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Paolo Rizzi
L 'individuo è un 'entità complessa, più
di quanto crediamo. Lavora a molti livelli. C'è quello
concettuale, quello delle immagini, quello delle emozioni,
quello degli archetipi, e poi ancora altri livelli, più
profondi. L'arte è uno strumento di sondaggio, di perforazione,
di scavo. Il suo fine è di arrivare a conoscere noi
stessi.
È Guido Sgaravatti che parla. Parla naturalmente in
linea generale ma soprattutto di sè, del suo lavoro
di artista. Comincia appunto a replicare - lui uomo di scienza
oltre che di arte - a chi chiede all'artista la presunta coerenza
di una sigla, di un cliché. Siamo terribilmente complicati;
e Sgaravatti lo sa. Lui ha studiato a lungo psicologia del
profondo, ha "sondato" le latebre dell'inconscio;
e per ampliare il raggio d'azione delle sue esperienze si
è tuffato nel mondo della filosofia e delle religioni
orientali, soprattutto indiane, arrivando a studiare a fondo
il sanscrito per tradurre un testo basilare: gli "yoga-sutra"
di Patanjali.
Un artista così - seppur orgogliosamente chiuso nel
suo eremo padovano - non poteva ridursi allo schemino di tanti
pittori o scultori d'oggi. Nè possiamo, noi che vediamo
le sue opere, fermarci all'epitelio, percepire soltanto qualche
sensazione epidermica. C'è bisogno di capire nel profondo
le motivazioni di un'arte che - in modo meraviglioso -si accosta
alla scienza; e finisce per dimostrare che entrambe, ad un
livello alto, si confondono. L'analisi e l'intuizione sono
strumenti per raggiungere, come dice Sgaravatti, "la
conoscenza". E questa la meta suprema dell'arte come
della scienza.
Lui, Sgaravatti, ha sperimentato tutti i gradi - i livelli
- della creatività umana. Abbiamo diviso appositamente
in tre capitoli (scultura, pittura, grafica) questa monografia
non tanto per distinguere tecniche diverse di esecuzione materiale,
quanto per sottolineare come ad ogni livello corrisponda una
strumentazione diversa: dalla captazione fenomenica del reale
alla sua ricostruzione concettuale e via via fino alla percezione
indistinta delle pulsioni organico-psichiche. Sgaravatti alterna
i vari livelli in modo continuo e, a suo modo, estremamente
coerente: sa essere umilmente realista o impressionista, si
ispira al passato dell'arte e guarda all'immaginario fiabesco,
manipola l'ambiguità del simbolo e forza la gestualità
espressionistica, lavora razionalmente, ma anche in trance.
architetta l'immagine e la dissolve, filtra i significati
più reconditi e sapientemente li nasconde, si infila
nelle tenebre per poi tornare alla luce del sole, riesce ad
essere fanciullo e adulto allo stesso
tempo, cioè riceve e dona, accoglie le esperienze e
le rimanda... La sua è la globalità dell'uomo
che si manifesta. L'arte diventa ben più che una techne:
assume quasi una funzione magica, un rituale di svelamento,
come pure un compito maieutico, aiutando a partorire i sogni
e, quindi, ad interpretarli. Per tutto ciò occorre,
da parte nostra, una predisposizione, o comunque un'attenzione
paziente, altrimenti l'opera d'arte finisce per scorrere come
una bolla d'acqua sulla mano e diventare niente più
che una labile sensazione.
Spiega ancora Sgaravatti: L 'archetipo è un livello
collettivo. Si tratta di estrarlo dal profondo: scavarlo e
identificarlo con lo strumento dell'arte, quindi comunicarlo
agli altri. Con le incisioni monotipo mi sento di interpretare
anche fatti e fatterelli, problemi e problemini quotidiani.
Vengo incontro, cioè, all'attualità. E lo faccio
con maggior immediatezza. Si capisce a questo punto che Sgaravatti
intende la tecnica esecutiva come strumento per raggiungere
i suoi fini espressivi che sono diversi ogni volta, tesi ad
ottenere effetti e implicazioni (spesso psicologiche e psichiche)
diverse.
