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Gli
scritti di e su Francisco Varela: unoccasione
Diego Napolitani
Sommario
Vengono qui presi in considerazione alcuni concetti chiave
dellopera di Francisco Varela e di alcuni suoi commentatori. Lautore
presenta una sua personale esperienza nel corso della stesura di questo
lavoro nella quale sincarnano particolari emergenze cognitive e
affettive. Lesposizione di questa esperienza privata
vuole diventare il tramite attraverso cui fare entrare nel tessuto coevolutivo
dellintersoggettività lelaborazione di alcuni temi
teorici.
Tra gli scritti di Francisco Varela e i tanti dei suoi commentatori, che
si affollano nella mia memoria più recente e più lontana,
il documento che più intensamente minvita a entrare nel largo
dibattito su Francisco Varela è quello che Amy Cohen Varela ha
presentato al convegno su La molteplice eredità di Francisco Varela
che si è tenuto presso lUniversità di Milano Bicocca
l11-12 aprile 2002.
In quelloccasione intuii limportanza di quel che Amy Cohen
ci andava proponendo, cosa che mi indusse a chiederle il testo scritto
e lautorizzazione a tradurlo per poi pubblicarlo sulla nostra Rivista.
Man mano che ne approfondivo lo studio in questo insolito impegno di traduttore,
per quanto facilitato dallaiuto di Giovanna Jung, scoprivo le ragioni
del fascino che questo testo aveva esercitato su me, sin dal mio primo
ascolto.
Certamente, il fatto di essere stata per molti anni la compagna di Francisco
Varela rende le sue parole cariche di un valore aggiunto rispetto ai loro
contenuti espliciti: il valore della testimonianza di chi ha partecipato
in prima persona, quotidianamente e per lungo tempo, a quel laboratorio
di esperienze e di pensieri che si conclude con il programma di una neurofenomenologia,
alla cui fonte così intimamente cooperativa è possibile
attingere attraverso le parole di Amy Cohen: questa è per me unoccasione
straordinaria per visualizzare i concetti di incarnazione,
di intersoggettività e di co-evoluzione dei processi cognitivi,
appassionatamente enunciati e sviluppati da Varela. Sono preso dalla fantasia
che questo procedere in coppia abbia qualcosa a che fare con laudacia
poetica con cui Francisco Varela risponde a un suo intervistatore1
che
tocca alfine il cuore filosofico che anima il pensiero
dello scienziato: ma allora, se non cè stato un vantaggio
evolutivo immediato, perché è emersa lintelligenza
introspettiva? Perché lemergenza della discontinuità
nellevoluzione? Perché la vita, nelle sue infinite biforcazioni
cruciali, ha ogni volta trasceso se stessa verso configurazioni inedite,
imprevedibili e spesso assai improbabili?
Perché cera, fra tutte queste possibilità, la possibilità
di emergere. È un effetto di situazione. Sarebbe potuto succedere
come non succedere. Vi è una dimensione molto aleatoria nel mondo,
legata alla nozione di evoluzione dolce o di deriva
prima evocate. È come se lontologia del mondo fosse molto
femminile, unontologia della permissività, unontologia
della possibilità. Finché è possibile, è possibile.
Non ho bisogno di cercare una giustificazione attraverso unottimalità
ideale. Nel mezzo di tutto questo, la vita tenta il possibile, la vita
è bricolage.2
Così rispose Francisco Varela e noi speriamo che londa del
suo pensiero, gettando ponti sottili in questontologia femminile
del mondo, possa ancora propagarsi e seminare tempeste creative nelle
nostre menti.
Ecco: tempeste creative! Siamo così assuefatti
a una scienza dellessere, a una filosofia prima
(come la definì Aristotele quando non era ancora chiamata metafisica),
cioè a unontologia di carattere univocamente maschile, che
il concepire una ontologia molto femminile non può
non seminare tempeste creative lì dove regnava lordine
olimpico delle cause e delle loro determinazioni regolari. Basti pensare
alla metefisica enattiva delle grandi religioni monoteiste, che fanno
risalire ogni principio del cosmo come della conoscenza umana a un dio
padre e ai suoi profeti, maschi come lui.
Lontologia maschile, nella ratio religiosa come in quella scientista,
è stata costituita come il fondamento delloggettività
(loggetto diviene assoluto in quanto sottratto alla soggettività
dellesperienza che lo ha concepito) al quale la mente umana si è
per millenni aggrappata nel verificarsi così povera di certezze
istintuali comuni a tutti gli organismi viventi, e certamente dominanti
in quelli non umani, e quindi così esposta alla fragilità
delle sue stesse costruzioni. Lontologia che struttura la razionalità
filosofica e teologica, che permea il pensiero scientifico come le gerarchie
sociali e i dettati morali, è un picco emergenziale della mente
riflessiva di competenza quasi esclusivamente del genere maschile, per
lo meno fino a oggi, essendo quella di genere femminile più prossima
a una sapienza preverbale, incarnata nella sua generatività materna,
e quindi più prossima alla dimensione empatica della conoscenza,
generalmente connotata come irrazionale, cioè mancante di razionalità.
