Accademia
PSICODINAMICA E ANTROPOLOGIA DELLE ARTI CONTEMPORANEE
Il Dipartimento di Comunicazione Visiva Multimediale dell'Accademia di Belle Arti di
Brera è una creatura per così dire "sperimentale", e come tale essa si
affaccia alla vita con l'entusiasmo misto alla necessità di comprendere e precisare le
proprie funzioni.
Ma va subito aggiunto che nel panorama delle Accademie di Belle Arti italiane il
Dipartimento di Comunicazione Visiva di Brera è anche una sorta di
"avanguardia" e il fatto che esso sia stato concepito e varato a Milano non è
certo casuale. Di tutte le realtà metropolitane sparse sul territorio Milano è forse la
città maggiormente incalzata dalle mutazioni in atto, e dunque la più ricettiva.
Istituendo un dipartimento che interpreta nelle sue varie discipline le più avanzate
dinamiche artistiche e tecniche del nostro tempo l'Accademia di Brera assume
automaticamente il ruolo di catalizzatore, ruolo tanto più necessario in quanto esso
rivela le tensioni che derivano da un passaggio di stato e anzi, si direbbe, del transito
a una autentica configurazione di una scala degli eventi sociali collocabile a un livello
di complessità mai prima raggiunto.
Com'è noto, nelle scienze fisiche il concetto di "scala" consente il passaggio
da un ordine di fenomeni a un altro senza dover ricorrere a complicate ridefinizioni. La
fisica contemporanea presuppone ovviamente una profonda e intima correlazione fra ciò che
accade entro la scala degli eventi cosmici e quanto invece avviene nella infinitesima
dimensione subnucleare. Non è irrilevante ricordare che la diversa scala dei fenomeni
consente di osservare gli eventi in prospettive complementari, più semplici e più ricche
di dati. Ora, l'organizzazione delle istituzioni non è certo estranea a una siffatta
trasformazione.
Il passaggio di scala è oggi determinato da fenomeni aggregativi che si comportano alla
stregua di moltiplicatori della complessità. Il transito dall'Europa degli stati
nazionali all'unione economica e poi monetaria, premessa necessaria per la costruzione
dell'Europa unita, è un esempio che sta sotto gli occhi di tutti. La progressiva
interdipendenza dei mercati finanziari che va sotto il nome di "globalizzazione"
è un altro esempio forte. L'espansione del tessuto connettivo delle metropoli, ovvero
quel fenomeno che Jean Gottman già nel '57 definì con l'indovinato neologismo di
"megalopoli", è ancora un altro esempio di passaggio di scala.
Un simile trapasso non può essere privo di asimmetrie e i vari paesaggi megalopolitani in
via di formazione in tutto il pianeta sono certamente uno specchio fedele di questo
disagio, come mostrano le inquietanti inquadrature del film Crash di Cronenberg. Infatti,
la progressiva espansione del tessuto connettivo che lega e contemporaneamente discioglie
realtà umane fra loro disomogenee (tema esaminato forse per la prima volta da Lewis
Mumford) elimina barriere situazionali operative e funzionali. Possiamo certamente
attribuire parte di questo processo in atto alle tecnologie di comunicazione. I nuovi
scenari eidomatici tendono tutti a costruire uno spazio mentale compresso, potenzialmente
ingovernabile, caotico: un ambiente ad alta energia e proprio per questo ad alta entropia.
Esther Dyson, presidente dell'Electronic Frontier Foundation e interessante saggista, ha
osservato che i nuovi paradigmi della comunicazione in rete favoriscono forme di
collaborazione fra "diversi" che in altri tempi sarebbero state veramente
inconcepibili.1 Ma questo viaggio verso l'incrocio delle diversità inizia ben prima che
le tecnoculture affinino gli strumenti pratici del loro divenire, e il suo terreno di
incubazione è ancora una volta la megalopoli senza confini né nome: spazio topologico
dalle mille trame cangianti che senza tregua annoda tutti i residui "luoghi" in
un tessuto comune, ma privo di una precisa identità.
Non a caso l'architetto Rem Koolhaas, nel suo La città generica, invita a esplorare ogni
centro abitato contemporaneo senza preconcetti, eliminando qualsiasi radicamento
nostalgico e qualunque ricerca di un senso precostituito; ma Koolhaas non può fare a meno
di notare che le forme architettoniche del nostro presente suscitano il più delle volte
un insopprimibile sentimento di angoscia, causato dalle incontrollabili trasformazioni
formali in atto.
