Virtuale
Gli antecedenti dell'estetica del virtuale
Il sorgere delle grandi correnti artistiche italiane nella prima metà di questo secolo
oscura abbastanza la fioritura di temi riferiti alle mutazioni psichiche, culturali,
persino organiche derivanti dalle nuove tecnologie che si affermavano frattanto:
soprattutto le tecnologie di comunicazione. In quella fioritura di temi si sviluppò un
intenso dibattito che in Italia coinvolse in diversa misura il mondo dell'arte nel suo
complesso, originando soluzioni le più antitetiche possibili. Tutte però accomunate
dalla percezione che qualcosa, sotterraneamente, minava o trasformava radicalmente le
consuete relazioni umane.
Del resto, se è vero che ogni cultura è esposta alla deflagrazione che segue
l'introduzione di un nuovo medium è anche noto che il mondo dell'arte è sempre stato
particolarmente sensibile alla centralità di questi mutamenti. Ma certo, agli inizi del
secolo il telegrafo senza fili e il telefono (strumenti che concentrano il tempo) ancor
più della fotografia e del cinematografo (invenzioni che ridisegnano lo spazio)
dissolsero rapidamente l'universo separato e tranquillo dell'artista ottocentesco. Spariva
per sempre la benjaminiana "aura" dell'opera d'arte e con essa declinava la
figura del genio chiuso nel suo studio e intento a "rappresentare" scampoli
ordinati e separati di realtà, o al più segmenti di percezione visiva.
Non è certo un caso se l'ansia di innovazione recepita dai primi futuristi si sia
trasformata in stress e infine in rifiuto programmatico degli enunciati avanguardistici,
come dimostra il manifesto Contro tutti i ritorni in pittura, firmato nel 1920 da Russolo,
Sironi, Dudreville, Funi.
Ma in quegli anni la diffusa invocazione di uno stile in grado di scandagliare il mondo in
"profondità" - tema caro a De Chirico - può anche essere letto come una
risposta retroattiva, che proveniva da una esperienza estetica solo apparentemente
contrapposta, ma in realtà strettamente aderente alla psicodinamica accelerata ed
esplosiva dei mezzi di comunicazione moderni: i giornali a larga tiratura, le affiches, i
pieghevoli, i cataloghi. Oggetti già contaminati dall'universo acustico in espansione e
che, infatti, secondo Apollinaire, "gridano forte" il loro contenuto poetico. In
fondo le metropoli d'inizio secolo erano terreno di coltura di un mondo sonoro inedito e
complesso, che mescolava il rumore della ruota del barroccio al motore a scoppio, e la
pianola al grammofono.
Un universo caotico e rumoroso che aspirava al silenzio, al desiderio della temporalità
distesa e mitica. Non a caso De Chirico, in Zeusi l'esploratore, richiamando l'oscuro
Eraclito scriveva che "Il mondo è pieno di demoni" sicché "Bisogna
scoprire il demone in ogni cosa". E ancora:
I demoni della città m'aprivano la strada. Quando rincasavo altri fantasmi
annunciatori mi venivano incontro. Sui soffitti scorgevo nuovi segni zodiacali quando
miravo la sua fuga disperata che andava a morire in fondo alla camera nel rettangolo della
finestra aperto sul mistero della strada.1
De Chirico Un testo abbastanza criptico, ma in cui De Chirico adombra la dialettica fra
l'interno e l'esterno, tra la strada e lo studio, fra i luoghi della mondanità e della
riflessione. Perché la scenografia della grande città d'inizio secolo suggerisce in sé
e per sé confini incerti, permeabili, multidimensionali e stratificati. La città moderna
è stata più volte paragonata al più complesso medium mai inventato, ed è infatti un
vero e proprio trasformatore psicosensoriale. 2 L'acceso dibattito sui problemi
dell'architettura e dell'urbanistica moderne svoltosi tra le due guerre partiva dalla
consapevolezza che la città è in realtà un medium incredibilmente potente e pervasivo.
Il rapporto fra il valore relativo dell'apparenza "oggettiva", strutturata dal
mondo esterno, e la potenza soggettiva dell'ascolto interiore emerge anche negli scritti
di Carrà, secondo il quale l'uomo doveva porsi in una condizione di "ascolto",
chiudendo gli occhi come L'idolo ermafrodito, o come L'amante dell'ingegnere, che appunto
non vede la riga e il compasso che le stanno di fronte perché intenta ad ascoltare ad
occhi chiusi.
