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IL DISTACCO: QUANDO UN AMORE FINISCEQuando un amore finisce

Le storie d’amore possono finire. Poco male quando la cosa succede da entrambe le parti e ci si lascia di comune accordo. Quando invece si è lasciati, allora non è più un semplice dolore: l’angoscia di essere abbandonati può divenire una vera malattia, una frattura che spezza la vita in due (prima e dopo l’abbandono), lasciando svuotati e confusi.

Anche biochimicamente le cose cambiano nell’organismo: durante l’innamoramento si ha un aumento della produzione di endorfine e di feniletilamina (con conseguente senso di benessere, euforia, vitalità e desiderio sessuale); quando la relazione finisce, per contro, si ha un crollo dei livelli di queste sostanze (con conseguente ansia, apatia, senso di frustrazione, irritabilità...).

Che fare?

Bisogna riuscire a convertire la "separazione-frustrazione" in "separazione-operazione attiva"; che vuol dire alcune cose come:

concedersi un giusto "periodo di lutto" (un tempo adeguato per poter elaborare l’infelicità)

farsene una ragione (trovare una spiegazione, capire, e apprendere dall’esperienza della perdita)

prendere l’iniziativa, affrontare la situazione, piuttosto che lasciarsi andare, autodistruggersi...

adottare la filosofia (dell’antica Cina) "può essere una disgrazia, può essere una fortuna"

viversi il tempo come alleato per cicatrizzare la ferita

far leva sulle forze residue per prendere in mano la situazione, accettando l’evento traumatico come una sfida, verso ulteriori traguardi possibili, poiché "la vita continua ", ed è l’unica che abbiamo. 

Perché una storia di coppia finisce, un amore muore, un matrimonio finisce?

Si possono cercare molte spiegazioni e trovare molte griglie di lettura: ma è importante capire, è rilevante - per apprendere dall’esperienza - analizzare alcune ipotesi di ricerca dell’evento "separazione". Fra i molti approcci possibili,  se ne propongo tre: uno d’ispirazione psicanalitica, l’altro più legato alla ricerca empirica, il terzo - infine - di tipo storico-evolutivo.

Approccio d'ispirazione psicanalitica

Si può sottintendere l’idea che la disfunzionalità della coppia sia da collegare a immaturità evolutiva, o a vera e propria patologia, per il prevalere dei giochi inconsci nel rapporto; ecco brevemente la tipologia mutuata da questa ottica:

Il primo tipo di relazione è la cosiddetta "collusione narcisistica". In questo rapporto l’amore è inteso prevalentemente in funzione simbiotica, "amore come essere uno", e comporta abitualmente un partner schizoide. L’unione simbiotica è un rapporto sado-masochista (dove il più forte fagocita il più debole) e in cui va perduta l’identità e la "noità" della coppia (l’essere noi). La relazione matura comporta invece una unione nella distinzione, il rispetto dell’altro come distinto, l’accettazione della diversità, ecc. 
 

Un secondo tipo di relazione è la cosiddetta "collusione orale": qui l’amore è concepito come "aver cura dell’altro". E’ un amore di tipo materno, che comporta un partner a struttura depressiva, autodenegantesi. L’amore maturo invece è caratterizzato da mutualità, reciprocità, essere contemporaneamente soggetto e oggetto nella relazione; non solo capacità di dare, ma anche di ricevere. 

 

Un terzo tipo di relazione è la cosiddetta "collusione sadico-anale". Qui l’amore è inteso come possesso totale; l’oggetto dell’amore è considerato proprio dominio e tenuto continuamente sotto il proprio controllo. Questa relazione comporta un partner a struttura ossessiva. L’amore maturo invece è caratterizzato da libertà, autonomia, fiducia. Mutualità, interdipendenza reciproca di due soggetti indipendenti e liberi. 
 

Un quarto tipo di relazione è la cosiddetta "collusione fallico-edipica" dove l’amore è vissuto soprattutto come autoaffermazione antagonista (virile) e il partner è vissuto sostanzialmente come rivale e luogo della propria affermazione. Questa relazione contempla un partner a struttura isterica. 

L’amore maturo è caratterizzato invece da solidarietà, compartecipazione, parità di possibilità di autorealizzazione al cento per cento. Senza eccessiva competitività. La mancata evoluzione verso un rapporto d’amore più maturo può condurre alla crisi di coppia; le tecniche per rimettere in movimento la maturazione bloccata (ove ciò è possibile) si rifanno alle varie metodologie d’intervento e alle varie scuole di psicologia.

Approccio legato alla ricerca empirica

In questo approccio, più legato alla ricerca empirica, è sottintesa l’idea che molto spesso le relazioni falliscano perché la scelta è stata fatta in base a quello che conta di più nell’immediato e non a quello che conta di più nel lungo periodo.

Sternberg, Professore di psicologia e pedagogia a Jale, ha teorizzato, suffragato da alcune sue recenti ricerche, un concetto di amore completo, sulla base di tre componenti fondamentali: l’impegno come componente cognitiva, l’intimità come componente emotiva e la passione come componente motivazionale dell’amore. Si può visualizzare l’amore come un triangolo in cui quanto maggiori sono impegno-intimità-passione, tanto più grande è il triangolo e più intenso l’amore.

Amore completo

Da questa teoria scaturisce una tipologia collegata alla combinazione dei tre diversi fattori, dando luogo a otto possibili tipi di relazione.

