department  DEMONT ©  morphology

Home ] Up ] Contens ]

New Age

Home ] Up ] NEW ENGLISH ] MORPHOLOGY ] MEMBERS ] Gallery ] Archive ] Services ] NEWS ] VRML GALLERY ] EDUCATION ] DESIGN ]

XXXXXXXXXX

Home
Up
2000 media
Villa Gates
Ultraumano
Giganti
Futurismi
New Age
Virtuale
Non Luoghi
Generazione
Arte in Rete
Accademia

New Age

La nuova età dell'oro

Il termine "New Age" indica l'avvento di una nuova e misteriosa era che si annuncia imprevedibile e affascinante per definizione. L'attesa di quest'epoca di là da venire, ma a noi prossima e caratterizzata da una frizzante "leggerezza", suggerisce che la New Age non sia quel fenomeno in stato nascente che molti attendevano con preoccupazione o con impazienza bensì una sommatoria di eventi storici e antropologici dalle caratteristiche piuttosto peculiari. Quel che stupisce della filosofia profonda del New Age è il fatto che essa inverte il segno negativo che grava sui giudizi di valore attribuiti alla nostra civiltà. Dopo oltre un secolo di chimerici, spengleriani tramonti occidentali ecco che una polifonica classe di individualità annuncia che l'età dell'oro è dietro l'angolo. In realtà l'espressione "New Age" fu introdotta negli anni '30 dal francese Paul Le Cour ed è dunque un conio già abbastanza stagionato, come ben sanno gli studiosi del fenomeno.
È anche noto che movimento transnazionale e transculturale così definito nacque negli Stati Uniti d'America, in California, dove fin dai primi passi crebbe e si sviluppò rigogliosamente. Il fenomeno attuale è dunque il frutto maturo di un processo sociale che può vantare una memoria sufficientemente estesa e consolidata. Un indizio di siffatta vetustà si nota negli slittamenti semantici tipici della stampa quotidiana, in cui la "A" maiuscola di "Age" si è trasformata in una ben più familiare minuscola. Quasi a sostenere che il "New Age" è ormai patrimonio comune e dato per scontato.
Nonostante ciò, negli anni della contestazione giovanile, ben pochi avrebbero scommesso sull'esplosivo successo di una filosofia di vita che si appresta vittoriosamente a varcare la soglia metafisica del terzo millennio. Se osserviamo a larghe linee la dinamica dei movimenti spirituali che connotarono l'arroventato clima statunitense di quel tempo noteremo che l'America del periodo della guerra fredda fu più che altro teatro di durissimi conflitti, o al più scenario di incerte alleanze tra organizzazioni radicali di matrice etnica che nel bene o nel male traevano nutrimento dalle religioni storiche.
La New age di quel tempo sembrava apparentemente un corpo estraneo, che a stento si inseriva nelle grandi lotte. Si pensi a un Martin Luther King o a Malcom X. L'apparenza nascondeva abilmente una metamorfosi in atto. McLuhan aveva intuito che dietro certe idee circolanti nella generazione dei "figli dei fiori" si intravedeva la sottile e subliminale dinamica della televisione. Personalmente ritengo che la psicodinamica del piccolo schermo in questo caso abbia agito da amplificatore elettronico o da "catalizzatore" di spinte endogene che negli anni '50 erano già sul punto di superare i tre quarti di secolo. Alle radici della New age esiste una spinta alla modernità che si riflette anche nell'uso lessicale. Seguendo Odo Marquard evito di proposito il termine "postmodernità". 1 Da tempo, infatti, varie teste pensanti del movimento preferiscono distinguere l'ormai dilagante e involgarita New age dalla "Next age". L'azione interna al movimento è dunque programmaticamente futuristica, assiomaticamente moderna.
La forza della New age alias Next age sta nel fatto che essa mantiene tutto ciò che promette. Il suo millenarismo rovesciato non può che avverarsi, la sua estetica non può che affermarsi. Anche perché i suoi modelli si inseriscono meglio di ogni altro schema di pensiero nella dinamica dei moderni sistemi di comunicazione. Voglio sostenere che quantunque il movimento sia libertario e antidogmatico, esso procede in un campo di azione deterministico e preordinato. Eppure in superficie la New age prospera nel bel mezzo del Caos, anche se è opportuno rammentare che i processi caotici nascondono in realtà una logica di grana più fine.

Più "leggeri" della luce

La New age agisce sulle varie identità sociali come potente campo gravitazionale, il cui centro è però privo di azione. Perciò il movimento si diffonde senza apparente sforzo, secondo il principio zen del wu-wei, vale a dire dell'"azione senza azione". In realtà questa "leggerezza" è l'immagine della semi-immaterialità dell'hi-tech, terreno propizio per seminarvi la mistica del progresso fusa ad una generica spiritualità. Ogni segmento della New age riflette queste caratteristiche perfino nel suo stesso ordinamento.
Si deve infatti parlare di "segmenti" e non di strutture. Ma per tutto ciò rimando all'eccellente libro di Bartolomeo Dobroczynski che chiarisce l'essenza, la storia e l'organizzazione della New age.2 Personalmente sono interessato al fenomeno antropologico nelle sue linee generali. Una tendenza culturale sopravvive solo se essa è perfettamente in sintonia con i vettori occulti delle tecnoculture. E in ciò la New age non ha rivali.
Esiste un tracciato sotterraneo che unisce Il Tao della fisica di Fitjof Capra alla trilogia galattica delle Guerre stellari, e le ipotesi cognitive, nonché le teorie antropologiche di un Gregory Bateson sono per più di un verso risonanti nei film di Wim Wenders. Del resto, come è noto, già Durkheim aveva riconosciuto che il fondamento di ogni religione risiede nelle sue forme di organizzazione. Gli studi di Jack Goody suggeriscono fra l'altro che non si possa mai parlare di "religione storica" in assenza delle dinamiche culturali basate sulla chirografia e poi sulla stampa. La scrittura e la stampa sono alla base d'ogni ortodossia. Orbene, quantunque la filosofia della New age, e dei suoi corifei più noti (James Redfield, Rosemary Altea, 3 per certi versi Carlos Castaneda) fornisca la base di una diffusa "spiritualità", essa tratta sempre di una immaterialità "gassosa", fondata sulla compenetrabilità delle diverse forme di trascendenza.
Non siamo però al cospetto di una tendenza sincretista. Il sincretismo religioso si è sempre incarnato in istituzioni di qualche tipo, come dimostrano anche nel nostro presente le innumerevoli sette che pullulano sul territorio statunitense. In realtà la New age è un fenomeno metareligioso, ed è per questo che essa assorbe in sé anche i vari sincretismi.
La New age è appunto meta-individuale e promette soprattutto l'accesso a stati di coscienza prossimi alla piena felicità e all'armonia. Con ciò veniamo al ruolo che nel movimento ricoprono le varie e pressoché infinite pratiche rivolte alla cura del corpo e dello spirito. La "cura di sé" è il cuore della filosofia del futuro prossimo venturo e naturalmente essa possiede una nutrita schiera di santoni. Tra questi spicca il multimiliardario Deepak Chopra, maestro di medicina alternativa consultato dalla crema dello Star System statunitense. Michael Jackson, Steven Spielberg, George Harrison e Liz Taylor sono affezionati clienti di questo inquietante personaggio che si muove a suo agio fra le pratiche Tantra, la meditazione trascendentale e i labirinti dell'Internet. 4 Si può anzi affermare che la Rete sia la sede privilegiata della filosofia New age, l'interfaccia naturale e in un certo senso il suo "alter ego".
Il campo d'azione elettronico (il suo stesso tessuto, da alcuni definito "rizomatico", la sua stessa estetica, serendipitale e subcosciente) ospita un corpo spiritico che nutre se stesso con una somma crescente di esperienze somatiche. Perciò, un appartenente alla New age tende a sostituire la Sanità alla Santità. L'ispirazione deve lasciare il campo alla "inspirazione", così come la psiche cede ora il passo al "pneuma". Poiché se il corpo è eguale alla mente (o viceversa) allora tutto è corpo. O forse tutto è mente. Alla luce della New age le parole non servono per "fare cose", come credeva il filosofo analitico John Austin, e dunque non si trasformano in atti performativi. Dopotutto de-finire significa estrarre qualcosa di finito da qualche altra cosa, che forse in sé non è finita. Come il vento, che mobile e fluttuante qual è si presta più d'ogni forza naturale a rappresentare la mutevolezza degli stati psichici, l'inevitabile eterogenesi di quegli "stati d'animo diffusi" che tanto assomigliano alle suggestioni fornite dall'estetica dei plurimi e attuali mondi virtuali. Un campo arato con particolare attenzione della New age.

