveva scorto dietro i suoi passi, o ferma in distanza a guardare verso il palazzotto. E aveva creduto di ravvisare Consuelo (che dolce nome!), la riconoscente Consuelo. Essa ora aveva voluto pre­venirlo di un pericolo.

Rosario, corse dietro di lui, lo afferrò per un braccio.

- Volete andarvene? - gli chiese con ansia - Oh, ma io non voglio più restare qui, adesso. Por­tatemi via... ho bisogno di più aria...

…Un pericolo? Quello che egli faceva, che stava per fare, era grave, era sacrilego? Sopratutto era disonesto, verso quella giovine donna in preda uno smarrimento erotico, che non lui - uomo mai visto prima d'allora - amava, ma don Giovanni, uomo d'amore, anzi l’amore; e per la quale egli stesso non sentiva una travolgente attrazione fisica he avrebbe potuto giustificare la gravità dell' atto cui essa ormai si prestava.

Dalla chiesa giungeva ora un mormorio di pre­ghiere.

- Perdonatemi, Rosario… non vorrei esporvi a un pericolo... Qualcuno sta per accorrere... Vi rivedrò.

Che parole misere e buffe in bocca di don Gio­vanni! Non aveva finito di profferirle che se ne sentì umiliato. Stava tutta lì la grande emozione che era venuto a cercare a ogni costo? Dove si possono trovare emozioni se non in atti insoliti, violenti, pe­ricolosi, sia pure contro gli uomini o contro Dio?

- Gesù! - esclamò Rosario, atrocemente de­lusa - Non sono pazza? Voi ora vorreste proprio lasciarmi?

E s'attaccò alle sue braccia con più forza. La luce della lanterna che egli reggeva le si posò sul viso pallido e confraffatto dall' angoscia e dall'irresistibile desiderio d'amore. Nello stesso istante il mor­morio delle donne oranti nella chiesa divenitò più intenso, come un urlio soffocato, unito a colpi schioccanti di corde che percotevano corpi umani.

- Per l'eterna salvazione dell' anima!... Si mortificata la carne!... Scampaci tu dal male, Vergine Beata!...

Egli tentò insorgere contro lo strano senso di pena che lo assaliva, tanto per quelle creature che castigavano selvaggiamente la loro lussuria, quanto per quest'altra che invocava d'appagarla. E pensò che il vero don Giovanni, al suo posto, non avrebbe domandato di meglio, anzi ci si sarebbe divertito un mondo.

Provò a dire cose empie:

- Tu non vuoi più, Rosario, rimanere dove il peccato non è che pensiero?... Vuoi veramente che ti porti via ?

Scoppiò a pochi passi da loro una risata. Era lo scemo, che approvava fregandosi le mani, più ec­citato di don Giovanni:

- Sì! Sì!

Tante volte ho sognato fuggire! - confessò Ro­sario - Le strade del mondo sono più belle di questi viali, non è vero? e Dio non fece anche per me qualche cosa che mi attende fuori di qui?

Irresistibilmente gli si aggrappò. Egli la cinse con un braccio e fece per portarla con sé. In quel mento, alla poca luce che dal cadente arco lunare dalla lanterna li illuminava, egli scorse al collo di lei, appesa ad una catenina, una medaglia che ancora non aveva notata. Vi diresse meglio i raggi della lanterna e la guardò, la prese fra le dita, la girò e rigirò.

- Che è questo? - domandò allibito.

- Niente: la mia medaglia di trovatella. Un distintivo lasciatomi forse da chi mi mise al mondo. Che importa? O mi trovate più spregevole per questo? Oh, ve ne supplico... portatemi via l V'amerò, sarò cosa vostra...

Egli tardò a risponderle. Dimenticò di essere don Giovanni. Ritornò il novizio con quella stessa medaglia al collo, con lo stesso distintivo, diversa soItanto nella data. Sciolse la fanciulla dall'abbraccio con cui la cingeva; essa barcollò e per poco non cadde. Le prese le mani e si mise a baciargliele.

- Sorellina Rosario! - le disse con accorata tenerezza.

Ma essa insorse:

- Non voglio più questo nome! Presto, non perdiamo tempo. Fra poco finiranno le orazioni, e le monache e le mie compagne s'accorgeranno che io non sono con loro e mi cercheranno… Non c'è che da scavalcare quel muro... ma fra due minuti sarà troppo tardi.