Osservazioni non dissimili sono oggetto di studio da parte di antropologi che si occupano
specificamente dei luoghi di transito, di scambio, di interconnessione. Ad esempio il
francese Marc Augé sostiene che se: "...un luogo può definirsi identitario,
relazionale, storico, uno spazio che non può definirsi né identitario né relazionale
né storico, definirà un nonluogo".2 Indubbiamente il mondo è ormai saturo di
nonluoghi antropologici, di ambienti schizofrenici che sovente mutano l'assetto dei
consueti "luoghi"; ma direi soprattutto nonluoghi che assediano quei luoghi
istituzionali che hanno il compito di amministrare discipline, metodi, tecniche e ambiti
del sapere frutto di dinamiche testuali che nascono da tradizioni autonome, e talvolta fra
loro opposte per scopi e dimensioni.
Un'Accademia "porosa"
Il mondo dell'arte resterà estraneo a questi mutamenti? La risposta è no. La
pressione degli eventi sta già oggi ristrutturando le norme non scritte che regolano il
variegato mondo degli artisti, dei collezionisti, degli studiosi d'arte, dei critici
d'arte, delle gallerie d'arte e di quanti altri soggetti affollano un così ricco segmento
socio-culturale. Molte fra queste personalità afferiscono nelle Accademie di Belle Arti e
in esse riversano il proprio bagaglio di esperienze. Tuttavia, l'aggiornamento del
personale didattico o il reclutamento di nuove leve è soltanto in parte responsabile
della pressione in direzione di nuovi scenari. Occorre anche considerare l'osmosi con le
nuove strutture comunicazionali, le quali manifestano proprietà caratteristiche che
tendono a eludere o perfino ad annullare i tradizionali filtri istituzionali.
Un esempio di questa "porosità" delle istituzioni artistiche si può notare
nella loro permeabilità alle offerte che circolano nel Net: territorio che evolve
dall'entertainment all'offerta di servizi specializzati. Il variegato mondo dell'arte si
serve già da tempo di una serie di servizi on line per creare, gestire o diffondere
eventi culturali, o anche semplicemente per incrementare il commercio di opere d'arte
attraverso l'immissione in rete di cataloghi ragionati, listini e altro materiale. Si
tratta di un fenomeno in tumultuosa espansione, anche perché l'evoluzione del mercato
internazionale dell'arte è sempre più spesso determinata dalla qualità e dalla
quantità di informazioni disponibili. Gli operatori del settore devono conoscere in tempo
reale le novità, le oscillazioni del mercato, l'andamento generale dei prodotti,
l'attività dei singoli artisti, dei critici, delle manifestazioni pubbliche e private,
delle istituzioni ecc. La notorietà personale o la visibilità istituzionale sono
funzioni demandate almeno in parte alla velocità e alla qualità delle informazioni
complesse circolanti in rete. 3
Tutto ciò non soltanto orienta il mercato dell'arte assimilandolo in misura ben più
evidente che nel passato alle strategie della borsa valori, ma addirittura questo fenomeno
crea le premesse che si trasformano in tendenze. La permeabilità delle istituzioni
dell'arte si manifesta in realtà in tutti i settori della produzioni di immagini
ristrutturate dalla pervasività delle alte tecnologie.
Questa invarianza rispetto a scelte estetiche, che dovrebbero più di altri fattori
coinvolgere il sistema di valori di riferimento (il cosiddetto gusto), si deve anche alla
vertiginosa circuitazione e "digestione" dei materiali visuali, dovuta anche
alla nascita ormai quasi quotidiana di forme di consumo del tutto inedite ma legate a
sempre nuovi strumenti mediatici e audiovisivi. Un esempio classico è la rapidissima
evoluzione dei Cd, e la loro altrettanto precipitosa obsolescenza. In realtà, la gamma di
possibilità espressive e di dinamiche eidoacustiche del tutto peculiari consente
agevolmente di prevedere la nascita di nuove modalità consumistiche. Queste, per esempio,
potrebbero derivare dalla ormai prossima esplosione dei computer palmari collegati in
rete, o dalla videotelefonia, che presto diventerà una realtà diffusa.
Insomma, parafrasando McLuhan, ogni medium predispone un suo caratteristico messaggio.
