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L' OZIO Nel parco incantato di El-Giàfar, detto poi la Favara, oggi Maredolce, presso Palermo, l'araba Balermi, in un bel giorno del maggio 1068. Attorno al giovine emiro AJUB-BEN-TEMIM si sono adunati i migliori filosofi, poeti, medici e scienziati di Sicilia. Egli sta tra costoro semisdraiato su cuscini e tappeti, all'ombra di un grande albero; lo attorniano anche dignitari della sua corte, ufficiali del suo esercito, donne del suo serraglio, schiavi. Alla sua destra siede ABU-GAFSA, a sinistra giace
SURA giovanissima, ancora adolescente; più in là JUSSUF. MELKISEDEC si dà da
fare fra i musici che
suonano lenti, flauti e tamburi, e le danzatrici bizantine che ballano, un
po' disanimate dall'indifferenza del loro signore. Pare, invece, che gravino
sugli adunati lo scontento, la preoccupazione o la noia.
MELKISEDEC (ai musici) Su, più vivaci! più nervo nelle dita, più fiato dal petto! (alle danzatrici) E voi, più muscolo nelle gambe! E allegre! Guardate ridenti (Si ritrae, scalmanato, asciugandosi il sudore: la sua obesità l'impedisce di mostrare più a lungo con l'esempio quella vivacità ilare che vorrebbe infondere in tutti. Si appressa a Jussuf per chiedergli piano): Ehi, Jussuf, non ti pare che il signor nostro abbia più lieto aspetto JUSSUF (maligno) Musiche e danze alla corte degli emiri son già storie vecchie. ABU-GAFSA (notando l' indifferenza dell'emiro, richiama severamente il cerimoniere) Melkisedec! MELKISEDEC (premuroso) Ò visto! — Basta, fringuelli rauchi e gazzelle (Mentre egli parla le ballerine e i musici ànno ceduto il posto a quegli altri che egli nomina, i quali cominciano ad eseguire gli esercizi da lui preannunciati. Ajub guarda per qualche istante, ma poi finisce col socchiudere gli occhi e scuotere il capo). ABU-GAFSA Non capisci che Ajub non vuole cose strane e sorprendenti, MELKISEDEK (premurosissimo)
Ò sotto mano quel che occorre: giullari e menestrelli AJUB (a Sura) Di' che faccian tacere SURA Datti pace, signore, un momento AJUB (guardando i nani che entrano folleggiando) Giudeo, domanda a Costoro che folleggiano se son contenti MELKISEDEC Sono contenti, mio signore, di darti piacere. AJUB No, no, lo voglio udire dalla lor bocca : insegnino il segreto JUSSUF (a un nano) Parla tu dalla ghigna da ranocchio, che fai il pazzerello. IL NANO Sono schiavo, ed è questo il mio mestiere. SURA (soave, a un altro) E tu, perchè sei gaio? L'ALTRO NANO Perchè so che se piango avrò le verghe. (Indicando Melkisedec) Egli ce l'à promesso. ABU-GAFSA Meglio è guardarli e lasciarli tacere. AJUB Basta! mandate via questa gente che soffre più di me! (Melkisedec, impaurito, si affretta a cacciare via i nani; restano in disparte tre uomini sorridenti che erano entrati dietro di loro. L'emiro li guarda e si rivolge irato all'israelita) Perchè questi altri rimangono qui a ridermi in faccia, giudeo? MELKISEDEC (buttandosi ai suoi piedi)
Mio re, AJUB Va, e mozzati la lingua ! Mandate via queste altre marionette. (rivolgendosi al primo dei tre uomini che lo guardano sorridenti) Tu che ridi, perché ridi? LO SCEMO Ah! ah ! ah! Ah ! JUSSUF
