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  AREA FILTRO
di Valerio Cruciani
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O EHIUOI
Area Filtro (CIR)
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Pensieri e spensieri

 

INTERVISTA ALL' "AREA FILTRO" DEL COMITATO ITALIANO PER I RIFUGIATI (C.I.R.)

::Presentazioni
Gianluca Latini (GL): lavoro al CIR da quando è stato fondato, nel 1990; ho sempre lavorato nella reception, al primo contatto con i rifugiati.
Anna Galosi (AG): sono tra i fondatori del CIR, e ho lavorato in tutti i settori del comitato. Da un anno mi occupo esclusivamente dell'AREA FILTRO che è stata appunto fondata un anno fa (2001).
Anilda Ibrahim (AI): sono rifugiata e lavoro al CIR da circa quattro anni, passando attraverso tutti i vari uffici, ed ora mi occupo dell'Area Filtro.
:: Lì con noi c'era anche Andrea Lupi, un volontario, che però non prenderà parte all'intervista.

Quando è nata l'AREA FILTRO (AF), a cosa è dovuto questo nome e di cosa vi occupate?

AG: Il direttore (Christopher Hein) ha dato il nome all'area. Gianluca registra le persone presenti, suddivide l'utenza a seconda dei motivi per cui si trova qui (contributi, consulenza legale, alloggio, informazioni generali e assistenza). La necessità di istituire l'AF è nata proprio dall'esigenza di suddividere chiaramente le responsabilità nell'accoglienza e nell'indirizzamento delle persone all'interno del CIR. Qui facciamo la prima intervista, raccogliamo i primi dati senza entrare nel merito della storia individuale di cui si occuperà, previo appuntamento, il collaboratore legale.
GL: Ad esempio l'AF è molto utile per dare le prime informazioni e i ragguagli a chi non sa come muoversi a Roma per ottenere un domicilio o i contributi economici; noi gli diciamo di passare alla questura per ritirare il cedolino con l'autorizzazione per andare poi al centro Astalli a richiedere al Comune la domiciliazione. Altre volte è più difficile, dato che capitano persone che non se la sentono di parlare e vogliono rivolgersi solo alla psicologa, dato che molti sono vittime di tortura.
Nessuno è obbligato a tornare al CIR e a raccontare la propria storia: molti si rivolgono a noi solo per avere la prima assistenza, poi non tornano più.

Le persone che vengono qui sanno già che cosa è il CIR?

GL: Non tutti. Molti vengono a chiedere soldi, dato che come richiedenti asilo hanno diritto al contributo di 45 giorni, 1.500.000 di lire a testa: la domanda per il contributo viene firmata alla questura al momento della richiesta, poi per ottenerlo devono attendere la conferma della prefettura, che manda gli ordinativi di pagamento al CIR di Torino. Molti non sanno neanche che il nostro è un ufficio privato, e pensano che diamo contributi, alloggi, permessi di soggiorno.

Difficoltà particolari?

GL: Le difficoltà sono molte: ad esempio per la domiciliazione se ne occupano solo due associazioni: il Centro Astalli e la Casa dei Diritti Sociali, i quali hanno bisogno dell'autorizzazione della questura. Poi, a seconda dei periodi e delle emergenze, spesso vengono dati gli alloggi per primi agli appartenenti di certe nazioni o di certe etnie.

Voi fornite il vostro materiale, le interviste, alla questura?

GL: No, perché con la questura non abbiamo contatti, lavoriamo separatamente.
AI: A volte capita di incontrarci con quelli della questura, quando ad esempio alcuni del CIR vi accompagnano persone in difficoltà; capita qualche telefonata o qualche fax. La routine spesso è che scade il permesso di soggiorno e pur dormendo la notte davanti alla questura il giorno dopo non riescono a farselo rinnovare, per cui si rivolgono a noi chiedendoci di accompagnarli; ma naturalmente non possiamo farlo sempre e con tutti.

Qual è l'iter che il rifugiato deve seguire in Italia prima di ottenere il riconoscimento?

GL: Il primo passo è quello della domiciliazione. Sempre che chi arriva alla frontiera non si ritrovi in mano un foglio di espulsione dovuto alla propria condizione di clandestino. Si può fare ricorso entro cinque giorni, ma è praticamente impossibile riuscirci, perciò molti vengono da noi con il foglio di via.
Noi gli consigliamo di andare lo stesso in questura per la domiciliazione: può essere anche riconosciuta, ma ovviamente non gli può essere dato il permesso di soggiorno, per cui tutta la documentazione verrà portata davanti alla commissione che si occupa dell'intervista per poi esaminare e deliberare sul singolo richiedente. L'iter dura almeno 9-12 mesi, mentre il cedolino vale tre mesi, seguito dal permesso di soggiorno che vale altri tre mesi, e che una volta scaduto può essere rinnovato per altri tre mesi; in seguito viene dato l'appuntamento per presentarsi alla commissione. La commissione centrale dà una risposta dopo circa quaranta giorni, la trasmette alla questura e questa la notifica al richiedente asilo.
Il diritto al contributo di 45 giorni è riconosciuto solo a chi non va nei centri di accoglienza, altrimenti decade. Ai richiedenti asilo durante questo periodo è vietato lavorare.
Spesso cosigliamo anche di restare per strada in attesa del riconoscimento del contributo, e di chiedere l'alloggio dopo aver preso i soldi.

