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  LOGICA E INGANNO DELL'OPERA DI MASSA (I)
Appunti per una para-insiemistica dello spirito
di M. Maurizi e D. Timpano
RACCE AMNESTICHE
I Diavoli
Professione reporter


LINÀMI
Logica e inganno dell'opera di massa
L'Arte come scelta politica


IVACE INQUISIZIONE
11 09 01
Le città invisibili
Contro recensione


O EHIUOI
Area Filtro (CIR)
Vocabolario dell'inutile (A-F)
Pensieri e spensieri

 

Ci si potrebbe chiedere perché un artista d’indubbio valore come Roberto Benigni senta il bisogno di contornarsi di assai più dubbi figuri come Nicola Piovani e Vincenzo Cerami, programmaticamente votati alla peggior forma di captatio benevolentiae nei confronti del pubblico: glorificazione e divulgazione di buoni sentimenti, semplificazione spicciola, azzeramento della critica e del dubbio et cetera. (1) Come spiegare, insomma, l’avvilente regresso che dall’autistica poesia di Berlinguer ti voglio bene conduce a La vita è bella o a Pinocchio, opere in cui regna evidente il bisogno di divulgazione dell’umano?

Ci si potrebbe porre la stessa domanda per numerosi altri artisti che hanno seguito un’analoga parabola discendente: si pensi agli Yes di 90125, al Coleridge di Biographia Literaria (2) o alla seconda serie televisiva di Hokuto no Ken, alla Nobilissima visione di Hindemith o a Nightmare - nuovo incubo di Wes Craven. La risposta più ovvia al quesito sembrerebbe essere un cedimento alla logica di botteghino, un colpevole inchinarsi ai dettami dell’industria culturale. Forse l’inevitabile esaurirsi della spinta creativa costringe l’artista a rifugiarsi nel cliché e nel luogo comune, a farsi parodia di se stesso e ad abbracciare così le richieste del mercato; l’esigenza di commercializzazione modifica le sue scelte portandolo sempre più lontano dalle intuizioni e sperimentazioni originarie verso il mare magnum della narcolessi sociale.

Esiste però una risposta alternativa che inverte i termini della questione e spiega tale involuzione commerciale dell’arte non come premessa ma come conseguenza di un cambiamento ideologico dell’artista. Dunque, non dal bisogno di soldi al consenso di massa, ma dal bisogno del consenso di massa ai soldi. In base a questa seconda interpretazione, il nocciolo della questione starebbe proprio nell’idea fissa di "divulgazione dell’umano all’umano". Peccato che il concetto stesso di "umanità" qui in gioco si riveli di fatto equivoco. Mostriamolo con un breve ragionamento.

Possiamo rappresentare l’umanità tramite l’insieme U. Per comodità tralasceremo l’umanità passata e quella futura, per cui l’insieme U si riferirà esclusivamente agli esseri umani (u1, u2, u3...un) viventi in un dato momento sul nostro pianeta (poniamo, ad esempio, il 5 ottobre 2002 alle ore 14.44). In più postuliamo che tutti gli esseri umani siano adulti e appartenenti all’insieme A degli ascoltatori di musica, di modo che U-A=Æ . Ora, noi sappiamo che non tutti gli esseri umani ascoltano però la stessa musica. Possiamo tranquillamente immaginare un essere umano u1 che adori Zappa e che non ascolti altro che 200 Motels tutto il tempo; in questo caso u1, in quanto ascoltatore monomaniaco di Zappa, rientrerebbe nell’insieme FZ degli ascoltatori esclusivi della sua musica (composto, poniamo, dai suoi fan strettissimi e, magari, dai suoi familiari). Si tratta di un caso estremo, è vero, ma non del tutto inverosimile. Possiamo rendere più reale e duttile la nostra ipotesi immaginando che u1 attribuisca una o più qualità Q alla musica di Zappa che non trova in nessun altro musicista: l’umorismo, la complessità ritmica, la commistione tra pop e avanguardia et cetera.

