Elettrione, figlio di Perseo, re di Micene e marito di Anasso, marciò contro i Tafi e i Telebani, perché essi si erano riuniti, seguendo il consiglio di Pterelao, per razziare il suo bestiame. Nello scontro, però, gli otto figli di Elettrione morirono. Durante la sua assenza, suo nipote, Anfitrione, re di Trezene, assunse la carica di reggente, col patto che al ritorno avrebbe potuto sposare la figlia di Elettrione, Alcmena. Anfitrione, informato dal re dell'Elide che la mandria rubata era in suo possesso, pagò il forte riscatto richiesto e poi mandò a chiamare Elettrione perché identificasse il bestiame. Quest'ultimo, per nulla soddisfatto all'idea di dover rimborsare al nipote la somma del riscatto, gli chiese bruscamente quale diritto avessero gli Elei di vendere la roba rubata, e perché mai Anfitrione aveva ammesso tale frode. Senza degnarsi di rispondere, Anfitrione diede sfogo alla propria ira lanciando un bastone contro una delle vacche, che sbattendo nelle corna rimbalzò su Elettrione uccidendolo, quindi Anfitrione fu bandito dall'Argolide da suo zio Stenelo, che si impadronì di Micene e di Tirinto e affidò il resto del regno, con Midea come capitale, ad Atreo e a Tieste, figli di Pelope.

Anfitrione accompagnato da Alcmena fuggì a Tebe, dove re Creonte lo purificò e diede in sposa sua sorella Perimeda all'unico figlio superstite di Elettrione, Licinnio, un bastardo nato da una donna frigia chiamata Midea. Alcmena, decise che non si sarebbe coricata con Anfitrione finché egli non avesse vendicato la morte dei suoi otto fratelli. Creonte gli concesse di reclutare un esercito di Beoti, a patto che egli liberasse i Tebani dalla volpe Teumessia.  Anfitrione con l'aiuto dei contingenti ateniesi, focesi, argivi e locresi, soppraffece i Telebani e i Tafi e consegno le loro isole ai suoi alleati, tra i quali c'era anche suo zio Eleo.

Nel frattempo, approfittando dell'assenza di Anfitrione, Zeus si trasformò in lui e si presentò ad Alcmena, le assicurò che i suoi fratelli erano ormai vendicati e giacque con lei per una notte che egli fece durare quanto tre. Alcmena tratta in inganno, ascoltò con gioia quanto Zeus le raccontava sulla  sconfitta inflitta a Pterelao a Ecalia.  Il giorno seguente, quando Anfitrione ritornò, esaltato dalla vittoria e dalla passione per Alcmena, non fu accolto nel letto coniugale col trasporto che si aspettava. Anfitrione, che non riusciva a capire il comportamento della moglie, consultò il veggente Tiresia e seppe di essere stato cornificato da Zeus; in seguito non osò più giacere con sua moglie, per paura di incorrere nella gelosia divina.

Nove mesi dopo, sull'Olimpo, Zeus si vantò di aver procreato un figlio, ora sul punto di nascere, che sarebbe stato chiamato Eracle, e cioè « gloria di Era» e avrebbe governato sulla nobile casa di Perseo. Hera allora gli fece promettere che il primo principe della casa di Perseo nato prima del calar del sole sarebbe stato gran re. Dopo che Zeus fece la promessa, Era si recò subito a Micene, dove affrettò le doglie di Nicippe, moglie di re Stenelo. Poi si precipitò a Tebe e sedette a gambe incrociate dinanzi alla porta di Alcmena, con i lembi della veste annodati e le dita congiunte; in tal modo riuscì a ritardare la nascita di Eracle, finché fu certa che Euristeo figlio di Stenelo, fosse già nella culla. Quando Eracle venne alla luce, un'ora più tardi, si scoprì che aveva un gemello, che fu chiamato Ificle, figlio di Anfitrione e più giovane di lui di una notte.

Quando Hera risalì all'Olimpo e soddisfatta si vantò di essere riuscita a tenere lontana Ilizia, dea del parto, dalla soglia di Alcmena, Zeus fu colto da una collera violentissima, afferrò sua figlia maggiore Ate, che l'aveva reso cieco all'inganno della moglie, la fece roteare sopra la propria testa stringendone fra le dita la bionda chioma e la scaraventò sulla terra. Sebbene Zeus non potesse rimangiarsi il giuramento e permettere a Eracle di governare sulla casa di Perseo, persuase Hera ad acconsentire che, dopo aver compiuto dodici fatiche impostegli da Euristeo a suo piacimento, il giovane sarebbe divenuto un dio. Ora, contrariamente a quanto era accaduto per i suoi precedenti amori mortali, da Niobe in poi, Zeus non scelse Alcmena soltanto per il suo piacere,  ma con il proposito di generare un figlio tanto forte da impedire lo sterminio degli uomini e degli dèi. Alcmena, la sedicesima discendente della stessa Niobe, fu l'ultima donna mortale con la quale Zeus si giacque, e tenne Alcmena in così gran conto che, invece di violentarla bruscamente, si prese la briga di assumere le sembianze di Anfitrione e di sedurla con parole affettuose e carezze.