Inoltre, l'obsolescenza delle tecnologie promuove strategie comunicazionali sempre più
complesse, ma soprattutto essa moltiplica senza sosta le forme del consumo e promuove
strategie connettive che si riflettono a cascata anche e soprattutto su quei media
tradizionali che sono dotati di un loro proprio assetto produttivo e distributivo: basti
pensare all'espansione della postproduzione nel cinema (e a questo proposito sono
dell'idea che entro un decennio l'universo del cinema sarà in realtà dominato quasi
interamente dalla postproduzione), alla manipolazione di immagini digitalizzate nella
pubblicità televisiva, nei titoli di testa e di coda dei telegiornali, nei servizi, nelle
serie e nei programmi televisivi, nei cartoons, nella immense potenzialità della stampa
tradizionale, nelle affiches, senza nulla dure dell'esplosione esponenziale dell'induztria
dei videogiochi. 4
Dunque, siamo in presenta di un accentuato "consumerismo" delle informazioni, ma
soprattutto delle immagini ad alto contenuto informazionale: fenomeno che tende a limitare
l'influenza culturale dei gruppi di appartenenza e che favorisce la dissoluzione delle
categorie tradizionali fondate sui limiti operativi di ogni disciplina, e in particolare
di ogni disciplina artistica. 5
Queste forme della produzione iconica (o ultraiconica?) rivelano capacità di penetrazione
insospettabili, anche perché esse agiscono sullo stesso piano della produzione
immateriale di valori spirituali incarnati nelle opere d'arte, secondo un'esteticità che
si incarna soprattuto nei manufatti tecnologici avanzati. L'estensione dell'esteticità,
al giorno d'oggi, non ha più alcun limite proprio; sicché, prima di quanto non si creda,
la mappa dei prodotti artistici (mappa grafica, topografica, tabellare) semplicemente
svanirà e il tessuto dell'estiticità si riferirà semplicemente a un determinato stato
non estraibile dallo spazio delle fasi di trasformazione. Esso non "rifletterà"
alcun territorio, ma "sarà" essa stesso (in senso forte, ontologico) il
territorio. Simili partizioni non deducibili, non lineari, totalmente estranee alla
psicodinamica delle strutture di comunicazione logico-lineari e sequenziali fino ad ora
dominanti, coincideranno dunque con il territorio socio-economico, politico e
antropologico di uno scenario qualsiasi estratto dal grande mare degli eventi semiotici
complessi e in costante divenire.
Il ruolo delle scienze sociali nelle istituzioni artistiche
Una ulteriore riflessione sulle dinamiche della produzione artistica di questo secolo
evidenzia un certo grado somiglianza fra le strategie che hanno prodotto la nascita e la
moltiplicazione delle avanguardie, degli stili e delle sperimentazioni e quanto invece è
accaduto e accade nel mondo della produzione di manufatti tecnologici. In questo scritto
devo necessariamente trascurare la constante ristrutturazione subliminale della
sensibilità (e della sensibilità artistica nella fattispecie) attribuibile agli effetti
secondari di ogni innovazione tecnologica, fenomeno che del resto è stato oggetto di una
sterminata messe di studi. 6
Si può tuttavia ritenere che fino a oggi i due settori della creatività sembravano
destinati a un'eterna corsa parallela. L'innovazione artistica attingeva alle nuove
tecnologie (per esempio ai materiali industriali, ma anche più propriamente alle nuove
strategie di comunicazione via via emergenti). Dunque, le arti interpretavano in vari
sensi l'evoluzione tecnologica, ma parimenti le tecnologie traevano suggerimenti
dall'immaginazione di artisti e letterati, come dimostra il caso emblematico del genere
fantascientifico. Nella pratica tutto ciò non intaccava la relativa separazione delle
competenze. L'innovazione artistica si consumava all'interno del suo specifico dominio. E
lo stesso si può affermare per l'innovazione tecnologica.
L'asse mediano sul quale si tentavano i più svariati collegamenti è stato ed è
territorio proprio dei sociologi e degli antropologi, ai quali si deve riconoscere il
ruolo degli osservatori privilegiati. Ma è anche vero che le scienze sociali, al cospetto
delle tumultuose trasformazioni tecnologiche, testimoniano una certa qual passività, una
sorta di scarso potere previsionale.
In questa sede ciò che mi preme rilevare è il fatto che l'assenza o la scarsa
consistenza del potere previsionale ha certamente indotto gli antropologi e in generale
tutti gli scienziati sociali (e in particolare coloro che nelle indagini utilizzano
massicciamente gli strumenti audiovisuali) 7 a privilegiare l'attitudine analitica,
comparativa, che però segue a un dipresso la somma di sollecitazioni che provengono dalle
realtà sociali.
I domini scientifici separati (frutti maturi della psicodinamica della stampa)
contribuiscono di fatto, soprattutto nel campo delle scienze sociali, a incoraggiare fra
gli studiosi l'assunzione di atteggiamento platonico, contemplativo o al più critico. Si
può riconoscere un sintomo di questa palmare verità nel fatto che fino ad oggi,
nonostante i costanti appelli, gli insegnamenti interdisciplinari sono sempre stati mal
visti o appena tollerati. In campo tecnologico avviene ovviamente il contrario.