Forse Carrà aveva compreso che il nostro tempo sarebbe stato dominato da ciò che gli
antropologi definiscono l'universo dell'"oralità secondaria", contaminato già
agli inizi del secolo dalla telefonia, dal grammofono e dai primi passi della radio.
Strumenti che McLuhan definì "estensioni dell'orecchio e della voce" e quasi
vere e proprie percezioni extrasensoriali: tecnologie capaci di decentrare ogni operazione
e, nel caso della radio ai suoi esordi, in grado di riempire l'etere col cupo richiamo di
un tamburo subliminale, sonnambulico e neotribale.3 Sicché Carrà, che sul tema della
disseminazione del medium della stampa aveva dipinto Manifestazione interventista,
scriverà:
Così io, in questo navigar sonnambulo, mi rimetto all'infinita parte di eternità che
è in me, per mezzo della quale mi sento in relazione col mio essere più vero, e cerco di
penetrare l'intimità recondita delle cose ordinarie 4.
Il gruppo dei futuristi fiorentini non fu meno interessato dei milanesi allo sviluppo
dei nuovi strumenti di comunicazione. Infatti, fra il 1916 e il 1918 il periodico
"L'Italia Futurista" fu teatro di un dibattito che in fondo riguardava il
rapporto fra l'artista e la percezione del mondo. Arnaldo Ginna e Bruno Corra, steineriani
e teorici dell'astrattismo, erano anche sperimentalisti attenti alle possibilità del
cinematografo. 5 Così come in San Dunn è morto, romanzo protosurrealista di Corra, il
vero protagonista è la metropoli con i suoi mille messaggi subliminali, luogo di
permutazioni catastrofiche, paesaggio ricombinante, simultaneo, assurdo: ambiente che
somiglia in modo sorprendente alle odierne simulazioni virtuali che distruggono la
referenzialità delle immagini, annichilendo la mente razionale.
Dal volantino al libro
Alla radice di queste discussioni troviamo il celebre manifesto sulla Ricostruzione
futurista dell'universo, scritto da Balla e Depero nel 1915. In questo testo, diffuso in
forma di volantino, gli autori scrivono:
... abbiamo intuito il concerto plastico-motorumorista nello spazio e il lancio di
concerti aerei al di sopra della città [...] Un giardino primaverile sotto il vento ci fa
intuire il fiore magico trasformabile motorumorista. Le nuvole volanti nella tempesta ci
fanno intuire l'edificio di stile rumorista trasformabile.
In sintesi ogni luogo della città partecipa a una festa in cui la comunicazione agisce
in tutte le sue potenzialità, accentuando quella vertigine che è tipica del gioco. Al
centro di un siffatto e bizzarro universo Balla e Depero pongono i bambini (o gli adulti
regrediti), tanto è vero che i due artisti si proponevano di costruire dei giocattoli in
grado di abituare il bambino "... allo slancio emotivo, [...] al coraggio fisico,
alla lotta e alla guerra (mediante giocattoli enormi che agiranno all'aperto, pericolosi,
aggressivi)".
Ipotesi avveniristiche, se si pensa che soltanto da qualche anno il giocattolo postmoderno
è sovente un "trasformabile". Senza dire che l'idea di costruire macchinari
enormi e pericolosi che coinvolgono il pubblico in un "teatro della crudeltà"
si è concretizzata solo oggi nelle Performing machines del gruppo ipertecnologico
Survival Research Laboratories.
Del resto, al centro della Ricostruzione futurista dell'universo vi è l'idea che
"... Giungeremo così a costruire l'animale metallico. Fusione di arte scienza.
Chimica, fisica, pirotecnica continua improvvisa, dell'essere nuovo automaticamente
parlante, gridante, danzante".6
Ma forse il senso recondito del manifesto si può apprezzare analizzando il medium con cui
esso fu diffuso. Infatti il volantino è appunto uno strumento di comunicazione aperto,
democratico e veloce. Anzi, i futuristi dimostrarono una predilezione per il volantino,
lanciato dalla macchina, dall'aereo, dal Campanile di San Marco. Mentre per accreditarsi
essi scelsero la via dei grandi quotidiani. Con un conseguente largo uso della
comunicazione "a mosaico" tipica del giornale, del quale i futuristi assunsero
sovente il linguaggio e lo stile, mirando alla larga risonanza del messaggio.