Nel suo Quattro pilastri per il futuro della scienza cognitiva,3
Varela scrive:
Per questo lesperienza in chiave fenomenologica è
così difficile da articolare, visto che unampia parte della
sua base è preriflessiva, affettiva, non concettuale, prenoetica.
È difficile esprimerla a parole, precisamente perché precede
le parole. Dire che precede le parole non significa che è al di
là delle parole. Al contrario, è perché è
così ancorata a terra che non si è ancora risolta negli
elementi di ragione che noi siamo portati a pensare siano le più
alte espressioni della mente [corsivo mio].
Per dire della
difficoltà di articolare lesperienza in chiave fenomenologica,
Varela usa espressioni che potrebbero essere quelle qualificanti la coevoluzione
cognitiva della coppia madre-bambino, e, in genere, di qualsiasi relazione
allo stato nascente in cui la componente creativa, intuitiva ed empatica
prevale su altre componenti cognitive. Affrontare, per dirla con Morin,
la sfida della complessità nellambito delle scienze
cognitive comporta quindi un processo di coniugazione, ovvero di accoppiamento
strutturale, tra i modi della ragione oggettivante e i modi dellesperienza
partecipativa, tra categorizzazioni concettuali e la pre-noeticità
del contatto emozionale, pre- o trans-razionale (e non irrazionale4),
col mondo.
Lidea sola che, seguendo il suggerimento del suo compagno,
Amy Cohen ci propone è quella relativa alla nozione di emptiness,
il vuoto, tematizzata da Francisco Varela come groundlessness, lessere
senza fondamento, che è stata per lui una delle essenziali
origini o matrici della sua opera.
A questo punto qualcosa mi ha impedito a continuare a scrivere: il vuoto
come spazio virtuale spalancato alla gettatezza heideggeriana, il senza
fondamento nei termini, prima già anticipati, della crisi di una
ontologia forte, al maschile, il pensiero debole secondo il
magistrale insegnamento di Vattimo, la neotenia come tensione precoce
(prima della maturità somatica) allaccoppiamento sessuale
(che, in senso antropologico, va inteso anche e precipuamente come capacità
concepitiva di pensieri e di simboli), la mancanza di una Umwelt5
specifica della specie umana, da cui la necessità propria delluomo
di una mai esaurita creazione di un mondo soggettivo, sono solo alcuni
dei temi da me a lungo trattati nel mio percorso di analista e di ricercatore,
temi in vario modo confluenti nellidea sola proposta
da Amy Cohen. Riprendere in questa occasione questi temi mi è sembrato
che avesse solo il senso di unautoconferma: lessere in compagnia
di figure provenienti da terre anche molto lontane da quella da cui io
provengo mi dà la misura di quanto attuale sia il mio procedere
e la cosa mi consola del sentimento di solitudine che spesso mi capita
di sperimentare a certe svolte del mio pensiero, in particolare quando
ricevo un rimando dubbiosamente interrogativo, come se apparissi forse
più come un fantasioso giocoliere che non come chi azzarda di gettare
nella storia germi di un pensiero nascente. Sentivo, però, che
non si trattava soltanto di un rifiuto di rassicuranti conferme (in fondo,
quale scritto non contiene pure questi elementi?) ma piuttosto della sensazione
che i miei pensieri, in accordo con il mio corpo, non avessero più
lagilità di un tempo, come se facessi una particolare fatica
a buttarli fuori, e rimanessero così aggrovigliati dentro creando
una sorta di gonfiore che mi appesantiva a ogni scelta di espressioni
o di connessioni adeguate.
È successo che la notte successiva a questo mio imbarazzato intoppo
facessi un sogno, la cui struttura paradossale mi sembra prossima ai paradossi
contenuti nella poesia di Nagarjuna riportata da Amy Cohen nella sua relazione,
e che mi sembra opportuno trascrivere per accennare a una mia personale
meditazione sul vuoto;6
Camminavo lentamente in mezzo a tante persone, tutti nella
medesima direzione. Più che un gruppo, una folla, dai volti che
in un primo momento mi apparivano ignoti, anonimi. Quando però
fissavo lo sguardo su ciascuno di essi, con grande stupore li riconoscevo
uno dopo laltro: da vecchi compagni di scuola a persone della mia
attualità più recente, e mi sentivo confortato, come se
anche la destinazione del nostro comune procedere, pur restando ignota,
fosse irrilevante o certa. Avverto, improvvisa, una sorta di pesantezza,
cosa che mi fa rallentare, e che quindi provoca un progressivo allontanamento
di tutti i miei compagni di viaggio. Mi sento montare uninquietudine
ai limiti dellangoscia, come se, nella dipartita dei
vivi, io verificassi il mio progressivo e ineluttabile morire. Ciò
non mi consente di dare alcun valore al fatto che altre figure sopraggiungessero
alle mie spalle, figure del tutto ignote, ai margini del mio campo visivo,
di cui riesco appena a intravedere le sagome belle e gli sguardi decisi.