Egli lasciò parlare se stesso:

- Disgraziata, non hai capito ancora che io sono un perduto e uno sciagurato come te? Che forse i tuo nome di sorella non è per me una parola che t'allontana, ma che è nel nostro sangue?

- No; - negò essa con impeto, mettendogli una mano sulla bocca - Non tentare di farmi cre­dere un'altra cosa orribile, dopo che ce ne sono tante nel mio destino; No, non voglio saperlo, non voglio che mi spieghi nulla!... so che sei venuto per portarmi via... Fallo, dunque! Fammi conoscere qualcuna delle cose che ignoro, della vita che im­magino bella!... Ma se anche tu fossi davvero quello che vuoi farmi credere... ebbene, rapiscimi ugualmente, portami via da questo vuoto martirio... Se non vuoi avermi con te, abbandonami sulla strada dove fui trovata... ma che io sia un minuto felice, pure se la felicità è peccato!

In quel punto s'aprì la porta della chiesuola e ne irruppero le preghiere e i gemiti delle penitenti. Nel vano luminoso apparve suor Dolores, ansiosa, cercando con gli occhi nel buio del giardino.

Lo sconfitto don Giovanni si sottrasse alle mani della fanciulla che s'aggrappavano ai suoi abiti e corse verso la scala di seta, sulla quale Alfonso, che non ci capiva nulla, lo aiutò ad arrampicarsi.

- Don Giovanni! Don Giovanni! - chiamò Rosario, perduto ogni ritegno, - tentando inseguirlo. – Non mi lasciare... ascolta!... non andartene!... Maledetto!

Anche lei sconfitta, traballò, s' abbandonò al suolo contorcendosi disperatamente. Mentre la suora accorreva, richiamata dalle sue strida e dai suoi singhiozzi.

 

 

Cap. VI

In cui si fa di tutto perché la storia ridiventi gaia.

 

Purtroppo l’uomo propone e Dio dispone. Così pensò il Maggiordomo quando vide volgere al drammatico ­gli eventi che egli aveva creduto di poter avviare a un fine lieto. Ma pensò anche, e pen­siamo anche noi, che la vita è un libro di pagine tristi si alternano con le allegre, e in fondo il torto è di chi vuol farne tutta commedia o tutta tragedia. Ecco  perché Shakespeare, creatore del dramma, ha avuto più ragione di Eschilo e di Aristofane.

Da questo continuo contrasto, però, risultano talvolta situazioni ambigue in cui il movente di riso prr gli uni può essere movente di lacrime per altri, viceversa.

Questo fu il caso di don Giovanni e Rosario, protagonisti dell'episodio che abbiamo esposto, da un lato, e del coro, ossia dei buoni abitanti di Siviglia, dall'altro lato. Questi, con la fulmineità di propagazione delle notizie che mai vien meno, pure dove e quando non esistevano radio, telefono e tele­grafo, dopo poche ore dall'avvenuto ne erano al corrente, non - però - nella forma che esso aveva assunto fra i due personaggi principali, bensì nelle versioni più disparate, di cui quella che ottenne maggior credito e diffusione fu la seguente:

«Don Giovanni, con la temerarietà e l’empietà che lo distinguono, aveva tra le sue tante amanti una monaca, con la quale s'incontrava ogni notte, penetrando, chissà in qual modo diabolico, nel mona­stero. La tresca durava da parecchie settimane, alla insaputa di tutti, quando fu scoperta da una con­versa che se la intendeva col giardiniere e che, invi­diosa della buona fortuna della monachella, fece la spia. Una bella notte i due amanti furono sorpresi dalla badessa, a cui seguirono le monache al com­pleto. Figurarsi che quadro! La badessa, per soffocare lo scandalo, dato il personaggio importante che ne era responsabile, intimò a Don Giovanni di sposare subito la monaca, che non aveva ancora preso gli ultimi voti. Don Giovanni rispose:

- Me­glio il rogo che il matrimonio! Don Giovanni non si sposa. Tenetevi la ragazza o sposatela con un altro, a cui direte di passare da me per avere la dote. - e con questa beffa si congedò.»