La prima è "l’assenza di amore": tutte e tre le componenti mancano; è la situazione della grande maggioranza delle nostre relazioni personali, casuali o funzionali. 

 

Il secondo tipo è la "simpatia". C’è solo l’intimità, si può parlare con una persona, parlare di noi, ci si riferisce ai sentimenti che si provano in una autentica amicizia e comporta cose come la vicinanza, il calore umano (ma non i sentimenti forti della passione e dell’impegno). 
 

Il terzo tipo è "l’infatuazione": quando c’è solo la passione. Quell’amore a prima vista che può nascere all’istante e svanire con la stessa rapidità. Vi interviene una intensa eccitazione fisiologica, ma senza intimità o impegno. La passione è come una droga, rapida a svilupparsi e rapida a spegnersi, brucia alla svelta e dopo un po’ non fa più l’effetto che si voleva: ci si abitua, arriva l’assuefazione. 
 

"L’amore vuoto" è il quarto tipo di relazione, dove l’impegno è privo di intimità e di passione: tutto quello che rimane è l’impegno a restare insieme. Un rapporto stagnante che si osserva talora in certe coppie sposate da molti anni: un tempo c’era l’intimità, ma ormai non si parlano più; c’era la passione, ma anche quella si è spenta da un pezzo. 

 

"L’amore romantico" è una combinazione di intimità e di passione (tipo Giulietta e Romeo). Più di una infatuazione, è vicinanza e simpatia, con l’aggiunta dell’attrazione fisica e dell’eccitazione, ma senza l’impegno, come un’avventura estiva che si sa che finisce. 

 

"Amore fatuo" è quello che comporta la passione e l’impegno, ma senza intimità. E’ l’amore da fotoromanzo: i due si incontrano, dopo una settimana sono fidanzati, e dopo un mese si sposano. S’impegnano reciprocamente in base all’attrazione fisica., ma dato che l’intimità ha bisogno di tempo per svilupparsi, manca il nucleo emotivo su cui può reggersi l’impegno. E’ un tipo d’amore che di solito non dà buon esito nel lungo periodo.

 

"Sodalizio d’amore" è chiamato un rapporto d’intimità e impegno reciproco, ma senza passione. E’ come un’amicizia destinata a durare nel tempo. Quel tipo di amore che spesso si osserva nei matrimoni dove l’attrazione fisica è scomparsa.

Infine quando tutti e tre gli elementi si combinano in una relazione, abbiamo quello che Sternberg chiama "amore perfetto o completo". Raggiungere un perfetto amore, dice quest’autore, è come cercare di perdere un po’ di peso, difficile ma non impossibile; la cosa davvero ardua è mantenere il peso forma una volta che ci si è arrivati o tenere in vita un amore completo quando lo si è raggiunto. E’ un compito aperto, non una tappa raggiunta una volta per tutte. In questa visione, l’indice più valido per predire la felicità di una relazione è dato dalla consonanza tra triangolo ideale passivo (i sentimenti che si desiderano dall’altro) e il triangolo percepito (i sentimenti che si presuppongono dall’altro). La relazione tende a finir male se non c’è corrispondenza tra quello che si vuole dall’altro e quello che si pensa di riceverne: chiunque ha amato senza essere ricambiato altrettanto, sa quanto può essere frustrante. Alle volte si potrebbe consigliare di ridurre le proprie aspettative e diminuire il proprio coinvolgimento: ma è un consiglio difficile da seguire. In USA metà dei matrimoni finiscono in divorzio e anche chi non divorzia non è detto che viva in una coppia molto felice. 
La gente è davvero così stupida da fare sempre la scelta sbagliata? Probabilmente no: il fatto è che sceglie troppo spesso in base a quello che conta di più nell’immediato. Ma quello che conta nel lungo periodo è diverso: i fattori che contano cambiano, cambiano le persone e cambiano le relazioni.

Nella ricerca fatta sui fattori che tendono a diventare più importanti con l’andare del tempo, si sono rilevati questi tre:

la disponibilità a cambiare in funzione delle esigenze dell’altro

la disponibilità ad accettare le sue imperfezioni

la comunanza di valori, specie quelli religiosi. 

Queste sono cose che è difficile giudicare all’inizio di una relazione: l’idea che l’amore vinca tutti gli ostacoli è molto romantica, ma poco reale. Quando si devono prendere delle decisioni, quando arrivano i figli e si devono fare alcune scelte, una cosa che sembrava poco importante, lo diventa. Altri fattori invece nel lungo periodo diventano secondari: come l’idea che l’altro sia "interessante" (all’inizio c’è il timore che se cala l’interesse la relazione svanisce). In realtà quasi tutto tende a diminuire col tempo (nelle coppie studiate statisticamente): calano la capacità di comunicare, l’attrazione fisica, il piacere di stare insieme, gli interessi in comune, la capacità di ascoltare, il rispetto reciproco, il trasporto romantico... può essere deprimente, ma è importante fin dall’inizio sapere che cosa aspettarsi col tempo, avere aspettative realistiche circa quello che si potrà ottenere e quello che finirà con l’essere più importante a lungo andare.

Cosa fare allora per migliorare un rapporto di coppia?

Sternberg propone un ultimo triangolo: quello dell’azione. Spesso c’è un bel salto fra pensiero, sentimento e azione. Le nostre azioni non sempre rispecchiano i nostri sentimenti, per cui può essere utile sapere quali atti sono specificamente associati alle varie componenti dell’amore. 