Alcmena, che temeva la gelosia di Hera, abbandonò Eracle in un campo, fuori delle mura di Tebe, dove  per istigazione di Zeus, Atena condusse Hera a passeggiare. Mentre camminavano, Atena vide il piccolo, che, impietosità, lo raccolse e lo diede ad Hera per allattarlo. Precipitosamente, Hera prese il bambino e si denudò il petto, ed Eracle vi si attaccò con tanta forza che la dea gemendo per il dolore lo allontanò da sé. Un getto di latte volò verso il cielo e divenne la Via Lattea. Con questo gesto Hera aveva trasformato Eracle in immortale, ed Atena lo restituì ad Alcmena, raccomandandole di averne cura e di farlo crescere bene. Taluni tuttavia dicono che Ermete portò Eracle neonato sull'Qlimpo,  Zeus stesso lo posò sul petto di Hera mentre la dea dormiva; e che la Via Lattea si formò quando Hera, risvegliata, lo allontanò da sé. Era fu la madre adottiva di Eracle, seppure per breve tempo, e i Tebani perciò lo considerano addirittura suo figlio e dicono che egli si chiamava Alceo prima che la dea lo allattasse, e gli fu poi mutato il nome in onore di lei, infatti Eracle significa "Gloria di Hera".

Una sera, Alcmena, dopo aver lavato ed allattato i gemelli, li coricò in una culla di bronzo che Anfitrione aveva riportato come bottino dalla sua vittoria su Pterelao. A mezzanotte Hera mandò due prodigiosi serpenti dalle scaglie azzurrine nella casa di Anfitrione, col severo ordine di uccidere Eracle. Quando i serpenti raggiunsero i gemelli, questi si svegliarono e li videro inarcarsi dinanzi a loro, dardeggiando le lingue biforcute. Ificle strillò, gettò via le coperte scalciando e nel tentativo di fuggire cadde dalla culla. Le sue grida impaurite, destarono Alcmena, e senza perdere tempo, insieme ad Anfitrione andarono nella stanza e appena varcarono la soglia videro Eracle tutto fiero che gli mostrava i serpenti che egli stesso stava strangolando, uno per mano. Appena furono morti, Eracle rise, fece balzi di gioia e gettò i rettili ai piedi di Anfitrione. Quando Eracle non fu più un bambino, Anfitrione gli insegnò a guidare il cocchio, Castore gli diede lezioni di scherma, lo istruì nell'arte di maneggiare le armi e nella tattica di cavalleria e fanteria. Uno dei figli di Ermete fu il suo maestro di pugilato: o Autolico o Arpalico. Eurito gli insegnò a maneggiare l'arco, o forse lo stesso Apollo.  Eumolpo insegnò a Eracle a cantare e a suonare la lira; mentre Lino, figlio del dio del fiume Ismenio, lo introdusse allo studio della letteratura. Un giorno, durante l'assenza di Eumolpo, Lino volle dare a Eracle lezioni di lira; il ragazzo si rifiutò di seguire regole diverse da quelli ricevuti da Eumolpo e, fustigato in punizione della sua caparbietà, uccise Lino con un colpo di lira. Anfitrione, tuttavia, temendo che il ragazzo potesse commettere altri crimini, lo mandò a pascolare le mandrie in un suo possedimento agreste. Eracle si vantava di non aver mai iniziato un litigio, ma di aver sempre trattato i suoi aggressori così come essi volevano trattare lui. Un certo Termero usava uccidere i viandanti sfidandoli a battersi con lui a testate; il cranio di Eracle si dimostrò il più solido ed egli spaccò la testa di Termero come se fosse un uovo. Eracle, tuttavia, era cortese per natura, e fu il primo mortale che spontaneamente restituì ai nemici le spoglie dei loro morti perché le seppellissero.