Non si poté, per fortuna, precisare in quale dei tanti monasteri di Siviglia l’orripilantissimo fatto fosse  avvenuto. Il governatore, marchese de Gui­mera, all'orecchio del quale la voce ne giunse pure, fece fare un'inchiesta sommaria nei vari monasteri; ma niente di positivo ne risultò, poiché da quelli dove non c'era stato nulla fu semplice e naturale negarlo, mentre dall'unico dove effettivamente qual­che cosa c'era stato, il peccato di negarlo fu assolto dal confessore.

Don Giovanni ebbe una delle sue crisi di tri­stezza, la più grave anzi di quante il Maggiordomo avesse mai constatato in lui, al punto di deciderlo al seguente soliloquio:

- Così non si va avanti. lo mi sono affezionato al mio giovane socio, è vero; ma se egli compro­mette la nostra azienda, mi costringerà a rompere il contratto. Voglio la sua felicità o per lo meno, dato che la felicità a dire dei saggi è un vano nome, il suo benessere; purché però non sia scompagnata dal mio. Non posso passare la mia vecchiaia a turare le falle che egli apre nella nostra barca. Se si per­suade a smettere le sue ubbie sentimentali, potremo ancora raddrizzare il timone e rivolgerlo verso i porti del tornaconto comune; ma se le mie fatiche debbono restare sprecate, sarà meglio che egli vada per la sua strada ed io per la mia. Che non s'illuda, però, che la sua strada rimanga quella in cui io l'ho avviato e dove, da solo, andrebbe presto alla malora. Se ne scelga una diversa, a suo piacimento, e lasci me in questa così bene iniziata. Segua la via del sentimento e si trovi un altro socio, se ci riesce, io voglio ormai restare nel campo d'un così prospero commercio, dove non mi sarà difficile sostituirlo con un compagno più abile.

Fece seguito un colloquio con don Giovanni, un giorno che questi si rifiutò a rispondere a un ennesimo invito di donn'Anna de Acuña a visitarla nel suo palazzo.

- Francamente, signore, io trovo disdicevole il vostro contegno. Non è lecito neppure a un gio­vane pieno di belle qualità come voi calpestare la fortuna che gli apre le braccia.

- La fortuna, tu dici? Non hai visto che gioie mi riserva? Quella di sconvolgere l'anima e l’esistenza di una povera creatura che forse è mia sorella.

- Forse. Non intendete il doppio valore di que­sta parola? Pessimismo e ottimismo si racchiudono in essa. Forse è; forse non è. E perché maciullarsi lo spirito e porre in penitenza il corpo attenendosi al forse pessimistico e buio, quando il forse ottimi­stico ci offre la sua luce? Con tutto il rispetto che vi debbo, non posso tacervi che mi sembra una scioccheria da spirito debole, tanto più che il fatto non ha avuto nessuna conseguenza, diciamo così, tan­gibile, e che la vostra dubbia partenaire di mezz'ora è rimasta intatta e pura come un giglio.

- Ma io ò sempre rischiato un incesto ...

- … forse….

- …e non ho potuto né posso far nulla per dare a quell'infelice la sorte migliore che essa si aspettava da me.

- Chi lo ha detto? Non pensate che probabil­mente la badessa e il confessore, mossi a compas­sione per questa ragazza che non vuol saperne di restare in convento, ne interessino il vescovo per trovarle una buona collocazione in società? Una moglie appena uscita dal monastero fa gola a molti autocandidati al matrimonio, e il ceto ecclesiastico ha un'abilità speciale a combinare questo genere d'imenei.

- Tu dici così per rasserenarmi; ma io non mi lascio illudere.

- Niente affatto: convintissimo lo dico. Inter­venite voi stesso, anzi, interessandone donn'Anna de Acuña, che è una potenza. Scrivetele, pregandola di prendere sotto la sua tutela l’orfana Rosario del monastero delle Clarisse; essa à un debole per que­sta sorta di cose: orfane, trovatelle da tirare fuori dai conventi, ragazze traviate da chiudervele, fan­ciulle povere ma oneste da mettere a servizio o da sposare a qualche benestante anzianotto desideroso di carne tenera, fanno parte dell'attività mondana di donn'Anna. Su, scrivetele: essa sarà felicissima di rendervi un simile favore, tanto più se le asse­gnerete il giorno e l'ora della vostra visita.

- Ebbene, sì, proverò anche questo. Scrivile tu per me: ma fa che la visita avvenga quanto più tardi sia possibile.

