Kasida IX
Home Su Introduzione Kasida I Kasida II Kasida III Kasida IV Kasida V Kasida VI Kasida VII Kasida VIII Kasida IX

 

L'ULTIMA PROVA

AJUB à continuato il suo cammino, guidato dal cane, l'unico essere vivente rimasto nella sua vita. Il cane lo incoraggia, con la sua muta persistenza, a proseguire, lo assiste, lecca le ferite dei suoi piedi, lo aiuta a procurarsi il cibo e, la notte, lo riscalda col suo corpo accucciandoglisi vicino sullo strame di foglie o di musco. 

Così, dopo camminato ancora giorni e giorni, giungono dove la foresta si fa più che mai gaia di belle piante, d'acque e di fiori. La vegetazione lussureggiante assume un aspetto nuovo: sono erbe, arboscelli, alberi mai visti, fiori inebbrianti, frutta deliziose. 

AJUB si accorge a poco a poco che le sue sensazioni si affinano; egli percepisce il fluire leggerissimo della linfa dentro i tronchi, il tenuissimo brusio delle erbe che spuntano, delle gemme che si aprono, dei fiori che sbocciano. Egli intende anche il canto degli uccelli, nel loro linguaggio, e ricorda allora l'augurio del pellegrino indù, sul limitare della foresta: « Un giorno saprai parlare con le acque e gli alberi, capire il linguaggio degli uccelli, e da quell'istante ti sentirai vicino al luogo ove vuoi giungere » . 

Il piccolo cane che lo assiste si è però ferita una zampa ad un pruno e zoppica, camminando. AJUB allora lo prende in braccio. Da quel momento tutte le cose parlano accanto a lui: un cantico melodioso s'innalza, in cui sono mescolate le voci della terra, degli alberi, della luce, dell'aria, degli animali che popolano la foresta.

 

CANTICO DELLE COSE 

Anima che vivifichi ogni forma della materia inerte, 
che dài moto, voce ed alito a quanto nell'universo è costrutto, 
Anima da cui rivelasi l'infinito e l'eterno si avverte 
con la vicenda del nascere e del morire; Anima, tu sei tutto.

AJUB 

(stupefatto ed estasiato, sta immobile, col piccolo cane sofferente in braccio, guardandosi attorno, udendo ed intendendo quelle voci, quelle musiche nuove. E a un tratto una parete di fiori che sta in alto di fronte a lui si schiude svelando una grande porta rotonda luccicante come diamanti, splendida come il sole. Egli cade in ginocchio). 

Porta del cielo, son giunto, dunque, innanzi al tuo soglio. Sublime, 
che mi ascolti e mi vedi, son degno che per me essa si schiuda? 
Ti pregai con cento nomi, t'intravidi già sulle tue cime; 
t'ò portato il mio cuore svuotato, ora, e la mia anima nuda. 

(La porta si apre e in uno sfondo zaffireo appare una scala di luce che si perde nell'alto. Una voce meravigliosa, la voce del messo della Divinità, scende dal cielo).

LA VOCE 

Chi sei? che cosa facesti sulla terra?

AJUB 

                                                                Una tua creatura, 
sono, che seppi tutto della terra acquistare e ignorai 
il tuo soffio animatore ch'era in me; ma potei a una a una 
gettare le mie inutili conquiste, e solo un soffio ritornai.

LA VOCE 

Chi in se stesso trovò Dio, può varcar questa porta. Ma lascia 
l'essere immondo che ài teco. Non è per lui questa dimora.

AJUB 

(sgomento, stringendo al petto il cane) 

No! Gettar via l'innocente che compagno mi fu nell'ambascia 
e nella solitudine, una piccola carne che dolora? 
Resterò ad esser per lui quello che egli mi fu; con lui indegno, 
giacerò dietro questa porta, pago a guardarne lo splendore.

LA VOCE 

(giubilante) 

No, è stata l'ultima prova! Vieni; s'apre a te il cielo. Sei degno 
per la tua pietà umile di bearti alla luce del Signore.

AJUB 

(vacillante ed estatico, sale; il piccolo cane tra le sue braccia si è trasformato nell'anima trasparente di Sura).

PALERMO, 19 luglio-18 agosto 1938-X VI.

 
Home ] La Spada d'Orlando ] L'Aquila del Vespro ] L'uomo che salì al cielo ]