Giunto al diciottesimo anno di età, Eracle lasciò le mandrie e si preparò ad affrontare il leone del Citerone, che faceva strage tra il bestiame di Anfitrione e del suo vicino re Tespio. Il leone aveva un'altra tana sul monte Elicona, ai piedi del quale si trova la città di Tespia. L'Elicona fu sempre un monte gaio. Stanato finalmente il leone, lo uccise con una dava grezza fatta del legno di un olivo che aveva sradicato sull'Elicona. Eracle poi indossò la pelle della belva le cui fauci spalancate fungevano da elmo.  Re Tespio ebbe cinquanta figlie da sua moglie Megamede, figlia di Arneo, gaia come tutte le donne tespie. Per timore che esse si unissero a uomini indegni di loro, Tespio decise che ciascuna avesse un figlio da Eracle.  Re Tespio promise, a Eracle, di dargli come compagna sua figlia maggiore Procri. Ma poi fece in modo che a Procri si sostituissero le sorelle, una notte per ciascuna, finché tutte si giacquero con Eracle. Altri tuttavia dicono che Eracle le deflorò tutte in un'unica notte, e che soltanto una si rifiutò al suo amplesso e rimase vergine fino alla morte, servendo come sacerdotessa nel santuario di Tespia. Eracle generò cinquantuno figli dalle figlie di Tespio, perché Procri, la maggiore, Antileone e Ippeo, ebbero due gemelli.

Durante la festa di Posidone a Qnchesto, un incidente di poco conto suscitò la collera dei Tebani, e allora l'auriga Meneceo scagliò un sasso che ferì mortalmente il re Climeno, che discendeva da Minia. Climeno, agonizzante, fu riportato a Qrcomeno e laggiù, mentre esalava l'ultimo respiro, ingiunse ai propri figli di vendicarlo. Il maggiore di costoro, Ergino, raccolse un esercito, marciò contro i Tebani e rovinosamente li sconfisse. Secondo i termini della resa, i Tebani avrebbero dovuto pagare a Ergino un tributo annuale di cento capi di bestiame, per venti anni di seguito, in espiazione dell'assassinio di Climeno.Un giorno Eracle, di ritorno dall'Elicona, incontrò gli araldi mini che venivano a raccogliere il bestiame in terra tebana. Eracle chiese quale fosse la mèta del loro viaggio, ed essi risposero che dovevano ricordare ai Tebani l'atto di clemenza di Ergino, il quale si era limitato a esigere una mandria di cento capi invece di mozzare le orecchie, il naso e le mani di ogni cittadino di Tebe. Eracle si infuriò e mutilò gli araldi nel modo da essi descritto, e li rimandò a Qrcomeno, con  le estremità sanguinanti legate con una corda attorno al collo.

Quando Ergino pretese che gli si consegnasse l'autore di così oltraggioso misfatto, re Creonte sarebbe stato disposto a obbedire, perché i Mini avevano disarmato i Tebani.  Ma Eracle convinse i camerati più giovani a battersi per la libertà. Si recò allora in tutti i templi della città, raccolse le lance, gli scudi, gli elmi, le corazze, gli schinieri e le spade che erano stati offerti agli dèi in ricordo di vittoriose battaglie. Così Eracle poté equipaggiare ogni Tebano in età di combattere, gli insegnò l'uso delle armi ed egli stesso assunse il comando dell'esercito.  I Mini nel frattempo si preparavano a marciare su Tebe, ma Eracle gli tese un'imboscata, uccise Ergino e la maggior parte dei capitani. Questa vittoria, ottenuta con un pugno d'uomini, fu subito sfruttata da Eracle che calò su Orcomeno, ne abbatté le porte, saccheggiò il palazzo reale e obbligò i Mini a pagare a Tebe un doppio tributo. Al suo ritorno a Tebe, Eracle dedicò un altare a Zeus Protettore, un leone di pietra ad Artemide e due altri simulacri pure di pietra ad Atena Armata. Dato che gli dèi non avevano punito Eracle per il trattamento inflitto ai messaggeri di Ergino, i Tebani si permisero di onorarlo con una statua, detta di Eracle che mozza i nasi.

