Kasida II
Home Su Introduzione Kasida I Kasida II Kasida III Kasida IV Kasida V Kasida VI Kasida VII Kasida VIII Kasida IX

 

L'AMORE



Una sala del castello di El-Giàfar, negli appartamenti destinati alle odalische.

I musaici delle pareti, sopra gli alti zoccoli di marmo, rappresentano pavoni e gazzelle, tra palme e fiori. Il soffitto di legno a stallattiti è minutamente decorato a stelle.

A destra un basso letto, sul quale è AJUB in atto di ascoltare SURA, seduta su tappeti ai suoi piedi. Un incensiere d'argento fuma al lato opposto. La luce penetra discreta dalle finestrette ogivali sulla parete sinistra. Piccola porta in fondo.


SURA

(raccontando)

« Io non sarò mai felice tra infelici per me, — disse Rama —
Non pianger, madre mia; detergi anzi le lacrime del padre.
Il mio esilio è salvezza per tutti voi. Non voglio che chi mi ama
soffra, se io resto. lo non soffro, te lo giuro, che del vostro pianto ».
Ma di queste parole non s'appagò Sita, sua moglie: « Io parto
con te ». Ma Rama le mostrò quanti rischi e disagi
per una donna, più che per un uomo, offriva un tal viaggio
tra foreste p~polate di serpenti e di tigri, su piani
arsi, deserti, sassosi, ove s'ànno a compagne la fame
e la sete. La moglie sorrise e disse: Io sono la tua carne
e la tua anima, ovunque, nel palazzo o nel bosco: ove andrà
Rama, andrà Sita. Nel bosco stanno pure le Apsare e i Gandharvas,
genii del bene; e nel fondo d'un'ignota foresta del Pamir
o dell'Imalaja s'apre la porta della dimora di Brahma,
che Indra volle nascosta per rivelarla solo a quei mortali
che sapranno in se stessi trovare, e in Lui, ogni felicità ».

AJUB

(che l'à ascoltata attentamente)

E Rama?

SURA

                    Rama non seppe più negarle quanto essa invocava
e partirono insieme verso l'esilio.

AJUB

                                                        La tua fede è grande,
Sura? Tu credi a quello che mi racconti?

SURA

                                                                    Sono verità
dei nostri libri sacri. Tu credi solo a quelle del Corano?

AJUB

Io non so creder nulla. Perché dovrei credere? Tutto è vacuo
e sterile. A che serve quel che faccio ogni giorno e che domani
potrò ripetere? — Quale nuova gioia trovarono, Rama
e Sita, nell'esilio? Tu non me l'ài ancora raccontato.

SURA

Trovarono il paradiso, forse; ma più di tutto trovarono
sempre, vicini l'una con l'altro, il loro amore. E tu non m'ami.

AJUB

No, Sura, t'amo: sei tu sola, non lo vedi? la compagna
delle mie ore. Quando tu sei venuta non ò più cercato
le altre mie donne.

SURA

                                Ma quelle già le avevi, pure un giorno, amate,
lo so. Me guardi e ascolti.

AJUB

                                                Nessuna d'esse m'à saputo dare
que1 ch'io cerco; ed allora la gioia passeggera m'à lasciato
deluso: sulle labbra, come in cuore, è rimasto un po' d' amaro.

SURA

Che cerchi tu, signore?

AJUB

                                            Qualcosa che mi tiene anche celato
il suo nome.


SURA

                        Ed i tuoi servi s'affaticano tutti a cercare
una cosa senza nome. Ma se essa ti fosse già accanto?
Se ancora non la vedessi?

AJUB

                                            Forse. Quando mi fosti portata
tu, Sura, come un bei dono dall'ignota regione ove nata
sei, e vidi la tua bellezza, m'apparisti nuova e strana,
ed un moto del mio cuore m'avverti che con te mi recavi
qualcosa di diverso dalle mie cure e dai piaceri usati.
Ti scelsi e ti ò voluta sempre a me accanto; e infatti non mi stanchi.
Sei la sola a non stancarmi se ti guardo e t'ascolto.

SURA

                                                                                    E non m'ami.

AJUB

Perchè credi tu questo? No, guardarti e ascoltarti m'è caro come
nient'altro. Eppure non è tutto, ài ragione. Ma sai
dirmi perchè non è tutto? Come sai, dimmi tu, che non t'amo?