L'incisione monotipo ha caratteristiche invero autonome. Grazie
ad essa l'artista "racconta": con tono magari svagato
e un po' fiabesco, talora ironico, talaltra lievemente (ma
assai lievemente) didascalico, denso comunque di implicazioni
fantastiche e liriche, con allusioni e riferimenti simbolici,
interpretando anche poesie o episodi di cronaca minuta. La
superficie screziata, appena rugosa, solcata da continue impronte
e sovrapposizioni, diluita in passaggi finissimi di colore,
con solchi e segni e scatti apparentemente svagati, maculata
e come porosa, sempre mossa, agitata da nervature e macchie,
permette all'artista soluzioni svariate e di alta suggestione.
Il passaggio recente anche alle grandi dimensioni (70 per
100) amplia il campo di queste meravigliose radiografie della
fantasia umana; sono dilatazioni e lievitazioni in piano come
in profondità, in cui il rilievo, oltre al segno e
al colore, gioca un ruolo fondamentale, di tattili vibrazioni.
Le trasparenze e le sovrapposizioni rendono l'immagine ancor
più sospesa, magicamente mobile e sfuggente.
È' qui che Sgaravatti coglie gli estri e gli umori
che gli capitano, quali "improvvisi" musicali. Può
essere un testo poetico a dare il la, come la poesia El lovo
e l'agnelo del trisavolo Pietro Buratti (un poeta citato ben
trentatrè volte da Stendhal) da cui nasce una gustosa
immagine fiabesca.
Può essere la frase di Lao Tzu: Governare il regno
grande è come cuocere i pesciolini e allora il profilo
spiritoso del re che cuoce i pesciolini (Se vuoi farli ai
ferri non devi girarli e rigirarli, perché se li tormenti
si sbrindellano) acquista il tono di un apologo morale: il
legislatore dovrebbe fare poche leggi ma molto buone e molto
chiare. Può essere una notizia di giornale che parla
di delfini arenati che gli ecologi tentano invano di ributtare
a mare: occorrerebbe anzitutto (si legge in filigrana) cominciare
con il disinquinare il collettivo psichico. Spunti magari
lievi, divertenti: immagini di scioltezza allusiva, tutte
giocate su un tono lirico, finemente sgranato nella fantasia.
Ma è chiaro che Sgaravatti non può rinunciare,
nemmeno in questi fogli, a quello che è il suo tipico
scavo nel profondo. Ad esempio c'è un incisione monotipo,
"Prendre e donnér" (Prendere e dare), che
raffigura due donne nude in positure diverse, come di ricevere
e di donare. Essa prende lo spunto da un movimento di danza
di Béjart che si ispira ad un pensiero tibetano (Ton-len).
Spiega l'artista: L'inconscio collettivo è inquinato.
Il tibetano ritiene di poter effettuare una bonifica di tale
livello attraverso una tecnica di meditazione collegata al
respiro. Praticamente con una fase di inspirazione il tibetano
si mette a contatto psichico con la negatività del
mondo esterno, simbolizzandola con una nuvola nera. Egli visualizza
questa nuvola nera fino al "centro" (ciakra) del
cuore e poi trasforma il pensiero negativo in pensiero luminoso
... Béjart riprende il motivo con un movimento di danza
per cui la ballerina accumula la negatività del mondo
e poi si gira (sdoppiandosi nel foglio in due figure) trasformandola
in luce ... Troppo difficile? Se si osserva l'incisione monotipo
tutto appare chiaro. Dietro l'immagine, nascosto dentro di
essa, affiora il pensiero.
Sgaravatti anche nella grafica è così. Le sue
meditazioni colte, trasposte nel foglio come nel tessuto di
una tecnica raffinata, escono dall'oscurità appena
scaviamo sotto l'epitelio suggestivo. Lì c'è
il nocciolo di una saggezza antica che ci può illuminare
anche sotto la forma della fiaba gentile.
Introduzione Catalogo Banca Antoniana, Padova 1993
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