La vittoria sui Mini fece di Eracle l'eroe più famoso di tutta la Grecia e come ricompensa re Creonte gli diede in i sposa sua figlia Megara o Megera e lo nominò protettore della città, mentre Ificle sposò la figlia più giovane. Alcuni dicono che Eracle ebbe due figli da Megara; altri, che ne ebbe tre, quattro e persino otto. Essi sono chiamati gli Alcaidi. Eracle in seguito sconfisse Pirecmo, re degli Eubei, che aveva marciato su Tebe a fianco dei Mini. Era, seccata dai successi di Eracle, lo fece impazzire. Dapprima egli assalì il suo carissimo nipote Iolao, il figlio maggiore di Ificle, che riuscì a sfuggire ai suoi attacchi, poi, scambiando sei dei propri figli per dei nemici, li uccise e ne gettò i corpi su un rogo, con i cadaveri di altri due figli di Ificle. Quando Eracle recuperò la ragione, si chiuse in una camera buia per alcuni giorni, evitando il contatto con i suoi simili; poi, purificato da re Tespio, si recò a Delfi per chiedere che cosa dovesse fare. La Pizia si rivolse a lui chiamandolo per la prima volta Eracle e non Palemone e gli consigliò di fissare la sua residenza a Tirinto, di servire Euristeo per dodici anni e di compiere tutte le Fatiche che Euristeo stesso ritenesse opportuno di imporgli. Come compenso gli sarebbe stata concessa l'immortalità. Non osando opporsi al volere di Zeus, si mise a disposizione di Euristeo.

Prima Fatica: il leone Nemeo

La prima fatica che Euristeo impose a Eracle, quan do egli si stabilì a Tirinto, fu di uccidere e scuoiare il leone Nemeo o Cleoneo, una belva enorme invulnerabile da ferro, bronzo o pietra. Alcuni dicono che questo leone fosse nato da Tifone o dalla Chimera e dal cane Ortro, altri sostengono che Selene lo generò e lo lasciò cadere sulla terra, e precisamente sul monte Treto presso Nemea, dinanzi a una grotta a due uscite. E che per punire il mancato adempimento di un sacrificio, là lo lasciò, affinché divorasse la sua gente. Chi ne soffrì di più furono i Bambinei. Giunto a Cleone, tra Corinto e Argo, Eracle alloggiò nella casa di un contadino o pastore chiamato Molorco, il cui figlio era stato ucciso dal leone. Molorco già si preparava a offrire un capro a Hera come sacrificio propiziatorio, ma Eracle lo trattenne dicendogli di aspettare il suo ritorno, così avrebbero sacrificato il capro a Zeus Salvatore. Eracle raggiunse Nemea a mezzogiorno, ma, poiché il leone aveva fatto stragi nel vicinato, non trovò nessuno che potesse dargli indicazioni. Eracle, allora si recò sul monte Treto e finalmente vide da lontano il leone che ritornava alla sua tana, il mantello chiazzato dal sangue della sua quotidiana strage. Eracle scagliò delle frecce, ma tutte rimbalzarono sulla fitta pelliccia allora uso la spada, però questa si piegò quasi fosse di stagno. Infine agguantò la sua clava e vibrò un tale colpo sul muso del leone che la belva entrò nella sua tana scrollando il capo: non per il dolore, però, ma perché gli ronzavano le orecchie. Eracle, fissando con rammarico la sua clava infranta, decise allora di bloccare uno degli ingressi della caverna ed entrò dall'altro. Certo ormai che il mostro fosse invulnerabile dalle armi, iniziò con lui una lotta terribile. Il leone gli amputò un dito con un morso; ma, immobilizzatagli la testa, Eracle gli premette il braccio contro la gola finché lo soffocò.

Con la carcassa del leone sulle spalle, Eracle ritornò a Cleone,  e trovò Molorco sul punto di offrirgli un sacrificio eroico, invece, sacrificarono assieme a Zeus Salvatore. Compiuto il sacrificio, Eracle si fabbricò una nuova clava e portò la carcassa del leone sino a Micene. Euristeo, stupito e terrorizzato, gli ordinò di non mettere mai più piede in città. In futuro avrebbe dovuto deporre i frutti delle sue Fatiche dinanzi alle porte. Eracle si adoperò inutilmente per scuoiare il leone, finché, per divina ispirazione, pensò di servirsi degli artigli della belva, affilati come rasoi, e ben presto poté indossare la pelle invulnerabile a guisa di armatura, mentre il cranio del leone gli copriva il capo come elmo. Nel frattempo Euristeo ordinò ai suoi fabbri di forgiargli un'urna di bronzo, che seppellì sottoterra. E da quel giorno, ogni qual volta veniva annunciato l'arrivo di Eracle, egli si rifugiava in quell'urna e trasmetteva i suoi ordini per mezzo di un messagero.

 Gli onori tributatigli dai cittadini di Nemea in segno di gratitudine per l'impresa da lui compiuta Eracle, in seguito, li cedette ai suoi alleati di Cleone che combatterono con lui durante la Guerra Elea e caddero nel numero di trecentosessanta. Quanto a Molorco, egli fondò la vicina città di Molorca e piantò il Bosco Nemeo, dove ora si svolgono i Giochi Nemei.

