Kasida IV
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LA RINUNZIA



Nell'accampamento normanno: l'interno del padiglione di Ruggero d'Altavilla. Un letticciuolo, un tavolo, qualche scranna, armi gettate alla rinfusa — tutto semplice, quasi rustico. Una bandiera con la croce è appoggiata in fondo, presso l'entrata.

RUGGERO D'ALTAVILLA è seduto sul letto; il suo elmo, lo scudo e la spada sono deposti accanto a lui. Lo attorniano cinque o sei suoi UFFICIALI, tutti raggianti in viso. Egli è il più compassato e sereno.



PRIMO UFFICIALE

L'ala destra soltanto resisté; gli altri non àn combattuto
come se presi da panico; e anche i fanti sbandati ed in fuga
correvan così veloci che neppure i cavalli li giunsero.

SECONDO UFFICIALE

E per la valle quanti morti!

RUGGERO

                                                Sia data a tutti sepoltura;
ai pochi nostri in terra benedetta; ai nemici ove sia pure
qualche fiore: onoriamo la morte.

TERZO UFFICIALE

È voce delle tue virtù
anche tra i saraceni che combattiamo.

RUGGERO

                                                                        Come lo sai?

TERZO UFFICIALE

                                                                                        Fu
un prigioniero a dirmelo. Parlò di te come d'un santo; e pure
di noi che ti seguiamo. Parlò convinto.

RUGGERO

                                                                        Che uomo è costui?

TERZO UFFICIALE

È un giovane, assai nobile d'aspetto: indossa vesti ed armature
ricchissime: à gioielli superbi ai polsi, al collo, dappertutto....
L'ò preso io, al primo attacco: steso al suolo, pareva abbattuto
dalla folgore.

RUGGERO

                                    Ferito?

TERZO UFFICIALE

                                                        No.

PRIMO UFFICIALE

(ridendo)

                                                                        Colpito di sola paura?

TERZO UFFICIALE

No: è un gagliardo. Accanto gli stava, singhiozzante, una fanciulla
assai bella. Si lasciaron portar via docilmente, egli muto
e trasognato, ella smesse le sue lacrime. Li ò riveduti
pocanzi. Egli à parlato di te: mi à chiesto se tu sei venuto
dal cielo....

RUGGERO

                        Voglio vedere questi due prigionieri: conducili!

(Il terzo Ufficiale esce. Ruggero dice un po' perplesso, rivolto ai
suoi):

Certo, la vittoria sa di miracolo: le altre ci furono
meno facili, e mai come stavolta avemmo a fronte, in numero
così grande, i nemici. Ci rimane ora un compito men duro
per finire l'impresa.

SECONDO UFFICIALE

                                        Dalla cima qui accanto, poco lungi,
si vede una città vasta, con minareti, rocche, mura
poderose....

PRIMO UFFICIALE

                            Palermo.

RUGGERO

                                                Là noi ci fermeremo.

TERZO UFFICIALE

(rientrando)

                                                                                        Ecco i miei due
prigionieri.

(Introduce AJUB e SURA, che ànno le mani legate. Aljub gira lo
sguardo su i presenti e lo sofferma su Ruggero. La fanciulla, inti-
midita, tiene gli occhi abbassati)

RUGGERO

                            Perchè cosi legati? Scioglili, Ranulfo.

(Il terzo Ufficiale, Ranulfo d'Anversa, scioglie le mani dei due
prigionieri)

SECONDO UFFICIALE

Egli è un agnello.

RUGGERO

                                        Eppure non à aspetto di vile. Chi sei tu?

AJUB

Che valore à il mio nome se ormai quello che in me vedete è tutto
di me? Forse io comincio. Tu sei clemente: lasciami al mio buio.

RUGGERO

Parla da saggio.

SECONDO UFFICIALE

                                Ma alla loro maniera complicata e oscura
che non mi piace.

PRIMO UFFICIALE

(ad Ajub, ruvidamente)

                                Parla chiaro. Noi siam gente di guerra,rudi
e semplici; le frasi ben tornite, ma fatte per eludere
quello che noi vogliamo sapere, sono inutile bravura.