Al risveglio,
pensando al sogno come uno sviluppo di quanto avevo provato il giorno
prima nei termini di un appesantimento senile, mi balza in mente la parola
occaso, che io intendo come il mio lungo tramonto, e penso al fatto che
nel linguaggio dei vivi il concetto di dipartita riguarda
il definitivo scomparire di chi cade nella morte, mentre nel sogno avevo
fatto lesperienza di un allontanarsi, di una dipartita
dei miei compagni di viaggio come segno inequivocabile del mio cadere
nel vuoto. Il giorno muore quando il sole va oltre lorizzonte, la
mia vita finisce quando i miei riferimenti, tanto noti quanto amati, scompaiono
alla mia vista.
Mi sono poi reso conto del fatto che era lorrore di questo vuoto
che mi accecava, che non mi consentiva di fermare lo sguardo su coloro
che sopraggiungevano alle mie spalle, di sviluppare nel pensiero o nellazione
la mia fuggente sensazione di sagome belle e sguardi decisi.
Lorrore mi aveva fatto perdere loccasione di cogliere nei
nuovi venuti la promessa di un mio nuovo procedere, lì dove la
parola occasione ha un significato in qualche modo opposto
ad occaso, pur derivando dal medesimo verbo latino
occidere (cadere, accadere). Nel sogno loccasione mi raggiunge
e, nel mio non agganciarla, è come se perdessi la mia stessa possibilità
di trascendermi.
Non parlo qui di una trascendenza metafisica, ma di una trascendenza embodied,
direbbe Varela, incorporata nella mia stessa esistenza come possibilità
di essere oltre il mio perdimento, oltre il vuoto, il nulla, il buio.
È la medesima trascendenza a cui fa riferimento, nella citazione
di Telmo Pievani più su riportata, lintervistatore di Varela
quando chiede: «Perché la vita, nelle sue infinite biforcazioni
cruciali, ha ogni volta trasceso se stessa verso configurazioni inedite,
imprevedibili e spesso assai improbabili?».
Ecco, nella trama del mio sogno la mia vita non ha trasceso se stessa:
essere nel flusso degli amici noti da sempre, nel flusso dei miei pensieri
resi domestici, o che rendono domestica a loro
la mia identità, significava essere nel presente vissuto, in quel
presente che Carmagnola7 rivisita seguendo
la coda di cometa come illustrata da Husserl. Se il pensiero
matematico considera il presente come un punto virtuale che congiunge
la semiretta del passato con quella del futuro, il pensiero fenomenologico
tratta questo tempo-vissuto come lesperienza che consente il sentimento
di continuità dellidentità personale. Questo presente,
tessuto con i mille fili della memoria, è una figura straordinariamente
pregnante del concetto di fondamento, e quando questo presente si opaca,
si allungano le ombre della morte.
«Perché cera, fra tutte queste possibilità,
la possibilità di emergere. È un effetto di situazione.
Sarebbe potuto succedere come non succedere. » Questa è la
risposta di Varela al suo intervistatore che gli chiedeva perché
la vita riuscisse a trascendere se stessa. Ma quando la vita è
quella umana, la cognizione si fa riflessiva, e ciò non consente
alla pura casualità di essere lorigine dellemergenza
nei modi della trascendenza; la cognizione umana è appassionatamente
vincolata allesperienza vissuta del presente, inteso in termini
husserliani, tanto da far sentire per lo più il flusso del possibile
(il sopraggiungere di sconosciuti compagni come loccasione per un
futuro) come il segnale certo del tramonto del proprio presente: la perdita
del fondamento.
La pratica analitica ci fa imbattere a ogni passo in questo non afferrare
loccasione (da parte dei pazienti, ma quante volte anche da parte
dellanalista?) per affiancarsi ai nuovi venuti: il transfert
è la lunga coda di cometa che, presentificando relazioni
storicamente dipartite, è garanzia di continuità
contro ogni salto nel buio, e labitare questo presente dilatato
è tale da ostacolare, a volte in modo permanente, laffiancamento
a quel nuovo venuto potenzialmente incorporato nellanalista
(sempre che questi non stia agendo enacting la sua passione
per il proprio personale presente).