Seconda Fatica: L'Idra di Lerna

La seconda Fatica che Euristeo impose ad Eracle fu di distruggere l'idra di Lerna, mostro nato da Echidna e da Tifone e che Hera aveva addestrato per minacciare la vita di Eracle. Lerna sorge accanto al mare, a circa cinque miglia dalla città di Argo. A occidente la sovrasta il monte Pontino, con il suo sacro bosco di platani. Questo fertile e sacro terreno fu un tempo terrorizzato dall'idra, che aveva la sua tana sotto un platano, presso la settuplice sorgente del fiume Amimone e si aggirava nella palude Lernea. L'idra aveva un mostruoso corpo di cane e otto o nove teste serpentine, una di esse immortale, era così velenosa che il suo solo respiro e persino il puzzo delle sue tracce potevano uccidere.  Atena aveva ben meditato in quale modo Eracle potesse uccidere l'idra, e quando egli giunse a Lerna, sul suo cocchio guidato da Iolao, gli indicò la tana del mostro. Dietro consiglio della dea, Eracle costrinse l'idra a uscire dalla tana tempestandola di frecce infuocate, e poi l'assalì trattenendo il fiato. Il mostro si avvolse attorno ai suoi piedi, nel tentativo di farlo inciampare. Invano Eracle si accanì con la clava, perchè non appena gli riusciva di spaccare una delle teste dell'idra, subito ne ricrescevano due o tre altre per sostituirla.

Un enorme granchio emerse allora dalla palude per aiutare l'idra e si attaccò al piede di Eracle, schiacciando violentemente il guscio del granchio sotto il tallone, Eracle gridò per invocare il soccorso di Iolao. Iolao diede fuoco a un lembo del bosco e poi, per impedire che nuove teste germogliassero sul corpo dell'idra, ne bruciava la radice con rami infuocati, e così fermava il flusso del sangue. Usando un  falcetto dorato, Eracle tagliò la testa immortale, che era in parte d'oro, e la seppellì, ancor sibilante, sotto una pesante roccia ai margini della strada che conduceva a Elea. Poi squartò la carcassa e immerse la punta delle sue frecce nella bile del mostro. Da quel giorno la minima scalfittura prodotta da tali frecce fu sempre fatale.  Per ricompensare il granchio dei suoi servigi, Hera lo immortalò tra i segni dello Zodiaco, ed Euristeo dichiarò che quella Fatica non era stata compiuta a dovere, perché Iolao aveva aiutato Eracle con i suoi rami infuocati.

Terza Fatica: la cerva di Cerinea

La terza Fatica di Eracle fu quella di catturare la cerva di Cerinea e condurla viva da Enoe a Micene. Questo agile animeale dal mantello maculato aveva zoccoli di Bronzo e auree corna, simili a quelle di un cervo. Era sacra ad Artemide che, ancora fanciulla vide cinque cerve, di sconsiderate proporzioni, pascolare sulle rive del fiume tessalico Anauro, ai piedi dei monti Parrasi. Lanciatasi all'inseguimento, la dea ne catturò quattro, l'una dopo l'altra, con le proprie mani, e le legò al suo carro, la quinta, per volontà di Era,  fuggì oltre il fiume Celadone fino alla collina di Cerinea. Altri raccontano che la cerva era un mostro indomabile che saccheggiava i raccolti, ed Eracle dopo una degna lotta, la sacrificò ad Artemide sul monte Artemisio. Eracle, che non voleva né ferire né uccidere la cerva, la inseguì per un anno intero, spingendosi fino in Istria e nella terra degli Iperborei. Esausta, la cerva, si rifugiò sul monte Artemisio, e quando si avvicinò al fiume Ladone, per bere, Eracle tese l'arco e scoccò una freccia che trafisse le gambe anteriori dell'animale, passando tra l'osso e il tendine, senza fare sgorgare una goccia di sangue. Poi, gettatasi la cerva sulle spalle, si diresse verso Micene attraversando l'Arcadia. Altri dicono che Artemide rimproverò Eracle perché aveva maltrattato la cerva a lei sacra; ma Egli si difese dicendo di esservi stato costretto, e fece ricadere la colpa su Euristeo. La collera della allora si placò, e permise all'eroe di portare l'animale vivo sino a Micene. 