La passione richiederà il contatto fisico, la sessualità, la varietà e non la monotonia dei comportamenti sessuali. L’intimità richiederà la comunicazione dei propri sentimenti interiori, l’offerta del sostegno emotivo, la condivisione del proprio tempo e delle proprie cose. L’impegno, infine, comporterà il fidanzamento, il matrimonio, la fedeltà, la capacità di superare i momenti difficili, la capacità di trovare un valido compromesso nelle diverse legittime esigenze ed aspirazioni. 

Amore completo

E’ importante esprimere l’amore nei comportamenti perché il modo in cui ci comportiamo plasma i nostri modi di pensare e di sentire, forse non meno di quanto ciò che pensiamo e proviamo plasma le nostre azioni (se non agisci come pensi, finirai per pensare come agisci). Inoltre certe azioni portano ad altre azioni: le espressioni d’amore dell’uno influiscono su ciò che l’altro pensa di lui (sui sentimenti e sui comportamenti dell’altro nei suoi confronti) dando luogo così ad una serie di azioni che si rinforzano a vicenda. E’ necessario dare importanza alle espressioni d’amore. Senza espressione anche il più grande amore può morire.

Approccio Storico-Evolutivo

Questo approccio, per capire la crisi di coppia, è stato sviluppato dal Prof. Mario Bertini dell’Università di Roma. 

L’idea che guida questa analisi è che la coppia tradizionale spesso entra in crisi e può morire a motivo della forte contrattualità, statica e consumistica, che sta al fondo di questa relazione: un disegno di norme latenti che modellano con forte direttività la relazione stessa.

Bertini fa notare che storicamente, superato il modello di tipo vittoriano dell’epoca precedente (rigidità dei ruoli e soggezione globale della donna), tra le due guerre, si è venuto affermando un modello apparentemente (e in parte obiettivamente) liberatorio, ma portante alla base, filtrata attraverso le varie ideologie post-freudiane e il consumismo capitalistico di ispirazione nord americana, una contrattualità implicita bloccante e mortificante.

E’ la cultura romantica dei fiori bianchi, dell’abito bianco di nozze, della fedeltà reciproca a tutti i costi, della felicità di stare insieme... (concomitantemente a questo mutamento di prospettiva, e apparentemente in modo contraddittorio, aumenta la conflittualità, la coppia è sempre più in crisi). E’ come se la coppia dicesse: "Dopo tanto laborioso cammino, finalmente siamo approdati a questo meraviglioso giardino recintato dove tutto si può godere. Protetti dal nostro amore e dalla consistenza del contratto. Il compito che ci sta davanti è finalmente quello di godere "consumando" insieme tutto quello che ci viene chiesto è di rispettare le regole di non uscire dal recinto e di sacrificarsi l’un l’altro, sicuri che l’amore riuscirà a far superare ogni ostacolo".

E’ un atteggiamento di base dettato dal consumismo imperante nella cultura odierna. E’ una visione statica, "di morte", ispirata all’ideologia del mercato che fa del matrimonio (invece che una fase cruciale per lo sviluppo della persona), un punto di stasi, entro cui godere e consumare dei vantaggi acquisiti.

Quali sono queste norme contrattuali implicite nella relazione tradizionale? O. Neill le indica così:

1^ norma - possesso o proprietà del partner: marito e moglie sono reciprocamente vincolati nel "tu mi appartieni". E’ una concezione tipicamente statica del rapporto, dove le tentazioni simbiotiche riaffiorano, mortificando in vario modo la realizzazione personale.

2^ norma - denegazione del proprio sé. Al contratto insensibilmente si finisce per sacrificare la propria identità personale: "Sono pronto a sacrificarmi per te, a rinunciare a questa mia esigenza a vantaggio della nostra unione"; sembrerebbe altruismo e generosità, invece è una concezione di morte ad ispirare questa norma. Il solco che separa masochismo e altruismo è sottile, ma profondo è il baratro sotteso. Chi si dispone a coartare, a sacrificare la propria identità e il proprio bisogno di realizzazione, forse riuscirà a salvare formalmente la propria unione, ma preparerà l’atrofia dell’unione stessa. L’altro cresce non nella misura in cui l’uno si sacrifica, ma nella misura in cui si realizza nel rapporto stesso.

3^ norma - mantenimento del fronte-coppia. "Come gemelli siamesi noi dobbiamo sempre apparire come coppia". Il matrimonio in sé diventa la carta d’identità, come se uno non esistesse senza di esso.

4^ norma -comportamento rigidamente ispirato al ruolo. I compiti e le prestazioni varie sono predeterminate dagli stereotipi di mascolinità e femminilità. L’alibi del ruolo serve così a eludere il rischio di una implicazione interpersonale più profonda.

5^ norma - fedeltà assoluta. Fisicamente e psicologicamente obbligante, mediante coercizione morale, se non fisica, piuttosto che frutto di libera scelta e di maturazione.

6^ norma - esclusivismo totale. "Lo stare insieme ad ogni costo e sempre, anche se forzato, finirà per salvaguardare l’unione, qualunque cosa accada".

Questa cappa di normatività estrinseca, al servizio di un intimismo consumistico, va smascherata, perché prepara la stasi, la morte della coppia. Va affermata invece una visione del matrimonio di tipo evolutivo, come tappa di sviluppo, non come traguardo definitivo (NB: bisogna "investire" meno nel matrimonio).

