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Ultraumano

 

Umano vs. ultraumano

In un pianeta che ha pressoché annullato il "senso del luogo" il solo spazio residuale è quello che si apre alla conoscenza. Spazio faustiano, relegato talvolta in dimensioni della ricerca specialistica che agli occhi del mondo politico appaiono insopportabilmente microscopiche. Ciò nondimeno spazio straordinariamente vasto. Spazio della grandezza e della sfida. Spazio primario. Eppure tutto ciò non è che un sentimento transitorio. Le tecnologie, e non soltanto le le tecnologie di comunicazione, sono a loro modo "approssimative". In altre parole esse hanno reso prossimo quel che era distante. Ma le proiezioni evolute di queste stesse tecnologie sono destinare a edificare un mondo che esplorerà nuovi e più inquietanti dispositivi di distanziazione. Gregory Rawlings, portavoce di idee diffuse nel mondo della scienza e delle tecnologie avanzate, ritiene infatti che la vita "... si sta raccogliendo per spiccare il balzo verso un altro ordine di intelligenza" 1. E anzi entro i prossimi decenni ci troveremo alle prese con macchine tanto complesse che risulteranno perlopiù incomprensibili:

In futuro - scrive Rawlings - vi saranno anche persone che modelleranno e rimodelleranno il proprio corpo con la stessa facilità con cui noi oggi modelliamo la plastica. Potrà essere un futuro popolato di persone con superpoteri, di cani da guardia muniti di armi pesanti, di uomini che portano a termine gravidanze [...] potremo ricevere cure mediche da una macchina, nascere con sensi più acuti e ossa e muscoli più forti, costruire esoscheletri robotici per noi e per i nostri animali domestici. Può persino darsi che avremo l'equivalente artificiale della telepatia e della telecinesi. 2

Il nuovo tipo umano che si prepara è dunque, inequivocabilmente, un superuomo. O una superdonna come la Ripley di Alien Resurrection, quarta e magistrale incarnazione di un archetipo nato nel nostro tempo e destinato a un lungo percorso. L'ultima manifestazione di Ripley (che non è un Mito, come si dice, ma appunto un Archetipo) chiude il cerchio tracciato da un compasso storico di immani proporzioni. Un cerchio tanto maestoso da essere stato di già intuito, nei suoi raggi portanti, da alcune grandi personalità del passato. Quasi mezzo secolo fa Theilard de Chardin scriveva:

E allora si affaccia al nostro spirito un'eventualità rivoluzionaria resa possibile dallo stesso gioco di questa innervazione sociale [...]. Ed è quella di un rimbalzo sistematico della ricerca sulla stessa intelligenza da cui emana: la celebralizzazione collettiva (in ambiente convergente) che applica la punta aguzza della sua enorme potenza a completare e a perfezionare anatomicamente il cervello di ogni individuo. Dapprima a completare E a questo proposito penso alle straordinarie macchine elettroniche (germe e speranza della giovane "cibernetica") che sostituiscono la nostra capacità mentale di calcolare e di combinare, e la moltiplicano mediante un processo e in proporzioni che annunciano in questa direzione accrescimenti altrettanto meravigliosi di quelli forniti dall'ottica alla nostra visione. E successivamente a perfezionare il cervello. Il che può essere concepito in due modi: o con la messa in circuito di neuroni già pronti a funzionare [...] oppure (chi sa?) con la provocazione diretta (meccanica, chimica, biologica) di nuove organizzazioni. 3

Teihard de Chardin indicava in anticipo sui tempi una realtà in divenire racchiusa nel fatto incontrovertibile che l'umanità del nostro tempo tende a superomizzarsi:

Poiché infine, date le relazioni sopra osservate tra restringimento planetario, produzione di energia umana libera e finalmente ascesa della ricerca, un'Umanità sottoposta alla socializzazione di tipo compressivo non è forse sinonimo di un'umanità che converge su se stessa per trovare? E per trovare che cosa, infine, se non il mezzo di superomizzarsi, o per lo meno di ultraomizzarsi? 4

