Fiduciario n° 373



 
 

Il misterioso acronimo OVRA.

Mimmo Franzinelli (I tentacoli dell’Ovra, Bollati Boringhieri, Torino, 1999, p. 103) afferma l’impossibilità di stabilire l’esatta origine del termine OVRA. Egli riporta come documento più attendibile la testimonianza di Carmine Senise, capo della polizia di Milano (cfr. Franzinelli, op. cit.,  p.103, n.38: Carmine Senise, Quando ero capo della polizia, Ruffolo, Roma, 1946, p.84) che predispose il comunicato da dare alla stampa della retata di Milano del 29 e 30 ottobre 1930 contro il gruppo antifascista di Giustizia e Libertà. Tutto avviene nel momento in cui il comunicato viene sottoposto alla attenzione dello stesso Mussolini, questi, di suo pugno e con atto di imperio indiscusso, sostituisce alla parola “polizia” la parola OVRA. Il comunicato verrà diffuso dalla Agenzia Stefani. Continua Senise (cfr. Martinelli, op. cit., p. 241)“se con questa trovata egli volle impressionare il paese, non poteva meglio riuscirvi: per giorni e giorni, infatti, alla direzione generale fummo bersagliati da telefonate a getto continuo di amici e personalità di ogni genere e rango; e quelli che apparivano maggiormente allarmati erano proprio coloro che si trovavano più in alto nella scala sociale. Tutti volevano conoscere che cosa significassero quelle quattro lettere che avevano turbato la loro serenità, e noi non sapevamo che cosa rispondere, perché, in fondo, il loro arcano significato non l’abbiamo saputo neppure noi”.
Non diversamente, ma con maggiore precisione, F. Martinelli in “L’OVRA. Fatti e retroscena della polizia politica fascista, Milano, De Vecchi, 1967, alle pagine 240-41 offre anche la testimonianza di Guido Leto (in: G. Leto, OVRA. Fascismo-Antifascismo, Bologna, 1952), braccio destro di Di Stefano, il quale ricorda: “Egli (Mussolini) corresse il termine ‘ispettorato generale di pubblica sicurezza’, che era indicato come l’organo operante, e lo sostituì con la frase: ‘L’OVRA di Milano…’. Aggiunse Mussolini che il termine che aveva  scelto doveva sempre essere adoperato nei comunicati, e che, certamente avrebbe destato curiosità, timore, senso d’inafferrabile sorveglianza e di onnipotenza”. Sempre Leto ricorda che Bocchini, capo della polizia, riferì a lui ed ad altri stretti collaboratori che, durante il rapporto giornaliero del 30 ottobre 1931, Mussolini gli suggerì “di allargare i quadri degli ispettorati e di estenderli anche in altre regioni, perché desiderava che la polizia avesse un serio controllo – ‘tentacolare come una piovra’ – in tutto il territorio del paese”.
OVRA forse come Opera Volontaria di Repressione Antifascista, la spiegazione adottata da Martinelli essendo la più corrente all’epoca, o come Organo di Vigilanza dei Reati Antistatali, o, su suggerimento di Franzinelli, con un fantasioso calembour mussoliniano, come assonanza con piOVRA o con Ochrana, la polizia segreta zarista.
La fantasia di Pitigrilli avrà, forse, avuto sicuramente modo di bighellonare intorno al senso di OVRA, come zelante associato o come pavido fuggiasco o come uno che, il 1° novembre lesse le notizie diffuse dalla Agenzia Stefani.


