E' uscito..

Luglio - Agosto 1999

- Editoriale

Un'estate calda, ma in ombra

Kennedy, la maledizione continua

Momenti di svago e attrazioni culturali...

Accarezza le nubi svettando poderoso

Sorrisi sardonici scolpiti con arte

E' tempo di vacanze ma non per tutti

Il cotello dell'amore, abili maestri per un oggetto misterioso

Profumi e colori da sapienti scalpelli

La Villacidrese pronta a sbarcare in penisola

 

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Il coltello dell'amore, abili maestri per un oggetto misterioso

Elegante, arabescato e dai colori sgargianti, era l'abbellimento de s'arrasoya usata per gli usi comuni e veniva regalato alla promessa sposa come pegno di eterno amore e dedizione

Le tradizioni dei nostri antenati, si sa, hanno delle antiche origini e nascevano dall'esperienza di vita agropastorale accumulata e tramandata da padre in figlio. Gli Dei, che di volta in volta si susseguivano, frutto delle credenze e delle esigenze popolari ebbero ampi spazi per millenni.

Il Sole, l'Acqua, il Dio delle Messi, ed altri, legati a riti propiziatori di raccolta, erano con la Luna, Sirio ed altre stelle, l'esempio più comune dei loro protettori. In un così ricco calendario non poteva di certo mancare il possente, e robusto, Dio Toro.

Il Toro generava la vita e, quale utile riproduttore, la faceva un po' da padrone nei millenni che precedettero Cristo. Al Toro erano dedicati, come abbiamo potuto constatare dai ritrovamenti archeologici, veri e propri luoghi di culto come le Tombe dei Giganti dove, sacerdotesse importanti, offrivano oracoli attraverso i sogni degli eredi dei defunti. Forse proprio al Dio Toro e ad un misto di religione cristiana era legato il rito della sposa e del suo coltello dell'amore.

Il coltello dell'amore, elegante, arabescato e dai colori sgargianti, era l'abbellimento de s'arrasoya usata per gli usi comuni e veniva regalato alla promessa sposa come pegno di eterno amore e dedizione alla famiglia. La famiglia, lo sappiamo tutti, per i sardi era ed è ancor oggi, per lo meno fino a qualche tempo fa, sacra. Ed alla sua sacralità ricorrevano le furbe strias (streghe, fattucchiere) per sbarcare il lunario profittando dell'ingenuità della povera gente ma, e bene ricordarlo, si deve proprio a loro ed alle loro discendenti, se oggi possiamo ricordare e collegare usi e tradizioni del passato e chissà, che magari, non ci sia qualche forma di verità a noi sconosciuta. Le fattucchiere avevano comunque un posto privilegiato e consultate in modo frequente aiutavano, comunque, nel Bene e nel Male, il quieto vivere quotidiano di quelle povere genti che, quasi in modo soggiogato, ricorrevano a loro per ogni piccolo problema della vita quotidiana. Il coltello dell'amore quindi, segno tagliente di offesa contro il male, trovò ampi spazi fino quasi ai giorni nostri e, forse, con molta probabilità, fu regalato anche alle nostre nonne. Il suo dono avveniva in modo semplice: individuata la donna della propria vita, dopo i soliti convenevoli e la richiesta fatta alla famiglia dal paraninfo, ricevuto il consenso e accettato il matrimonio, il futuro marito, donava, accompagnato ad un cesto di frutta di stagione, il coltello dell'amore alla promessa sposa, la quale, onorata dalla richiesta di matrimonio, presa la piccola ampolla di olio d'oliva spremuto a mano per l'occorrenza, si recava, velocissima, dalla fattucchiera, per il rito contro il malocchio: dalla sua velocità dipendeva la sorte del matrimonio in quanto nessun'altra donna, se interessata allo sposo, avrebbe avuto il tempo di preparare il malocchio.

Al suo arrivo, la fattucchiera, versava una piccola quantità d'acqua sacra (acqua che solo le fattucchiere possedevano in quanto impregnate del loro fluido) in un recipiente piatto e, con parole incomprensibili a chiunque e pure a loro, invocava la prima schiera di spiriti buoni poi, prese alcune gocce dell'olio della sposa e gettatele con lentezza sacrale sull'acqua, prendeva il coltello e, sempre con lentezza, tagliava l'acqua in quattro parti col coltello dell'amore lasciando ai lati le gocce dell'olio che, attraverso il taglio dell'acqua, si disponevano a mo' di croce, poi, con un canto roco e incomprensibile, quasi in trance, invocava gli spiriti del bene che arrivavano sempre con tempestività ad aiutare la megera, la quale, al coltello, aperto e con la lama bene in vista, legava con una striscia di pelle sottile un corno di caprone maschio ucciso in una notte di luna piena.

Terminato il rito e pagata la fattucchiera, la povera sposa, contenta e giuliva, con lo sguardo alto, fiero e fisso nel nulla, senza guardare e rivolgere neppure il saluto alle persone che incontrava, tornava a gran velocità verso casa e, arrivata, senza perdere tempo, appendeva, con la lama rivolta verso l'ingresso, il coltello, che avrebbe dovuto riprendere dopo il matrimonio e tagliare l'aria, stanza per stanza, della propria casa, prima di andarci a dimorare col suo sposo, sulla porta dell'ingresso principale.

E, da quel momento, in quella casa, libera dal malocchio e dagli spiriti del male, nessuno avrebbe potuto ostacolare il nascere della prole e della numerosa famiglia che si andava a creare.

Giampiero Caddeo