La pubblicistica contemporanea, influenzata da un milieu tecno-mediatico ipocritamente democratizzante, avverte con fastidio l'approssimarsi di un mondo che sovverte l'ordine costituito basato sulla delega e fondato sulla "prossimità". Eppure il futuro si annuncia pieno di estremi, carico di potenzialità antitetiche, e inevitabilmente oscurato dalla massima disparità fra i soggetti umani e le identità superumane. È una preoccupazione che serpeggia e che affiora più volte nella letteratura che osa offrontare l'arduo tema del futuro tecnologico. Per esempio, Arthur C. Clarke, nel suo recente 3001 Odissea Finale, inventa una sorta di macchina della sanità mentale, uno psicanalista elettronico che in futuro espurgherà dal tessuto narrativo e metanarrativo ogni forma di superstizione e di malattia mentale. La civiltà del prossimo millennio è descritta come una sorta di superdemocrazia basata sulla competenza e non sull'autoaffermazione. Siamo in piena sintonia con il mito dell'equilibrio osmotico propalato dalle tecnocrazie internettiane. Ma con ogni evidenza Clarke, resuscitando l'astronauta Frank Poole della mitica nave spaziale Discovery di 2001, Odissea nello spazio, esorcizza proprio tutto ciò che si intravede fra le maglie di una civiltà tecnologica che potrebbe realizzarsi anche soltanto fra un secolo, o poco più. Astutamente Clarke posticipa di qualche secolo il frutto delle sue anticipazioni, ma senza limare di una virgola il nucleo delle sue previsioni. Le quali, a ben vedere, sono intensamente concentrate sulla plausibile sopravvivenza dell'"Altro" in un'era dominata da tecnostrutture omologanti quali non se ne sono mai immaginate né intraviste prima d'ora.

Estetica del "discreto" e del "continuum" quali fattori di integrazione/disgregazione mereologica.