RANULFO

(più umano)

Suvvia, qual'è il tuo nome?

AJUB

                                            Lasciate che io lo taccia: ve ne supplico
pel vostro Dio.

(Il primo e il secondo Ufficiale scrollano le spalle e fanno per insistere, ma Ruggero li frena con un gesto. Ajub prosegue)

                                    Quel nome da quest'oggi non m'appartiene più.

RUGGERO

È mio diritto forzarti, ma non voglio. Sei un capo?

AJUB

                                                                                            Lo fui.

PRIMO UFFICIALE

Devi pagare il riscatto, ben rotondo; oppure esser venduto,
tu e questa donna.

AJUB

(con un infrenabile moto di ribellione della sua vecchia natura)

                                Schiavi? No!

RUGGERO

                                                                Sei superbo, per un vinto.

AJUB

(ancora ribellandosi, ma con angoscia)

                                                                                                    Sura,
schiava!

SURA

(scoppia in singhiozzi, si getta ai suoi piedi, abbracciandogli e baciandogli le ginocchia)

                    Io sola voglio essere il prezzo del riscatto per la tua
salvezza, mio signore: non ero già una schiava? Ma non tu,
non tu, non tu, mio principe onnipotente, nato nella luce,
mia luce, mio respiro! Lascia che solo sia Sura venduta,
battuta, calpestata da questi uomini; ma tu torna, Ajub....

RUGGERO

(stupito, alzandosi di scatto)

Ajub, l'emiro? il figlio del gran sovrano d'Africa? Sei dunque,
Ajub- ben-Temim?

AJUB

                                Lo fui. Ma da oggi non son che un oscuro
paria, sorto da un pozzo d'insania, che intravide però il lume
nuovo che voi recaste. — Ruggero d'Altavilla, la tua giusta
rampogna non invano ricade su di me come una frusta
sul servo: sono sempre superbo per un vinto. Ecco, son umile
adesso, e imploro ai vostri piedi perdono se non ò creduto
finora nel divino potere che voi esalta e che me annulla,
ma che pure m'abbaglia d'una gioia tremenda e impreveduta.
Per pagarvi di questa mia sacra angoscia, io posso darvi tutto
ch'è in me; non voglio chiedere un riscatto a chi già chiamai miei sud-
perché non appartengo più a loro, né essi a me. Sarò venduto, [diti,
si, o sarò vostro, come vorrete. Ma che questa creatura
innocente, per me strappata come bestia alla sparuta
madre, che m'amò e fu sola compagna all'anima mia impura,
vada libera, in nome del Dio che ancora non conosco tutto!

(Egli si è inginocchiato e abbraccia le ginocchia di Ruggero)

RUGGERO

Il Dio nostro, ch'è clemente, vuol clementi anche noi. La fanciulla
non sarà tocca, né andrà schiava: resti con te, sempre tua,
tornando anche tu libero. Il Signore per tuo mezzo à voluto
facile la vittoria: ora comprendo, ed onorarti è giusto
ed è rendere grazie al cielo. Alzati. Sei della statura
nostra, e forse più alto dopo che Dio incontro t'è venuto.
Intendo che non puoi restar con noi, né ritornare al cupo
tuo regno. Dove andrai? Chiedi ed avrai da me fraterno aiuto.

AJUB

Grazie, uomo di Cristo. Sento l'umanità del tuo Gesù
nel tuo dire. Io vorrei partire per la terra dove Sura
è nata e dove sua madre forse l'attende, ricondurla
alla sua casa, ed io forse trovare con lei pace....

SURA

(con impeto gioioso)

                                                                            Oh, Ajub!

RUGGERO

Io ti farò scortare da miei uomini fino a Siracusa
ove t'imbarcherai per l'oriente. Addio! va sicuro:
avrai pace.

AJUB

                        Concedimi di baciare la croce di Colui
che venne dalla parte di Dio.

RUGGERO

(prende il vessillo crociato e glielo tende)

                                                            Sii benedetto in nome suo.

(Ajub, in ginocchio, bacia la croce. Sura, che à guardato come stordita, si butta al suolo. Anche i cavalieri
presenti s'inginocchiano chinando il capo).

 
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