Ci sono due concezioni dello sviluppo della personalità: una impostazione per così dire "accrescitiva" di sviluppo, (di significato passivo), conservatrice e sostanzialmente statica. Il bambino è concepito come un uomo in miniatura e lo sviluppo un fenomeno statico lineare di crescita di una struttura che sostanzialmente è identica a sé stessa, si muove solo nel senso di un accrescimento quantitativo. In contrapposizione a questa posizione accrescitiva si è venuta affermando una visione dinamica dello sviluppo della personalità, intesa come un processo continuo di trasformazione e di evoluzione. L’uomo quindi non si accresce, ma evolve; la sua legge non è la statica prevedibilità, ma il cambiamento. Lungo questa linea incessante di progresso si misura il cammino agile della personalità verso la sua liberazione nel senso del passaggio da situazioni di dipendenza (eteronomia), verso forme sempre più evolute di autodeterminazione razionale e creativa (autonomia).

Alla radice della logica conservatrice, accrescitiva, si nasconde la paura come molla che blocca il progresso della persona. Paura di lasciarsi andare fluidamente nel gioco rischioso della libertà: paura di abbandonare le vecchie certezze, paura di affrontare il vuoto senza rischiarsi verso nuovi orizzonti creativi. Invece, molla traente della prospettiva dinamica dello sviluppo è la speranza. Speranza che dopo aver lasciato il braccio della madre (la morte ha questa certezza), c’è la scoperta dell’autonomia. Dopo la morte la risurrezione. Quella speranza che (come osserva Erikson) "è la più precoce e indispensabile virtù inerente allo stato di essere vivi". Quella speranza che una volta stabilita come qualità "basica" dell’esperienza, rimane viva anche indipendentemente dalla verificabilità delle "speranze".

Il rischio liberante della innovazione continua, sotto l’impulso della speranza, costituisce quindi una prima chiave interpretativa importante per l’analisi della coppia in crisi. A questo rischio si contrappone (nell’impostazione statica-conservatrice) il "bisogno di controllo" di sé stessi e degli altri.

L’evoluzione, la realizzazione della persona, non si attua tuttavia nel vuoto: l’uomo cambia ed evolve in un rapporto di coesione con gli altri. Il bisogno di coesione è fondante lo sviluppo a patto che avvenga nella dimensione della mutualità. La mutualità può essere concepita come una relazione un cui due membri dipendono l’uno dall’altro per lo sviluppo delle rispettive potenzialità (interdipendenza). Questo principio ci fa capire che non è tanto nella misura in cui uno dà o si mortifica per l’altro che l’altro cresce, ma nella misura piuttosto in cui uno si "realizza" nel rapporto con l’altro, che l’altro cresce. Il contrario della mutualità è la pretesa che l’altro cambi senza il rischio partecipativo del proprio cambiamento nel rapporto stesso. Non ha senso dire: "ho la speranza che la mia donna sarà più donativa", ma nella misura in cui rischiandomi nel rapporto, io stesso divento più donativo, in quella misura si cresce entrambi.

La garanzia quindi dello sviluppo sembra fondarsi in relazioni di reciprocità, in cui al di fuori di ogni logica prevaricatrice, la realizzazione di sé passa attraverso la realizzazione dell’altro e viceversa. Questo sono due chiavi normative ideali che possono innovare profondamente il rapporto di coppia: accettazione della vita come processo continuo di innovazione nella speranza e convinzione che la crescita autentica non avviene se non nel rispetto della mutualità. Accettazione della vita non come processo statico di accrescimento, ma come processo dinamico di innovazione nella mutualità: questa chiave di lettura ci consente di prendere coscienza di ciò che è morto nel modello tradizionale di relazione di coppia e di individuare le linee emergenti di un significativo salto evolutivo. E’ in questa luce che andranno rivisti i concetti stessi di fiducia, di sessualità, di ruolo, di uguaglianza nella coppia.

Come gestire l'ex

A volte la violenza delle separazioni amorose ci sconvolge: come è possibile essersi dati così tanto, e d’improvviso essere niente l’uno per l’altra? Come può essere così sottile il confine tra amore e odio? Quando l’amore non c’è più, possiamo almeno provare a mantenere delle buone relazioni. Ma come?

In genere, prima di poter stabilire con un ex una relazione sana e pacifica è necessario “digerire” la propria storia, cioè fare la pace con se stessi e con l’altro. Solo quando questo passo è compiuto si potrà pensare a costruire un’amicizia tutta nuova. Per alcuni, una volta superata la parte più ardua del cammino la scoperta è delle più liete, e a volte la nuova amicizia che si costruisce vale tutto, se non di più, l’amore precedente: una relazione più tranquilla e serena, ma non per questo meno complice – insomma, si può scoprire che valeva la pena di amarsi per arrivare fin qui… Ma come si può gestire la fine di una storia d’amore per far nascere un nuovo rapporto sotto il segno dell’amicizia? Come ogni storia sentimentale, ogni rottura è una vicenda a sé, e le soluzioni per renderla più facile da vivere devono essere adattate alle circostanze, al carattere di ciascuno e alla particolarità della relazione. Riflessioni e qualche idea per uscirne al meglio.

