Kasida V
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LA PIETÀ

 

Sulla prua della nave bizantina che li porta da Siracusa verso l'oriente, AJUB e SURA, consumata una parca cena, stanno seduti accanto, contemplando il mare che spumeggia, ondulando appena, sotto di
loro, e il cielo immenso, brulicante di stelle, che li sovrasta. 

Dietro si vedono i primi tre banchi dei REMATORI di babordo incatenati alle caviglie, affiancati a quattro a quattro, seminudi e straziati nelle spalle e nelle braccia dalle scudisciate. Il CAPO-CIURMA li sorveglia, passeggiando innanzi e indietro, con lo scudiscio in pugno, la faccia dura, l'occhio inesorabile. — Un fanale pendulo illumina le bancate.

A tratti, si ode lo scricchiolio dei lunghi remi contro gli scalmi, accompagnato dalla canzone della voga, che la ciurma ora innalza come un lamento, ora mormora sommessa come mordendola disperatamente. Il vento leggero passa a lente folate tra le sartie e su le vele che non riescono a gonfiarsene, ma ne palpitano talora come ali stanche. Ajub si volge ogni tanto a guardare verso i rematori.



CANZONE DELLA CIURMA

Voga, voga: è d'acqua il mondo,
il tuo mondo è tutto mare,
e nel mare è un solo porto.

Voga in giro, voga in tondo,
né a quel porto, sai arrivare:
c'è la nebbia e non l'ài scorto.

Porto limpido e giocondo
dove avrai da riposare
e t'aspetta un'altra sorte.

Voga in giro, voga in tondo,
giungerai: il tuo penare
a ogni arranco è già più corto.

Voga, voga; in fondo in fondo
una riva alfine appare:
è la riva del conforto.

Voga dritto, in capo al mondo,
dove àn fine il cielo e il mare,
giungi al porto: e c'è la morte.


SURA

Quante stelle, Ajub, nel cielo!

AJUB

                                                    Guardan quanto dolore è nel mondo.

SURA

Come dolce canta il mare!

AJUB

                                                Come cantano tristi quegli uomini!

SURA

Non mi vuoi più bene, Ajub?

AJUB

                                                           Forse t'amo di più da quest'ora.

SURA

Ma perchè, se io ti parlo di me e di te, di quante cose attorno
sono belle e ci arridono propizie, tu mi parli di dolore?
Sei triste d'esser qui solo con la piccola Sura.

AJUB

                                                                            Non sono
triste, nè solo quanto nel passato; ma questo immenso mondo
che si rivela al mio spirito, a un tratto, per la prima volta,
mi desta un turbamento nuovo. Mai non avevo visto torme
di stelle così fitte, nè avevo inteso il mare. Le mie notti
furono ben diverse fino a ieri, e diverso fu il mio cuore,
stretto solo in se stesso. Comprendo la fallacia, ora, del giorno
che alletta i nostri sensi con le piccole cose, coi colori
leggiadri e con le forme prossime. Ma la notte invece copre
le mediocri apparenze mondane care agli uomini, e ci mostra
l'infinito, e rivela Dio. Su l'umanità inerte nel sonno
resta un accento e un'essenza, la più vera ed eterna: il dolore.

SURA

Oh Ajub, di che ti duoli se ci amiamo, se sei mio, se tua sono?
non m ài detto che più non soffrivi? Quale affanno mi nascondi?

AJUB

Piccola, non comprendi. Ma è vero: tu ài già detto —— ricordo ——
che la vita ti appare chiusa nel breve tratto ch'è fra noi.
Ed anch'io, oggi, son fatto più leggero, ti dico, nel cuore,
e coi sensi che sembrano aprirsi all'aria calda, come bocci
chiusi da tempo in una crosta di ghiaccio. Ma questo mio nuovo
cuore, svuotato a un tratto d'ogni amaro, si tende ora e si colma
degli echi e delle voci sconosciute che palpitano attorno.
E penso a quanti, presso di me, da me lontani, prima o dopo
di me, formicolanti sopra la terra, vanno sotto il giogo
della vita col loro carico di dolore, di dolore
meschino spesso, fatto di miseria e indigenza, o di ferocia
altrui; ed indicibile è il mio tormento, anzi la mia vergogna,
ricordando la mia lussuriosa accidia, la mia noia
esecrabile di ieri, vestita di potenza e di splendore.