Quarta Fatica: il cinghiale Erimanzio

La quarta Fatica imposta ad Eracle fu quella di catturare vivo il cinghiale Erimanzio. Un' enorme e feroce belva che infestava le pendici del monte Erimanto. Il monte Erimanto prende il suo nome dal figlio di Apollo che Afrodite accecò perchè l'aveva vista bagnarsi; Apollo per vendicarsi si trasformò in cinghiale e uccise Adone, l'amante della dea. Il monte è pero sacro ad Artemide. Eracle, per recarsi sul monte, passò da Foloe, dove fu ospitato dal Centauro Folo, figlio di Sileno e di una Ninfa dei boschi. Folo offrì ad Eracle carni arrostiste, ma quanto a lui mangiò soltanto carne cruda e non osò aprire la giara di vino che apparteneva a tutti i Centauri finchè Eracle non gli ricordò che, Dioniso l'aveva lasciata nella grotta per essere aperta in quella occasione. Il forte profumo del vino fece perdere la ragione ai Centauri, che armati di grossi massi, torce e trincetti, si precipitarono nella grotta di Folo. Terrorizzato, Folo, cercò di scappare, mentre Eracle affrontò gli assalitori respingendo i primi due, Ancio e Angrio. Nefele, la nonna dei Centauri, fece allora cadere dal cielo una violenta pioggia che allentò la corda dell'arco dell'eroe e rese scivoloso il terreno. Tuttavia, Eracle uccise parecchi Centauri, tra i quali Oreo e Ileo. Gli altri raggiunsero Malea dove si rifugiarono presso Chirone, il loro re, che era stato cacciato dal monte Pelio dai Lapiti. Una freccia scoccata dall'arco  trapassò il braccio di Elato e si conficcò nel ginocchio di Chirone. Eracle, angosciato, si accovacciò accanto al vecchio amico ed estrasse la freccia, mentre Chirone steso gli porgeva i farmaci per medicare la ferita. I medicamenti non valsero a molto contro il veleno dell'Idra, quindi Chirone, non potendo morire perché immortale, si ritirò  soffrendo nella sua grotta. Prometeo in seguito propose che egli rinunciasse a tale immortalità per por fine alle sue sofferenze, e Zeus accettò. Altri dicono che Chirone decise di morire non per il dolore della ferita, ma perché era ormai stanco della lunghissima vita. I Centauri fuggirono in varie direzioni, alcuni a Foloe con Eurizione, alcuni in Sicilia, dove le Sirene li sterminarono, altri furono accolti da Poseidone a Eleusi. Folo, mentre, dava sepoltura ai suoi compagni estrasse una freccia da un cadavere e, mentre la esaminava chiedendosi come poteva una semplice freccia uccidere un Centauro così robusto, gli cadde su un piede uccidendolo all'istante. Eracle, dopo aver sepolto Folo, riprese la caccia al cinghiale, che per quanto robusto potesse essere, egli lo spinse in una fossato dove la neve era alta e gli balzò sulla schiena. Legatolo con catene, se lo caricò sulle spalle e partì alla volta di Micene.

Quinta Fatica: le stalle di Augia

La quinta Fatica di Eracle fu quella di ripulire in un solo giorno le stalle di Augia. Augia, re di Elide, era figli di Elio o Eleo e di Naupiadama, una delle figlie di Anfidamante, era l'uomo più ricco di greggi e mandrie. Le sue bestie erano immune ad ogni malattia e sempre fertili. Sia vacche che pecore generavano quasi sempre femmine, tuttavia Augia possedeva trecento tori neri e duecento stalloni di pelo fulvo, ed inoltre dodici tori bianco-argentei sacri a suo padre Elio. Questi dodici tori difendevano le mandrie dall'assalto delle bestie feroci che a volte scendevano nella boscose colline. Per molti anni nessuno aveva mai ripulito dallo sterco le stalle e gli ovili di Augia, ed inoltre le valli dove le mandrie pascolavano erano ricoperte da uno strato così alto di sterco che non si poteva più ararle per seminarvi il grano. Eracle chiamò Augia e gli propose di ripulirgli le stalle prima del calar del sole in cambio di un decimo del suo bestiame. Egli rise incredulo, e convocò suo figlio maggiore, Fileo, perchè fosse testimone della proposta appena fatta. Dopo aver giurato sulla scommessa, Eracle seguendo il consiglio di Menedemo l'Eleo, e aiutato da Iolao, Aprì due brecce nelle mura della stalla e poi deviò il corso dei vicini fiumi Alfeo e Peneo o Menio, in modo che le loro acque invasero le stalle e i cortili. I fiumi spazzarono via tutto il sudiciume e avanzarono ancora impetuose per ripulire gli ovili e la vallata adibita a pascolo. Così facendo, Eracle, compì la sua Fatica in un solo giorno, risanando l'intero paese e senza nemmeno sporcarsi. Ma Augia, saputo che Eracle aveva già ricevuto da Euristeo l'ordine di ripulire le stalle, rifiutò di dargli la ricompensa promessa e osò persino negare di aver stretto patto con lui. Quindi, Eracle propose che il caso fosse arbitrato da giudici, e quando Fileo fu citato, testimoniò il vero. Sia Eracle che Fileo furono banditi ambedue dall'Elide, da Augia, e affermò pure che Eracle l'aveva tratto in inganno, poichè tutto il lavoro era stato svolto dagli dei Fiumi e non da lui. Peggio ancora Euristeo non considerò valida quella Fatica, perchè Eracle era stato assoldato da Augia.