Datti tempo
Che dei partner tu sia quello che lascia o quello lasciato, comincia col concederti un periodo di riflessione di qualche settimana o di qualche mese, in funzione della durata e dell’intensità della relazione: in questo periodo non cercate di vedervi, né di parlavi. Questo intervallo di silenzio darà a entrambi la possibilità di fare il punto della situazione e di superare poco per volta la rabbia e il dolore. Se sei quello che se ne va, l’interruzione del rapporto potrà forse rappresentare per il tuo partner un’occasione per distaccarsi e iniziare a fare i conti con le tue possibili colpe, specialmente se l’hai tradito. Se intendi mantenere i rapporti, al momento della separazione o subito dopo esprimi chiaramente quello che provi e il tuo desiderio di mantenere i contatti, e rispetta la scelta dell’altro di rivederti oppure no. Non precipitare le cose e spiega che tutti e due avete bisogno di ritrovare voi stessi e di elaborare questa relazione prima di passare ad altro. Ammettere che una storia importante è finita non è facile…

Il modo giusto
Evita la gelosia: quando una storia è finita, è ovvio che ciascuno cerchi di ricominciare con qualcun altro. Almeno razionalmente dovresti essere capace di ammettere che altre persone, dopo di te, ameranno del tuo partner tutto quello che hai amato tu, e non dimenticare che i tormenti della gelosia non solo costituiscono un inutile spreco di energie, ma ti tengono avvinto a una storia finita e ti impediscono di guardare avanti. Cerca di non lasciarti travolgere dalla nostalgia: certo è stata una magnifica relazione, ma la risposta che cerchi è nel futuro. Comincia a pensare a tutte le cose che potresti fare per stare bene, comprese tutte quelle che hai sacrificato alla vita di coppia. A volte l’attrazione fisica scompare molto tempo che una relazione è finita, quindi almeno agli inizi cercate di incontrarvi in luoghi neutri che non sono legati al vostro rapporto e non ti inducono in tentazione. Quando vi incontrerete, ricordati che stai incontrando una persona nuova, o almeno che la vedrai sotto una luce nuova – preparati a questo, così potrai controllare meglio le tue emozioni. Evita i rimproveri e i regolamenti di conti, e cerca di orientare la conversazione verso l’avvenire piuttosto che verso il passato: informati delle sue nuove attività, dei suoi progetti, dei suoi amici o del suo lavoro, e racconta le novità della tua vita. Non forzarti mai a rivedere il tuo ex se questo ti fa soffrire o ti mette in tensione, a volte per girare la pagina bisogna essere da soli!

I nuovi compagni

Prima o poi la/lo incontrerai in compagnia di un’altra persona, e forse proprio questo momento sancirà l’inizio di una relazione completamente nuova. Quando l’incontro avverrà, cerca di non confrontarti immediatamente con l’altra persona: chi ti ha amato non ti dimenticherà mai del tutto, e una nuova storia d’amore è nuova proprio perché sarà diversa da quella vissuta con te. Insomma, evita i pregiudizi, i confronti stupidi e i giudizi a priori. Da evitare tassativamente: i consigli non richiesti, le prese di posizione e gli slanci di finta amicizia. Nessuno si aspetta che tu sia felice in un momento del genere, è sufficiente che tu mantenga un comportamento civile e decoroso, soprattutto per te

Si può restare amici di un ex?
In generale la conclusione di una storia di coppia può avere sviluppi diversi e non sempre tristi e drammatici. Succede che quando entrambe gli ex partner arrivino ad una presa di consapevolezza che il loro rapporto non ha più nulla da dare, allora la parola fine viene posta con una certa serenità senza particolari rancori con la possibilità di mantenere aperto un canale di dialogo che potrebbe essere definito come un “rapporto amicale”. In altre parole si conclude la storia d’amore, ma non lo scambio comunicativo tra i due, che è comunque, sulla base di ciò che fra i due vi è stato in precedenza, uno scambio privilegiato

Vorrei che fossimo ancora amici, ma lui/lei non vuole
E’ importante cogliere la richiesta dell’altro/a nel rispetto della sua persona e del ricordo della storia d’amore che ha visto protagonisti i due. Colui o colei che è lasciato/a avrà certamente delle difficoltà a mantenere, anche solo a livello amicale, il dialogo con l’ex. Infatti è un po’ come riaprire in continuazione una vecchia ferita, che richiede comunque tempo per rimarginarsi, e non è detto che il tempo dell’uno corrisponda necessariamente al tempo dell’altra e viceversa. E poi perché chi lascia vuol poi rimanere amico/a dell’ex? La domanda è intenzionalmente provocatoria, tuttavia credo che la scelta di chiudere un rapporto, anche se per buoni e ovvi motivi, sia sempre difficile e a volte dolorosa, ma soprattutto la difficoltà attiva, probabilmente, dei sensi di colpa con i quali la persona deve fare i conti

Vorrebbe che restassimo amici, ma io sono ancora innamorato/a
Questa è un a situazione pericolosa in quanto si muovono dentro al/la singolo/a sentimenti contrastanti. Il fatto di provare dell’amore verso l’ex può spingerci ad aprire e mantenere un rapporto d’amicizia che tale non può essere, in quanto non esiste reciprocità: io ti do amore, tu mi dai amicizia. Meglio essere chiari fin dall’inizio. E’ vero, non è facile per chi ancora si trova nella dimensione dell’amore verso l’altro/a, tuttavia le conseguenze di un rapporto falsato potrebbero essere molto gravi con il rischio di perdere definitivamente ogni possibilità di dialogo con colui/colei che è ancora amato/a