Non senti LO SCEMO Sì…. Ah ! Ah ! ABU-GAFSA Non vedete? è uno scemo. AJUB Non monta, voglio sentire. — Dimmi, dunque, perchè sei contento? LO SCEMO Ah! ah! ah! SURA Ma il suo riso fa male al cuore.... AJUB
Se egli non intende ABU-GAFSA
E' meno di una bestia, AJUB
Ma tu m'ài detto che nel riso è il segno ABU-GAFSA Sì, l'ò detto..., ma del Bene che invoco su di te. AJUB Dategli quel che vuole, prima di rimandarlo.... Vo' sapere (lo Scemo lo guarda e ride piano scotendo la testa)
Un cavallo? una veste LO SCEMO (che à guardato spesso il ventaglio che una schiava agita attorno al capo di Sura, improvvisamente glielo strappa di mano e scoppia a ridere) Voglio questo. JUSSUF Come idiota, può dirsi perfetto! (Tutti, tranne Ajub, Sura e Abu-Gafsa, ridono;Ajub li fa tacere, guardando in giro accigliato). AJUB Gli basta. Rimandatelo. Era già pago della sua miseria. (Due servi accompagnano lo Scemo, che parte ridendo e agitando il ventaglio). MELKISEDEC (presentando il secondo dei tre, che è stato finora tranquillo, scotendo ogni tanto il capo, con aria di commiserazione). Quest'altro è un pazzo, ma à un nome che promette: lo chiamano « Il
Medico AJUB (vivamente all'uomo)
Tu mi credi dunque infermo? IL PAZZO
Un solo male, emiro, è nel mondo: io l'ò scoperto. AJUB Chi ti dà la certezza di guarirmi? IL PAZZO
L'istinto. M'àn detto AJUB Tu, come ti sei guarito ? IL PAZZO
Con due pinze, una piccola sega (Tutti si guardano costernati e guardano verso Ajub che tace un momento pensoso). AJUB (scotendosi) Sì, lieve e puro come le cose eterne. Resterai con me, (Si ode una gran risata e poi una voce, che è quella del terzo individuo rimasto in disparte). L'UBBRIACO Ohilè! (Ajub si rivolge a costui, che è un grosso popolano barcollante e che à spesso sghignazzato piano, guardando e ascoltando il Pazzo). AJUB E tu chi sei? L' UBBRIACO
Curiosa ! tu sei principe, sei il più potente, ABU-GAFSA (severo) Chi à lasciato penetrare fin qui questo insolente? MELKISEDEC (tremante) Egli rideva.… e allora.... AJUB Rimanga: voglio udir le sue facezie. MELKISEDEC E' un cristiano che ama darsi spesso alla sudicia ebbrezza L'UBBRIACO Sudicio ed esecrato te, che ci ài cuore e lingua da pezzente. (Molti ridono; Ajub lo guarda e lo ascolta attentamente). MELKISEDEC E' un arrotino: si chiama.... AJUB No, non dirmelo! L UBBRIACO
Ei crede saperlo AJUB Tu sai il tuo vero nome? L'UBBRIACO
Poh! ne è tanti! Per ora converso ABU-GAFSA (balzando in piedi) Buttate in acqua questo montone ebro! (tutti si agitano, gridando, minacciando irritati). AJUB Calmo, Abu-Gafsa! ABU-GAFSA
Signore, non lasciarti sbavare da un verme. AJUB Lo credi? ABU-GAFSA Noi siamo i forti: non dare fede ai corvi nefasti. Poeta, AJUB Attendi. (indicando l'ubbriaco) Mandate via Costui. Dategli quanto vino potrà bere. (L'ubbriaco, sghignazzando allegramente, si lascia accompagnare via. Ajub torna a sdraiarsi, mentre il poeta Abul-Arab si avanza). ABUL-ARAB (trae alcuni accordi veementi dal suo leuto, poi comincia a declamare con crescente entusiasmo) Nel grande nome di Dio misericordioso e clemente. (Mentre il poeta s'infervora al proprio canto e al suono del leuto
e tutti gli astanti sono in piedi, facendogli eco con grida e alzando
minacciosamente i pugni, Ajub, sempre sdraiato, socchiude |
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