Kasida VII
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LA VOLONTÀ

AJUB e SURA camminano per valli ed alture, traversano campagne e zone deserte, al sole o alle intemperie, riposandosi in caverne, o sotto alberi, o sotto le stelle quando il cielo è clemente. 

Ma anche nella solitudine essi non si baciano mai. 

Così andando, dopo mesi e mesi, stanchi emaciati e laceri, giungono al fine in vista di una foresta immensa, che ammanta i pendii di montagne di cui, da lontano, sfumate appena come nuvole nell'azzurro, si scorgono le cime nevose e inaccessibili. 

Proseguono il cammino, pigliando l'erta che mena alla foresta. Ivi s'incontrano in UN PELLEGRINO dalla rada barba grigia, l'aspetto misero, ma placido e sorridente. Esso fa girare più volte la banderuola delle preghiere dei lama, che à in mano, con l'aria di farlo per loro.

 

IL PELLEGRINO 

Pace a voi!

AJUB 

                            Pace a te!

IL PELLEGRINO 

                                                Sei stanco? ancora lungo il tuo cammino.

AJUB 

Che sai del mio cammino, viandante?

IL PELLEGRINO 

                                                            Chi va per questa via 
deve aver camminato molto e lontano ancora è dalla fine.

SURA 

Noi andiamo a Srinagar.

IL PELLEGRINO 

(sorridendo) 

                                            Si, forse è la tua mèta, bambina. 
Ma il tuo compagno va più lontano.

SURA 

(sgomenta) 

                                                                Che cosa voglion dire 
le tue parole?

AJUB 

                                Forse, per lei si delicata 
la fatica sarà più grave?

IL PELLEGRINO 

                                            Mai, chi à fede, è puro e vuole, sarà vinto 
dalla fatica.

AJUB 

                        Credi che ella abbia da temere dei pericoli 
della foresta?

IL PELLEGRINO 

                            Spesso le belve ed i serpenti che s'annidano 
nel nostro cuore, se restano occulti, sono più temibili. 
Ma va con lei sicuro: la foresta è innocente anche se uccide. 
Addio.

AJUB 

(ansioso) 

                    Attendi ancora: puoi dirmi dove giungeremo, usciti 
dalla foresta? Sura rivedrà la sua casa?

IL PELLEGRINO 

                                                                    La sua via 
è questa: non v'à altra via per quel che cercate. Chi cammina 
trova. Un giorno saprai parlar con l'acque e gli alberi, capire 
il canto degli uccelli; e da quel giorno ti sentirai vicino 
al luogo dove vuoi giungere. Va, e giungi, viandante. Addio.

AJUB 

(un po' stordito) 

                                                                                                    Addio. 

(Il Pellegrino si avvia verso la valle; egli e Sura riprendono a salire verso la foresta. Camminano piano e in silenzio. Giungono fra gli alben quando fa quasi sera, e gli ultimi raggi del sole li guidano; finchè, sotto un gruppo di querce un tappeto di musco li invita al riposo).

AJUB 

Sei stanca, Sura?

SURA 

                                    Un poco. Ma sento che sarò felice. 
Siamo nella foresta che sognammo: tu sei Rama ed io Sita.

AJUB 

E la casa di tua madre?

SURA 

                                            Vi giungeremo, se il destino 
ci addurrà; ma quest'altra meta mi parve avesse più sorriso 
anche a te, Ajub.

AJUB 

(grave, quasi solenne) 

                                        Sì, Sura. 

(Si guarda attorno e vede alberi carichi di fiori e frutti).

                                                    Guarda, ci accoglie infatti, essa, propizia 
coi suoi profumi e coi suoi frutti: avrai da questa sera cibi 
più gradevoli. 

(Coglie varia frutta dagli alberi e la porta a Sura; mangiano insieme in silenzio, il poco a poco al semibuio del crepuscolo succede la luce tenera della luna, che filtra attraverso il fogliame).

SURA 

                                    Come dolce è quest'aria!

AJUB 

                                                                        Si, mai l'ò sentita 
così dolce!

SURA 

                        E mai come stasera fummo sì soli e vicini. 
La selva, con le arcate di fogliame, come un'alcova, ci isola 
dal troppo vasto mondo che sta fuori. Perché tu non mi dici 
che mi vuoi bene? Da quando siam partiti non baci i miei piccoli 
piedi e le mani, che pure ti piacevano quando eri principe 
ed io schiava. Non vuoi più avere con me pace?

AJUB 

                                                                                Pace, si. 
Ma ancora io non la sento. Ricordati che un giorno io pure dissi 
che a guardar nei tuoi occhi, lo sgomento ed il dubbio mi assalivano 
di non trovare in te la cosa ignota che cercavo, il fine 
della mia angoscia, ma che non volevo infrangere la sottile 
speranza di trovarla più tardi: e mi bastava ancora a vivere 
la promessa ogni giorno ritardata di cogliere in te il filo 
misterioso che lega nel mondo il nascere al morire.

SURA 

(appressandosi) 

Oh, Ajub, le tue parole mi abbagliano e mi fan rabbrividire: 
son belle e paurose; ma non le intendo. Se vuoi anche dirmi 
che non sdegni la piccola Sura e la sua carezza ti è gradita 
lascia che ti carezzi. C'è qualche cosa in me che vuole esprimersi, 
ma tu l'arresti sulle mie labbra; nel mio seno è come un nido 
di farfalle già alate che palpitano e vorrebbero ormai uscire 
alla luce che emana da te, per bruciarvisi anche e morire, 
ma che chiuse mi soffocano....

AJUB 

                                                Anch'io sento in me questo martirio, 
Sura, e te l'ò taciuto! Se ti guardo o ti tocco, o se t'aspiro, 
bruciano le mie carni. Ma penso che sempre è lo stesso istinto 
che mi attrasse verso altre donne e che sempre più fe' inaridire 
l'anima. Anch'io stanotte sento che la foresta mi sospinge 
verso di te: i tuoi occhi, la tua bocca, le tue ginocchia fini, 
la tua tepida pelle di gardenia, mi danno la follia; 
ma c'è qualcosa ancora dentro di me che geme spaurita 
e m'avverte che in questa voluttà non potrò trovare Iddio!

SURA 

(atterrandosi, quasi con spavento) 

Invochiamo il Sublime, perché senza peccato egli ci unisca!

AJUB 

(calmandosi, ansimante) 

Senza peccato per te, Sura, che sei intatta come un giglio. 
Per te voglio che Dio nella casa di tua madre ti affidi 
a me, piccina, e resti l'anima tua senza peccato. Sì. 
Ma per me che non sono puro bisogna accrescere il martirio 
di bramarti e negarti a me stesso, di combattermi e di vincermi! 
Vieni, Sura: dormiremo questa notte su un dolce giaciglio; 
ma giacendoti accanto, le mie voglie diventeranno miti 
come la luna che veglierà sul tuo sonno. Ecco, io ti stringo 
le mani e freno i brividi, ti tolgo sulle braccia e non vacillo. 
Ti depongo sul musco, metto fra il mio e il tuo fianco, ecco, un corimbo 
d'asfodeli, ed imploro che s'apra su di noi l'occhio di Dio. 

(À eseguito tutto quello che à detto. Si distende anche lui e s'addormenta accanto a Sura. Una siepe meravigliosa di asfodeli sorge fra i loro due corpi irraggiati dalla luna fatta più luminosa. Un coro di uccelli si leva melodioso tra le fronde).

 
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