Antecedenti filosofici della New age

La New age riesuma l'idea che l'uomo sia un microcosmo che riflette e riassume la struttura del macrocosmo. La pratica della medicina olistica, la psicoterapia alternativa, gli esercizi di meditazione e di manipolazione del corpo consigliati per un efficace accesso agli stati superiori di coscienza mirano infatti a ricostruire il sentimento dell'armonia primigenia e a ricongiungere l'individuo alla dimensione cosmica che gli è stata arbitrariamente sottratta.
Queste ed altre concezioni non dissimili mostrano un segreto e del tutto peculiare rapporto, quasi un'empatia culturale, fra la nuova spiritualità e alcune espressioni dell'estetica e della filosofia rinascimentali che non appaiono, nonostante la palmare evidenza, fra gli antecedenti indagati da Dobroczynski. Le idee suesposte non erano estranee a Marsilio Ficino, nella cui nozione di anima come copula del mondo si affacciava sia pur timidamente l'antico principio sofista dell'homo mensura, dell'uomo che si erge quale pietra di paragone di tutte le cose, perfino dell'infinità del tempo e dello spazio (Theol. Plat. VIII, 16). Anche Cusano assegnava all'uomo un'infinita potenzialità intellettiva, sia pure rivestendo questa centralità con la political correctness della dotta ignoranza.
Dal canto suo Pico della Mirandola inseguì quel sincretismo filosofico, e in definitiva quella mescolanza d'ogni concezione del sacro, che oggi distingue la New age da ogni altra rivelazione. Pico, non diversamente dai filosofi della New age e dalla psicologia junghiana, credeva che il mondo è retto da forze che agiscono per "simpatia", le quali connettono ciascuna struttura naturale e apparentemente finita ad ogni altra.
E' appena il caso di notare che una siffatta "funzione universale di connessione" implica a lungo andare la dissoluzione di ogni gerarchia degli enti, una sostanziale democratizzazione delle qualità e in definitiva la loro riduzione a dati quantitativi arbitrariamente manipolabili (Concl. Mag. XI, XIII). Pico affermava cinque secoli fa i medesimi principi che uniformano gran parte del pensiero che circola al giorno d'oggi nella Rete globale, e nelle filosofia che derivano dai mutamenti strutturali e tecnologici. L'idea della grande forza cosmica, oggi tanto in voga nella cultura occidentale, già si manifestava negli scritti di quest'antico dotto che attribuiva alla magia il ruolo di una filosofia naturale (diremmo oggi scienza) in grado di manipolare le energie presenti nella natura.
La figura di Giordano Bruno è però la più esemplare. Il grande nolano rigettava il Dio della rivelazione e l'idea stessa di una sostanza trascendente. Come è noto, il Dio di Bruno conserva alcuni fondamentali attributi aristotelici, tra i quali l'intelletto universale e la causa incausata del mondo. Ciononostante Dio non si distingue dalla natura stessa, sicché: "...La natura o è Dio stesso o è la virtù divina che si manifesta nelle cose stesse" (Summa term. Met. In Opp. Lat., IV, 101).
Il panpsichismo bruniano trasformava la natura in un colossale organismo animale ed animato, dal quale Dio usciva ridotto ad un concetto di Forma che comprende l'universo intero, qualcosa di simile all'unità parmenidea ma dinamica, in seno alla quale non è possibile distinguere la forma dalla materia, la sostanza corporea da quella incorporea, l'atto dalla potenza. (Cfr. De la causa, III e V, in Opp. It. I, 223, 247; Sig. sigil., in Opp. Lat., II, 180). Basterebbe aggiornare la terminologia bruniana ai luoghi comuni della fisica contemporanea per comprendere la straordinaria equivalenza teorica fra i due universi culturali.
Il Tao della fisica di Fitjof Capra, libro cult della New age, può ben apparire un volume scritto dallo spirito di Giordano Bruno reincarnatosi nei panni di un noto fisico teorico, grande divulgatore di quella concezione spiritualista della scienza che ha le sue origini in Niels Bohr e in Heisenberg.
Vorrei soffermarmi ancora per qualche istante sulla figura di Bruno perché stupisce la straordinaria corrispondenza fra le sue idee e i capisaldi teorici della New age. Così, nel De infinito, in polemica con Aristotele, Bruno negava valore al concetto di centro dell'universo, o del mondo; ma anche al centro dello spirito, dell'orientamento spaziale e delle forze dinamiche.
Si ricordi che la New age oppone alla nozione di centro un de-radicamento programmatico che impone il de-centramento di ogni istanza e attività.
Il modello della Rete informatica diventa non a caso il paradigma di un movimento spirituale che inizia ad attrarre nella sua orbita senza "centro di gravità" anche ben noti filosofi. 5 Propongo dunque la figura di Giordano Bruno quale eroe e antesignano della New age. Come si sa, anche il filosofo nolano era affascinato dalla spazio cosmico, da quel firmamento che compare nel De l'infinito, universo e mondi (1584). Ma la forza d'attrazione che lo spazio esterno esercitava sull'animo tormentato del filosofo dipendeva anche dal fatto che egli partecipava di un clima culturale molto peculiare, influenzato da nuovi sistemi di comunicazione, dal rapido progresso di nuove discipline scientifiche e matematiche, e da una fase di espansione economica e politica caratterizzata da forze dinamiche senza precedenti. Elizabeth Eisenstein ha osservato che l'introduzione della stampa permise tra l'altro la moltiplicazione dei centri dotati di una propria autorità, dunque svincolati da un centro unico e totalizzante. 6 La Riforma, come è noto, probabilmente non avrebbe neppure potuto attecchire senza il decentramento informazionale favorito dalla stampa. Ma il grande sommovimento religioso e filosofico non è che un riflesso del paradigmatico mutamento intervenuto nelle scienze. I decenni che corrono tra la fine del XVI e la metà del XVII secolo furono cruciali soprattutto nel campo delle scienze empiriche, matematiche e fisiche. Non è irrilevante ricordare che le teorie dei filosofi e dei mistici rinascimentali si svilupparono e riflessero un retroterra scientifico e tecnologico in esplosivo fermento.
Il culto che Bill Gates tributa a Leonardo da Vinci non è per nulla casuale, ma è anzi prodotto dal rispetto per i "padri fondatori". "La meccanica - scriveva Leonardo - è il paradiso delle scienze matematiche perché con quella si viene al frutto matematico". Stephen Mason ci ricorda che proprio in quel particolarissimo momento storico gli ingegneri sopravanzarono i dotti. 7 La scienza della meccanica diventava per la prima volta razionale, se si esclude la breve parentesi archimedea. Ma soprattutto mi preme rilevare che senza le basi matematiche ed empiriche della meccanica moderna l'occhio degli astronomi non si sarebbe mai spinto nelle regioni siderali con tanto slancio e con la più assoluta "mancanza di scrupoli".
Perché ciò avvenisse l'occhio dello scienziato doveva essenzialmente liberarsi dal centro di gravità spirituale e dalla nozione vincolante di "luogo", sopravvivenza della fisica aristotelica. In un certo senso l'occhio dello scienziato rinascimentale, con il suo ondivago e inquieto scrutare nel buio dell'ignoranza ma anche dello spazio esterno, fu, di fatto, la prima matrice del concetto di non-luogo. Lo spazio celeste divenne dunque il primo terreno di lotta sul quale misurare le forze di una nuova identità svincolata dall'autorità. Le lotte fra il modello copernicano e quello tolemaico fanno da sfondo ad un generale desiderio di liberarsi dai vincoli terrestri. Leonardo disegna le ali di Icaro e il primo modello d'elicottero. Dopo oltre un secolo Galileo elabora il concetto di inerzia, al quale è correlata la nozione di forza, o in termini moderni di interazione.
Forse siamo al cospetto di una rivoluzione psicologica, più ancora che scientifica. Per la prima volta si ammette che in assenza di forze che interferiscano sulla traiettoria una massa possa librarsi liberamente (e per l'eternità) secondo le leggi del moto rettilineo uniforme. Dunque (in quei tempi) percorrendo virtualmente lo spazio infinito.
Fra i due eventi la cultura filosofica subisce l'impatto di un mondo che quasi improvvisamente si espande nel tempo e nello spazio dilatandone a dismisura i confini, e addirittura percependo questo tempo e questo spazio senza la sicurezza psicologica dei limiti. Spazio psicodinamico esteso e illimitato: dominio dell'àpeiron. Non-luogo per eccellenza. Ma questo stesso spazio non poteva che essere un invito al volo, un sogno di leggerezza e di inconsistenza. Affinché questo dominio estetico ed etico si affermi dovranno trascorrere quattro secoli di lotte senza tregua. Nel frattempo la tecnica lavora silenziosamente, preparando il terreno della contemporaneità.