L'Ente è sempre in rapporto all'Altro. Si può aggiungere che l'intera dinamica delle forme stilistiche, cultuali, rappresentative e liturgiche evocate in una data epoca e in un dato luogo nascondano il desiderio universale di entrare in contatto con le menti altrui. L'Altro è tale perché non ci è consentito l'accesso alla sua persona, al suo pensiero e al suo sentimento. L'Altro è reale (e dunque sostanza della Res) in quanto non ci è dato aleggiare sulla virtualità della sua mente, non ci è permesso di "entrare" nella dinamica di quei modelli virtuali che sono le singole strutture del senso elaborate in quell'identità che si nasconde "dietro" l'iride e "dentro" la scatola cranica. In interiore homine habitat veritas, dice S. Agostino; ma da sempre una siffatta verità interiore è anche una verità invisibile, se non agli occhi dell'Eterno, il primo e il più potente Panopticon dell'Universo. A noi tocca soltanto l'esperienza di un'interiorità che si forgia nel costante urto con l'Altro. L'Altro è tale perché nulla traspare delle dinamiche interiori del suo "mondo". Questo desiderio frustrato si accompagna inesorabilmente a ogni espressione dell'umana coscienza, così come essa si è sviluppata, e così come essa emerge dalla struttura genetica della nostra specie, dagli eventi sensoriali di cui essa è mediamente capace e dal''insieme di tutte le sue associazioni emotive e cognitive. Nulla consente di "toccare con mano" i meccanismi molecolari che presiedono alla memorizzazione, all'apprendimento o alla formulazione di modelli interpretativi del reale fenomenico esperito. E soltanto da qualche anno la tecnologia consente di interfacciare protesi servomeccaniche ad alcune semplici espressioni della volontà. Fra i miliardi di variabili che costituiscono l'esperienza umana la sola costante resta dunque il sentimento metafisico dell'"alterità". L'inspiegabile esperienza di tutte le distinzioni che contribuiscono a formate nel tempo le identità altrui. Il dominio delle distinzioni e delle relazioni reciproche in un campo semantico è all'origine degli innumerevoli modelli sociali introdotti dagli antropologi e dai sociologi per spiegare qualcosa che in realtà frusta ogni tentativo razionale. Alla Ratio antropologica manca infatti la visione metarazionale. Personalmente amo molto Erwin Goffman, il quale, com'è noto, ha definito con grande efficacia un gran numero di strutture sociali attraverso la metafora situazionale della rappresentazione teatrale. Questo modello può forse rivelare quella particolare disposizione cartografica della vita sociale che rende importanti e oggetto di onore, di desiderio, di odio perfino, tutti coloro che sono i latori di una qualsiasi identità paradigmatica. Le star del cinema, le principesse, i leaders politici, religiosi e militari non sono che alcune categorie che racchiudono una nutrita varietà di figure emblematiche, archetipe, caricate e perfino caricaturali: tutte estreme e tendenzialmente iconiche, ruoli senza sfumature, identità prive di sfaccettature. Tutte accomunate dalla necessità di dar vita a un modello, a una figura, a un ben distinto elemento della narrazione. Ora, è lecito osservare il mondo esperienziale come un susseguirsi di tentativi e di errori adattivi, ma azionati dai soggetti coscienti secondo le modalità del fattore umano posto in essere dalle vicende storiche e dalle trasformazioni tecnologiche. Ogni nuova tecnologia del pensiero e della comunicazione nasce prima di tutto dal desiderio di "eliminare" l'altro da sé, di sopprimere questa scandalosa distanza fino ad annullarne i limiti. Soppressione ambigua, come ambigui sono del resto i risultati. Si direbbe quasi che il fine ultimo della comunicazione sia la negazione dell'alterità, l'elisione della distanza fra gli enti, la risoluzione del dissidio della solitudine mereologica cui ci condanna nient'altro che un creaturale senso dell'identità condito di insufficienza ontologica e funestato fin dall'origine dalla mortalità. Ma nessun sistema di comunicazione, nessuna tecnologia è in grado di annullare il baratro dell'"alterità". Esso è l'ombra della luce della coscienza, ne sancisce i limiti, ma altresì dà la misura esatta delle sue immense potenzialità. L'assenza di una comunicazione empatica ha posto la Razza stellare di fronte a un bivio. Codificare il reale, ed evolversi, o svanire. Essa è stata forzata a inventarsi le forme materiali di trasmissione e costruzione dei modelli. Definiamo queste concrezioni materiali/immateriali "tecnologie del pensiero". L'affioramento dei modelli, la loro costruzione finita ma illimitata, e l'attuale e ancorché inevitabile permutazione di tutti i modelli concepibili, segnalano la sconfitta e la susseguente perdita di senso insita in ogni forma di comunicazione "mediata". Avvertiamo l'inesorabile legge del mutamento dei referenti come una minaccia, ed eticamente come l'espressione della vanità della vita. Ma inevitabilmente reagiamo a questa incombente spada di Damocle rinnovando senza tregua il mondo della comunicazione, tanto nelle sue forme quanto nei suoi contenuti. E se ci è consentito dalle circostanze tentiamo di imporre le forme storiche delle tecnologie del pensiero in una lotta senza tregua. Eppure la guerra tra le innumerevoli "alterità" che si affacciano sulla scena del mondo reca in sé il momento dialettico del superamento dei limiti storici, delle condizioni materiali, e inevitebilmente anche del livello tecnologico raggiunto di volta in volta. La crisi del millennio che si chiude non investe dunque la tensione interna al mutamento e al miglioramento delle condizioni materiali dell'esistenza quanto piuttosto la lotta fra le alterità in gioco. Viviamo in un segmento temporale che favorisce l'alternanza, perfino la convivenza fra differenti, antitetici mondi della comunicazione. Alla Babele linguistica si affianca una babele strutturale che impedisce la formazione di compagini significative sufficientemente stabili, numericamente controllabili. Diversi indizi lo dimostrano. È raro che un modello di comportamento si fissi oggi nella rispettiva Icona. Fra le Icone residuali, infine, nessuna rivela le stigmate del Mito.