Al contrario, il tradizionale scritto teorico è ermetico, complesso, ipotattico; ed è
perciò destinato alla rivista seria, specialistica, o addirittura al libro. Ma il
pubblico della rivista settoriale o del libro è a sua volta specializzato, separato dagli
altri specialisti, rassicurante. Senza dubbio il ritorno a una comunicazione di tipo
logico-sequenziale, settoriale, esegetico-critica, coincise con la crisi delle avanguardie
storiche e con i primi passi del "ritorno all'ordine". Resta il fatto che,
almeno inconsciamente, i pittori e gli scultori percepivano che l'epoca della nuova
comunicazione segnava la fine del plurimillenario dominio dell'artista sull'immaginario
sociale. Da qui, dopo l'esplosione delle avanguardie storiche, il bisogno generalizzato
della sobrietà, che in realtà nascondeva l'ansia degli artisti al cospetto della
modernità e dei germi non ancora fecondati della post-modernità.
Ansia che non sfuggiva certo alla critica d'arte più avvertita. Non a caso nel 1925
Margherita Sarfatti, trattando del gruppo del Novecento e a proposito dell'opera di Sironi
scriveva che l'artista nient'altro che le aride e crude forme della modernità:
... automobili e cannoni, trams, tanks, aeroplani e grattacieli, vie urbane affocate e
geometriche, senza anima viva a percorrerle; e figure umane disarticolate e sommarie come
congegni metallici, e congegni metallici espressivi e precisi come figure umane nella
tensione micidiaria: tutta un'arsura di meccanicità esasperata. 7
Anche il richiamo alla sintesi giottesca, o l'aspirazione al primitivismo che animarono
il dibattito del tempo nascondevano in realtà le ansie di un mondo culturale che cede il
passo a forme di comunicazione e di percezione del tutto inedite. In occasione della
Mostra del Novecento italiano Lionello Venturi celebrò in un noto saggio il definitivo
divorzio fra il paesaggio e la figura umana. Egli affermò che le opere che
rappresentavano esseri umani e non paesaggi mostravano l'assenza della
"simpatia":
Un uomo è veduto come un essere col quale possiamo fare buoni affari, o al quale ci
unisce la più intima antipatia perché ha l'abitudine di tagliarci la strada. La donna è
amata sì, ma di quell'amore che si esaurisce tutto fuori dell'arte. Di fronte ai nostri
simili abbiamo cioè perduto l'ingenuità necessaria. È facile guardare, con occhi
ammirati, con un sorriso di gioia, con animo reverente, con una umiltà che non provoca
mortificazioni, un ramo foglioso o un rivo scorrente. Ma se invece rivolgiamo l'occhio a
un nostro simile, introduciamo nello sguardo qualche cosa di più e qualche cosa di meno.
Gl'interessi scientifici o pratici hanno il sopravvento. Il nostro atteggiamento assume
carattere di lotta. 8
Dalle annotazioni di Venturi affiora il collasso di una civiltà giunta alle soglie di
una mutazione che si rispecchia nei luoghi e nelle cose. La civiltà mediterranea ha
sempre concepito la città come l'"artefatto" per eccellenza. Il tempio greco,
l'acropoli, si erge sulla natura, contemplandone le meraviglie, ma dall'altro di una
meraviglia di ordine superiore: quella dell'intelletto umano costruttore di mondi. Da qui
quell'autonomia estetica della città giunta a un punto critico nell'epoca della
modernità. Oltre quel punto di non ritorno la città si invola, aspirando ai cieli
infiniti, dapprincipio su fragili vascelli aerei, poi grazie ai satelliti artificiali. E
un domani nelle arche interstellari. Agli inizi del secolo questa aspirazione si
accompagna alla inconscia consapevolezza che il punto di non ritorno si lascia alle spalle
perfino il lontano ricordo ancestrale dello stato naturale.