Le piume di Icaro

La levità della New age riflette la leggerezza dei voli nel cosmo, l'inconsistenza della televisione, la vaporosità del Web, il quale è per antonomasia "senza gravità", assolutamente senza peso, perfino nei momenti più seri. Del resto il mondo dei bit è spesso descritto ricorrendo a metafore fluide, ondivaghe e impermanenti. Che ciò sia vero o falso è ininfluente. Non è tuttavia irrilevante che esso sia avvertito e descritto così. L'utente-membro del clan ciberspaziale percepisce le informazioni elettroniche come un fluido verbovisivo che "vola" liberamente in un non-spazio, aggregandosi "liberamente" in un gioco di logiche sfumate e senza confini propri.
La New age riflette sul piano spirituale questa percezione difforme ma comune. Da qui la negazione del centro di attrazione, che nelle religioni storiche è sempre il Santo. Leggendo i consigli spirituali propalati a piene mani dai vari guru del movimento sono stato colpito soprattutto dal costante e quasi maniacale attacco ai luoghi di culto. Durante un incontro che si tenne a Napoli presso la Libreria Guida ho udito personalmente Rosemary Altea che per bocca di ipotetici spiriti trattò per quasi un'ora della inutilità del culto dei morti. Gli spiriti, le forze vitali, i corpi astrali ecc. sono intorno a noi, in noi, ovunque. Dunque, perché perdere tempo in faticose escursioni nei cimiteri, o in noiose riunioni nelle chiese e nei santuari? Meglio "collegarsi" in presa diretta con lo spirito svolazzante intorno a noi, indirizzando pensieri e affettuosità tramite il modem spiritico.
Naturalmente una concezione del genere sviluppa un attacco frontale rivolto ai luoghi del senso e della memoria. Se il culto dei morti è praticabile anche in casa propria non altrettanto si può dire per un culto di natura più ampia e più profonda: quello legato alla memoria degli antenati o ai legami con la stirpe e con la comunità. Le tombe di famiglia rappresentano efficacemente l'unità attraverso il tempo, il significato della continuità, il rapporto con il passato, le radici. Altresì l'atto di attraversare la soglia di un luogo consacrato implica il riconoscimento del valore simbolico attribuito al recinto cultuale, all'hortus conclusus, il cui spazio è santo, dunque estraneo al mondo profano.
Fatto, quest'ultimo, sottolineato dai piedi nudi, dal capo velato o coperto, o ancora dal segno della croce potenziato immergendo le dita nell'acquasantiera. Il significato dello spazio consacrato, in qualunque religione storica, è interno alla celebrazioni liturgiche, ai riti. Inoltre il luogo sacro pone la comunità in comunicazione con esperienze della temporalità tipicamente ultramondane, cicliche, diacroniche. Senza questi spazi separati e "centrati" il tempo dedicato alle faccende dello spirito non può che essere un tempo atomizzato, individuale e privato. Alla lunga il tempo spirituale si confonderebbe con il tempo mondano, rendendo il primo insignificante e indifferente.
La simpatia, l'indifferenza o l'ostilità che ciascuno di noi può avvertire per questo genere di spiritualità non deve ostacolare la comprensione del fenomeno, la cui estetica si adatta perfettamente ad un mondo cablato. Un universo umano ad alta velocità, e dunque ad altissima entropia, non può sostenere il peso di una temporalità sacrale ciclica e a bassa entropia. Al contrario il legame "elettivo" e privato con il mondo dei morti, col proprio Karma o con l'universo delle entità angelicate riflette la condizione "gassosa" dell'individuo contemporaneo.
Il sistema mediatico, soprattutto nella sua parte più avanzata, soddisfa pienamente e contemporaneamente potenzia l'atomizzazione dei legami comunitari, familiari e in definitiva anche spirituali. Questa ostilità che la New age mostra per ogni forma di centralità si estende anche ai principi filosofici e ai massimi sistemi. La nuova religiosità rigetta l'ipotesi di un esemplare "pensiero del pensiero" di ascendenza aristotelica: principio motore dell'universo e suo spirituale nucleo gravitazionale. La New age, come è stato affermato fino alla noia, è appunto una religione senza Dio. Ciò nonostante essa non è insensibile a una visione teleologica, finalistica dell'universo, purché quest'ultima sia organica e caotica.
La negazione del Dio unico e trascendente mira a produrre alcuni effetti sul piano storico e pragmatico. Tra questi la disintegrazione delle comunità dei credenti, e delle relative gerarchie. Il peso dell'essere nel mondo, secondo un ordine stabilito dall'imperscrutabile divina provvidenza, è rigettato e rovesciato nella negazione del sentimento sul quale l'individuo propriamente "religioso" tende a strutturare il suo rapporto con l'altro da sé.
Da questo punto di vista il magnate o il derelitto finiranno con l'occupare lo stesso gradino nella gerarchia degli enti, a dispetto delle geometrie della vita che indubbiamente li distinguono.
La New age sostituisce all'Amore il Rispetto, all'inalterabilità dei principi la tolleranza verso tutte le "verità" fondamentali. In particolare, l'amore assume un senso indefinito, vibratile. In sintesi esso è "cosmico". Questo perché la vita basata sull'amore verso il prossimo, o sull'aspirazione alla realizzazione di un'utopia tanto straordinaria quanto per lo più smentita dai fatti, non può che ricostruire un tessuto serrato di obblighi.
L'Amore è pesante. L'Amore che discende dall'alto soggiace alla gravità del mondo. E si è affermato che la New age è invece leggera; essa ha in sé la vaporosità della mongolfiera, dell'aerostato, più ancora che dell'aereo, il quale aggiunge alla pesantezza del suo metallo anche quella della direzione prestabilita. La nuova spiritualità gode della leggerezza assoluta del satellite in orbita geostazionaria: oggetto che si libra in assenza di gravità a quote altissime, tutto sotto di sé dominando e ogni cosa scrutando, ma senza impegno, senza una vera responsabilità.
In breve è la leggerezza degli angeli, l'assoluta evanescenza delle pure vibrazioni di luce, che non a caso riempiono il pantheon della New age rinfocolando slanci che un tempo sarebbero stati definiti eretici.
La vibrazione, per definizione, non fissa un punto, non è archimedea, ed è piuttosto un fremito interiore che si esteriorizza, rendendo il soggetto irriconoscibile. Finanche fisicamente invisibile, secondo alcuni. Questa "funzione di sparizione", così vicina al senso dell'estetica della sparizione oggetto delle speculazioni di Paul Virilio, interviene sul senso dell'identità, dissolvendone i criteri.
La vibrazione universale che permea di sé la spiritualità del millennio che si prepara è anche una metafora del potere della trasmutazione alchemica. La sua primaria funzione consiste, infatti, nel rendere irriconoscibile l'identità, che non a caso è un altro luogo tipico della cybercultura, dell'estetica internettiana e dell'arte sperimentale ipertecnologica.
In un gioco di riflessi possiamo osservare equipollenze non facilmente spiegabili, se non assumendo una relazione dinamica manifesta fra le tecnologie e la spiritualità del prossimo futuro. A questo proposito cito testualmente un passo tratto da La profezia di Celestino, libro cult della New age: "L'illuminazione dice [...] che la maggior parte degli uomini raggiungerà questo livello di vibrazioni durante il terzo millennio, e le persone più collegate fra loro si uniranno in gruppi". 8
L'importante è vibrare. Come i Maya. O come Gesù, che in questo best seller riesce a camminare sulle acque del lago di Tiberiade solo perché è un abile vibratore, un'entità in armonia con l'universo. Secondo la New age tutti prima o poi sapranno vibrare. Vibro di emozione al solo pensiero. E se il sillogismo è corretto tutti prima o poi saranno altrettanti Gesù. Speriamo però di non finire crocefissi.
La Religiose Senza Dio manifesta un culto del tutto peculiare e piuttosto complesso che si potrebbe anche definire "Cosmofilia". L'espansione fisica (e psichica) nel Cosmo non può che negare l'ordine universale stabilito da Dio. La Ragione fonda la necessità di una siffatta esplorazione, ed è anche il suo principio e il suo fine. Ecco affiorare una certa qual affinità tra la cosmofilia e il culto della Ragione di ascendenza illuminista.
E ancora, l'espansione dell'uomo nello spazio esterno (e più in generale l'esplorazione della totalità dell'Universo fisico, dal macrocosmo al microcosmo) richiedono a gran voce la rinascita l'Übermensch: l'Uomo padrone assoluto del Cosmo medesimo. Unico dominatore, esso stesso dio, sia pure in potenza, e solitario abitatore delle regioni sideree. Ecco apparire all'orizzonte un conquistatore sempre minacciato, ininterrottamente sul punto di essere detronizzato da un Dio maggiore. Perché l'uomo contemporaneo è come Pegaso: una divinità senza legami, che librandosi nel firmamento a cavallo del suo alato destriero è sempre sul punto di suscitare l'invidia degli dei.