SURA

Oh, mio signore, intendo me stessa, ed ecco: non ti sento eguale
a me. Sapessi come la tua piccola Sura è tutta paga
d'Ajub! Il sole sorge per me dall'ora in cui ti scorgo: appari
tu, poi mi vedi, mi chiami con un gesto a sedere al tuo fianco,
e non c'è gioia più grande. No: c'è quella che tu mi comandi
di suonare e cantare, di raccontarti le mie belle fiabe.
Il mondo così angusto per la tua schiava, io sento che s'allarga
se ti sto più vicina : si chiude tutto fra me e il tuo alito
che mi sfiora..., lo conosco quali sono le cose belle, fatte
da Brahma, vigilate da Visnù, ma votate a Sivah, nate
per crescere e morire, per diventare finalmente sacre
come gl'iddii; mia madre m'insegnò da piccina ad adorare
le nubi bianche, il sole, l'ombra delle giovenche pure, l'acqua,
la stella dell'alba, il fumo: ma nessuna di queste mi dava
il tremore che tu mi dài, nè piena di divinità
m'appariva, come te.... Ma qualcosa di te è più lontana.

AJUB

No, non lontana quanto tu temi, Sura; e pure se lontana
questa cosa è un timore.... Si, tu mi piaci più di tutte le altre,
mi piaci per le tue labbra cosi ardenti, pei tuoi delicati
piccoli piedi, pei tuoi lombi ondosi.... Sei piena d'un'acre
voluttà che m'attrae come nessun'altra. Ma quando mi affaccio
dai tuoi occhi e ti scruto dentro, così, con l'ansia di trovare
quello che cerco e non so, tremo subito e il dubbio m'assale
che neppure nella tua voluttà guarirò questo male
senza farmaco.... E non voglio disilludermi, voglio sperare
ancora in te, bambina.... Sii per me ancora, almeno, la speranza.
È poco — ma che cosa farei se pure questa dileguasse ?

SURA

O Ajub, diceva mia madre che soltanto c'è, dalla speranza
alla fede, una preghiera. Vuoi pregare?

AJUB

                                                                Chi? À detto il cristiano
di ieri d'essere grande come un nume: era solo ubriaco.
Potrei provare anch'io. Ci ò pensato un momento. Il mentecatto
ebreo rise felice d'un ventaglio. Il chirurgo mussulmano
à svuotato il suo cranio. Ciascuno dal suo dio ebbe una strana
fede, un appagamento sorto da un male. Implora per me un male
nuovo, Sura, al tuo dio, per appagarmi.

(La porta si apre ed entrano Abu-Gafsa, Melkisedec, Jussuf, dignitari e ufficiali, con aria grave).

                                                                Chi è? chi v'à chiamato?

ABU-GAFSA

Allah sia teco.

AJUB

(ironico e violento)

È con voi, forse? Dove? Venite a portarmelo?

(Molti restano interdetti, qualcuno scandalizzato. Dopo un momento di silenzio, il solo Abu-Gafsa si avanza inchinandosi)

ABU-GAFSA

Emiro, il nemico avanza su Balermi. Tu devi salvare
il regno.

AJUB

                    Dunque, esiste sempre il nemico? Alì non l'à disfatto?
Tu l'ài detto!

ABU-GAFSA

Tuo fratello fu sconfitto in un'altra battaglia.
Queste nuove àn portato messaggeri che giungon da ogni parte.

UN DIGNITARIO

Salva il tuo regno, signore.

MELKISEDEC

                                                        Tutto il popolo piange, invocandoti.

UN VISIR

Il tuo esercito t'aspetta....

JUSSUF

                                                Le tue donne son prese dal pànico.

AJUB

No, dite che ci sono tutti i nostri egoismi da salvare:
le tardive paure dei servi imbelli, le vostre epe grasse,
che sentono ora contro di sè levarsi alfine la minaccia
del nemico. Che venga dunque, questo nemico! Esso m'attrae,
perchè scuote la terra sotto i miei piedi, scrolla le muraglie
ove m'avete chiuso per anni! È un gioco nuovo, preparato
da voi, o dal destino, questo nemico? un gioco per distrarmi
come tanti altri? Ebbene, può darsi che sia quello che mi piaccia!
Con me tutti alla nuova festa; e non monta se sarà mortale!
Voglio pure i felici, quelli che fìno a ieri m'àn mostrato
come si ride, come si è sereni; e i poeti perchè cantino,
buffoni e giocolieri che ripetan le loro allegre farse
sotto frecce e zagaglie; voglio Sura e le mie donne che danzino
durante la battaglia, e di fiori c'intreccino le spade!

Home ] La Spada d'Orlando ] L'Aquila del Vespro ] L'uomo che salì al cielo ]