Un quarto d'ora dopo la missiva era compi­lata, in uno stile tra aulico e galante, e data a leg­gere a don Giovanni che di malavoglia vi appose la propria firma.

La risposta venne in capo a due giorni. Dice­va così :

«Molto nobile e gentile signor mio,

«Le sono indicibilmente grata di avermi offerto l’occasione di rendermele utile, nel servizio che mi ha domandato. Non ho messo tempo in mezzo a interessarmi della trovatella Rosario, grazie alla eminente intercessione del nostro eccellentissimo Cardinale Arcivescovo, che m'onora della Sua paterna benevolenza. La fanciulla è stata tolta dalla cella di rigore, ove doveva scontare non so qual fallo, e non solo godrà dell' indulto Superiore, ma sarà da oggi riammessa fra le educande, smettendo il suo abito di novizia e annullando i suoi primi voti. Ho buone speranze, poi, di darle un collocamento dignitoso unendola in matrimonio a don Antonio Morales, alcade in ritiro della città di Pinar, mio devoto, uomo maturo, ma in ottimo stato.

«Attendo la visita che Lei mi promette pel dì dell'Epifania: data un po' lontana, ma così bene scelta! Non è essa, infatti, la giornata della visita, anzi dell'apparizione? E lei, don Giovanni, mi apparirà. Oh !

«Sua devotissima e in ogni                        occasione                        obbe­dientissima

« D. Anna de Acuña y de Figueros»

- Che ne sarà della povera Rosario? - si domandò don Giovanni, che non aveva posto mente ad altro, in quella lettera.

- Troverà la sua collocazione, siatene certo. - gli rispose il Maggiordomo - Lasciatela arrivare ai matrimonio. Pel resto, provvederà da sé. Pensiamo piuttosto, con maggior decisione, a noi stessi. Mi sta in mente che molto abbiamo da attenderci da questa visita.

- Cosa vorrà da me la tua donn'Anna, che deve essere abbastanza anziana, se ha, da quel che ho saputo, dei figli già ammogliati?

- Anziana ? Guardatevi bene dal pronunziare simili eresie! Una, donna che non haa oltrepassato l’età della menopausa non è mai anziana, e non di rado non lo è ancora un mese dopo. È appunto il caso di donn'Anna: è il cuore più giovane di Siviglia.

Venne l’Epifania e l’ora, penosissima per don Giovanni, della visita al palazzo de Acuña. Se fosse dipeso dalla sua volontà, dubitiamo forte che egli non si sarebbe mai mosso per adempiere quel do­vere’ ; ma l’inesorabile Maggiordomo vegliava e, fra i varii argomenti, gli mise di fronte anche l’onore di cavaliere, che impone di non venire meno ad un impegno preso.

Don Giovanni, dunque, andò, magnificamente vestito, nella portantina che Estrella metteva a sua disposizione ad ogni richiesta: richiesta che, per rispetto alla storia, dobbiamo dire che non veniva mai fatta da lui, ma dal suo Maggiordomo. I1 por­tone del palazzo de Acuña era spalancato a due battenti, segno che si attendevano visite, e vi mon­tava la guardia un imponente portinaio assistito da due minuscoli palafrenieri o meglio servitorelli di quella categoria. che intraducibilmente in inglese si chiamano grooms. II portinaio all'appressarsi di don Giovanni, riconoscendolo, corse ad aprire la portan­tina e, curvo gli porse la spalla destra perché si degnasse appoggiarvisi; mentre i due giovincelli, sprofondandosi in una serie d'inchini, lo precede­vano additando la scalea di marmo da cui doveva salire, e gridavano:

- Giunge il nobile hidalgo don Giovanni Tenorio dei conti di Marana.

Sul primo pianerottolo della scalea, il visitatore scorse una statua in ricca veste gallonata su tutte le cuciture. La statua, mentr'egli alzava il                        piede per montare il primo gradino, aprì la bocca per annunziare a voce così alta che gli diede un sussulto:

- Sale il nobile hidalgo don Giovanni Tenorio dei conti di Marana.

Altri tre pianerottoli, altri tre lacchè ritti, impa­lati, che sembravano finti e che al suo passaggio ripetevano l’annuncio; poi il vestibolo dell'apparta mento di gala con altri quattro di quei tomi, che con ossequiosa riverenza e con moto isocrono addi­tando all'ospite una gran porta binata, gridarono in coro :

- È giunto il nobile hidalgo ecc.