La Sistina virtuale

La leggerezza della New age si contrappone violentemente ad una sostanziale "pesantezza" delle religioni tradizionali. Ma fra tutte le religioni del libro, la Chiesa Cattolica è forse la più esposta ai venti fluttuanti di un movimento che opera in seno all'Occidente, e che anzi può essere interpretato come l'affiorare di una categoria dello spirito dei tempi alle prese col nuovo millennio.
La New age erode il campo d'azione della spiritualità tradizionale agendo sul suo stesso piano. Essa corrode senza tregua il calibrato sistema simbolico e iconografico del Cattolicesimo e riesce in questa gigantesca impresa con pochi mezzi. Com'è possibile? Ebbene, non è che un problema di "vibrazione".
Tutto ciò accade perché la nuova spiritualità oscilla senza soste fra i sistemi caotici contemporanei che si manifestano nell'economia, nella cultura, nell'informazione e nell'iconografia. Non a caso l'iconologia della New age nasce dalla potenza espansiva dei materiali iconografici elaborati in un intero secolo di storia delle immagini, e ora proiettati nel vortice delle icone immateriali e sintetiche.
Dal canto suo la Chiesa si difende con l'arma della storia, con il peso specifico del patrimonio artistico maggiore del mondo. Anche in questo secolo essa ha aperto le proprie millenarie porte a numerose celebrità. Si pensi a Manzù, a Pericle Fazzini, a Matisse. Come è noto il messaggio evangelico ha ispirato perfino alcuni avanguardisti: primo fra tutti il poliedrico Fillia, firmatario con Marinetti del "Manifesto dell'arte sacra futurista". Tuttavia, un bilancio complessivo relega l'arte sacra del nostro secolo in una posizione marginale, se non del tutto subalterna.
Le chiese spoglie e funzionali, sovente quasi "arboricole", che rappresentano l'architettura sacra del ventesimo secolo, denunciano un cattivo rapporto con il mondo dell'arte. Eppure la Chiesa conserva il prestigio di sempre e nessun artista rifiuterebbe di lasciare traccia di sé in un importante luogo di culto. Nonostante ciò, quella stessa Chiesa che ha favorito le più alte espressioni del Rinascimento e del Barocco appare oggi vuota, spoglia, ad un passo dall'iconoclastia protestante.
La crisi in atto riflette però la convergenza di almeno due vettori negativi, il primo dei quali consiste senza dubbio nel lavoro di corrosione, progressivo e inarrestabile, prodotto dalla psicodinamica della stampa.
Se è eccessivo affermare una supremazia del mondo culturale centroeuropeo affermatasi negli ultimi tre secoli non lo è ricordare che proprio il nord Europa fu il punto d'irradiazione di quella che Elizabeth Eisenstein definì la "rivoluzione inavvertita". In altre parole l'avvento della stampa tipografica: motore segreto della storia che stimolò la diffusione della "cultura del libro" e la progressiva formazione di una nuova mentalità lineare, logico-sequenziale e analitica di massa.
Le Sacre Scritture, trasformate quasi magicamente dalla stampa in oggetti relativamente maneggevoli, dal contenuto chiaro, esatto e alla portata di quasi ogni borsa, posero ciascun fedele in diretta comunicazione con Dio, sminuendo il ruolo delle gerarchie ecclesiastiche, ed eliminando di fatto l'intermediazione fra l'Assoluto e il profano; è un fatto che la stampa abbia alla lunga provocato l'insorgenza di una mentalità "astratta", l'affioramento di un regno della "quantità" che mal si concilia con il simbolismo liturgico e con la magnificenza dell'apparato formale e iconografico del Cattolicesimo.
Tutto ciò non è certo passato inosservato. Per esempio, Pierre Bourdier, nel suo La parola e il potere, notò che la Chiesa postconciliare ha ratificato la rottura del vecchio contratto di delega che univa il prete ai fedeli rinunciando in parte agli attributi simbolici del suo magistero. Bourdier si concentrò soprattutto sulla fine della messa in latino: lingua incomprensibile ai più, ma proprio per questo soffusa di un'aura magica che la messa in volgare non potrà mai sostituire. Tuttavia, queste stesse indagini andrebbero oggi estese al tramonto del ruolo funzionale dell'icona, e in generale della decorazione del luogo sacro. Il ripudio del latino, atteso e incubato per secoli, non ha segnato che l'ultimo atto di un lungo percorso.
La Chiesa rinunciò consapevolmente anche al suo monopolio sulle immagini nel momento stesso in cui i poteri tecnologici estesero la propria autorità sui sistemi di produzione e di riproduzione dell'universo iconografico. Probabilmente la Chiesa ha agito dimostrando un impressionante acume strategico. La battaglia delle immagini sarebbe stata comunque perduta al giorno d'oggi, proprio a causa dell'immane pressione eidomatica contenuta nelle rappresentazioni elettroniche. Retrocedendo, passo dopo passo, la Chiesa ha però conservato un certo margine di manovra in un campo che altrimenti avrebbe segnato la sua totale disfatta.
Il Cattolicesimo si è senza dubbio trovato nella spiacevole situazione di dovere fare i conti con la televisione e con il cinema. Ma su quel terreno essa dimostrò un notevole spirito agonistico. Il vero impatto si è verificato in seguito, con l'avvento del telefono cellulare e del videotape, delle sonde interplanetarie e del personal computer, della televisione satellitare e soprattutto delle reti informatiche. Strumenti ipertecnologici non certo neutri; non soltanto "estensioni dei nostri sensi", come profeticamente li definì McLuhan, ma anche vere e proprie ramificazioni dei poteri psichici umani. Ed è quest'universo tecnologico l'humus sul quale cresce rigogliosamente il popolo della New age.
Già dalle prime fasi di questa esplosione eidomatica la Chiesa ha assunto una studiata linea difensiva, fatta di lente ma costanti ritirate entro le cittadelle iconografiche difendibili, ma abbandonando apparentemente senza lotta quelle fortificazioni che stavano per essere circondate dal soverchiate nemico.
E l'antagonista è il vento dell'immagine tecnologicamente artefatta e mutagena. La vexata quaestio ha in realtà origini ancor più antiche. Regis Debray ritiene, a torto, che Hollywood discende ed è la diretta conseguenza dell'iconofilia che si è affermata in seno al Cristianesimo. 9 Eppure la Chiesa non ha speso molte energie nella difesa dei propri domini iconografici. La passività del Cattolicesimo dimostra piuttosto che l'apparato delle immagini fotomeccaniche, cinematografiche e infine virtuali ha costretto la Chiesa a costanti ripensamenti e talvolta a repentine retromarce.
Luigi Russo individua il fulcro della crisi oggi in atto in tempi insospettabilmente lontani, e per la precisione nel secondo concilio di Nicea, quando:

...L'antica trasgressione alla proibizione biblica di fabbricare immagini, spintasi fino a sciogliere nell'immagine l'assoluto, ha fondato grazie a Nicea il nostro 'impero dei sensi', proprio quello aperto dall'estetica moderna, in cui è oramai tecnologicamente consumata ogni divisione fra visibile e invisibile. 10

Gli studiosi tradizionalisti, dal canto loro, sanno bene che quella che è stata fino alla nausea definita la "civiltà dell'immagine" è in realtà un vento incessante di impressioni e di suggestioni. Terreno che gli studiosi dell'occulto attribuirebbero alle "potenze dell'aria". Per esempio, Maurizio Blondet considera la condizione psichica del nostro tempo ipermediatico un frutto tipico di quelle forze tenebrose che la tradizione sapienziale definisce "potenze dell'aria". Dove l'aria è un elemento "...mobile, fluttuante, simbolo di mutevoli stati psichici". 11 Blondet ritiene tra l'altro che i movimenti politico-culturali che si servono di quella forza "gassosa" si spargono nel mondo come un'epidemia. Essi mirerebbero al rovesciamento di qualsiasi valore.
Si tratta di una critica ad ampio raggio che colpisce senza dubbio l'estetica e la filosofia della nuova spiritualità occidentale, così affine alla forza di penetrazione dell'immagine elettronica. La New age, è opportuno ripeterlo, è per sua natura tendenzialmente gassosa, aeriforme, mutevole e fluttuante. In altre parole essa è latrice di un'estetica che Gùenon riteneva alla radice degli "stati d'animo diffusi", veri e propri insiemi sistematici di suggestioni capaci di modificare e di orientare la mentalità di intere collettività.
E non vi è dubbio che viviamo oggi in una cultura tecnologica capace di ristrutturare e riconfigurare periodicamente la psicodinamica, l'identità, l'ordine delle relazioni sociali, nonché l'insieme delle credenze e dei desideri comuni. Clifford Stoll, il celebre hacker "buono", nemico dei pirati dell'informatica, ammette senza falsi pudori che l'informazione reticolare radicalizza o dissolve le strutture istituzionali e le identità che investe:

La tanto pubblicizzata infrastruttura dell'informazione si rivolge a pochi bisogni sociali o interessi commerciali. Al tempo stesso minaccia direttamente parti preziose della nostra società, comprese scuole, biblioteche e istituzioni sociali. [...] È un mondo sterile. [...]. 12

Stoll, da autentico grande esperto della Rete, scopre fra l'altro che il sogno della biblioteca borgesiana è in realtà una piacevole chimera accarezzata dai neofiti delle comunicazioni online o dai retedipendenti. E il motivo è semplice: le risorse necessarie a digitalizzare lo scibile umano contenuto nei supporti cartacei tradizionali supererebbero di gran lunga i fondi spesi per tenere in piedi le biblioteche tradizionali. I mezzi elettronici sono piuttosto inadatti all'archiviazione. Questo è un dato di fatto degno di nota, anche perché la relativa coerenza delle culture in fondo si regge sulla qualità dei sistemi di trasmissione culturale.
Inoltre si pone il problema della scelta dell'informazione. Promuovere un certo tipo di informazione e bocciarne un altro è un procedimento decisionale sempre esistito. Ma Stoll ritiene che la natura della digitalizzazione offra poteri inusitati a chi gestisce questi processi. 13 Lorenzo De Carli, seguendo una cultura che annette grande importanza alla microstoria, notava a questo proposito che il destino di fragili archivi sarà in futuro con ogni probabilità votato a una precoce fine.14 Personalmente sono propenso a credere che la dinamica dell'informazione in rete tenda a distrarre piuttosto che a focalizzare. A che vale avere a disposizione un immenso archivio globale? Probabilmente l'apparenza corpuscolare, caotica e disseminata della spiritualità contemporanea non è che l'effetto di un siffatto procedimento di moltiplicazione forsennata dei referenti, dei segnali, dei codici, affidati però a veicoli volatili e inadatti al pensiero logico-sequenziale e strutturato. Il popolo della New age vive di psichedelia e non di logica. E la sua matrice, prima ancora che internettiana, affonda nella memoria storica della televisione anni '60.15
In seno a questa spiritualità tecnologica tende pertanto ad affermarsi una mentalità transnazionale e transculturale che percepisce il mondo come un confuso flusso di eventi, magari legati all'emozione di un istante irripetibile, di un fatto rimarchevole ed eccezionale, di un capovolgimento repentino e inatteso.
Come per esempio una statua che lacrima sangue, siero, latte, come l'immagine di Padre Pio che affiora dall'intonaco di un palazzo. O come la collina marziana che per un gioco di luci finisce per assomigliare alla ciclopica scultura di un volto umano, alimentando un culto per gli extraterresti tanto potente quanto effimero.
Siamo agli antipodi del contenuto psicosensoriale dell'icona, che è invece sintetica, discontinua, immaginifica. Ma che è in primo luogo permanente. I manufatti, non meno delle biblioteche, e in definitiva anche le opere d'arte, ci servono per ricordare chi siamo, per dare un senso compiuto alla nostra identità individuale, storica, sociale o culturale.
Argomenti che già affioravano nelle pagine profetiche di Pavel Florenskij. L'arte di questo secolo - sosteneva Florenskij - obbedisce più che altro alle regole della propaganda e della pubblicità. Essa tende perciò, e soprattutto, a creare "macchine per la suggestione", laddove "la suggestione è il gradino più basso della magia". 16 Da qui la nascita di innumerevoli opere che stimolano turbini e tempeste spirituali, centri di irradiazione capaci di generare potenti ma volatili associazioni di idee. Certo, Florenskij si riferiva alle macchine magiche del suo tempo: il cinema, la fotografia, la radio. Strumenti che però, nonostante tutto, hanno sempre riservato uno spazio alla referenzialità.
È arduo immaginare che cosa egli avrebbe pensato al giorno d'oggi: epoca in cui, per la prima volta, entrano in scena le vere macchine magiche del futuro annunciato. Le macchine per la creazione di quelle realtà virtuali che saranno presto o tardi matrici di ogni evento antropologico ed estetico degno di nota. Magia tecnologica: ovvero l'antitesi della religiosità. Ma forse, in un lontano futuro, la Chiesa sostituirà la Cappella Sistina reale con la grandiosa sintesi di un'apocalisse virtuale.

Il lato oscuro del Cosmo

I germi di questa apocalisse si affacciano nel nostro tempo fra le pieghe dell'ottimistica spiritualità transreligiosa. Ma essi assumono l'aspetto dei mostri sepolti nell'inconscio.17 Sono affioramenti dell'inesprimibile, barlumi di una diffusa coscienza planetaria che deve fronteggiare lo spettro che si cela dietro la cortina che la volontà umana è in procinto di squarciare.
La Razza stellare non rimira il firmamento, ma mira ad esso, già dal tempo di Jules Verne e dei suoi cannoni lunari. Ma di là dall'atmosfera i conti possono anche non tornare. Il cinema, questa efficientissima macchina delle aspirazioni collettive, ha registrato a più riprese un siffatto stato d'animo. Penso per esempio al recente Il quinto elemento di Luc Besson, tratto dall'omonimo romanzo di Terry Bisson,18 prodotto cinematografico per certi versi claudicante, nonostante l'apporto di Moebius alla definizione dei personaggi. Quantunque la critica non lo abbia rilevato, non vi è dubbio che Il quinto elemento può ben essere definito un film profondamente attratto nell'orbita della New age. Solo per citare qualche dato esso propala una religione della vita di stampo universale, una visione cosmica dell'amore, nonché dell'autocoscienza in quanto principio dell'autoaffermazione; proiezione salvifica connessa a una non meglio identificata tradizione che affonda nel mito.
Trovo molto interessante l'idea del male che viene dallo spazio nell'anno di grazia 2559 sotto forma di un colossale ma del tutto virtuale pianeta. Il male, cioè il nulla (la volontà di annientare la vita) e il bene, simboleggiato dalla figura di Leeloo, l'ultraumana redentrice interpretata da Milla Jovovich, in questo film si combinano fra loro in modo esemplare, con grande semplicità e castità di mezzi simbolici. Il che non incanterà alla critica, ma di certo piacerà al filosofo in cerca di segnali paradigmatici.
Fra gli innumerevoli esempi trovo però particolarmente indicativa la serie dedicata all'Alien, al mostro senza apparenti punti di contatto con le umane sembianze. Il primo film, diretto da Ridley Scott (1979), sembrava conclusivo ed esaustivo. E invece siamo al quarto prodotto della serie, certamente non l'ultimo, né il definitivo. Segno che l'archetipo dell'Alien possiede una sua incontrollabile vitalità. Questo mostro immaginario è impastato della stessa oscura sostanza dello spazio cosmico. In Alien 3 l'orrenda creatura fa la stessa brutta fine riservata all'essere spaziale di The Thing di John Carpenter (1982): la sconfitta e l'annullamento derivano dal contatto col fuoco, segno che l'Alien è una creatura acquatica, umorale. La fiamma della ragione vince l'acqua, distillata dalla madre terra come il liquido amniotico, o come il mestruo.
L'alieno del secondo film della serie, cresciuto a dismisura rispetto al primo, è invece annientato da una protagonista umana ingigantita e meccanizzata. Il principio femminile, presente nella specie umana come in ogni altra specie, ha però assunto le sembianze di un principio maschile incarnato nel sesso complementare. Pronubo di questo sposalizio è il feticcio biomeccanico, la tuta cibernetica che sintetizza la nave spaziale, ovvero il seme cosmico al quale la specie umana affida la propria sopravvivenza. Il sogno tecnologico salva dunque l'umanità dal nulla indifferenziato, dall'oscurità ctonia della natura naturata.
In Alien 3 disgustosi baccelli simili alle ampolle seminali dipinte da Bosh vomitano i loro ripugnanti feti: una ennesima metafora dell'inquietante potere vitale della natura. Alien è inoltre il prodotto della più aberrante forma d'alienazione, tant'è che esso nei quattro film della serie, caso unico nel suo genere, non conserva le stesse sembianze. In Alien 3 Ripley ha abbandonato i panni della bella guerriera dominatrice che caratterizzarono la prima interpretazione dell'attrice Sigourney Weaver. La terza versione di Ripley è un personaggio spiritualmente evoluto, forse in po' caricato, ma certamente già poco "terreno"; in più di un senso premessa logica dell'ultraumana Ripley di Alien-La clonazione.
C'è dell'assurda spiritualità anche nel mondo-prigione ove precipita l'astronave col suo carico di orrori, reduce della spaventosa battaglia finale di "Aliens". Il pianeta Fury 161, curiosamente ribattezzato nella versione italiana "Fiorina 161", è infatti un grande complesso carcerario, l'Alcatraz del futuro, un girone infernale lontano dalle rotte interstellari e popolato da un gruppo di ergastolani che ha scoperto Dio nel luogo dell'estrema espiazione e dell'assoluta vacuità sociale.
In questo ambiente paranoico e maschilista, che reagisce con gli strumenti del fondamentalismo religioso alla durkheimiana anomia, giunge all'improvviso una donna. Eppure la sua presenza quasi non scatena appetiti sessuali, se non per puro caso. La Ripley di Alien 3 è più simile a un monaco buddista che a un'amazzone intergalattica. Ed è proprio questa accentuata valutazione dell'elemento spirituale che colpisce.
Ripley incarna quasi senza sfumature la parte spirituale dell'eterno femminino. Ella è il prodotto di una scissione, che ha gettato nell'ombra la parte tenebrosa, ctonia, della femminilità. Una parte che affiora sotto forma di mostro insaziabile e oscuro: appunto l'alieno. Per quanto disgustose, le sembianze mutevoli dell'Alien richiamano alla mente le oscure strutture anatomiche del sesso femminile, irrorate da abbondanti umori colloidali che in questo caso destano ribrezzo perché rivelatori di funzioni organiche primordiali.
In un certo senso l'ostilità che i reclusi riservano alla quasi indifesa Ripley è giustificata dai fatti. Gli ergastolani di "Fiorina 161" velatamente avvertono che l'universo femminile in conflitto con se stesso sta per invadere il mondo logico, astratto, forse scomodo e scabro, ma senza dubbio totalmente maschile che essi hanno faticosamente costruito.
Se la comunità monastica avesse incrociato una donna in tutta la sua completezza avrebbe certamente reagito nel più classico dei modi: soccombendo alla seduzione, e successivamente partecipando alla lotta per la conquista del premio. Tutto ciò non accade perché la società di Fiorina 161 capisce di essere al cospetto di un fenomeno schizofrenico.
Alien e Ripley sono in realtà due personalità antitetiche in conflitto, parti separate che condividono più volte un solo corpo, e che provengono da una sola mente schizoide. E questo corpo ospitante è in primo luogo l'astronave. In Alien 3, di David Fincher, la protagonista si immola quando capisce di ospitare nelle sue viscere un piccolo alieno. Ma Ripley fugge trascinandosi il mostro che ha visto nello specchio della sua interiorità: il confuso gorgoglio primordiale della sessualità.
Non a caso nella sua lotta per la sopravvivenza Alien ricorre alla metamorfosi, prerogativa delle forze materiali. "Non ne ho mai visto uno come questo - dice la protagonista - Si muove in modo diverso". E infatti il mostro creato da Alec Gillis e da Tom A. Woodruff Jr. si distingue parecchio dall'originale disegnato da Hans Rudolf Giger, pur conservandone la fisionomia generale.
Circa questa invenzione di Giger Aldo Carotenuto scrive:

La mostruosa creatura di Alien, vampiro spaziale, che succhia la vita degli esseri umani, è ideata da Giger e riassume, con la sua spaventosa metafora, un suo personale incubo. Dall'uovo spaziale viene alla luce la creatura aliena, moderna incarnazione del Male, che assale gli esseri umani distruggendoli. 19

In realtà il mostro di Giger nasce dalla fantasia dello scrittore Alfred Elton Van Vogt, che nel romanzo Crociera nell'infinito, pubblicato nel lontano 1939, descrisse una creatura spaziale dalle caratteristiche assolutamente identiche all'Alien di Ridley Scott (1979). La lontana ascendenza della figura dell'alieno, le cui tracce affiorano sotto altre forme nel corso dei millenni, dimostra che questo luogo figurato possiede davvero una sua intrinseca potenza suggestiva. Con la differenza che l'Alien cinematografico si carica esplicitamente di valenze sessuali legate al problema collettivo che l'universo femminile si trova costretto ad affrontare in un'era tecnocratica e tecnologica.
L'uovo primordiale di cui parla Carotenuto è appunto una rappresentazione dell'uovo cosmico, del vaso ancestrale. Una raffigurazione che richiama alla memoria l'atavica Grande Madre.
In Aliens il mostro si trasforma in una titanica madre regina. Poi, in Alien 3, torna ad assumere dimensioni più accettabili, conservando l'aspetto di un drago ibridato a un insetto; ma il nuovo mostro è anche più agile, meno visibile, più agghiacciante. Particolare interessante: essa (perché si tratta appunto di una femmina) non possiede gli occhi, anche se ci vede benissimo, forse grazie a una visione "mentale". Perché, come afferma il proverbio, le forze della natura sono cieche, e alla cieca colpiscono. Non bisogna dimenticare che il recondito stato ontologico della Natura resta a tutti sconosciuto, invisibile come Alien. E visibile, ma per un breve e fatale attimo, soltanto alle sue vittime. Come la morte.
Quantunque in Aliens scontro finale compaiano numerosi piccoli alieni maschi, conta soltanto la grande mantide religiosa, la femmina madre: immane, dominatrice e invincibile. Non a caso il regista affiderà il finale a un formidabile scontro fra titani: da un lato la forza della natura in tutta la sua esuberanza, dall'altro Ripley ingigantita da un ciclopico esoscheletro metallico, irto di giunti cardanici e di pistoni idraulici, vero trionfo della potenza astratta della mente.
E con ciò giungo al punto centrale di questa lunga analisi. Aliens scontro finale è appunto la descrizione dell'avventura scissione: l'evoluzione culturale ha portato la Razza stellare in ogni angolo dell'universo, ma a patto di trasformare qualsivoglia istanza naturale e istintiva in qualcosa d'altro: in un mondo di percezioni ultraumane (e perciò muto) descritto dalla reincarnazione bioingegneristica di Ripley in Alien Resurrection (Alien-La clonazione) di Jean-Pierre Jeunet.
Anche se sarà seguito da altri episodi il quarto prodotto della serie dedicata al più recondito archetipo collettivo del nostro tempo chiude di fatto il cerchio. La clonazione di Ripley crea un ibrido dalle sembianze umane, ma con caratteristiche aliene (il sangue acido, la superforza, la sensibilità acutizzata). In una forma mostruosa e aberrante Ripley riconquista la propria femminilità, è generatrice di un mostro-madre regina, e "nonna-madre" di un impressionante ibrido bambino-mostro.
Tutto il film inneggia a un'ominizzazione di ordine superiore raggiunta dalla protagonista dopo un viaggio secolare che è insieme tecnologico e iniziatico. Al termine del percorso c'è la Madre Terra, bellissima e arcana, che attende la sua sacerdotessa. Vedo in Ripley l'essenza più profonda del fenomeno New age perché essa è l'archetipo della papessa di una nuova religione, profeta di una spiritualità in evoluzione perché in evoluzione è l'organismo umano proiettato negli spazi interstellari.