E’ finita ma non riesco ad accettarlo
Nessuno accetta con serenità la fine di una storia, in particolar modo se si tratta di una storia d’amore. E’ importante in quei momenti non tenere tutto dentro, bensì sfogarsi tirare fuori l’angoscia, la rabbia, la delusione e tutti gli stati d’animo che fanno sentire incapaci di razionalizzare la perdita, la sensazione di abbandono. Parlare, parlarne con qualcuno aiuta a non creare delle stratificazioni di sofferenza dentro noi stessi

Meglio amici che niente?
Spesso nelle relazioni umane è difficile dire, ma soprattutto definire con esattezza matematica, la conclusione di una storia d’amore; quando poi la storia d’amore ha avuto come fase iniziale un bel rapporto d’amicizia, ecco che nel momento in cui si pone la parola fine l’impressione di abbandono è a trecentosessanta gradi: perdo l’amato/a, perdo il/la mio/a migliore amico/a. Se separazione deve essere, dunque, che sia possibilmente la più indolore: l’amo, comunque l’ho perso/a, manteniamo il rapporto d’amicizia. E’ un’equazione difficile, complicata, ma anche rischiosa.  Non è possibile che il rapporto di amicizia compensi ciò che era un rapporto d’amore. Questo non vuol dire che non è possibile rimanere “buoni amici”, tuttavia il segreto sta in una scelta comune e consapevole; forse l’ultima scelta insieme di quella che una volta era una coppia.

A volte la vita di coppia non termina con la separazione, e che ci siano figli o meno, la forza del legame resta comunque presente. Le coppie possono essere legate da interessi concreti, materiali o affettivi che le rendono in un certo senso “coppie che non finiscono mai”. Ci sono molti modi per mantenere in vita una coppia finita: nella violenza e nell’odio, o nel rispetto e nell’amore. Molte coppie che stanno divorziando continuano a esistere in un confronto continuo, perché fino a quando combattono, in un certo senso continuano a esistere – un modo per dimostrare che pur odiando profondamente si continua ad amare moltissimo, tanto che non si riesce a spezzare il legame. Queste coppie si abbarbicano a ogni minimo appiglio per continuare la relazione perché sono incapaci, in un momento molto doloroso della loro vita, di credere in un futuro diverso e di rompere i ponti con il passato.

Altre coppie mantengono invece legami più costruttivi, nel rispetto e nella comprensione reciproci; ma perché all’amore possa sopravvivere una vera complicità, è necessario che la relazione fosse costruttiva già prima della fine, e per entrambi. Se infatti uno dei partner pensa che la relazione non avrebbe mai dovuto esserci, non avrà alcun interesse a conservare in vita un legame e penserà a una cosa sola: cancellare questa esperienza dalla sua vita, e passare oltre. Ma se questa relazione ha invece avuto un ruolo decisivo nella sua vita, potrà allora riconoscere una sorta di “debito” nei confronti della persona che lascia o da cui è lasciato, e avrà tutto l’interesse a preservare i momenti felici passati in due. In altre parole, per lasciarsi bene bisogna amarsi molto. Se si desidera eliminare del tutto una storia passata dalla propria vita, ammesso che questo sia possibile, ci si potrebbe porre alcune domande, per esempio: di cosa ho paura? Perché voglio cancellare questa parte del mio passato, e rinnegare una parte di me e dell’altro?

E’ certo che fino a quando si provano collera e rancore è inutile pensare a un ritorno. Bisogna darsi il tempo di perdonare e ritrovare una nuova fiducia. Voler riprendere con un ex per fargli pagare il male che ci ha fatto o per risolvere una situazione economica precaria sono motivi che anche se evitano un taglio definitivo, conducono per forza di cose a una relazione negativa. Se la coppia si riformasse su queste basi, è poco probabile che duri a lungo; fortunatamente però gli strappi profondi, le menzogne e gli atti violenti non sono presenti in tutte le separazioni. Molte coppie mettono fine alla propria storia in maniera molto meno esplosiva – è quello che chiamiamo “separazione rispettosa”. Gli scenari possono variare, ma tutte hanno in comune l’onestà di fondo e la maturità dei partner. La separazione è sempre dolorosa, ma contrariamente alle rotture che accadono a seguito di un tradimento, quelle in cui i partner si soo parlati apertamente hanno il merito di non distruggere la fiducia: il partner che ha bisogno di prendere le distanze per vivere nuove esperienze ha molte più probabilità di mantenere il rispetto dell’altro parlandogli apertamente dei suoi bisogni, piuttosto che conducendo una doppia vita.

Comunque sia finita la vostra storia, e qualunque ne sia il seguito attuale – che vi sentiate ogni tanto, o che non vi siate più sentiti ma forse un giorno il destino vi farà incontrare di nuovo – non si riprende mai una relazione là dove la si era terminata. Non abbiamo scelta, bisogna tener conto del cammino di ciascuno dopo la rottura. Se la vita ci riserva a volte gradevoli ritrovamenti, in altri momenti può metterci di fronte a sorprese che non ci aspettavamo, e anche se il rispetto e la fiducia sono miracolosamente intatti, può accadere che i due componenti della coppia siano semplicemente su lunghezze d’onda diverse…

Come e perché separarsi

La fine di un amore è una delle esperienze più dolorose da affrontare. Da dove cominciare a rimettere insieme i cocci, cosa è possibile fare per non venire sommersi dalla sofferenza? Come sopravvivere alla separazione, come ricominciare da sé.