Ma è mai possibile superare il transfert? Una volta per tutte?
È mai possibile che il proprio fondamento si perda in modo stabile
come potrebbe far pensare la proposta mistica del monaco buddista? Forse
sì per quei pochi che scelgono il vuoto come quella condizione
che riempie senza residui la propria anima, ma per i più la condizione
mistica rappresenta un vertice (per usare la felice immagine di Bion)
della complessa esperienza mondana, quel vertiginoso vertice che si raggiunge
solo in virtù di quella capacità negativa, contemplata
da Keats e concettualizzata da Bion, nei termini del senza memoria
e senza aspettative (il che significa senza fondamento), per la
quale si sostiene il proprio morire, la dipartita del proprio passato,
senza chiudere gli occhi.
Ma in che modo questa capacità emerge? Che cosa consente alluomo
di sottrarsi alla deriva della coda di cometa, di distinguersi
dalla folla delle figure domestiche, per accogliere loccasione di
una nuova emergenza che rende possibile alla propria vita di trascendere
se stessa? Di fronte alla biforcazione, non della vita in genere ma dellesistenza
propria delluomo, che cosa decide del fatto che si emerga dai vincoli
del proprio presente dilatato o che vi si re-immerga con tanta più
determinazione quanto più minacciosamente è stata vissuta
la dipartita dei vivi (che sarebbe più giusto connotare
come morti viventi)?
Varela sostiene che lesperienza in chiave fenomenologica è
così difficile da articolare, visto che unampia parte della
sua base è preriflessiva, affettiva, non concettuale, prenoetica..
Qui la nozione di base prenoetica sembra avere i medesimi
connotati della nozione bioniana di protomentalità,
ma mentre che il prefisso pre fa pensare univocamente a un
prima dellemergenza di qualsiasi fenomeno ascrivibile al processo
cognitivo, il proto rimanda alla biologia della struttura
più semplice di un organismo (per esempio, protozoi).
La struttura cognitiva più semplice dellorganismo umano risiede
a livello dei processi sensoriali, essendo il fenomeno della sensazione
costruita, come ci illustra Telmo Pievani nel lavoro già citato,
dalla confluenza, nel punto di contatto del soggetto col mondo, di afferenze
sensoriali (dalla periferia al cervello) e di efferenze (dal cervello
alla periferia), dove per efferenza non sintende la risposta
allo stimolo ma lattivazione quasi istantanea dello stimolo stesso.
A questo proposito Pievani cita un passo di Humphrey8
che riporto qui integralmente
Se il dito mi fa attivamente male, e se il dito è parte
di me, sarebbe forse lecito supporre che, a un qualche livello, io stesso
sia attivamente coinvolto in questo far male. Forse non si tratta soltanto
di una sensazione che ricevo passivamente, magari la sto creando attivamennte,
sto perfino inviando delle istruzioni per produrla: come se provare una
sensazione fosse in qualche modo paragonabile a unattività
intenzionale.
E Pievani commenta:
Possiamo rintracciare in questa indagine evoluzionistica
unulteriore radicalizzazione dellidea di Varela circa lidentità
tra percezione e azione. [
] Il cervello non si limita ad ascoltare
passivamente la musica delle sensazioni, ma la dirige come un maestro
dorchestra.
Cerchiamo a
questo punto di immaginare che cosa succede nella cognizione umana quando
essa si condensa a questo livello sensoriale. Questo livello è
il primo a instaurarsi in età perinatale, quando livelli più
complessi non si sono ancora attivati sia per immaturità neurologica
sia per la relativa povertà di stimoli ambientali.
Nella stagione del nascimento, che non coincide con la nascita come momento
biologico di passaggio dalla vita intrauterina a quella extrauterina,
la cognizione coincide con i suoi processi senso-percettivi, che aprono
faticosamente la strada della differenziazione tra sé e il mondo,
della costruzione di immagini via via più complesse, dellarticolazione
della parola e dei correlati strumenti operativi quale il pensiero logico,
razionale, riflessivo, autocoscienziale. Aprire la strada
non significa determinare lemergenza di processi cognitivi più
complessi ma significa consentire che questa emergenza accada lasciando
che la predisposizione neotenica si avvalga delle occasioni perché
la mente possa accedere al proprio specifico sviluppo.
Questa predisposizione neotenica genera una precognizione, via via più
esatta, di essere nel tempo e nello spazio, e quindi nellinstabilità
e nella solitudine, cosa che induce profondi e pervasivi tumulti emotivi.