FZ = { u/Q(u)}

Vediamo già una conseguenza interessante: immaginare questo insieme ci aiuta a chiarire da un punto di vista logico il concetto di "nicchia". Un artista "di nicchia" è, per definizione, patrimonio d’una esigua porzione d’umanità, d’un numero il più possibile ristretto di esseri umani. Concetti come questo sono altamente ambigui e andrebbero rivisti o definitivamente cancellati. Per due ragioni:

1) Definire un autore "di nicchia" non ci dice a-s-s-o-l-u-t-a-m-e-n-t-e nulla della sua opera. Lo spettacolo teatrale Hardore d’Otello di Scena Verticale è opera di nicchia tanto quanto l’album Niente Bestemmie dei Nostri Porci Comodi. Ma se il primo ha le sue velleità "artistiche" o, se si vuole, "avanguardistiche", il secondo è semplicemente un disco hard-rock-retrò che anela al pompino mai fuori moda di una groupie.

2) L’idea stessa di nicchia è arbitraria e relativa. Quand’è che un autore è abbastanza conosciuto da non poter essere più considerato "di nicchia"? Evil Dick and the Bad Manners lo sono sicuramente, ma lo sono anche i Naked City? E l’annichilente Herzog non è forse un regista pop rispetto a Jorg Buttgereit? E Area06 non sono forse i Jackson 5 rispetto ad Amnesia Vivace? È il famoso paradosso logico del mucchio: se ho un capello sul tavolo e comincio ad aggiungere un capello dopo l’altro, quand’è che ho "un mucchio"? Non esiste una misura quantitativamente inequivocabile e universale della "nicchità" di un autore; essere di "nicchia" non implica una qualità N, ma dare vita ad un insieme N costituito da una quantità indeterminata D f di fruitori.

Possiamo ora immaginare un altro essere umano u2 e ritenerlo incapace di ascoltare altro che i brutali barriti dei Carcass. In questo caso u2 farebbe parte dell’insieme CS degli ascoltatori esclusivi dei Carcass (poniamo: quattro nostalgici grinders giapponesi e il loro tecnico del suono). Se CS = { u/ Q2(u)} dobbiamo necessariamente introdurre l’insieme Q = { q1, q2, q3, ...qn } costituito da tutte le qualità q che legano gli ascoltatori ad un particolare musicista.

Ponendo i due ascoltatori u1 e u2, abbiamo ricavato i due sottoinsiemi FZ e CS. Il fatto che FZ e CS siano insiemi vicendevolmente escludentisi è dovuto all’ipotesi che nessuno degli elementi di FZ sia anche un elemento di CS, ovvero che nessuno degli ascoltatori di Zappa riconosca di trovare anche nei Carcass quella qualità Q che per lui contraddistingue l’essenzialità, la centralità, l’insostituibilità dell’esperienza musicale. Se lasciamo cadere quest’ipotesi otteniamo l’insieme Y composto dagli esseri umani che ascoltano e apprezzano sia Zappa che i Carcass per gli stessi motivi.

Y = FZ Ç CS

Si tratta di un’ipotesi inquietante, ma se questo può farci "tremar le vene e i polsi", che diremmo di un essere umano che trovasse la stessa qualità Q in Frank Zappa, nei Carcass e in Cristina D’avena? Diremmo che è un pazzo o che è sordo. Possiamo tuttavia immaginare un ulteriore sottoinsieme W, costituito da quest’unico indesiderabile ascoltatore.

W = FZ Ç CS Ç CD

Vediamo che data un’unica qualità Q l’insieme dei possibili ascoltatori si riduce notevolmente. Proviamo ora a rovesciare la questione: cosa dovremmo dire di un’artista che si rivolga programmaticamente tanto ai fan di Cristina D’avena, quanto a quelli dei Carcass e di Zappa vendendo ad essi la stessa qualità Q? Eppure è proprio questo che pretende di fare un prodotto culturale di "vasto" consumo, un’opera di massa. Questa infatti non genera un sottoinsieme W ma pretende di valere per un insieme più vasto di FZ, CS e CD, ovvero

X = FZ È CS È CD

Se ci chiediamo a cosa aspiri un prodotto di "vasto consumo" dovremmo ammettere senz’altro che esso intende comunicare la stessa qualità Q ad un pubblico il più vasto possibile. Come vedremo esso sarà invece il più vasto impossibile.

Introduciamo l’insieme "massa" (M), costituito dall’aggregarsi progressivamente più ampio di elementi dell’insieme U attorno ad un artista o a un prodotto.

M = { u Î U/M(u)}

Da cui isoliamo la funzione M(u) = m in base alla quale si costituisce l’insieme M a partire da U; si ipotizza cioè che sia data una qualità specifica M dei prodotti di massa che ne garantisca la capacità di aggregazione umana. Se M fosse una qualità Q capace di richiamare il più vasto pubblico possibile, allora tale funzione dovrebbe essere equipollente all’altra Q(u) = m.

