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Ciò che trovo avvincente
in molti film di Antonioni è il tema della "ricerca
della verità". Guardare certi film di Antonioni è
come leggere un romanzo incompiuto di Ellery Queen o sbirciare
tra gli appunti di Agatha Christie. Già Cronaca di
un amore , che pure mima da vicino il noir, non convince fino
in fondo. Non è affatto una critica. Manca alle storie
di Antonioni la perfezione formale, il ritmo, la stringenza logica
che trasformano spesso il genere del giallo in parodia, appendice
filmica della Settimana enigmistica . Potremmo dire che
Antonioni sta a Nero Wolf come Nietzsche sta a Hegel, o l'aforisma
impertinente al sistema logico-deduttivo. Che il mistero alla
fine non venga risolto sancisce, da questo punto di vista, la
superiorità di Blow up su Blow out .
Jack Nicholson è qui un reporter
e dovrebbe, per definizione, ricercare la verità. Ma il
fatto che l'enigma si dispieghi da solo, incurante degli sforzi
del protagonista, spesso contro le sue previsioni e aspettative
testimonia dell'impotenza ormai imperante dell'individuo (contro
il superomismo di un Poirot, magari). Esso sembra inoltre voler
mettere al centro della scena lo spettatore (ciò che il
giallo tradizionale promette e non mantiene). In questo, forse,
Dario Argento è stato più radicale del maestro.
David Hemmings, già protagonista di Blow Up , in
Profondo Rosso gioca il ruolo del coglione che risolve
un caso di omicidio per puro culo. Non è un travisamento
di Antonioni; Argento è solo un Antonioni più infantile,
con luci sparate da circo e qualche schizzata di sangue.
Ma una coglioneria del genere la si trova già in Blow
up e, quasi la stessa, in Professione Reporter col
suo andamento traballante e improbabile, il finale misterioso
a effetto e l'idiozia di dialoghi e personaggi (borghesi annoiati
impantanati in dilemmi in cui l'esistenziale e il banale si confondono).
Antonioni lascia allo spettatore il compito di ricostruire i nessi
di una verità della cui esistenza non si è affatto
certi. Per lui la verità è, in definitiva, la ricerca
del vero, l'esperienza del cercare: non qualcosa di oggettivo
e inerte, ma "svelamento" ( aletheia ). Ciò
si riflette sullo schermo come oscurità, intrico che avvolge
e adombra un contenuto che non si lascia mai afferrare. Antonioni
mette in scena questa ricerca a tutto campo: si veda il meraviglioso
piano sequenza che chiude laconicamente il film. Non tutto è
svelato, non tutto è nascosto. Dell'essenziale e dell'inessenziale,
arbitro supremo è l'attenzione dello spettatore, che dona
ad una scena visivamente statica, un ritmo forsennato ma interno,
mille volte più devastante del montaggio a mitragliatrice
dei thriller holliwoodiani.
Marco Maurizi
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