In assenza di una madre sufficientemente buona, che sappia
essere loccasione necessaria per lattraversamento di questo
aspro passaggio, il bambino tende a mantenersi nei confini della sua cognizione
sensoriale contrastando ogni suo sviluppo concepitivo. Questa condizione
prenoetica anzicché essere lalveo del suo proprio divenire
si costituisce come il primo e fondamentale attrattore dominante,9
che ostacola ogni ulteriore processo di differenziazione. Il verso di
Leopardi Nasce luomo a fatica, Ed è rischio di morte
il nascimento riassume poeticamente il processo di oltrepassamento
di questo fondamento primordiale (il Sé-non Sé
del paradosso buddista), allombra di una mortalità non ancora
parlabile.
Così, se lesserci è una cascata di emergenze, possiamo
pensare che ogni volta che una nuova scelta preme per farsi storia si
riattivi quella medesima condizione che caratterizzò il primario
processo di differenziazione: torna dominante la condizione protomentale
come stato dinamico della mente che è a un tempo lalveo prenoetico
dal quale ogni cognizione può emergere e grembo capace di accogliere
ogni ritorno allindifferenziato quando la differenziazione è
oscuramente vissuta come invivibile. Questa biforcazione non si presenta
nellatto comune della sensazione: è probabilmente del tutto
vero che la sensazione, anche in età adulta, contenga in sé
un atto intenzionale, ma nel profluvio di sensazioni in cui la nostra
vita è immersa non facciamo solitamente esperienza di scelta:
le sensazioni entrano nelle mappe già consolidate della nostra
identità e le confermano oppure ci avvisano della necessità
di avvicinamenti o di fughe, quasi automatiche.
Ma ci sono momenti in cui la scelta simpone, non di fronte a un
bivio aperto dalla ragione pratica per cui la medesima ragione ha adeguata
competenza, ma di fronte a eventi la cui percezione mobilita tumulti emozionali
che oscuramente rimandano al processo primario di differenziazione. Momenti
per i quali si potrebbe banalmente dire o mangi la minestra o salti
dalla finestra, ma la ragione non sa di quale minestra
o di quale finestra si tratti, né sa se questo momento
parte da un improvviso rifiuto a mangiare la (solita) minestra, o se parte
da unimprovvisa tentazione del volo.
Se prendiamo lesperienza di cui ho parlato allinizio (lintoppo
nello scrivere, il sogno, la sua elaborazione), possiamo forse intravedere
tracce di quel che mi sforzo ora di chiarire e di comunicare. Lincontro
con il testo di Amy Cohen apre in me una duplice strada: quella della
conferma (mangiare e somministrare la solita minestra) e quella
di uneccitante apertura verso un non so dove (saltare
dalla finestra). Nel sogno mi rappresento inghiottito dalla mia
stessa indecisione: non seguo la confortevole compagnia dei pensieri già
noti, né accolgo la inquietante bellezza dei miei pensieri
selvaggi (Bion), e mi perdo nel nulla.
Questo nulla è il punto virtuale che congiunge il passato che va
e il futuro che viene, e nel mio perdermi in esso vivo lesperienza
catastrofica del mio non appartenere più alla coda di cometa come
presente vissuto né di seguire la cometa di un annuncio, nella
fede di un futuro.10 Questo, credo, è
un modo di sperimentare il vertice del senza memoria e senza aspettative
e questo è un vertice/abisso nel quale non cè un Sé
privo di fondamento, ma cè un Sé identico al proprio
fondamento, inteso come il Sé indifferenziato rispetto al tempo,
allo spazio, alle cose. È soltanto nelle incerte luci
del risveglio, e poi nella riflessione che dura tuttora, che sono
riuscito a riprendere la tensione eccitante scaturita dalle mie sensazioni
nel contatto con Amy Cohen in coppia con Francisco Varela.
Non si è trattato di una sensazione comune in quanto semplice (?)
interfaccia tra me e il mondo, pur se ogni sensazione si sostanzia anche
dellapporto di efferenze, ma di una sensazione capace di innescare
in me processi riferibili a quel che io definisco universo protomentale.11
Cè qui la medesima differenza esistente tra il mio catturare
un fenomeno attraverso i miei sensi, cosa che mi fa dire con Carmagnola
sentio, ergo sum, e il mio essere tanto partecipe del fenomeno
che non mi sembra più di esserne distinto come osservatore,
per cui potrei dire sumus, ergo sentio. È il caso in
cui lo spettacolo non è ciò che Io guardo,
ma è lo stesso sguardo in una totalizzante reciprocità dove
lIo e lAltro perdono ogni definitezza che oggettivamente
li differenzi. Solo nel caso in cui il mio Io si trovi ai margini di un
Noi lefferenze dai centri neuronali alla periferia sensoriale sono
degne di quella bellissima immagine proposta da Telmo Pievani per cui
il cervello non si limita ad ascoltare passivamente la musica delle
sensazioni, ma la dirige come un maestro dorchestra: rumori
che diventano suoni che diventano musica che co-evolve con me che ne sono
parte integrante. E nella reciprocità senza residui avviene il
prodigio dellintersoggettività radicale come proposta da
Varela.
