Il mio ricordo d’amore più bello
sei tu certamente, canora Zakya:
e viene dalle intensissime ore
brevi in cui, nella notte
orientale, tu fosti mia tutta
senza lasciarmi rimpianti o amarezze;
ma t’ebbi come s’à un fiore
che, dopo averlo odorato, si butta
— però
senza disdegno — via.
Il mio cuore era largo come quel
plenilunio d’aprile.
Nostro linguaggio gli esultanti
sospiri, poiché io non capivo
il tuo arabo molle e lascivo,
come tu non capivi
il mio acceso idioma.
Al separarci,
ancora un bacio ed un sorriso.
Per questo solo il ricordo
è dolce: in quelle poche ore
noi non demmo tempo al dolore,
a qualunque fiato torbido che appanna
il cristallo dell’amore.
Nella mia memoria rimane l’odor della chioma
che mi avvinse si poco e — soltanto
—
simile a un’eco, a un accordo
nostalgico, quel tuo canto
incompreso e pure divino
che m’inebbriò come un effluvio
musulmano di gelsomino.
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Zakya, fotografata dallo stesso Federico De Maria (da Passeggiate
sentimentali in Tripolitania) |