Sesta Fatica: gli uccelli Stinfali

La sesta Fatica di Eracle fu quella di cacciare i numerosi uccelli dai becchi, artigli e ali di Bronzo, divoratori di uomini e sacri a Are, che vivevano nella palude Stinfalia. Quando si alzavano in volo divoravano uomini e animali, in più lasciavano cadere le loro piume di bronzo e i loro escrementi che distruggevano e bruciavano le messi. Giunto alla palude che era circondata da fitte selve, Eracle si accorse che non poteva cacciare gli uccelli con le sue frecce, perchè erano troppi.  Inoltre, la palude non pareva nè abbastanza bassa perchè un uomo vi si potesse addentrare a piedi, né abbastanza profonda per permettere l'uso di una barca. Mentre Eracle temporeggiava sulla riva, Atena gli diede un paio di nacchere di bronzo, fabbricate da Efesto. Quindi salito su uno sperone roccioso del monte Cillene, Eracle battè l'una contro l'altra le nacchere provocando un tale rumore da far spaventare gli uccelli, che si alzarono subito in volo impazziti dal terrore. Eracle li uccise a dozzine mentre volavano verso le isole di Are nel Mar Nero, dove più tardi furono trovati dagli Argonauti.  Secondo un'altra versione, gli uccelli Stinfali erano donne, figlie di Stinfalo e di Ornite che Eracle uccise, perchè gli rifiutarono l'ospitalità. A Stinfalo, nell'antico tempio di Artemide Stinfalia, simulacri di questi uccelli sono appesi al soffitto e dietro l'edificio si trovano statue di fanciulle con gambe di uccello.

Settima Fatica: il toro cretese

Come settima Fatica, Euristeo ordinò a Eracle, di catturare il toro di Creta. Non si sà con certezza se si trattasse del toro che Zeus aveva inviata  per trasportare Europa a Creta, oppure dell'altro che Minosse si rifiutò di sacrificare a Posidone e che generò il Minotauro in Pasifae. Quando Eracle giunse a Creta, Minosse gli offrì ogni tipo di aiuto, ma Eracle preferì catturare il toro da solo, anche se questo sputasse fiamme dalle narici.  Dopo un'aspra lotta Eracle riportò il toro a Micene, dove Euristeo lo dedicò ad Era, rimettendolo in libertà. Era tuttavia, considerando odioso un dono che le ricordava la gloria di Eracle, guidò il toro prima a Sparta e poi a Maratona in Attica, dove poi Teseo lo trascinò ad Atene per sacrificarlo ad Atena. Molti negano l'identità tra il toro di Creta e quello di Maratona.

Ottava Fatica: le cavalle di Diomede

L'ottava Fatica di Eracle fu quella di catturare le quattro cavalle selvagge del tracio re Diomede, che governava sui bellicosi Bistoni. Le sue stalle, poste nella città di Tirida, erano il terrore di tuta la Tracia. Diomede infatti teneva le sue cavalle legate con catene di ferro a mangiatoie di bronzo, e le nutriva con la carne dei suoi ospiti ignari. Un'altra leggenda vuole che si  trattasse di stalloni ed i loro nomi erano Podargo, Lampone, Xanto e Dino. Con un piccolo gruppo di volontari, Eracle arrivò in Tracia, e giunto Tirida soproffece gli stallieri di Diomede e condusse le cavalle sulla riva del mare, dove le lasciò in custodia a Abdero. Dopo questo, tornò indietro ad affrontare i Bistoni. Quest'ultimi erano numerosi, ma Eracle riuscì a sconfiggerli con l'astuzia, infatti tagliò un canale e l'acqua del mare invase la bassa pianura. Sconfitti i Bistoni, Eracle stordì Diomede con un colpo di clava, e nè trascinò il corpo lunghe le rive del lago artificiale e lo gettò in pasto alle cavalle, che lo divorarono ancora vivo. Così dopo aver placato la fame delle bestie, Eracle potè domarle facilmente.