Ora, le Accademie di Belle Arti costituiscono un curioso punto di rottura di queste ferree
e ancorché superate logiche. A cagione della loro storia e della loro specificità le
Accademie, specialmente al giorno d'oggi, tendono a trasformarsi in contenitori entro i
quali lo studio teorico, le pratiche artistiche tradizionali e le innovazioni tecnologiche
convivono e si fondono in forme inattese. Ma un siffatto cambiamento non si compie senza
traumi. Trascurando l'esempio dell'Accademia di Brera è ormai evidente che le discipline
che strutturano i corsi delle Accademie di Belle Arti sono selezionate in base a criteri
necessari ma non più sufficienti. Infatti, il tasso di innovazione artistica,
tecnologica, informazionale e dunque il grado di spendibilità culturale e/o
tecnico-pratica del medesimo, non è più totalmente esaurita da domini ben definiti, per
così dire "classici", quali sono quelli dei corsi tradizionali. La formazione
degli studenti si misura col metro della contemporaneità.
Ma occorre anche ricordare che le discipline sperimentali (con la sola eccezione ma ancora
in via di definizione delle discipline che afferiscono nel Dipartimento di Comunicazione
Visiva e Multimediale di Brera) di per sé non sono sufficienti a creare un background
culturale adatto ai tempi. Da qui l'opportunità, e direi anche la necessità di istituire
una serie di osservatori antropologici e sociologici incardinati nella realtà delle
Accademie. Questi laboratori fungerebbero da interpreti dei multiformi e sovente
contraddittori segnali che provengono dalla realtà "esterna" alle Accademie, e
contemporaneamente orienterebbero i segnali interlocutori che di fatto già da tempo
provengono dal corpo studentesco. Tutto ciò implica la trasmutazione progressiva delle
Accademie in organismi altamente osmotici che coevolvono insieme alle tecnoculture.
La strategia coevolutiva
L'idea della "coevoluzione" è mutuata dalla biologia; essa infatti studia i
mutamenti strutturali e adattivi che intervengono nei sistemi collegati, ma quantunque non
sia stata applicata alle scienze sociali (discipline che privilegiano l'analisi
comportamentale o altre tecniche di indagine) essa tuttavia potrebbe trovare vasta
applicazione anche in questi domini. Come è noto l'ipotesi della coevoluzione ha
originato osservazioni singolari sull'interazione fra genetica e ambiente umano che
sembrano spiegare alcune caratteristiche diversità nelle culture umane.8 Ma in generale
si può utilizzare il paradigma della coevoluzione per studiare le conseguenze di
comportamenti interdipendenti all'interno di un dominio particolare; nel nostro caso nel
dominio del mondo dell'arte.
Un laboratorio antropologico permanente, incardinato nelle Accademie di Belle Arti, ma
attento alle dinamiche che si manifestano nel ben più ampio universo del materiale
estetico del nostro tempo, e in particolare attento a quanto avviene nel Net, fornirebbe
allo studente i più sofisticati strumenti delle scienze sociali atti a selezionare
opzioni intelligenti, in grado di costruire analisi retrospettive corrette e soprattutto
orientate verso la comprensione delle complesse dinamiche del nostro tempo. In assenza di
questi strumenti ermeneutici lo studente che termina il suo ciclo di studi e di ricerche,
ancorché preparato sul versante tecnologico, non sarebbe però in grado di comprendere le
dinamiche dei mutamenti in opera, con ovvie conseguenze negative all'atto dell'inserimento
nel mondo del lavoro.
Le Accademie dovrebbero dunque istituire una serie di corsi complementari che verrebbero
ad affiancarsi e a completare le discipline massmediologiche, e ciò allo scopo di
governare la velocità che occorre implementare nel sistema per ottenere un accettabile
equilibrio fra spinte dinamiche (tendenzialmente caotiche e disgregatrici) e scopi
istituzionali.
L'istituzione di un laboratorio antropologico permanente, presente in ogni istituzione
accademica, e dedicato all'analisi dei fenomeni artistici, sociali e psicodinamici che
affiorano nel magmatico mondo delle nuove comunicazioni, obbedisce allo scopo di guidare
lo studente in questo universo apparentemente opaco e incomprensibile, ma in realtà
dotato di logiche ben precise. Lo studio della psicodinamica dei sistemi di comunicazione
abbraccia infatti una vastissima gamma di comportamenti indotti e spazia dalle influenze
strutturali nella formazione delle varie personalità di base all'emersione delle
molteplici personae che affiorano tra le pieghe dei prodotti eidomatici del nostro tempo
sotto forma di nuovi archetipi dell'ultramodernità.