M(u) = m Û Q(u) = m

Vediamo se questo è possibile. M è costituito da masse progressivamente più vaste { m1, m2, m3, ...mn } ; ma come si costruisce l’insieme M, qual è il suo principio di aggregazione? Tale principio è puramente quantitativo: più esseri umani si aggregano attorno ad un prodotto, più il prodotto viene definito "di massa". Un rapido esame empirico della questione produrrà i seguenti risultati:

m1 = " u Î U

m2 = m1 + " u Î ( U - { m1 } )

m3 = m2 + " u Î ( U - { m2 } )

mn = mn-1 + " u Î ( U - { mn-1} )

Vediamo quindi che il primo elemento di M è costituito da un qualsiasi essere umano u che apprezza un determinato tipo di musica o un musicista. Se ad esso si aggregano altri esseri umani (m2, m3 etc.), si giunge al limite superiore dell’insieme, ovvero mn. Avendo però noi supposto U essere insieme non infinito (3), sarà

mn = mn-1 + " u Î ( U - { mn-1} ) = U

Il limite superiore dell’insieme M sarà lo stesso insieme U. Tanto formalismo matematico per dire una banalità: l’insieme di tutte le masse possibili non può superare la soglia numerica dell’umanità data. Questa sarà dunque anche la massa massima ipotizzabile.

Ma U sarà anche massimo dell’insieme M? Apparterrà cioè per sua natura all’insieme M? In altre parole si può parlare di "umanità" in termini di "massa"? Questa domanda si impone nel momento in cui cerchiamo di verificare l'identità di Q ed M. Tale identità viene verificata senz’altro per

m1 = " u Î U

In tal caso tuttavia non si tratta d’altro che di un elemento qualsiasi dell’insieme U; ma, trattandosi di un solo essere umano, non si potrà certo parlare sensatamente di "massa". Resta tuttavia la possibilità che M(u) = m Û Q(u) = m venga verificata per mn = U. Questa possibilità è data ed effettivamente pare doversi ammettere che un artista che riesca a farsi ascoltare da una massa così grande da potersi identificare con U stia effettivamente comunicando una qualità Q (= M ) a tutto il genere umano. O almeno si dovrebbe ammettere che più un prodotto ha successo e raggiunge le masse, più esso realizza quest’ideale universale di supposta comunione umana. Lo scenario è troppo raccapricciante per non tentare almeno di smontarlo analizzando più a fondo la questione.

Abbiamo visto che se prendiamo diversi esseri umani e li classifichiamo a partire dalle loro esigenze di ascolto, il massimo che si possa fare, data una specifica qualità Q della musica, è di restringere e non ampliare il nostro insieme. L’insieme W sarà necessariamente più piccolo degli insiemi Y e FZ, CS, CD. L’insieme X, al contrario, riesce ad aggregare molti esseri umani solo perché prescinde dalla qualità Q. Perché X possa essere legittimamente considerato una massa aggregata di ascoltatori diversi (ricordiamo: Frank Zappa, Carcass e Cristina D’Avena), esso dovrebbe costituirsi in base ad una qualità Q (= M) che per il momento è sconosciuta. Dobbiamo cercare di determinare questa fantomatica qualità "di massa" o qm. Una qualità del genere non potrebbe identificarsi con nessuna specifica qualità dell’insieme Q, ma dovrebbe essere una qualità universale. No, non esiste una simile qualità ma se anche esistesse la sua natura dovrebbe corrispondere ad una delle tre seguenti tipologie:

1) Essa dovrebbe essere l’insieme di tutte le qualità q1, q2, q3, ...qn. Ciò può significare due cose: o l’insieme di tutte le qualità musicali di Q produce una qualità non musicale, oppure esso coincide semplicemente con Q. Chiaro però che qm pretende di essere una qualità musicale (e non ad esempio il semplice effetto glam, fornito al prodotto dal marketing) e che rientra necessariamente nell’insieme Q. Tale ipotesi è allora non solo contraddittoria (un elemento dell’insieme verrebbe a coincidere con l’insieme stesso), ma palesemente falsa. Come se Frank Zappa potesse essere contenuto dai Luna Pop. Al limite sarà vero il contrario.