Nona Fatica: la cintura di Ippolita

Come nona Fatica Euristeo impose a Eracle di portare ad Admeta, sua figlia, l'aurea cintura di Are usata da Ippolita, regina della Amazzoni. Le Amazzoni erano figlie di Are e della Naiade Armonia, nate nelle segrete valli della frigia Acmonia, altri dicono invece, che loro madre fu Afrodite. Dapprima vissero lungo le rive del fiume Amazzonia, chiamato ora Tanai, dal nome del figlio dell'Amazzone Lisippa che offese Afrodite col suo disprezzo per il matrimonio e il suo amore per la guerra. Vendicandosi, Afrodite fece si che Tanai si innamorasse di sua madre. Piuttosto che cedere a quell'incestuosa passione, Tanai si gettò nel fiume e annegò. Le Amazzoni soltanto la discendenza madrilineare, e Lisippa stabilì che agli uomini toccasse sbrigare le faccende domestiche, mentre le donne combattevano e governavano. Venivano perciò fratturate le braccia e le gambe dei bambini perchè non fossero in grado di viaggiare o battersi in guerra. Queste donne non rispettavano nè la giustizia ne il pudore, ma erano guerriere stupende e per prime usarono la cavalleria. Avevano archi di bronzo e piccoli scudi a forma di mezzaluna, i loro elmi, le loro vesti e le loro cinture erano fatti con le pelli di animali feroci. Lisippa prima di morire in battaglia, fondò la grande città di Temiscira e sconfisse la tribù nemiche fino al fiume Tanai. Con il bottino delle sue vittorie innalzò templi ad Are e ad Artemide Tauropolo. Le sue discendenti estesero a occidente l'impero delle Amazzoni, fino alla Tracia, e più a sud fino alla Frigia. Al tempo che Eracle visitò le Amazzoni, esse erano tornate tutte sulle rive del fiume Termodonte e le loro città erano governate da Ippolita, Antiope e Melanippa. Arrivato alla foce del fiume, Eracle gettò l'ancora nel porto di Temiscira, dove Ippolita gli fece visita e, attratta dal suo corpo muscoloso, gli offrì la cintura di Are come pegno d'amore. Nel frattempo Era, travestita da Amazzone, girava per la città spargendo la voce che gli stranieri avevano intenzione di rapire Ippolita. Indignate, le guerriere balzarono a cavallo e si lanciarono all'assalto della nave. Eracle, sospettando un tradimento, uccise Ippolita le tolse la cintura, si impadronì della sua ascia e di altre armi e si preparò a difendersi. Uccise le Amazzoni che guidavano le attaccanti e fece ritirare le rimanenti. Riscosso il bottino, Eracle, salpò verso Micene dove consegnò la cintura ad Euristeo, che la dono ad Admeta. Per quanto riguarda il resto del bottino carpito alle Amazzoni, Eracle offrì le loro ricche vesti al tempio di Apollo a Delfi, e l'ascia di Ippolita alla regina Onfale. 

Decima Fatica: il bestiame di Gerione

Undicesima Fatica: i pomi delle Esperidi

Dodicesima Fatica: la cattura di Cerbero

Troverete le altre storie nei prossimi giorni

Albero Genealogico

Le origini

Zeus

Ade

Poseidone

Atena

Afrodite

Hera

Apollo

Artemide

Ermes

Efesto

Amore e Psiche

Dioniso

Ares

Proserpina

Prometeo

Perseo

Home Page

Orfeo

Pigmalione

Narciso

Icaro

Edipo

Dioniso - Uno Studio

Hercules and Omphale, François Lemoyne, 1724

Hercules and the Centaur, Giovanni da Bologna, 1600
Hercules and Omphale,
Giovanni Francesco Romanelli, 1650
Ercole Bambino strangola i serpenti,
affresco della casa dei Vettii, Pompei

Hercules at Rest, Pierre Puget, 1661

Ercole combatte contro i Centauri, Charles Le Brun, 1660 circa

Eracle, marmo romano, 135 DC

 Ercole Abbatte l'Idra, Antonio Pollaiolo,1470 circa

Ercole e il cinghiale d'Erimanto, Lisippide, 530 a.C.

Ercole e gli uccelli di Stinfale, Anfora attica, 550 a.C.

Diomede divorato dalle sue cavalle, Gustave Moreau, 1865