 
Sicuramente l’OVRA, nel mondo pitigrilliano di cui questo sito tenta di diventare una sorta di bussola, non poteva non trovare un suo spazio. Spazio che non intende fare né giustizia né sanatorie.
Colpevolisti e innocentisti si diano battaglia, ma non pensino certo di riabilitare o demolire le opere letterarie di Pitigrilli semplicemente risolvendo, a modo loro, la questione OVRA.
Se Pitigrilli ha collaborato con l’OVRA, se l’OVRA ha reclutato Pitigrilli, se delle centinaia di fiduciari dell’OVRA, uno era Pitigrilli, allora perché non parlarne, perché non ascoltare e riascoltare le voci di quanti finora hanno avuto modo, in forme diverse, di affrontare la materia.
La vita dello scrittore sembra direttamente collegata al lasciapassare del suo casellario giudiziario e del suo casellario morale per poi poter accedere, se risulterà assolto, alla lettura delle sue opere.
Sarebbe bello soprassedere su tali questioni e dedicarci esclusivamente alle invenzioni letterarie di Pitigrilli, ma i recenti articoli sui principali giornali e riviste italiane, il rigurgito polemico a base di spie, l’attenzione catalizzata sulla strana vita di Pitigrilli, porta a una svolta, siamo al primo passaggio di verifica dopo la sua morte.
Il tribunale sembra riunirsi, tribuni accusatori, testimoni alla difesa, “tricoteuses” a fondo sala, ma le sue portinaie rimangono fuori, si accontenteranno di raccogliere le voci, di sfogliare i rotocalchi, di trovare qualcuno a cui chiedere come sia andata la faccenda.
Non cedete alle lusinghe dell’indice, comunque lo intendiate, cedete invece alle lusinghe delle parole lette in Pitigrilli e continuate a sorridere, non sarete né più fascisti, né più morali, né più belli solo per questo.

Ma allora che cosa devo pensare? Ma Pitigrilli…?
Pensare e osservare; diligentemente ora si squaderna l’argomento e forse non lo si risolverà!
Si apre la prima pagina e si percorrono il catalogo delle fonti.
Un solo obbiettivo: fare una pista di cenere e se rimarrà in essa l’impronta di Pitigrilli a chiunque la possibilità di soffiarla, di farne il calco o di fissarla per sempre nella resina.

La pista di cenere ­ l'orma.

La pista di cenere viene tracciata attraverso il tempo trascorso tra il 1943 e oggi.
Nell’ottobre 1943, infatti, Radio Bari diffonde ripetutamente il seguente comunicato: “Occorre guardarsi da Dino Segre, meglio noto sotto lo pseudonimo di Pitigrilli, scrittore pornografico, il quale è un delatore ed ha già denunciato alle autorità fasciste una cinquantina di persone”.
Il comunicato di Radio Bari cadde sulle prime inascoltato, eppure rivelava crudamente la sua verità.
Nel momento in cui l’Italia si sarebbe divisa, invasa da sud, occupata al nord, qualcuno si preoccupò di informare gli italiani che uno scrittore di successo era un collaboratore del governo fascista, ed il successo di Pitigrilli è definibile privo di influenze sulla politica o sugli “intellettualismi” della penisola, ossia non era né Ojetti, né Croce, né Gramsci, né Gentile redivivo.
Una “vox clamans in deserto”, e questo mi sembra.
Mi sembra, appunto.
Finora il comunicato di Radio Bari galleggia nelle parole scritte intorno a Pitigrilli come un fenomeno meteorologico.
Radio Bari deve aver pur detto qualcosa d’altro prima e dopo, e se non l’ha fatto? Allora Pitigrilli doveva essere veramente pericoloso. O era solo maledettamente famoso? O maledettamente “pornografico”, scrivere “pornograficamente” era indice di propensione alla delazione, allora chi fa uso di materiale “pornografico” chissà di quali trame sarà capace.
Se non ha detto niente altro, ed è facile che sia così, perché anche il “Giornale d’Italia” nel gennaio 1944, riporta seccamente il comunicato, stringato e chiuso tra due colonne. C’era dello spazio da occupare? Si doveva perseverare a diffondere la notizia anche dopo tre mesi? Ma chi e come aveva avuto l’informazione?
Troppi interrogativi. E nessuna risposta ora possibile. Degni di un programma televisivo sugli ultimi misteri della terra, mi scuso col lettore, ma forse da ogni domanda posta può nascere una traccia, da quelle non poste… Anche se domande cretine avranno risposte cretine, io mi accontento.
 
 

R. Creghel

 
 
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