L'iter italiano è insolito rispetto agli altri Paesi europei?

AI: La differenza principale rispetto agli altri Paesi è che l'Italia ancora non ha una legge speciale per i rifugiati. L'unica legge è la Martelli del 1990. Ora il fenomeno dei richiedenti asilo è di maggiori proporzioni; inoltre la maggior parte dei rifugiati pensa all'Italia solo come ad un ponte di passaggio per la Germania o per altri Paesi europei dove è migliore l'accoglienza e dove le pratiche sono molto più snelle. Ma a causa della Convenzione di Dublino del 1990, il rifugiato è obbligato a richiedere l'asilo nel primo Paese in cui mette piede, e per molti questo Paese è l'Italia, purtroppo. Fuori hai tutto subito; non puoi lavorare, è vero, ma ti garantiscono la protezione e la possibilità di sopravvivere, senza il bisogno di andare a rubare o a prostiutirsi come qui succede a molti richiedenti asilo. La situazione è tale che noi ci troviamo spesso in condizione di consigliare il parco più sicuro per passare la notte.

GL: Ai tempi della Legge Martelli spesso mi mandavano di persona a prendere i rifugiati all'aeroporto, li accompagnavo in albergo, il giorno dopo ci recavamo alla commissione delle Nazioni Unite per l'intervista, dove poi avveniva il riconoscimento. Con il mandato il rifugiato otteneva l'assistenza e la protezione per almeno tre mesi, 300.000 lire al mese. L'Italia prima era una riserva geografica, per cui poteva accogliere e proteggere solo gli appartenenti alla comunità europea. Gli extracomunitari dovevano rivolgersi direttamente alle Nazioni Unite che curavano tutta la pratica. Inoltre chi otteneva il riconoscimento poteva anche chiedere l'espatrio in altri Paesi aderenti alle Nazioni Unite, per cui poteva cercare condizioni migliori di vita.

Chi ottiene il riconoscimento qui può andare a lavorare fuori?

GL: Solo dopo due anni dal riconoscimento il rifugiato può chiedere il trasferimento di responsabilità.
AI: Si, ma solo se attraverso le ambasciate il rifugiato ottiene un contratto di lavoro altrove, cosa quasi impossibile dato che dovrebbe avere contatti personali con le aziende per farsi assumere fuori dall'Italia, dato che non ci sono uffici preposti a questo e dato che nessuna azienda si rivolgerebbe ad un altro Paese per richiedere manodopera straniera.
GL: Il problema è che per chiedere il trasferimento di responsabilità devi anche dimostrare che hai lavorato per due anni in Italia, per cui il rifugiato deve oltretutto farsi assumere secondo un regolare contratto, altra cosa molto difficile.
Altro problema è che sempre per la Convenzione di Dublino, chi richiede asilo ad es. in Italia ma si ritrova in un altro Paese, deve tornare in Italia, e in caso di riconoscimento risulta come espulso dall'altro Paese, dove non può più tornare.

Se voi doveste dare una definizione di immigrato, rifugiato e clandestino?

AI: In un primo momento il rifugiato è per forza un clandestino, dato che deve avere il tempo di prendere un visto nel Paese in cui arriva, dato che nel Paese di provenienza sta fuggendo da una situazione critica che non gli permette di uscire regolarmente.
Il clandestino a vita è un altro caso, non è un rifugiato; come i destinatari dell'ultima sanatoria, che sono stati clandestini per molto tempo in cerca di condizioni migliori di vita.
Alla parola rifugiato viene subito affiancato l'aggettivo politico, pensando magari ai dissidenti russi. Ma spesso il rifugiato non è chi scappa per via delle persecuzioni dovute alla sua attività politica, ma è un cittadino normale che si trova nel mezzo di una situazione di conflitto tra più parti avverse, come in Congo, in Kossovo, in Ruanda, in Bosnia.
GL: La persecuzione può essere anche di carattere culturale o sessuale. In caso di guerra civile ad esempio, l'Italia offre una protezione temporanea, in attesa della normalizzazione della situazione.
È clandestino anche il rifugiato che ha ricevuto un diniego dalla commissione centrale, e per fare ricorso devono passare altri due o tre anni in cui la sua condizione di clandestinità persiste.

AI: L'immigrato è chi viene qui per lavorare o per studiare, o per amore (risate). Invece il rifugiato quasi sempre si lascia alle spalle situazioni anche di privilegio o comunque di benessere, per cui non rientra affatto nei suoi progetti l'idea di lasciare il proprio Paese.