Variazioni periodiche

La comunicazione elettronica, nelle sue varie forme, da circa mezzo secolo ha progressivamente inculcato nei suoi utenti finali un singolare sentimento di "prossimità", perfino di confusione, che pone sullo stesso piano l'infimo e l'eccellente, il simile e il diverso. L'universo elettronico crea dunque un continuum senza interruzioni, il quale, tra l'altro, interferisce senza sosta nelle vite di ciascuno, svelando ciò che accade dietro le quinte, ed esponendo nella pubblica piazza elettronica ogni aspetto della rappresentazione sociale. Un siffatto ambiente non può che vanificare qualsiasi processo costruttivo, negando perfino la possibilità di formare l'Icona. L'immagine di ogni cosa assume un aspetto vano e "aniconico"; un sembiante estraneo alle prestazioni dell'Icona, la cui struttura indecifrabile è sempre stata una "visione", per definizione distaccata e intangibile. L'Icona statuisce la visione remota dell'oggetto. In essa la forma riveste la sostanza. Ma nel mondo ipermediatizzato la sostanza è invece esibita dalla forma. E poiché la sostanza in realtà non esiste (o si cela nelle dimensioni virtuali) anche la forma che essa assume non esiste, se non per un breve istante. L'immagine irragiungibile non è più plausibile perché tutte le possibilità della tecnica convergono a creare la sensazione diffusa della "prossimità". Il spazio psichico dell'Icona è stato lestamente occupato dal "modello", il quale è alla portata di chiuque perché non occupa un luogo dell'immaginario separato dal fatto, cioè dall'accadimento. L'attuale rapporto con l'immagine dell'eccellenza, della ricchezza e della celebrità esclude l'idea di "irraggiungibilità"; il sistema ipermediale omette le olimpiche altezze e banalizza l'eccezionalità. Naomi Campbell può anche essere una Venere incarnata, ma la sua incredibile bellezza non è poi così irragiungibile. Dopotutto, con una discreta base di partenza, e con una buona preparazione atletica accoppiata alle meraviglie della chirurgia estetica è possibile guadagnare una notevole approssimazione al paradigma. "Belle si diventa" è uno slogan che rimbalza dalla pubblicità allo stile di vita. La prossimità ha inevitabilmente banalizzato l'archetipo dell'esemplarietà. Viene a morte la ricercata "qualità" che forgiava le figure carismatiche, mitiche o straordinarie. Ciò che un tempo fu il "genio" diviene oggi l'artista di vaglia, il promoter, l'astuto esperto del sistema di produzione-diffusione-commercializzazione di una determinata creazione. Altresì il leader carismatico si trasforma in un abile intermediario. Esso sarà anche stimato, riverito, perfino temuto anche più di un tempo. Mai più però sarà irragiungibile, non potendo egli indossare i paramenti della laica sacralità. Il leader non è nobile e non è un Nobile. Il media system esclude a priori la magnanimità e ogni altra virtù aristotelica. McLuhan sosteneva che la comunicazione televisiva, a bassa definizione, rigetta il profilo netto, favorendo una medietas di basso profilo. Ma oggi il media system è nello stesso tempo a bassa e ad altissima definizione. Dipende dal punto di vista e dal tipo di utenza. Un grafico pubblicitario che trascorre buona parte della sua giornata manipolando bitmaps e wireframes è esposto a un bombardameno di segnali ad alta definizione. Un teenager che passa i pomeriggi alla consolle, immergendo il proprio sistema sensomotorio nello scenario spaziale di Dark Forces o del Rebel Assault, riceve una serie di stimoli che sono a bassa definizione dal punto di vista della qualità dell'immagine, ma che per altri versi risultano ad una inaudita definizione propriocettiva. Questa potentissima corrente mediatica alternata non soltanto brucia ogni profilo netto, ma alla lunga consuma anche ogni profilo moralmente elevato. Alla radice dell'esperienza autoriflettente dell'identità attuale e futura sussiste perciò una resistenza alla separazione (dei ruoli, delle personalità , dei contesti). Possiamo osservare il lavoro di questa energia quando riflettiamo sull'effetto delle tecnologie del pensiero e sulla necessità di concepire il proprio sé in relazione a un "altro da sé" che non è saldo né incontrovertibile. Effetto di una siffatta pressione psicologica è il desiderio di "fondersi" con il diverso, sentimento di "con-fusione" che genera al contempo piacere e ripugnanza. Tra gli esempi ricorrono il consumo diffuso delle droghe, il sesso promiscuo e anonimo, la sete di velocità, il turismo "colto" di massa, il rito giovanile del rave. Dissento totalmente dai tanti profeti della non-identità, dell'anti-identità, dell'identità collettiva senza sfumature e via sacramentando. Falsi profeti, e per giunta vili, perché non offrono al critico neppure una vera, profetica barba da tirare. E in effetti la pretesa "ipseità" leggera è smentita proprio dal potere della memoria elettronica. In realtà la psicodinamica dei mezzi di comunicazione dispiegati in questo nostro turbato presente produce un'oscillazione fra l'immagine speculare delle varie pseudo-identità collettive e il ripiegamento del sé. Come è noto, ancora una volta McLuhan (ma anche Innis) riconobbe fra i primi che la stampa separò le individualità in una misura mai vista prima del suo avvento. Essa creò i lettori ma anche gli autori-visionari. Su questo è stato scritto. Nella sua poderosa ricerca Elizabeth Eisenstein ha poi riscontrato vari effetti progressivi della stampa (standardizzazione, razionalizzazione, pensiero logico-sequenziale ecc.). Ma tra questi il meno evidente ma certamente il più rilevante al giorno d'oggi consiste proprio nell'aspetto caotico, frattale e autogeneativo della cultura scientifica o letteraria contemporanea. 5 Gli studi di de Kerckhove sulle caratteristiche del Personal Computer e della Rete confermano che l'orientamento psicodinamico del mondo contemporaneo procede in due distinte e opposte direzioni: da un lato l'ulteriore potenziamento della separzione fra identità in conflitto, conseguenza dell'ipertrofia dell'Io, ma dall'altro la crescita di sentimenti collettivi tanto leggeri quanto inafferrabili. 6 Il processo di separazione e di potenziamento entra in conflitto con il modello comunitario e l'approccio che potremmo anche definire "egopoietico" urta l'insorgente stile di vita "psicomotorio". Non vi è dubbio che la produzione-distribuzione-ricezione-restituzione del senso sono profondamente mutate rispetto ad appena dieci anni fa. Il fenomeno dell'Internet è soltanto la vetta (e per questo eccita la fantasia ed è percepito come una soglia estrema) abitata da qualche decina di milioni di persone. Ma il mutamento percorre tutto il sistema della comunicazione planetario.