Culture agglutinate

Il lungo peregrinare dell'immaginazione del nostro tempo fra le regioni di uno spazio cosmico carico di promesse e di pericoli si conclude qui. Non senza alcune brevi conclusioni. Lo spazio cosmico, ma purgato dalla presenza della divinità, non può che trasformarsi in uno smisurato scenario dell'inquietudine umana, che resta sgomenta di fronte alla grandiosità del suo stesso ardimentoso disegno. Siamo al cospetto della riscoperta della dimensione romantica dell'esistenza. Giorgio Concato ha mostrato esaurientemente la rinnovata presenza della figura dell'eroe in William Gibson e nelle opere degli altri miti letterari o filosofici della cybercultura. 20 Ma a mio parere queste osservazioni vanno estese e radicalizzate in relazione al senso del sacro.
Ritengo infatti che la New age non sia una risposta al bisogno spirituale della fine del millennio, quanto una domanda di sacralità fondata sulla solitudine. Essa pertanto non può che partire da ogni singolo essere umano, e non può che terminare la sua parabola nella stessa disperante ma anche grandiosa singolarità.
Al contrario, il Dio di ogni religione storica non è mai solitudine (neanche con se stesso) ma è rapporto, relazione. Le religioni storiche insistono su questa "presenza" personalizzata, in qualche caso perfino intima, che intreccia le vicende dell'umanità al mistero divino in promiscuità talvolta inquietanti e inesprimibili. Ma il rapporto con Dio non può che maturare nel segreto dell'individualità. Non a caso Agostino di Ippona poneva al centro delle sue speculazioni la realtà dell'interiorità umana, e in una parola l'Io in quanto categoria dello spirito occidentale.
In assenza di siffatte fondamenta metafisiche non sarebbe neanche concepibile l'instaurazione di quella relazione unica e inviolabile che le religioni storiche (e in particolare il Cattolicesimo) presuppongono fra l'individuo e Dio, concepito come essenza vivente e libera che sceglie di intavolare un discorso lacerante con le sue stesse creature.
La New age asserisce un diverso tipo di terribilità metafisica nel momento stesso in cui concede all'uomo la possibilità della spiritualità senza religiosità, cioè negando una relazione unica e privilegiata fra due sfere dell'esistenza fra loro mutualmente incompatibili. Proprio per questo la New age non può che negare valore all'individuo, il quale deve disperdere il proprio Io nell'universo delle energie in movimento. Certo, viene da chiedersi fino a che punto questa acquisita libertà non trasformi gli uomini e le donne in oggetti della altrui volontà di potenza, cioè di ciò che il potere vuole che sia pensato, prodotto, sostenuto o affermato. Obiezione che da più parti viene mossa alla New age.
E con ciò vengo all'ultimo esempio tratto dalla recente filmografia. Nirvana di Gabriele Salvatores è forse per tanti versi un prodotto carico di citazioni e di déjà vu. Ma come sempre il filosofo poco bada alle ragioni della critica, soffermandosi piuttosto sui contenuti. Il futuro descritto in Nirvana mostra un melting pot non dissimile da quello che compare in Blade Runner di Ridley Scott; e tuttavia in questo incontro fra il futuribile e il passato Salvatores riesce più volte ad affondare il bisturi nel problema dell'identità. Memoria (virtuale o organica) e identità secondo Salvatores resteranno comunque distinte, perfino in un mondo di culture agglutinate come quello che egli descrive.
In Salvatores evidentemente parla la radice magnogreca della sua terra di origine, che è poi la regione del mondo che ha ospitato una spiritualità per tanti versi non dissimile da quella dei nostri tempi. Da quest'Olimpo discende l'umana capacità di creare un mondo virtuale che dimostra una propria autocoscienza, che esibisce l'arcana presenza dell'Identità autocosciente.
La critica non ha colto questo dato antropologico. L'Io virtuale che compare in Nirvana è il prodotto di un sogno pirandelliano. Ma con ciò Salvatores ha forse voluto affermare che la creazione di un mondo, di qualsiasi mondo, procede da un sogno divino. Ma a un certo punto accade che il prodotto di un sogno diventi esso stesso, e inconsapevolmente, il generatore di un sogno identitario altrettanto problematico e sofferente. Non a caso il protagonista del gioco virtuale chiamato "Nirvana", interpretato da Diego Abbatantuono, sceglie di morire. Egli chiede al suo creatore il dono della morte.
Nella tradizione ebraico-cristiana questa relazione fra il divino e l'umano appare fondamentale. Restituire la fetta di divinità che non ci appartiene è forse lo scopo della sofferenza e della morte; e il riscatto è tutto nel rapporto individuale, soggettivo, unico con il Dio creatore. È scritto: "Ecco, l'uomo è divenuto come uno di noi avendo la conoscenza del bene e del male. Ora facciamo sì che egli non possa più stendere la sua mano, né cogliere ancora del frutto dell'albero della vita, per mangiarne e vivere in eterno" (Genesi, 3, 22).
La morte e la sofferenza biblica sono la controparte della porzione di divinità che l'umanità avrebbe usurpato e che si esprime appieno soprattutto nell'insaziabile desiderio di conoscenza. Teilhard de Chardin, inconsapevole antesignano dell'ideologia New age, affermava che il processo di "ominizzazione" si manifesta a chiare lettere nell'ordine logico dell'avanzamento tecnologico, e a questo proposito scrisse parole profetiche.
L'insaziabile sete di conoscenza ha inesorabilmente condotto l'umanità verso un'era ipertecnologica che ribalta innanzi tutto il rapporto diadico fra l'Uomo e Dio. Ed è qui, in questo nostro tempo futuristico, che si preparano le basi di un nuovo e forse inesauribile viaggio nelle profondità dello spazio esterno. Nel momento in cui questo grembo lunare si squaderna anche lo spazio interno si ingigantisce. Lo spazio psicologico non ha più importanza. Dopotutto un dio è al di là della psicologia, e necessariamente al di là del bene e del male.
Comprendiamo, forse, il senso di questo asserto nietzschiano in un momento storico che non soltanto ha da tempo ucciso e seppellito Dio, ma che ha sostituito alla divinità trascendente l'immanente divinità dell'uomo.

L'annunciazione di Peter Gabriel

La Torà attribuisce la formazione dell'universo a una indecifrabile pluralità-unità di sostanze spirituali che dal nulla lasciarono emergere cielo e terra (Bherescyth bara Elohim eth hasciamaym veth harez). La Causa prima, il Logos disincarnato, l'indefinibile Supremazia spirituale aleggiava sulla materia "senza forma e vuota" (tòhu va-bòhu) (Genesi: 1, 2) sommersa da un misterioso oceano (tehòm) imparagonabile alla prosaica distesa d'acqua, e anzi piuttosto simile al principio archeomorfo immaginato da Talete di Mileto.
La parashàh di Bereshìth, o Genesi, immerge immediatamente il lettore in un'atmosfera di ineluttabilità archetipe, di abissi uterini e di tenebre (chòshech) sfiorate dallo spirito di Dio (rùach Elohìm), dall'Eterno, dal tremendo abisso del trascendente, sicché la funzione logica dell'universo, la sua consequenzialità temporale e sostanziale, scaturisce immediatamente dalla bella immagine di un Cosmo che cresce per giustapposizione di elementi eterogenei. Cosmo logico, perfettamente logico nella concatenazione funzionale degli elementi. Ma sconosciuto, assolutamente sconosciuto e misterioso nella realtà ultima e nella sostanza stessa delle forme che vengono progressivamente all'esistenza.
L'Universo biblico è quasi un'implicazione materiale ben ordinata e funzionante, matematicamente perfetta e meccanicamente calibrata. Dunque, il Cosmo è atto votato a una costruzione unidirezionale: Uni-verso. Un siffatto ordine pervade la cosmogonia ebraico-cristiana in tutte le fasi della costruzione del Cosmo, fino alla creazione dell'uomo e della donna. I campioni primigeni dell'umanità non sono vere id-entità; essi infatti non rispondono, non interloquiscono, ma sono posti semplicemente in cima alla gerarchia del panorama creaturale e delle specie dotate di "anima vivente".
Fin qui il Genesi descrive semplicemente il compimento di una suprema organizzazione del cielo, della terra e di tutti gli altri esseri (Genesi: 2, 1).
Non così avviene per l'uomo persona, al quale Dio infuse il soffio. Adamo non si sveglia dal sonno della materia inorganica, ma al contrario egli, nel momento in cui non è più fango, inizia a pensare. E a desiderare ciò che è altro da sé. Non a caso le prime azioni di Adamo sono eminentemente verbali:

Adamo dunque assegnò il nome ad ogni animale domestico, a tutti gli uccelli del cielo e ad ogni animale della campagna. (Genesi, 2, 20).