La legge stessa crea clandestini?

AI: E' chiaro che le lungaggini burocratiche e il rischio di una risposta negativa contribuiscono a complicare la situazione del rifugiato.
AG: La Legge Martelli prevedeva il contributo per 45 giorni dato che questo era il tempo utile che passava dall'ingresso in Italia del rifugiato al riconoscimento dell'asilo politico.
Il numero dei richiedenti asilo era molto inferiore rispetto ad oggi, per cui questa legge non è più idonea e necessita di un aggiornamento. A volta ancora oggi capitano dei riconoscimenti in meno di 45 giorni, soprattutto al Sud, dove a volte la commissione centrale si reca nei campi di accoglienza, fa le sue veloci interviste e in tempi brevi concede il riconoscimento. Ma questa è un'altra forma di parzialità.

Seguite una procedura "ufficiale" per riconoscere e distinguere chi ha effettivamente bisogno del riconoscimento dell'asilo?

AI: La credibilità del richiedente asilo è spesso alterata da false dichiarazioni; l'immigrato che entra in Europa per cercare lavoro, si inserisce dapprima nella comunità dei propri connazionali, dove spesso vengono consigliati di raccontare una storia falsa adatta a richiedere l'asilo politico per avere qualche chance in più di ottenere il permesso di soggiorno. Comunque non si può generalizzare questa strumentalizzazione. Molti non hanno con sé neanche un documento di identità, o magari portano solo un articolo di giornale, o dei documenti che dovrebbero provare lo stato delle cose nel Paese di provenienza. Molti di questi sono abili narratori che riescono a camuffarsi dietro storie molto credibili; altri ancora addirittura fanno commercio di storie, ricche di dettagli utili per passare alla prima intervista. Ma non tutti passano con questo sistema, grazie alle interviste più approfondite fatte dalle varie commissioni europee.
GL: Chi continua a rivolgersi al CIR spesso dice di essere stato vittima di torture, per cui la persona passa nelle mani dello psicologo, e in caso di veridicità, stende una relazione che poi fornisce alla commissione centrale.

Avete relazioni con strutture esterne?

AI: Contattiamo tutte le istituzioni e le associazioni culturali che possono esserci d'aiuto, non solo a Roma ma in tutta Italia, a seconda dei singoli casi. Ad esempio alcuni rifugiati giungono qui a Roma dopo aver passato del tempo in un'altra città italiana, per cui quando si rivolge a noi, ci occupiamo di prendere contatto con la struttura a cui il rifugiato si è rivolto precedentemente per sapere a che punto sono arrivati con quella persona.
GL: Il nostro lavoro principale è sempre quello dell'assistenza, anche dopo l'ottenimento del riconoscimento.
In molti non conoscono le leggi, per cui spesso il rifugiato vede negarsi cose che invece gli spettano. Ad esempio il ricongiungimento familiare può essere richiesto subito dopo il riconoscimento, anche senza un reddito garantito, presentando la domanda all'ambasciata e richiedendo assistenza alle Nazioni Unite.

In Europa c'è un provvedimento unico che si occupi a livello comunitario del problema?

AI: Ma no, è lo stesso principio per cui l'Europa non si preoccupa dei cittadini italiani disoccupati.
Finora l'unico provvedimento in merito è la Convenzione di Dublino, anche se alcuni riescono ad eluderla, riuscendo ad ottenere il riconoscimento in un Paese diverso da quello di arrivo.

Ci sono casi di sfruttamento dei rifugiati?

AI: Si, certo, ci sono casi di avvocati, veri o falsi, che vanno da queste persone e vendono loro dei permessi di soggiorno normalissimi. A Trastevere c'è un'associazione istituita da un congolese e da una somala che vende il diritto d'asilo anche a mille dollari, mentre invece si tratta del solito permesso di soggiorno.

C'è una forma di mutuo soccorso tra i rifugiati?

AI: Si, basta vedere quanto sono affollati i call center dove si riuniscono persone della stessa etnia o della stessa nazione; oppure basta pensare alla comunità Eritrea che a Roma è la più forte, ed è riuscita a creare una rete di aiuti reciproci tra gli eritrei che arrivano qui: i parenti o gli amici si ospitano a vicenda, si fanno da interpreti quando vanno in questura o al comune.

Se doveste presentare un disegno legge in parlamento per migliorare la situazione?

AG: Chiederei soprattutto di velocizzare i tempi.
AI: Bisognerebbe eliminare i cosiddetti centri di accoglienza, che non sono altro che carceri dalle quali il rifugiato non può uscire e dove deve attendere l'arrivo della commissione nella speranza che gli venga riconosciuto l'asilo. In caso contrario non può fare neanche ricorso, e questo è uno dei provvedimenti previsti dalla legge Bossi-Fini appena approvata.
[Fine]

Valerio Cruciani

 


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