Contrazioni dell'"alterità"

In queste note seguo il filo del ragionamento, ma la natura delle mie riflessioni è anche almeno in parte tributaria delle esperienze dal vivo. In passato ebbi l'opportunità di osservare in successione alcune fasi che contrassegnarono la profonda trasformazione del giornale quotidiano. Tra gli effetti di questi mutamenti si segnala purtroppo la progressiva perdita di identità della figura del giornalista. I licenziamenti che funestano il settore non fanno altro che riflettere una siffatta realtà. Da un punto di vista "metacomunicazionale" si può dire che il giornalista non possiede più alcuna sua specifica "alterità". Non è dunque in alcun modo un soggetto de-finibile, e questa perdita di qualità specifiche gli deriva senza dubbio alla potente doccia tecnomediatica al quale questa figura professionale è stata esposta in anticipo sui tempi. Quando iniziai a collaborare per la terza pagina di alcuni quotidiani esistevano già la composizione a freddo, il fax e le agenzie telematiche. Ma la vita del giornale si svolgeva altrove, a contatto con le realtà. Oggi la tradizionale forma tangibile, cartacea del medium in realtà restituisce un mix di agenzie telematiche, di memorie virtuali e di strutture tematiche che hanno inesorabilmente trasformano la pagina da un mosaico di notizie e opinioni a un quadro sinottico di fatti reali e irreali. La moltiplicazione dei segnali audiovisivi rende impossibile verificare il valore di verità di un accadimento di secondo o terzo piano. Le agenzie giornalistiche (che oltre tutto sono fra le maggiori banche dati esistenti) diramano sovente notizie inverificabili, astruse e persino palesemente false. Anche su questo è stato scritto. 7 In generale si può notare che la simultanea non annulla lo spazio, come comunemente si crede, ma semplicemente lo moltiplica. L'informazione televisiva diffusa dai satelliti compare sul monitor del giornalista della carta stampata mentre egli, contemporaneamente, si collega all'Internet surfando qua e là. E intanto cumuli di fax e di posta elettronica affollano la scrivania virtuale del redattore, mescolando questa silenziosa e incessante onda ridondante allo squillo del telefono tradizionale o del "palmare": l'onorevole, l'intellettuale, il divo, il leader sindacale o politico sono in linea, cioè allineati. Sono anche ben disposti verso l'interlocutore, e in effetti sono esposti. La nuova percezione sensomotoria avverte immediatemente il mutamento dei sistemi di elaborazione dell'informazione e in qualche misura essa imprime i suoi segnali nei centri motori e nelle strutture neuronali, determinando le condotte, le ansie e le psicosi collettive. I seguenti diagrammi di Venn illustrano succintamente le differenze logiche fra l'attuale universo dei discorsi e ciò che presumibilmente accadeva in un'epoca in cui la costruzione dell'Identità (politica, spirituale, sessuale ecc.) era determinata da strutture della comunicazione coesistenti ma relativamente separate fra loro. Il primo diagramma descrive l'intersezione fra l'universo delle molteplici sollecitazioni sensomotorie, propriocettive, rappresentazionali, situazionali, istituzionali e infine mediatiche. La porzione del diagramma che corrisponde alla definizione dell'Identità si riduce man mano che si moltiplicano le intersezioni fra universi semantici tra loro lontani, incompatibili o addirittura in conflitto. Ciò implicava che la moltiplicazione dei referenti tendeva a ridurre lo spazio di definizione dell'Identità. L'identità è tanto più netta quanto minore è lo spazio semantico che essa occupa (e quanto maggiori sono le intersezioni di cui essa è il prodotto logico). Il limite inferiore di questo processo produce la riduzione dell'identità a un punto archimedeo, a una vetta esemplare. Il che è accaduto raramente, se non mai. Parimenti l'inevitabile tensione conflittuale (logicamente esclusiva) fra universi differenti disegnava il confine superiore, il limite superiore di ciascuna appartenenza. L'immagine dell'Identità è ovviamente l'"Altro", e in particolare l'"altro generalizzato" di cui parla George Herbert Mead; ma l'antimmagine dell'Identità è il "Tipo". Le tipologie sociali (alcune della quali, appunto "tipiche" di quei tempi e di quei luoghi, furono non a caso descritte da Kierkegaard) riflettono la dinamica di un'epoca durante la quale coloro che erano esclusi dalla faticosa costruzione dell'identità non potevano far altro che rappresentare una tipologia, indossando un Tipo così come si indossano i pantaloni.