Resta del tutto misteriosa la ragione per cui un rumore diventa musica,
per cui un corpo femminile diventa la mia anima, per cui un
evento diventa Noi. Si può ricorrere al repertorio delle memorie,
e dire pertanto che in qualche mia origine cè stato un rumore,
una donna, un evento che mi fecero sperimentare il Noi, e che lincontro
attuale, per similitudine o per prossimità, ridesta quella esperienza
già vissuta. Tutto potrebbe quindi entrare nella coda di cometa
del mio tempo vissuto, ma solo alcuni specialissimi incontri accendono
in me tempeste creative a partire da un mio refluire nel mio
essere il mio indifferenziato fondamento.
La tempesta sovverte il normale ordine delle cose, mi restituisce
al caos in cui ogni fatto, allentati i suoi vincoli abituali
con ogni altro fatto, mi appare nella luce dellevento,
come se mi ci imbattessi per la prima volta, e sperimento quindi lo scoperchiamento
delle mie mura domestiche e unurgenza di rinominare il mondo. In
ciò consiste la ri-velazione,12 non
intesa come un messaggio di verità sul mio esserci, sullesserci
delluomo o del mondo, che mi raggiunge da un non-so-dove, ma intesa
come un mio nuovo velare le cose e la mia stessa identità di significati
che destano stupore a me stesso che li vado inventando (e non scoprendo
come se la verità fosse lì fuori attaccata alle cose). Ma
questo processo di rivelazione è terribile come testimoniato dalluso
che il suo termine greco, apocàlypsis, assume nel linguaggio comune.
Al cospetto di questa apocalisse lanima trema, e nel suo indugiare
(come è capitato a me nel sogno) trasforma la terra fertile del
proprio fondamento in deserto. Se si sopravvive in questa desertificazione,
si vive di miraggi, immagini depositate nella propria certa identità
storica, nella propria coda di cometa, e il mondo corrisponde
al proprio idem, vuoto o quasi di autòs, del genio autoriorganizzatore
dellapocalisse. Lorrore di tornare a essere il proprio fondamento,
essere il proprio grembo buio nel quale far crescere il proprio corpo-mente
nei modi di un nuovo sviluppo embrionale, dispone la mente a cercare un
fondamento fuori, nei modi di unontologia certa, al
maschile, o nei modi immaginari del transfert.
Ho sempre pensato che luniverso protomentale consistesse in quello
stato dinamico della mente nel quale si attivano processi riorganizzativi
della cognizione che vanno necessariamente nellordine di quel che
comunemente chiamiamo creatività. Ho mosso una critica radicale
alla concezione iniziale di Bion quando in Esperienze nei gruppi riduce
gli assunti di base, che della protomentalità sono espressione,
a puri meccanismi di difesa contro il compito di lavoro, ricalcando così
le orme di Freud che contrapponeva il principio di piacere al principio
di realtà. Ho adottato la fantasiosa espressione bioniana di assunti
di base per dare a loro un significato del tutto diverso. Nella
loro tripartizione mi è sembrato di poter individuare i momenti
istituenti nellesperienza umana dellaccoppiamento (come esperienza
vissuta di un accoppiamento strutturale in via di formazione), del tempo
(assunto di dipendenza) e dello spazio (assunto di attacco-fuga o di indipendenza).
Laccoppiamento è la base prenoetica della relazione,
nella strutturazione di un Noi transpersonale. Solo su questa base possono
avviarsi quei processi costruttivi il cui esito è la istituzione
degli universi immaginario e simbolico.
Il primo trova la sua base prenoetica nellesperienza di dipendenza
(assunto di base di dipedenza) intesa come interdipendenza in rapporto
allaltro da Sé non ancora definito come tale, cosa che comporta
lalbeggiare del senso di precarietà, di mortalità,
del tempo come fluire del passato verso un divenire; il secondo ha la
sua base nellesperienza protomentale di solitudine (assunto di base
dindipendenza, meglio che di attacco/fuga che presuppone un soggetto
e un oggetto già definiti e separati) nella costruzione dello spazio
a partire da quello vissuto nel raggio dei movimenti del proprio corpo,
nella (ri)nominazione soggettiva del mondo prima ancora dellarticolazione
di una parola già codificata. Quel che ora mi sembra di vedere
è che luniverso protomentale non è solo necessariamente
il bacino di carenaggio della nave cognitiva che nella sua pienezza (mai
in una presunta compiutezza) affronta le tempeste creative
della propria singolare navigazione, ma esso può diventare anche
il confortevole porto nel quale la nave trova rifugio quando la tempesta
è comunque vissuta come inattraversabile.