Mito e separazione
Secondo la mitologia Orfeo, cantore e musicista di eccezionale bravura, compì un viaggio negli Inferi per supplicare Persefone, regina dell'Ade, di restituirgli la sua sposa Euridice, morta per il morso di un serpente. Persefone, commossa dalle melodie di Orfeo, gli concesse di riportare alla luce la consorte a patto che fosse rispettata la regola di non guardare la defunta finché si trovavano nel regno dei morti. Orfeo, come è noto, non riuscì a resistere alla tentazione, si voltò e perse per sempre la sua amata.

Anche nel mito di Amore e Psiche la separazione avviene per opera del guardare. Psiche poteva amare il suo compagno, Amore, solo a patto di non poterlo mai vedere. Contravvenendo all'ordine di Amore, lo guarda durante il sonno che segue il loro piacere, viene scoperta e lasciata sola. La domanda che poniamo sia a Orfeo che a Psiche è: che cosa avete guardato? Perché questo gesto vi ha separati?

Il formarsi della coppia
La separazione presuppone un'unione pregressa. Spesso questa è frutto dell'innamoramento, un'esperienza che fa sentire più vivi, o vivi per davvero, come se fosse accaduto qualcosa che attendevamo da tanto tempo, o come se la nostra vita precedente non fosse altro che il preludio a quel momento. Immagino che, anche se con diverse sfumature, questi pensieri abbiano attraversato almeno una volta la vostra mente. Ciò accade perché l'incontro col partner risveglia dentro di noi una parte che è in grado di vivere soltanto nella dimensione di coppia.

Carl G. Jung, psicoanalista svizzero del secolo scorso, l'aveva chiamata Anima e Animus. La prima incarna il principio femminile e, grosso modo, rimanda alle capacità di sentire, provare sentimenti, intuire ecc. L'Animus, invece, incarna il principio maschile ovvero la volitività, la normatività, l'agire ecc. Queste caratterizzazioni, naturalmente, riflettono il periodo storico di chi le ha compiute. Oggi nessuno si azzarderebbe a collocare la volitività, per esempio, nel mondo esclusivamente maschile.

E' vero però che una caratterizzazione secondo il genere cui si appartiene esiste. Si diventa uomini e donne anche perché si riceve un'educazione che mira a crescerci come tali. Poco importa se nel terzo millennio si chiederà all'uomo di occuparsi di sentimenti e alla donna di fare carriera. Il concetto importante è la complementarità: ciò che ha uno non ha l'altro; insieme vi è completamento, totalità.

Jung spiega che in ognuno di noi vi è una parte il luce e una in ombra. Questo significa che c'è una parte cui possiamo accedere senza sforzo, con naturalezza, che sentiamo lucidamente come costitutiva del nostro essere. L'altra, quella in ombra, è una zona cui non riusciamo facilmente ad accedere, che non sentiamo neanche facilmente come parte di noi. Jung riteneva che nell'uomo la parte in ombra è l'Anima; nella donna l'Animus.

In genere si accede a queste zone nascoste tramite un'esperienza "mistica", come l'innamoramento, che ci permette di superare i nostri tentativi di tenere nascosto ciò che è in ombra. Il completamento di cui parlavamo poc'anzi, perciò, è solo in apparenza l'unione tra due persone che incarnano le "due metà del cielo". In realtà è la congiunzione tra la propria parte in luce e quella in ombra. E' proprio questo che ci fa sentire completi.

Ma allora io non amo una persona ma solo il riflesso di lei che c'è in me? In parte è vero. Potremmo dire che inizialmente è così, poi, col tempo, la potenza di queste proiezioni si riduce e cominciamo a vedere la persona più per come è veramente. Cosa ha visto perciò Psiche? Ha visto Amore per ciò che egli era davvero e ha dovuto rinunciare a vederlo solo come una proiezione del suo Animus.

La coppia si separa
La separazione è la rottura del sodalizio interiore creato dall'amore, della promessa di vita più vera. Ci rimanda al limite di ciò che è possibile e che non è possibile fare. E' un processo mentale simile all'elaborazione del lutto, in quanto implica l'allontanamento definitivo da qualcuno che amiamo.

Le fasi emotive che contraddistinguono la separazione sono:

la negazione iniziale, ovvero la speranza che quello che sta capitando non sia vero;

la rabbia, ovvero la domanda "perché sta capitando a me?";

la depressione, che in genere coincide con il riconoscere che è così e non ci si può fare
proprio niente; 

l'accettazione, ossia il pensiero che le cose dovevano necessariamente andare in quel modo.

L'immagine che ci portiamo dentro da quel momento in poi è il "fantasma" della persona amata, quello che rappresentava dentro di noi e con cui dobbiamo misurarci per elaborare la perdita e rinascere affettivamente. Proprio ciò che ha guardato Orfeo, che, incapace di accettare la perdita della sposa, aveva voluto ottenere ciò che non è naturale: riavere una persona già defunta. Orfeo trova la risposta guardando Euridice che ha riavuto ma che è un fantasma e come tale scompare.

Non è molto diverso da quando incontriamo dopo parecchio tempo la persona con cui abbiamo avuto una intensa relazione d'amore. Improvvisamente ci accorgiamo che il lui o la lei che visitava con insistenza i nostri pensieri, che faticava a "lasciarci", è molto diverso dalla persona di fronte a noi. Ci accorgiamo che ci siamo trascinati dietro un "fantasma" che ora non ha più senso di esistere.