La porta si spalancò come per incanto, e il nobile hidalgo passò fra due altri vociatori che ad­ditando un'altra porta su la parete opposta si cur­varono di scatto anch'essi contemporaneamente.

- Passa il nobile ecc. ecc.

Il cerimoniale si ripeté per altre tre sale e altre tre porte, finché al limitare. di una galleria immensa, colma di mobili preziosi, di statue, di seggioloni, di tappeti e di arazzi, gli ultimi due servi annunciarono don Giovanni per la volta definitiva.

Tosto dal fondo della galleria si mosse una figura femminile, in vesti sontuose, coperta di gio­ielli, per incontrare il visitatore - segno di riguardo particolarissimo, perché l’etichetta prescriveva che una gran dama dovesse ricevere gli ospiti maschili restando seduta al suo posto.

 «La padrona di casa», capì don Giovanni. Donn'Anna de Acuña era una di quelle donne che si assoggettano a qualunque supplizio per di­mostrare di aver fermato le sfere del tempo al più sul loro trentacinquesimo anno, ma non riescono, nelle condizioni più favorevoli e agli occhi più in­dulgenti, a darne a vedere meno di quarantacinque, senza tralasciare di far supporre il resto. Magra e piuttosto bassetta, più stoffa e guarnimenti che per­sona, viso lungo e mento appuntito, aveva la mas­sima giovanilità negli occhi che parevano usi a bucare perfino corazze di intemerati guerrieri.

I1 giovane, dopo averla guardata, la riguardò attentamente mentre s'appressava, parendogli fisio­nomia non nuova: essa gli ricordava, ma in modo non chiaro, qualcuna o era addirittura qualcuna che egli aveva visto tempo prima. Ma dove? A vedersi guardata in quel modo, la dama di passo in passo si ringalluzziva.

- Oh, don Giovanni! - ella disse giungendo di fronte all'atteso e ponendogli sotto le labbra una mano ancor affusolata da baciare - Avrei voluto essere in casa per voi solo; ma non mi è stato possibile rifiutare la santa visita del vescovo di San Josè e di altri prelati e di dotti laici che usano ogni anno farmi gli auguri il giorno dell' Epifania.

Don Giovanni fu grato in cuor suo a prelati e laici che avrebbero alleviato la sua visita; si inchinò e baciò rispettosamente la mano offertagli. Donn'Anna presolo pel braccio, lo condusse verso gli altri visi­tatori e glieli presentò :

- Sua grazia don Baldassarre Salazar, vescovo di San Josè e segretario del cardinale; monsignor Luca Perello, provinciale dei domenicani; monsignor Pablo Martinez, arciprete della chiesa madre; don Filippo Ugarte, protomedico della provincia; don Diego Montino primo matematico e astronomo del­l'Università...

Le cinque teste dei presentati s'inchinarono allo scandaloso sopraggiunto l'una dopo l'altra come in un giocattolo meccanico, ma ciascuna in maniera e con espressione sua propria: la prima, ancora giova­nile, e gioviale con un breve cenno quasi familiare e indulgente; la seconda, imbronciata e torva, vera testa da Torquemada, con gravità che non promet­teva nulla di buono; la terza, tutta ossa, rughe e occhiali, con bigotta compunzione; la quarta, dol­ce e bovina, con una penosa scrollata sul collo cortissimo attaccato a un corpo simile ad un otre; la quinta, un naso rupestre tra la selva d'una barba grigia e i cespugli di due sopracciglia, con l’atten­zione che avrebbe richiesta l’apparizione di una nuova cometa o la soluzione d'una serie di logaritmi.

Don Giovanni fece un inchino complessivo: gli sembrò di essere ritornato al tempo di prima, quando gli toccava di tanto in tanto offrirsi alla giuria degli esaminatori; e questa sensazione non mancò sulle prime d'intimidirlo. Ma ricordò Enrico IV di Francia che, assalito dal ribrezzo della paura in mezzo ai clamori di una battaglia, faceva forza a sé stesso e spronava il cavallo per cacciarsi nella mischia, e come lui si disse:.

- Coraggio, vigliacco!

 
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