Header anno ii #4 - tracce Inviate gli articoli a questo individuo il lettore ideale... Home


  Professione Reporter (M. Antonioni, 1974)
di M. Maurizi
RACCE AMNESTICHE
I Diavoli
Professione reporter


LINÀMI
Logica e inganno dell'opera di massa
L'Arte come scelta politica


IVACE INQUISIZIONE
11 09 01
Le città invisibili
Contro recensione


O EHIUOI
Area Filtro (CIR)
Vocabolario dell'inutile (A-F)
Pensieri e spensieri

 

Ciò che trovo avvincente in molti film di Antonioni è il tema della "ricerca della verità". Guardare certi film di Antonioni è come leggere un romanzo incompiuto di Ellery Queen o sbirciare tra gli appunti di Agatha Christie. Già Cronaca di un amore , che pure mima da vicino il noir, non convince fino in fondo. Non è affatto una critica. Manca alle storie di Antonioni la perfezione formale, il ritmo, la stringenza logica che trasformano spesso il genere del giallo in parodia, appendice filmica della Settimana enigmistica . Potremmo dire che Antonioni sta a Nero Wolf come Nietzsche sta a Hegel, o l'aforisma impertinente al sistema logico-deduttivo. Che il mistero alla fine non venga risolto sancisce, da questo punto di vista, la superiorità di Blow up su Blow out .

Jack Nicholson è qui un reporter e dovrebbe, per definizione, ricercare la verità. Ma il fatto che l'enigma si dispieghi da solo, incurante degli sforzi del protagonista, spesso contro le sue previsioni e aspettative testimonia dell'impotenza ormai imperante dell'individuo (contro il superomismo di un Poirot, magari). Esso sembra inoltre voler mettere al centro della scena lo spettatore (ciò che il giallo tradizionale promette e non mantiene). In questo, forse, Dario Argento è stato più radicale del maestro. David Hemmings, già protagonista di Blow Up , in Profondo Rosso gioca il ruolo del coglione che risolve un caso di omicidio per puro culo. Non è un travisamento di Antonioni; Argento è solo un Antonioni più infantile, con luci sparate da circo e qualche schizzata di sangue.
Ma una coglioneria del genere la si trova già in Blow up e, quasi la stessa, in Professione Reporter col suo andamento traballante e improbabile, il finale misterioso a effetto e l'idiozia di dialoghi e personaggi (borghesi annoiati impantanati in dilemmi in cui l'esistenziale e il banale si confondono).
Antonioni lascia allo spettatore il compito di ricostruire i nessi di una verità della cui esistenza non si è affatto certi. Per lui la verità è, in definitiva, la ricerca del vero, l'esperienza del cercare: non qualcosa di oggettivo e inerte, ma "svelamento" ( aletheia ). Ciò si riflette sullo schermo come oscurità, intrico che avvolge e adombra un contenuto che non si lascia mai afferrare. Antonioni mette in scena questa ricerca a tutto campo: si veda il meraviglioso piano sequenza che chiude laconicamente il film. Non tutto è svelato, non tutto è nascosto. Dell'essenziale e dell'inessenziale, arbitro supremo è l'attenzione dello spettatore, che dona ad una scena visivamente statica, un ritmo forsennato ma interno, mille volte più devastante del montaggio a mitragliatrice dei thriller holliwoodiani.

Marco Maurizi

 


torna alla rivista