Il battito cardiaco dell'Identità

In questo diagramma l'"Identità" (ID) deriva dall'intersezione fra due o più insiemi. Essa è in sostanza il prodotto logico di più enunciati la cui estensione dipende dalla totalità delle classi in gioco. La seguente breve formula esprime sinteticamente il legame logico che sottende una siffatta struttura dell'esperienza: n - 1 ID a b c ... n n

Dove "ID" sta per l'unità psicosomatica dell'esperienza individuale che si proietta in un contesto; 'a', 'b', 'c'... 'n' indicano altresì le classi di esperienza (ruoli, istituzioni, rappresentazioni). L'ovvia persistenza di limiti fisiologici giustifica il numero finito delle classi e l'estensione data all'esponente. L'Identità potrebbe dunque essere descritta come una sorta di membrana gonfiabile, ma sottoposta a tensioni costanti, in precario equilibrio fra geometrie semantiche alternative. L'Identità concepita come un'intersezione semifluida fra strutture del significato mutualmente esclusive è coerente col modello della mente modulare. Ma soprattutto una siffatta descrizione si presta a spiegare la dinamica del suo rafforzamento o della sua dissoluzione. Le forze che agiscono in una o nell'altra direzione sono spesso decritte ricorrendo alla metafora della velocità. Gradi di sviluppo sociale, economico e culturale molto distanti fra loro implicano velocità differenti. Ma dinamiche diverse in contesti limitrofi o sovrapposti implicano conflitti identitari. Fortissime tensioni politiche esplodono quando le circostanze rallentano o spengono il processo identitario. Ed è ciò che si verifica negli Usa. Ma tensioni non meno inquietanti si verificano allorquando le carenze infrastrutturali, le crisi economiche locali o flussi migratori incontrollati alterano l'equilibrio precario preesistente, accelerando in senso campanilistico il processo di integrazione dell'identità. La precarietà dell'identità nazionale si sfoga allora nei separatismi su base razziale, professionale, politica, confessionale e in definitiva economico-culturale: altrettanti fenomeni cagionati dalle forze che agiscono accelerando eventi e processi. I sentimenti separatisti sopravanzano oggi quelli unionisti. Si assiste dunque a una contraddizione in atto, che oppone le scelte unioniste stabilite dai centri internazionali del potere economico e tecnologico ai sentimenti diffusi sempre più fra la gente comune. Gli effetti dell'accelerazione tecno-poietica testimoniano che in questo nostro tempo il senso del'identità collide con se stesso con tanta maggior violenza quanto più forti sono i vincoli spirituali e culturali. Le aree del mondo tecnologicamente sviluppate non tollerano le identità. In esse l'identità può tutt'al più essere "leggera". Le identità più o meno "pesanti" sono in effetti ad alto rischio. La "pacifica" secessione della Boemia dalla Slovacchia ha annullato conseguenze ben più drammatiche. Ma i conflitti intestini in Bosnia, Slovenia e Croazia, le sanguinose guerre di liberazione della Cecenia, dell'Inguscezia, dell'Ossezia settentrionale, le stragi etniche nell'Africa centrale, l'impossibile processo di normalizzazione in Palestina testimoniano soprattutto la presenza di aggregazioni umane a bassa e ad altra velocità che condividono lo stesso territorio, o che scontano l'incerta definizione dei confini. Il fenomeno leghista è in certa misura il prodotto dell'accelerazione. Ritengo con apprensione che esso purtroppo non abbia ancora espresso fino in fondo tutto il suo potenziale distruttivo. Non a caso Umberto Bossi si sgola sprecando banali ma non per questo meno significative metafore automobilistiche. L'Italia di Bossi è l'immagine di una pista a due, a tre, a cento velocità. Mentre è noto che l'intero apparato simbolico del Carroccio pesca a piene mani un po' ovunque nel tentativo di fondare l'identità nazionale del cittadino padano. Identità altrimenti "leggerissima" e particolarmente esposta, anche per motivi economici, all'influsso di plurime alterità altamente significative. Le reazioni a siffatti tentativi identitari denotano il ricorso a un apparato simbolico speculare e all'estetica del continuum. Non è irrilevante notare che la televisione si presta ancora in modo eccellente come strumento di fusione. L'estetica del continuum presuppone un'ampia trasversalità del messaggio e una sua immediata ricezione. E rituali sono appunto gli appelli retorici delle alte cariche dello Stato. In Italia il messaggio celebrato dall'autorità per rinsaldare un qualsiasi legame (l'Europa è l'ultimo esempio) ha sempre la seguente forma logica:

n - 1 a A B C ... N N

Dove 'a' rappresenta un individuo in abstracto, mentre 'A', 'B' ... 'N' stanno per le classi di appartenenza. Questa formula è speculare alla prima perché il suo dominio è il più vasto possibile. Il suo campo d'azione è perciò interno alla forme di comunicazione in cui l'identità è per definizione sfumata. La televisione si presta a questo scopo soltanto in parte a causa delle sue limitazioni intrinseche. L'universo della comunicazione elettronica rappresenta un laboratorio certamente più raffinato, sia pure entro i limiti della sua reale estensione. Questi cenni all'immenso problema del rapporto fra l'identità e l'alterità derivano dal bisogno di studiare il fenomeno dell'espanzione tecnologica, spaziale e comunicazionale così tipico della Razza stellare osservando innanzi tutto le relazioni che si instaurano fra siffati impulsi filogenetici, che tipizzano e orientano il cammino dell'intera nostra specie, e i domini culturali fondamentali. Come è noto Hegel ripartiva questi ultimi nelle tre fasi storico-ontologiche dell'Arte della Religione e della Filosofia. Non mi identifico in nessun ramo della scuola idealista, ma nei capitoli seguenti ho conservato questa tripartizione per ragioni di praticità. In questo volume non tratterò il versante filosofico, anche perché esso è oggi a mio parere un semplice sottinsieme del ben più vasto dominio ontologico della fisica e della matematica. Su ciò mi riservo un secondo round. Parlerò invece dell'arte e della religiosità emergenti: territori che consentono già oggi di intravedere le linee di sviluppo intraprese, in vista del più ardito viaggio che l'umanità abia mai immaginato.

definitorie

1 Gregory J.E. Rawlings, Moths to the Flame. The Seductions of Computer Technology, Cambridge, 1996, Le seduzioni del computer, Il Mulino, Bologna, 1997, trad. it. a cura di Maurizio Riccucci, p. 186. Vedi anche Evelin Keller, Vita scienza e cyberscienza, Garzanti, Milano, 1997.

2 Ibidem, p. 203.

3 Pierre Teilhard de Chardin, La place de l'homme dans la nature. Le groupe zoologique humain, Paris 1956, Il posto dell'uomo nella natura. Il gruppo zoologico umano, trad. it. di Ferdinando Omea, Il Saggiatore, Milano, 1970, p. 169.

4 Ibidem, p. 167.

5 Elizabeth L. Eisenstein, The Printing Press as an Agent of Change. Communications and Cultural Transformations in Early-Modern Europe, Cambridge 1979, La rivoluzione inavvertita. La stampa come fattore di mutamento, trad. it. A cura di Davide Panzieri, Il Mulino, Bologna, 1985, p. 805 e ss.; S. H. Steinberg, Five Hundred Years of Printing, 1974, Cinque secoli di stampa, Torino, Einaudi,

6 Op. cit., p. 194 e ss.

7 Gino Agnese, 1

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