2) Essa dovrebbe essere

Ø q

ovvero una qualità negativa rispetto alle qualità che costituiscono Q. Essa non è nessuna delle qualità che si ritrovano in artisti di minor successo. Ma una tale definizione non fa che mascherare il fatto che non si sa nulla su questa fantomatica qualità di cui si sta parlando. Se la qualità universale (o "di massa") è definita come

qm = Ø q1, Ø q2, Ø q3, ... Ø qn

risulterà chiaramente essere essa stessa nulla.

3) Rimane l’ipotesi che tale qualità universale sia in realtà una qualità media o il valore medio di ogni qualità q. Per verificare questa terza ipotesi ci limiteremo a considerare una sola qualità, ad esempio, la velocità (v).

Per q = v, avremo un intervallo di possibili velocità di esecuzione che fissiamo arbitrariamente tra

40 q al minuto (ad es., Ligeti)
240 q al minuto (ad es., i Napalm Death)

Il valore medio sarà costituto da
120 q al minuto (ad es., Michael Jackson).

In base a questi valori l’ipotesi che il prodotto di massa possieda una aggregante qualità universale è senz’altro verificata (Michael Jackson, artista di massa per antonomasia, non ha mai in vita sua prodotto un pezzo che potesse avvicinarsi ai due estremi esemplificati dai Napalm Death e da Ligeti). Ma cosa vuol dire questo?

Un prodotto di massa è tale in quanto qualitativamente "medio", attento a non trasgredire limiti programmaticamente stabiliti. Significa che esso è più comprensibile e proprio per questo può essere letto e, all’occasione, apprezzato da più persone. Si dirà che non c’è nulla di male in questo, ma se si considera più da vicino l’esempio della velocità vedremo quali conseguenze abbia il ragionamento appena fatto. Siano AB e BC due segmenti perpendicolari che formano l’angolo ABC. Proseguiamo poi il segmento AB fino a D in modo da formare l’angolo CBD. Questi angoli misurano l’ampiezza della capacità di percezione della velocità musicale rispettivamente al di sopra e al di sotto di 120 battute al minuto, ponendo questo valore come valore medio. Se l’ampiezza massima (a = 90°) è misurata dagli estremi 240 e 40 battute al minuto, i Napalm Death occuperanno l’estremo A del segmento AB e Ligeti l’estremo D del segmento BD. Michael Jackson si troverà in C.

Ora, facendo ruotare AB e BD attorno al punto B si otterranno gli infiniti angoli misurano l’eccentricità di un artista o di un brano musicale rispetto alla capacità media di percezione della velocità. È chiaro che la posizione mediana di Michael Jackson coincide con l’ampiezza minima di entrambi gli angoli: in C, entrambi gli angoli tendono a 0. Da ciò deriva che la qualità media che cercavamo misura in realtà l’assenza di eccentricità rispetto ai valori medi che contraddistinguono una capacità di percezione e comprensione mediocre. (4)

Concludendo: sia a il coefficiente di esperienza della qualità q. Ora, la condizione

mn = U

che verifica M(u) = m Û Q(u) = m, sarà vera solo in quanto

dove a = 0.

Non solo, in altri termini, la logica sottesa alla produzione commerciale di massa confonde la massa con l'umanità, ma può raggiungere il suo scopo solo se il contenuto di esperienza che offre è nullo.

 

NOTE
1) D. Timpano, Pensieri e spensieri su teatro e dintorni, 1996.
2) Cfr. B. Watson, Art, Class & Cleavage, Quartet, London 1998, pp. 22 e sgg.
3) "Limitato" in quanto sin dall’inizio abbiamo escluso per ipotesi da U l’umanità passata e futura e posto U = A.
4) "C'è sottinteso un grosso equivoco: che la comunicazione teatrale debba essere chiara e diretta, comprensibile a tutti, quasi divulgativa, come La storia d'Italia a fumetti di Biagi o il Gesù di Nazareth di Zeffirelli, come i romanzi condensati del Reader's digest. Il punto di riferimento del teatrante, tanto nella fase di composizione che in quella dell’allestimento non può essere il più umile ma perlomeno il medio, non è accettabile né rispettabile ed anzi è decisamente offensiva una civiltà teatrale il cui spettatore implicito sia lo scemo del villaggio". D. Timpano, Ritrovamento e ricostruzione di un pubblico illuminato, in Amnesia Vivace - Rivista on Line, anno I, n.1, 2000.

Marco Maurizi - Daniele Timpano

 


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