Tra i maggiori interpreti di questa crisi vi furono com'è noto molti ex avanguardisti,
divenuti negli anni '30 nemici acerrimi del Futurismo. Ma dalla sua Marinetti aveva la
consapevolezza del fatto che il Futurismo in realtà rappresentava le fondamenta di
un'estetica transnazionale, perché al passo con le nuove forme di comunicazione che tutto
il mondo abbracciano in un solo istante
Aereo e radio: le nuove frontiere della sensibilità
Siamo negli anni del lancio in grande stile dell'aeropittura, momento storico in cui
l'aereo è ormai un potente mezzo di comunicazione, e in più sensi. 9 Certo è che gli
autori del manifesto de L'Aeropittura erano consapevoli delle conseguenze psicodinamiche
introdotte dal volo umano, al punto da dichiarare che "L'aeroplano, che plana si
tuffa s'impenna, ecc., crea un ideale osservatorio ipersensibile appeso dovunque
nell'infinito, dinamizzato inoltre dalla coscienza stessa del moto che muta il valore e il
ritmo dei minuti e dei secondi di visione sensazione". Marinetti, Somenzi e in
generale i futuristi degli anni '30 (ricordiamo tra gli altri lo stesso Prampolini, e poi
Fillia, Benedetta, Diulgheroff, Crali, Delle Site, Enzo Benedetto, Osvaldo Peruzzi,
Oriani) annunciano senza indecisione modalità estetiche sorprendenti, fantasmagoriche,
inquietanti:
Si avvicina il giorno il cui gli aeropittori futuristi realizzeranno l'Aeroscultura
sognata dal grande Boccioni, armoniosa e significativa composizione di fumi colorati
offerti ai pannelli del tramonto e dell'aurora e di variopinti lunghi fasci di luce
elettrica. 10
Un'asserzione, quest'ultima, che va inquadrata alla luce della progressiva sparizione
del soggetto dall'opera d'arte causato dall'avvento dell'era delle comunicazioni
elettroniche. Del resto, com'è noto, lo stesso Boccioni, a partire da Scultura e pittura
futuriste (dinamismo plastico) espose i suoi dubbi sulla persistenza del soggetto
nell'opera d'arte in un'era che preannunciava la fine delle grandi individualità
meccaniche. Argomento che fu sorgente di infinite perplessità da parte della cultura
critica dell'epoca.
Bottai, per esempio, nel '21 prendeva le distanze dal Futurismo proprio partendo dalla
critica del mito del progresso, il quale - a suo dire - si basa sulla potenza dei numeri e
della scienza e non sull'umana spiritualità.11 In quel tempo egli ipotizzava il dominio
dello spirito sulla macchina: una posizione che riaffiorò dopo oltre vent'anni sulle
pagine di 'Primato'. Tra l'altro, Bottai manifestava ostilità verso l'universo dei grandi
numeri, anche in politica, e sosteneva che il numero "... è cosa astratta" 12,
e dunque priva di carattere. Con ciò, tra l'altro, disconoscendo il ruolo fondamentale
della comunicazione di massa. Ancora su "Primato" Bottai paragonava i
'deformismi' nell'arte ai 'fatti' deformati dal sistema di comunicazione dominante.
Sicché resta da decidere - scriveva Bottai - "...se ciò che alla fine conta è la
cronaca dei fatti quali ce li raccontano, tutti uguali, i dispacci della 'Stefani' o i
resoconti dei giornali; o non il vario e tormentato modo in cui essi risuanano nel nostro
spirito ...".13
Queste e altre innumerevoli giaculatorie politico-culturali dimostrano che perfino una
personalità aperta e intuitiva come quella di Bottai rivelava una sostanziale
incomprensione della psicodinamica dei vari media. È un dato che sorprende non poco,
anche perché, come McLuhan ha più volte notato, i capi totalitari che oppressero
l'Europa e la Russia dimostrarono di avere intuito in pieno le potenzialità
propagandistiche della radio, del cinema e degli altri sistemi di comunicazione di uso
corrente. Forse Mussolini stimò e apprezzò l'opera di Marinetti e del movimento
futurista nel suo complesso perché intuiva il potenziale comunicazionale, e quindi
propagandistico, implicito nei suoi complessi sviluppi estetici. Infatti, già dagli anni
'10 in seno all'universo futurista e astrattista si era profilato qualcosa di
assolutamente inedito. Partendo dalle intuizioni di Boccioni si dibatteva appunto sulla
progressiva ristrutturazione della psicodinamica umana immersa in nuovi ambienti
tecnopoietici. Boccioni aveva immaginato e descritto alcuni scenari che ricordano in modo
impressionante le odierne realtà virtuali.14 In futuro, scriveva Boccioni:
le opere pittoriche saranno forse vorticose architetture sonore odorose di enormi gas
colorati, che sulla scena di un libero orizzonte elettrizzeranno l'anima complessa di
esseri nuovi che non possiamo oggi concepire.15
Dunque, forme 'gassose', evanescenti quasi entità 'elettroniche' ante litteram. Forme
che vivono in un vuoto metamorfico e tecnotronico.