Qui nascono due considerazioni: in primo luogo Adamo non possiede un potere nominale sulla Natura inorganica. Essa infatti non è nominata, non rientra nel recinto del nomos. La Natura, evidentemente, segue leggi sue proprie. Essa è già nel mito separata e unidirezionale, appunto Universo, al quale la forma è di fatto estranea. Nominare è infatti un formare relazioni significative e fino a un certo punto arbitrarie. L'indicalizzazione è il frutto di una percezione simbolica, stabilisce e stabilizza le forme.
In secondo luogo Adamo si rende conto di non essere in grado di nominare se stesso. La natura sfuggente del meccanismo cosmico si riflette nella insondabile qualità dell'identità adamitica. Adamo non trova in sé il principio di un atto simbolico. Egli non si raffigura. Per superare questa inaudita impasse Dio deve nuovamente intervenire per creare la coppia primigenia.
La cosmogonia ebraico-cristiana insegna che la personalità è inscindibile dal suo sostrato oscuro, ctonio, sognante, dal suo segreto contatto con l'ordine velato del Cosmo. Adamo ed Eva sono due artisti rinascimentali, due personalità leonardesche che non si accontentano del dominio ad essi elargito sull'ordine referenziale dei segni. Il loro scopo è infatti diventare soggetti creativi, penetrando essi stessi nell'opacità dell'ordine cosmico e facendosene arbitri; appunto creatori.
Non è affatto casuale che questa scissione originaria compaia in Eve di Peter Gabriel. L'antico leader dei Genesis è stato l'artefice di una delle più singolari opere collettive digitali mai realizzate con i moderni mezzi tecnologici. Eve può essere certamente definita un'opera dall'inequivocabile sapore New age. Essa affronta in chiave psichedelica il problema del rapporto fra l'uomo, la donna e la Natura immergendo l'utente in un vortice di musica, di considerazioni filosofiche e di immagini digitali secondo la tecnica dell'adventure game.
Opera forse prematura, Eve mescola luoghi comuni a citazioni complesse. Così, banalmente, l'atto sessuale espelle Adamo dall'Eden, scagliandolo in un grigio e ballardiano scenario postatomico. Per non dire dello spregiudicato orinatoio-cupola genetica, ricolmo di cioccolata fusa, nel quale sguazza la coppia originaria: una citazione duchampiana dovuta a Helen Chadwik.
Del resto, Le Mutt., realizzato da Duchamp nel 1913, è appunto la rappresentazione metaforica della vagina-madre-cloaca oscura, forma tecnologica e seriale dell'antro, della maleodorante fonte dionisiaca ("Mutt" in tedesco significa come è noto "madre").
Ma ciò che davvero stupisce in questa produzione collettiva è proprio il senso del gioco elettronico. La riconquista dell'Eden, nel Peter Gabriel-pensiero, sarà realizzata dall'avvento dell'era elettronica. L'Eden è il mondo virtuale. Il movimento New age è l'immagine proteiforme di una religione senza Dio. E Peter Gabriel è il suo profeta. O almeno uno dei tanti.
La sorte dell'uomo contemporaneo, dell'ultrauomo, è tutta racchiusa nella definitiva rescissione del contratto con Dio. Negando ogni forma di restituzione di ciò che l'uomo ha usurpato non resta che la sfida finale, con tutti i suoi mostri nascosti. Non resta che l'accettazione del Destino assoluto. Non resta che la trasmutazione, ad ogni costo, della razza umana in una progenie stellare.
Le religioni storiche e le loro gerarchie sanno bene che il centro di questa rivoluzione concettuale è la donna, che in questo contesto di rinnovata spiritualità inizia ad apparire in tutta la sua travolgente potenza. Ed è forse questa il più irriducibile ostacolo storico presente in tutte le religioni del libro, parimenti basate sulla rivelazione emanata da un Dio-padre, sull'incarnazione di un Messia maschio, sui precetti di un profeta con tanto di profetica barba. Il meccanismo repressivo ha funzionato fin quando il ruolo della donna è stato compulsato in quello della fattrice o in quello consimile della produttrice e della consumatrice.
Che fare dunque della parte femminile? Come confrontarsi con la sua potenza irriducibile e tanto più esplosiva dal momento che la tecnologia ne potenzia le intenzioni? Il personaggio di Ripley, sul quale avrei voluto soffermarmi più di quanto non mi consentano i limiti del presente saggio, in un certo senso risponde a questa domanda.
Ella rappresenta una sfida cosmica con il proprio corpo fisico, ma anche con il corpo sociale. Il suo viaggio nelle regioni sconosciute dell'ultraumano, che segue l'attraversamento di almeno tre fasi iniziatiche, tende a suturare la ferita di un'immane scissione originaria. Ripley è anche la sacerdotessa di una rinnovata religiosità che ricongiunge, mediante una scala cosmica, il regno di Iside, dea dei serpenti (l'Alien per antonomasia), al dominio metafisico maschile e ineffabile dell'Eterno.
Non a caso il culto della Dea Madre si sviluppò in contesti relativamente autonomi e chiusi. Per esempio nella civiltà cretese. Isolamento e divinità femminili dominanti sembrano in qualche misura fenomeni connessi.
Ma il cosmo arcaico che incombe sulle religioni monoteiste era chiuso dalla sfera delle stelle fisse che costituiva il limite dell'incommensurabile. Al contrario, nel nostro tempo, il Cosmo non è che estensione, mentre la Terra intera non è che una nuova e grande isola. La Madre Terra lanciata nel Cosmo. Da questo punto di vista non vi è dubbio che la New age, quale visione riflessa di un universo tecnomediatico in formazione, e di nuova concezione, percepisce con lucidità un aspetto saliente dell'evoluzione spirituale e sociale che si manifesta nel nostro tempo.




 

2 Bartolomeo Dobroczynski, New Age, Cracovia, 1997, New Age. Il pensiero di una "nuova era", trad. it. a cura di Mauro Martini, Bruno Mondadori, Milano, 1997. Cfr. anche Michel Lacroix, L'Idéologie du New Age, Flamarion 1996, L'ideologia New Age, tra. it. a cura di Andrea Bini, Il Saggiatore, Milano, 1998.

3 Albert Clayton Gaulden, Claring for the Millennium, New York 1997, Riti di purificazione per il nuovo millennio, trad. it. a cura di Alessandra di Vizzi, Sonzogno, Ariccia RM, 1997; Gaulden dirige i corsi del Sedona Intensive, cittadina dell'Arizona e fulcro della New age. Cfr. anche Rosamary Altea, Proud Spirit, New York 1997, trad. it. di Elena Malossini Fumero, Sperling & Kupfer 1997.

4 Deepak Chopra, Perfect Health, 1991, Benessere totale, trad. it. a cura di Alessandra Magherini, Sperling & Kupfer, 1996.

5 Gianni Vattimo, È una rete senza centro ma ci dà un premio: la libertà, in ""Telèma", a. III, n° 8, primavera 1997, pp. 4-5. Gli ammiccamenti di Gianni Vattimo alla New age non costituiscono un caso isolato. Al contrario l'intero universo culturale al quale Vattimo appartiene è in movimento verso siffatte istanze.

6 Elizabeth L. Eisenstein, op. cit., p. 447 e ss.

7 Stephen S. Mason, A History of the Sciences, 1956, Storia delle scienze della natura, trad. it. a cura di Adriana Carugo, Feltrinelli, Milano, 1971, tomo I, p. 150 e ss.

8 James Redfield, The Celestine Prophecy, New York 1993, trad. it. A cura di Alessandra Vizzi, La profezia di Celestino, Corbaccio, XXI ed. 1997, p. 246. (cfr. anche il prosieguo intitolato La decima illuminazione).

9 Regis Debray , Vie et mort de l'image. Une histoire du regard en Occident, Gallimard, Paris, 1992, p. 77

10 Vedere l'invisibile. Nicea e lo statuto dell'immagine, a cura di Luigi Russo, Aesthetica edizioni, Palermo, 1997, p. 10. Altrove Russo ha precisato che "... nel paganissimo mondo che abitiamo la tecnologia ci consente di vedere il nostro corpo dall'interno mentre stiamo vivendo. Cioè, per le umane possibilità, vediamo l'invisibile; lo stesso vale per la realtà virtuale, che esiste, appunto, finché dura l'immagine (visibile) di qualche cosa che però non potremo mai vedere (invisibile) perché non esiste". Cfr. "Corriere della Sera"

11 Maurizio Blondet, Gli "Adelphi" della dissoluzione. Strategie culturali del potere iniziatico, Edizioni Ares, Milano 1994. p. 68.

12 Clifford Stoll, Silicon Snake Oil, (c) 1995, Miracoli virtuali. Le false promesse di Internet e delle autostrade dell'informazione, trad. it. a cura di Libero Sosio, Garzanti, Milano 1996, p. 251.

13 Ibidem, p. 198 e ss.

14 Lorenzo De Carli, Internet. Memoria e oblio, Bollati Boringhieri, Torino, 1997, p. 123 e ss.

15 Douglas Rushkoff, Cyberia. Life in the tranches of hyperspace, Harper Collins, New York, 1995, p. 225 e 235. Cfr. anche l'utile raccolta Starship. Viaggio nella cultura psichedelica, a cura di Franco Bolelli, Castelvecchi, Roma, 1995.

16 Pavel Florenskij, lo spazio e il tempo nell'arte, I ed. 1923-24, trad. it. a cura di Nicoletta Misler, Adelphi, Milano 1995, p. 97.


17 Carl-A. Keller, New Age, La coscienza del 2000, Ed. Mediterranee, Roma, 1996.

18 Terry Bisson, The Fifth Element, Gaumont 1997, Il quinto elemento, trad. it. A cura di Alessandra De Vizzi, Adriano Saloni Editore, Firenze, 1997.

19 Aldo Carotenuto, Il fascino discreto dell'orrore, Supersaggi Mondadori, Milano 1996, p. 286.

20 Giorgio Concato, L'angelo e la marionetta. Il mito del mondo artificiale da Baudelaire al ciberspazio, Moretti & Vitali, Bergamo, 1996, p. 206 e ss.
1

12



 

XXXXXXXXXX

Up

 

Home ] Up ] NEW ENGLISH ] MORPHOLOGY ] MEMBERS ] Gallery ] Archive ] Services ] NEWS ] VRML GALLERY ] EDUCATION ] DESIGN ]

Mail to demontmorphology@hotmail.com
© 1999 DEMONT morphology Copyright
      The contents of this site, including all images and text, are for
      personal, educational, non-commercial use only.
      The contents of this site may not be reproduced in any form .