Le basi della psicologia sociale e una solida conoscenza degli affetti palesi, indotti o
subliminali che scaturiscono dalle molteplici applicazioni delle tecnologie elettroniche
doterebbero lo studente di potentissimi strumento euristici.
Dal punto di vista istituzionale un simile approccio abbraccia l'idea che se per sventura
le Accademie (ma in fondo tutte le istituzioni culturali) finissero con l'arenarsi fra le
secche della filologia esse semplicemente non sopravviverebbero. Ma al contrario,
adattandosi alle spinte coevolutive e interpretandone attivamente le direttive esse
potranno agevolmente trasformarsi nella punta di diamante dell'ormai pervasivo mutamento
dei paradigmi culturali. Quanto affermato in queste note può apparire a prima vista
astratto, teorico, perfino astruso; ma in realtà nasconde uno scopo eminentemente
pratico. L'obiettivo è quello di affinare le tecniche previsionali che fino ad ora sono
affidate all'intuizione e alla buona volontà dei singoli. È in sostanza l'applicazione
di ciò che nella moderna teoria dei giochi costituisce il complesso insieme le
metodologie per determinare l'innovazione anticipata.
RICCARDO NOTTE
1 E. Dyson, Release 2.0. Second Thoughts On the Digital Age, 1997, Release 2.0. Come
vivere nell'era digitale, trad. it. di Bruno Osimo, Mondadori, Milano 1997, p. 36 e sgg.
2 M. Augé, Non-lieux, Paris 1992, Non luoghi. Introduzione a un'antropologia della
surmodernità, Elèuthera, Milano, 1996, p. 94.
3 La telematica non soltanto non distruggerà, come si paventa, queste forme di
speculazione, ma al contrario le incrementerà vertiginosamente. L'offerta di prodotti
d'arte attraverso il Net è già una realtà. Opera in questo settore l'agenzia Bloomberg;
e da qualche tempo la società Investment & Banking Group ha messo a punto la Banking
Art, segmento dei servizi finanziari del private banking attraverso il quale la clientela
può investire in opere d'arte senza i rischi, l'alea, le difficoltà (ma anche le
opportunità) connesse al tradizionale mercato d'arte, che nonostante tutto resta un
mercato di seconda mano.
4 Riccardo Notte, La seduzione virtuale, in "Ideazione", a. VII, n° 2,
marzo-aprile 1999, pp. 152-159.
5 Riccardo Notte, Millennio virtuale, Seam, Roma, 1996, p. 40 e sgg..; La Razza
stellare. Filosofia e antropologia dell'ultramodernità, Seam, Roma, 1999, p. 118 e sgg.
6 Per una visione generale sui precedenti che hanno fondato i mutamenti tecnoculturali del
nostro tempo cfr.: Stephen Kern, The Culture of Time and Space 1880-1918, Cambridge
University Press, 1983, Il tempo e lo spazio. La percezione de mondo tra Otto e Novecento,
Il Mulino Bologna, 1995, tra. It. di Barnaba Maj; circa le attuali ripercussioni delle
tecnoculture sulle produzioni e postproduzioni eidomatiche cfr.: Mary Anne Moser, Douglas
MacLeod (a cura di), Immersed in Technology. Art and Virtual Environments (for the Banff
Centre for the Arts), The MIT Press, Cambridge, Massachussets, London, england, 1996;
Derrick de Kerckhove, The Skin of Culture, Toronto 1995, La pelle della cultura.
Un'indagine sulla nuova realtà elettronica, a cura di Christopher Dewdney, trad. it. Di
Maria Teresa Carbone, Costa & Nolan, Genova, 1996, p. 182 e sgg.; René Berger,
L'origine du futur, Éditions du Rocher, Monaco, 1995; Gretchen Bender, Timothy Druckrey
(a cura di), Tecnoculture, Apogeo, Milano, 1996;
7 Sulle applicazioni degli strumenti audiovisuali agli studi antropologici cfr. Paolo
Chiozzi, Manuale di antropologia visuale, Unicolpli, Milano, 1993; Massimo Canevacci,
Antropologia della comunicazione visuale, Costa & Nolan, Genova, 1996.
8 William H. Durham, Coevolution: Genes Culture and Human Diversity, Standford CA:
Standford University Press, 1991.