Tra l'altro, il tema della definitiva crisi della mimesi, in un'era di grandi
trasformazioni tecnologiche, comparve in seguito anche nei discorsi degli astrattisti, per
esempio negli scritti di Carlo Belli, teorico dell'astrattismo italiano, secondo il quale
"... lo spirito moderno che ha risolto il fatto natura con la fotografia, con il
cinematografo e con la televisione chiede all'arte di essere se stessa"16. Asserzione
che tirava in causa i mezzi di comunicazione del presente e del futuro.
Cyborg ed estetica radiotelevisiva
In quest'universo di pensieri gli sconfinamenti nella realtà artificiale dei numeri
era a un passo dalle speculazioni sulla sensibilità mutante, e infine sulla vita
sintetica. Le intuizioni del manifesto Ricostruzione futurista dell'universo fecondarono
anche il manifesto Per una Società di Protezione delle Macchine, scritto da Fedele Azari
nel 1925 17.
Azari affermava che in futuro la vita umana acquisterà un senso indecifrabile grazie
all'avvento dell'intelligenza e della sensibilità artificiali. Per Azari non soltanto
"... la macchina è figlia del nostro cervello", ma in realtà essa si
trasformerà in "...un uomo perfezionato e moltiplicato". E aggiunge che in
questi esseri "... già sentiamo un embrione di vita, di istinto e di intelligenza
meccanica". Ma ancora, "le macchine e gli uomini - sosteneva Azari - soffrono
entrambi"; e alla lunga condivideranno lo stesso destino. La sensibilità delle
macchine è anche un riflesso delle nuove sensibilità umane ristrutturate da un ambiente
che muta e che coinvolge l'apparato percettivo in nuove e sempre più complesse
formulazioni categoriali.
Quantunque l'idea del meccanismo cibernetico sia al di là del pensiero scientifico del
suo tempo, tuttavia Azari sapeva che i 'cyborg' di un futuro che è a tutt'oggi annunciato
saranno entità che penseranno e soffriranno, come lo shakespeariano Nexus 6 nel film
Blade Runner di Ridley Scott. Esseri che immaginano, anelano, aspirano. Come i robot
inventati dal narratore ceco Karel Capek in R.U.R (Rossum's Universal Robots), dramma in
quattro atti messo per la prima volta in scena il 25 gennaio del 1921 al Národní
Divadló di Praga. 18
Del resto Marinetti avvertiva che alla poetica del macchinismo subentravano altre
valutazioni. Il fascino della locomotiva dipendeva dal fatto che le connessioni dinamiche
fra gli ingranaggi o i giunti di un meccanismo complesso partecipano a un moto reciproco
paragonabile a quello degli organismi viventi. Le macchine restano dunque entità
oggettive, anche se 'dinamizzate' dalla velocità. Con l'aeroplano questa permanenza
dell'oggetto inizia a dileguarsi.
Certo, l'aereo è anch'esso una macchina, ma il suo regno è l'intangibile atmosfera,
luogo senza precisi punti di riferimento e senza direzioni prestabilite. Un ambiente che
si piega a stento all'uso referenziale del segno e dunque alla rappresentazione. Questa è
poi destinata a svanire con l'avvento dell'immaterialità e della simultaneità delle onde
hertziane, come dimostra il manifesto de 'La Radia' (1933) 19, in cui affiora l'idea fatta
propria da McLuhan che Il medium sia appunto il messaggio. Marinetti tematizza l'estetica
radiale-irradiante e policentrica partendo dagli sviluppi futuri. La femminile Radia non
è ma "sarà", scrivevano Marinetti e Pino Masnata. Entrambi così coscienti di
una mutazione antropologica in atto da porre l'accento sul fatto che "... possediamo
ormai una televisione di cinquantamila punti per ogni immagine grande su schermo".
Sicché 'La Radia' è il preludio alla superiorità della "luminosità autoemessa
della radiotelevisiva".