Ero fin qui convinto che fosse solo luniverso immaginario a costituirsi
come attrattore infantile dominante ma questo universo è
distinguibile per la sua fenomenologia della ripetizione di segmenti relazionali
ben strutturati, mentre luniverso protomentale si manifesta nei
modi dellinventività, della poeticità, del tessuto
erotico della comunicazione. Esso acquista però la medesima funzione
di attrattore quando gira su se stesso come un gioco senza
fine e senza fini.
Si tratta di una vicenda relazionale che potrebbe essere assimilata a
quella degli eterni fidanzati che si nutrono di una promessa
che non può aver fine perché il suo cadere nella storia
viene sentita come la fine minacciosa dellidillio o come lesposizione
a una quotidianità mortificante. È questo un fenomeno che
mi pare sia particolarmente evidente nei gruppi che si mantengono in una
potenzialità creativa, senza che questa riesca a produrre quei
cambiamenti per i quali il gruppo si è un tempo idealmente costituito.
Ciò non va visto, a mio parere, come patologia, difesa, resistenza
nellaccezione che ne dà il classico lessico psicoanalitico,
ma va visto come la condizione a cui manca loccasione perché
uno sviluppo riflessivo sulle proposte protomentali che incessantemente
si annunciano possa trovare canali enattivi adeguati. Se questo gruppo
ha un conduttore, un leader, un trainer o simili, penso che egli sia specificamente
responsabile di questo suo accoppiamento col gruppo nei modi degli eterni
fidanzati.
Non è quindi solo la gabbia co-transferale che rende interminabile
la coppia analitica, nel grigiore di ruoli ripetitivi in cui si spegne
ogni bagliore di creatività, ma è anche leffervescenza
di effusioni proprie della dimensione protomentale che può ostacolare
il compito della costruzione o delladesione a un progetto di cambiamento.
Si potrebbe dire che al voglio ma non posso di chi è
fissato nelluniverso immaginario corrisponde un posso ma non
voglio di chi non esce dalla sua fonte germinale.
Solo ora intravedo la situazione dalla quale scaturisce il travaglio di
questo mio scritto. Varela dice a proposito dellemergenza della
discontinuità: Perché cera, fra tutte queste
possibilità, la possibilità di emergere. È un effetto
di situazione. Sarebbe potuto succedere come non succedere. Quale
situazione ha come effetto questo mio ripensamento sullesperienza
protomentale? Affermare che luniverso protomentale non è
soltanto un bacino di carenaggio, ma anche un porto, potrebbe essere un
piccolo aggiustamento di un costrutto teorico che potrebbe non comportare
esperienze di morte, di lacerazione, di reflusso nel mio essere senza
fondamento. Invece tutto questo è successo in rapporto a una situazione
che ha per me una grande rilevanza sia sul piano conoscitivo che su quello
affettivo.
Da due anni mi riunisco una volta al mese, per 2-3 ore, con un gruppo
di una trentina di colleghi, con i quali avevamo inizialmente progettato
una ricerca in gruppo, nel tempo di dieci incontri, sulle dinamiche di
gruppo. La cosa iniziò nella forma di mie presentazioni magistrali
di diversi momenti o aspetti di gruppologia, a cui i colleghi rispondevano
con loro commenti o ulteriori interrogativi. Quando stavamo per ultimare
questa specie di aggiornamento critico sulla gruppoanalisi, portai una
volta un sogno che riguardava quel gruppo, e di cui drammatizzai la scena
consistente nel mio essere dentro il gruppo (non in cattedra), nel mio
emergerne per porre una domanda sulla biologia cellulare (come si
fa a uscire dalla membrana della cellula-gruppo pur rimanendo pienamente
appartenente a essa?), e per poi tornare a sedermi al mio posto
tra gli altri.
A partire da quellepisodio le cose sono radicalmente cambiate: non
più canoniche presentazioni tematiche e successivo, composto dibattito,
ma irruzione di una modalità comunicativa del tutto nuova. Sogni,
racconti di vicende a forti tinte emotive, immaginazioni poetiche a volte
in forma di brevi poesie, espressioni di irritazione di alcuni che hanno
finito con labbandonare il gruppo, espressioni di partecipazione
estatica dei più, in unatmosfera di soffuso innamoramento.
Mi sono fatto paladino di questa situazione fluida, connotando gli oppositori
come quelli incapaci di sostenere questo stato nascente invocando
il ritorno a un ordine programmatico.