(Il Guarda-ciurma si è allontanato; uno degli schiavi che remano
al primo banco, un giovine esile ed emaciato, emette un gemito ed
abbandona il remo).

UN GALEOTTO

(piano)

Bada, ehi! se il nostro uomo vede che il remo aorza, saran botte!

AJUB

(se n'è accorto e subito s'appressa)

Questo ragazzo soffre.

ALTRO GALEOTTO

                                                Non è solo a soffrire: egli è il più frollo.

PRIMO GALEOTTO

È una recluta. Poh! sputa sangue.

SURA

(con raccapriccio)

                                                                Oh!

AJUB

                                                                               Sangue?

IL GUARDA-CIURMA

(ritornando, furente)

                                                                                        Chi sono i gaglioffi
che mi fan rallentare la palata? Ah, gli è sempre quello? togli!

(colpisce con una frustata il ragazzo che dà un urlo e si abbatte
sul banco)

Su, ritto, alla manetta!

(fa per colpirlo di nuovo, ma Ajuib lo previene strappandogli la
frusta)

                                        Per Sant'Eustorgio! che vuoi tu? Come osi?...

(cheto cheto porta la destra alla schiena per impugnare la corta e
larga spada bizantina che tiene infilata, nuda, nella cintura)

Passeggero, ridammi lo staffile e domandami perdono.

(Prima che riesca a fare atto d'offesa con la spada, Ajub gli è addosso, gli stringe le braccia e dopo breve lotta lo piega sul ponte).

Accorruomo!

SURA

(intervenendo)

                            No, guardati dal fargli danno! Taci! egli è il signore
di Sicilia, l'emiro!

IL GUARDA-CIURMA

(rialzandosi indolenzito)

                                        Basilèo, ti ravviso dai tuoi polsi
di ferro! Ma il nocchiero verrà, vedrà che non è qui il tuo posto,
me punirà e farà passar di sferza tutti i galeotti
che àn mandato a soqquadro la vogata....

(Ajub si sfila dall'avambraccio sinistro un braccialetto ricchissimo, pieno di gemme, e glielo porge. Egli lo guarda, lo pesa in mano, e se lo caccia nel seno)

                                                                    Farò quello che vuoi.
Non batterò il bardascio. Però bisogna pure ch'egli torni
al remo. Avanti, Cristo! Voialtri tre addrizzate! Date forza
all'arrancata! E tu, limaccia, alzati e voga.

SURA

(guardando il ragazzo che è scivolato giù dal banco, semisvenuto e scosso da impeti di tosse)

                                                                        Egli non può:
arde di febbre!

IL GUARDA-CIURMA

                                        Allora lo butteranno in mare. Forza, voi!

UN GALEOTTO

(strozzato dallo sforzo)

Non si resiste!

UN ALTRO

                                    Siamo stanchi morti, in tre soli!

AJUB

(venendo al banco)

                                                                                    A me quel posto.
Remerò pel ragazzo. Sura, apprestagli tu qualche soccorso.

(Siede al banco, al posto del giovane. Sura s'inginocchia accanto a costui e gli da da bere da una fiasca.. Stupiti, i galeotti e il guarda-ciurma. guardano il principe che comincia a remare vigorosamente, esclamando):

Sii franco, guarda-ciurma: farò mia pure la punizione.

IL GUARDA-CIURMA

(non credendo ai suoi occhi)

Basilèo! basilèo!

I GALEOTTI

                                Sii benedetto! chi ti manda a noi?

(Intonano di nuovo la canzone della voga: Ajub canta con loro)

Voga, voga: in fondo in fondo
una riva alfine appare:
è la riva dell'amore.

Voga dritto, in capo al mondo,
dove àn fine il cielo e il mare;
giungi al porto: e c'è il Signore!

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