Arrivare a questo stato di accettazione serena è tutt'altro che semplice. Inizialmente il senso di impotenza e di fallimento che seguono la separazione ci pervadono e si generalizzano in un "mai più". E' una fase che spesso coincide con un ripiego nell'omosessualità. Per alcuni si tratta di vere e proprie manifestazioni omosessuali, per altri semplicemente nella ricerca di persone dello stesso sesso con cui passare il tempo, amici, conoscenti e così via.

Questo ripiegare è psicologicamente un dato positivo, se transitorio. Infatti è l'occasione per ritrovare un'appartenenza a un genere che conferma e arricchisce la nostra identità. Nel rapporto di coppia, invece, l'identità può essere messa duramente alla prova, specialmente se fragile, poiché vi è un continuo movimento tra essere una cosa sola ed essere due individui distinti, lavoro psichico rischioso e faticoso.

Cosa si deve fare quando ci si separa?
La prima cosa è richiamare alla mente le differenze tra sé e il proprio partner. In particolare quelle che hanno reso impossibile proseguire il rapporto, ma anche quelle più banali, e sottolinearle. Ciò significa che se il partner pretendeva che si dormisse con la finestra chiusa e il buio completo, può essere salutare tentare soluzioni completamente diverse come la finestra aperta e la tapparella alzata. Così pure se con il partner si conduceva una vita prevalentemente casalinga, è il momento di uscire più spesso e sperimentarsi in un modo nuovo e diverso.

Questo differenziarsi dal partner può essere un modo per vedere che si è perso qualcosa ma si può guadagnare qualcosa di nuovo. Un altro tema da affrontare è quello della dipendenza. Una delle cose che impedisce per lungo tempo di separarsi è che il rapporto di coppia offre alcune "comodità". Può esserci la dipendenza economica di uno dei partner, o un dipendere che ha più a che fare con la capacità di sbrigare cose pratiche o risolvere problemi. E' fondamentale combattere queste forme di sudditanza e cercare di rendersi il più possibile autonomi, poiché questi punti deboli potrebbero far tornare sui propri passi sulla base di esigenze che non hanno nulla a che fare con un ripensamento davvero profondo.

Lo stesso discorso vale per i figli, utilizzati, spesso in modo inconsapevole, come "scusante" di una mancata separazione. "Se ci lasciamo soffriranno" si pensa, come se si intravedesse una forma di sacrificio nobile in nome dei figli che hanno diritto a entrambi i genitori. Da questo punto di vista è bene essere lucidi e realisti. E' accertato da numerose ricerche che se la separazione dei genitori è senza dubbio traumatica per un bambino, di sicuro lo è altrettanto se non di più avere vicino due genitori che non si amano più, che litigano, che non sono più capaci di creare un clima di armonia in casa. Non basta sorridere quando c'è il bambino e fare finta che va tutto bene.

I bambini, essendo più acerbi nella capacità di comprendere dal punto di vista razionale e linguistico, sono dei veri e propri campioni nel captare gli umori, l'atmosfera, i gesti che ci scappano ma che tradiscono la realtà della situazione, come, ad esempio, i genitori che non si danno più neanche un bacio.

Una volta presa la decisione, di fronte agli inevitabili dubbi che ne seguiranno, cerchiamo di richiamare alla nostra mente il motivo principale per cui ci siamo separati. Proviamo a capirlo anche considerando che cosa di solito diciamo a chi ci chiede perché è finita. Parliamo del fatto che ci siamo sposati troppo giovani? O che era un modo per uscire di casa? A volte parlando con le persone diciamo candidamente e lucidamente quello che nelle nostre riflessioni personali ci nascondiamo o semplicemente non vediamo. Questa prima riflessione sulla separazione dovrebbe condurci a un secondo livello di analisi.

Se la risposta alle precedenti domande era stata "mi sono sposato per andare via dai miei genitori" dovremmo domandarci se non cercavamo, tutto sommato, qualcuno che li sostituisse. Dovremmo perciò cercare di risolvere il nostro rapporto di dipendenza dai genitori prima di pensare di avventurarci di nuovo in un rapporto di coppia impegnativo. In generale vale la pena di porsi la domanda: che cosa avevo cercato nel mio partner senza trovarlo perché in realtà volevo trovarlo in me stesso e non in lui? Nell'esempio già menzionato potrebbe essere il desiderio di sviluppare delle competenze che ci permettono di essere persone veramente indipendenti.

Per concludere
Il tema della separazione richiama perciò problematiche diverse e complesse: c'è un livello simbolico che pertiene allo sviluppo della nostra personalità e del nostro sé più profondo. Vi è invece un livello più pratico e concreto, fatto di accorgimenti che è possibile seguire per tentare la via di una separazione certamente non indolore, ma sicuramente più dignitosa e meno devastante. Sta poi a noi decidere di volta in volta su quale registro vogliamo muoverci, a cosa vogliamo dare la precedenza o a quali riflessioni siamo in grado di dare voce. A mio avviso, tuttavia, una separazione dal partner che non porta con sé una riflessione più approfondita su chi siamo è un'occasione persa, soprattutto perché le problematiche che hanno condotto alla separazione, dal momento che ci appartengono profondamente, possono ripresentarsi in un successivo rapporto.

 

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