Soltanto ora mi sembra di intravedere il gioco degli eterni fidanzati
per il quale il nascente non deve mai diventare nato,
se non al costo di non essere più il proprio comune fondamento.
Credo che lintensa emozione suscitata in me dalla riflessione sui
lavori di Varela e dei suoi commentatori, e in particolare il lavoro di
Amy Cohen, sia in rapporto al mio intravedere linvolontario inganno,
di cui mi sento responsabile in prima persona, in cui rischio di cadere
con questo straordinario gruppo di colleghi, a fronte dello sviluppo di
un programma come quello di una neurofenomenologia che emerge da relazioni
emotivamente pregnanti che però non si perdono in una totalizzante
reciprocità di sguardi.
So che il mio apporto concettuale al dibattito a cui ho il privilegio
di partecipare è di modesto spessore, ma mi auguro che venga colto
il mio sforzo di esporre una mia esperienza offrendo me stesso come il
caso clinico con cui altri possano confrontarsi. La compenetrazione
di esperienze, secondo la felice espressione di Francisco Varela,
è la base di ogni sviluppo di conoscenza, quando questa non si
arresta alla oggettivazione dellesperienza altrui, comunque questa
venga definita, commentata, diagnosticata. E voglio chiudere con le medesime
parole con le quali Amy Cohen chiude il suo lavoro: La via che egli
ha tracciato fino in fondo è costruita su unesigenza fondamentale,
che la teorizzazione non finisca mai di coniugarsi con lesperienza
personale: il modo in cui ha sviluppato il suo pensiero realizza le sue
stesse idee, attraverso la mobilitazione e la progressiva espansione del
campo del sé. È questo movimento espansivo che ho cercato
di evocare qui: come egli accogliesse ciò che sgorga da solo,
come egli godesse dellimprevisto, e come lesperienza del cambiamento,
scaturito da queste sorprese, non fosse per lui una minaccia, bensì
motivo di meraviglia.
Note
1. Riporto qui integralmente le parole
e la citazione con le quali Telmo Pievani conclude il suo poderoso articolo
Il soggetto emergente in Rivista Italiana di Gruppoanalisi,
15, 2, 2001.
2. Dallintervista a Varela di
H. Kempf, La Recherche, 308, ivi, pp. 109-112.
3.F.J. Varela, Pluriverso, 5, 2, 2000.
Pino Varchetta ne fa su questo stesso numero della Rivista un ampio e
approfondito commento.
4. Il termine irrazionale ha una connotazione
negativa, come dire che questa modalità cognitiva è difettosa,
mancante. Con pre-razionale possiamo invece indicare quellinsieme
di processi da cui scaturisce ogni razionalità, e con trans-razionale
possiamo indicare ogni forma di conoscenza che va oltre la razionalità
(ratio da ratus, part. pass. di reri, fissare, stabilire, far di
conto).
5. Termine con il quale J. von Uexkull
e L. Kriszat (1913, tr. it. Ambiente e comportamento, Il Saggiatore, Milano
1967) intendono lesatta corrispondenza tra i dispositivi organismici
di ogni specie vivente e lambiente specie-specifico.
6.È questo il nome che il traduttore
inglese usa come titolo dellopera Versi dal Centro del monaco buddista
Nagarjuna.
7. Cfr. in questo stesso numero della
Rivista il lavoro di F. Carmagnola, Il presente che appare. Varela
e la fenomenologia.
8. da N. Humphrey (1992), tr. it. Una
storia della mente, ovvero perché non pensiamo con le orecchie,
Instar Libri, 1998.
9. Pievani, nel lavoro già più
volte ricordato, cita uno psicoanalista di Washington, Stanley R. Palombo,
che introduce questo termine in una visione coevolutiva della relazione
analitica, termine che a me sembra indicare una riattivazione di questa
sorta di paradigma esperienziale in ogni momento in cui si annuncia un
cambiamento possibile. Come se si trattasse del prototipo di ogni fenomeno
transferale.
10. È suggestivo notare che
per limmagine della cometa vale la medesima ambiguità che
ho indicato nelle declinazioni delloccidere, essendo entrambe parole
che possono riferirsi a un presente-passato o a un presente-futuro.
11. D. Napolitani, Mente e universi
relazionali, Rivista Italiana di Gruppoanalisi, 6, 1-2, 1991.
12. Il latino revelare significa togliere
il velo, ma nel mio rivelare il significato di rivelazione attribuisco
a questo termine il significato di velare di nuovo, in relazione
al fatto che alla cognizione umana non compete la nuda naturalità
delle cose, ma solo le cose vestite di significati originali o fissati
dalla tradizione. In ciò vedo la costituzione del quasi-oggetto
come inteso da Varela e riportato nella relazione di Amy Cohen.
Diego Napolitani
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