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Non Luoghi
Quando si parla o si scrive dei cosiddetti non-luoghi si tocca un oggi un nervo
scoperto, e si entra in un territorio che riflette disparati stati d'animo. Si può anzi
affermare che larga parte della notorietà tributata ai teorici dei non-luoghi sia in
realtà il risultato delle ansie e delle aspettative più riposte di un'umanità
potentemente investita dalla ristrutturazione psicodinamica del proprio territorio. Da qui
la fortuna di autori per altri versi assai deboli. Penso ad esempio a Paul Virilio, o
all'antropologo Marc Augé. La forma della metropoli è dunque la sua uniformità, come la sua meta è
un'espansione senza meta. Chi opera entro i limiti ideologici di questo regime ha una
concezione del progresso puramente quantitativa: cerca di far più alti i suoi edifici,
più larghe le sue strade, più ampi i suoi parcheggi; moltiplica i ponti, le autostrade e
i tunnel, rendendo sempre più facile l'entrare e l'uscire dalla città ma limitando lo
spazio urbano disponibile per funzioni che non siano quelle del trasporto [...] Una città
del genere finirebbe per comprendere mezzo ettaro di costruzioni ogni miglio quadrato di
autostrade e parcheggi. 2 Mumford sembra quasi avere disegnato punto per punto la scenografia degli esterni di
Crash di Cronenber (1996). Ma le suggestioni dell'eccellente regista derivano da Ballard,
scrittore che, com'è noto, ha affrontato il tema delle inquietanti pieghe
"nascoste" fra i paesaggi megapolitani in vari romanzi (penso ad esempio a
"Condominium" o a "L'isola di cemento", e allo stesso
"Crash". Ballard descrive ben più efficacemente delle moraleggianti doglianze
di Augé quel senso della perenne deriva, della transitorietà di ogni evento e
dell'effimero in cui trascolora la vicenda di tanta parte dell'umanità occidentale
contemporanea. Crash esibisce la realtà delle superautostrade e dei caselli, dei motel e
dei garage di scambio. L'effetto irreale che anche il film promana in ogni sua
inquadratura dipende forse dal fatto che non siamo abituati a riflettere sul panorama
urbano ovunque diffuso. Eppure il regista non fa altro che puntare la cinepresa sulla
realtà, producendo uno spettacolo a suo modo "realista". Il messaggio di Musil è chiaro: il sentimento della modernità è funzione di una
velocità che non lascia scampo e che destruttura in prima istanza i luoghi identitari.
Dalla letteratura alla massmediologia. E così, senza scomodare l'abusato McLuhan, che
pure a lungo trattò di non luoghi (che altro è il cosidetto "villaggio
globale" se non il non luogo per eccellenza?) mi limiterò a citare il celebre
massmediologo Joshua Meyrowitz che al concetto di "assenza di luogo" (ovvero di
"non-luogo") dedicò un lungo e straordinario capitolo del suo monumentale Oltre
il senso del luogo, libro - si badi - pubblicato nel'85, nel quale trattò oltretutto dei
"cacciatori-raccoglitori informatici" e di altre strategie comportamentali
nomadiche del nostro tempo. E ora alcuni epigoni dell'ultima ora vogliono spacciare per
moneta buona del banale oro di princisbecco e ricamandoci sopra (senza citare le peraltro
evidenti fonti) costruiscono perfino degli eventi espositivi prossimi venturi. Ma tant'è.
1 Marc Augé, Non-lieux, Paris 1992, Non luoghi. Introduzione a un'antropologia della surmodernità, Elèuthera, Milano, 1996, p. 94. 2 Lewis Mumford, The City in History, 1961, La città nella storia, trad. it. A cura di Ettore Capriolo, Bompiani, Milano 1997, p. 674. 3 Piero Zanini, Significati del confine. I limiti naturali, storici, mentali, Bruno Mondadori, Milano, 1997, p. 49 e ss. Circa la nuova definizione dei confini individuali e vitali cfr. Paul Virilio, La vitesse de libération, Galilée, Paris, 1995, p. 95 e ss.
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