Come mai Marinetti si interessa tanto della comunicazione elettronica e da chi attinge le
necessarie informazioni tecniche? Dai giornali, innanzi tutto, che parlano degli
esperimenti di Banfi e Castellani in Italia, o di Zworykin, Farnsworth e Jenkins in Usa.
Certo è che il neologismo televisione, ideato dallo statunitense John Logie Baird nel
1926, dovette suscitare non pochi spasmi creativi nelle mente infuturata di Marinetti. Il
quale, non va dimenticato, era amico di Guglielmo Marconi e dunque aveva la rara
opportunità di conoscere i dettagli delle ricerche tecnologiche più avanzate.
Ed ecco che nel manifesto de "La Radia" Marinetti e Masnata immaginano perfino
l'invenzione del "teletattilismo, del teleprofumo e del telesapore", percezioni
femminili, sfumate, oltreché misteriosamente analoghe alle frontiere dell'odierna
comunicazione reticolare. Ma la Radia sarà anche "... captazione amplificazione e
trasfigurazione di vibrazioni emesse da esseri viventi e da spiriti viventi".
Conciliazione fra l'oggetto e il soggetto ottenuta fondendo il concreto e l'astratto nel
"concreto-astratto e nel fatto-sognato".
Il superamento dell''astratto' opposto al 'concreto' è del resto la conseguenza logica
della sintesi di plurime simultaneità messa in gioco da un medium che confonde e mescola
i luoghi, che nell'ordine delle grandezze cosmiche annulla il tempo, che scompagina le
immagini o le sonorità, ricombinandole in variazioni imprevedibili. Dunque, Marinetti
immagina un ambiente tecnotronico che incarna la sensibilità di una umanità che si
affranca dalla tirannia delle parti e degli estremi. Il manifesto parla del superamento
della macchina "...con un'identificazione dell'uomo con la macchina stessa destinata
a liberarlo del lavoro manuale". Asserzione solo apparentemente pre-marcusiana, anche
perché questa identificazione ha lo scopo di "immensificare lo spirito". Una
istanza che può venire soltanto dal "...superamento della morte "con una
metallizzazione del corpo umano e una captazione dello spazio vitale come forza di
macchina"". Dove troviamo anticipate, ma in una concezione ideale e positiva, le
problematiche del post-human, per dirla con Paul Virilio, o del corpo post-organico o
disseminato, e sperimentato in tempi recenti da artisti della levatura di Stelarc,
Marcel.Lì Antunez Roca, della Orlan.20 Del resto, il tema dell'essere artificiale era
piuttosto diffuso nella protofantascienza statunitense degli anni '10 e '20, e molto deve
ai suoi precedenti letterari o fantastici, dalla leggenda praghese del Golem al
Frankentein di Mary Shelley ai racconti di Hoffmann. Come si sa il robot femminile del
film Metropolis di Fritz Lang (1926) suscitò una duratura impressione 21 anche perché
esso rivelò l'archetipo oscuro ma in quel tempo già ben radicato dell'ansiogeno
conflitto fra la sensibilità umana e l'alienazione tecnologica.
Al contrario, una ulteriore ed esaltante precognizione dell'estetica di là da venire
emerge ne L'aeropoema di Gesù, dettato fra il gennaio e il marzo 1944 a Venezia.22 In
questo testamento spirituale Marinetti individua nell'evoluzione della comunicazione (e
dunque anche dell'estetica) 23 un fattore dinamico e storico che per analogia suggerisce
l'esistenza di una dimensione cosmica che si affaccia all'orizzonte dell'intelletto umano.
Sette radio interloquiscono sullo sfondo dei paesaggi in cui visse Gesù, ma mescolando
fra loro situazioni evangeliche, numeri, tempi e luoghi diversi, in un crescendo di
relazioni e di oscillazioni asintotiche che trasformano questa parte de L'Aeropoema di
Gesù in una polifonia simultanea e mistica che richiede una partecipazione estatica.
Ancor più notevole è il fatto che Marinetti faccia parlare fra loro sette radio, e non
sette persone che usano la radio. L'universo de L'aeropoema di Gesù, disegnato da una
comunicazione istantanea, simultanea, telepatica e psichedelica è abitato da un nuovo
tipo umano che è impersonale, astratto, e lanciato verso l'esplorazione di mondi di nuova
concezione.
Marinetti immagina un pluriverso dominato dall'empatia grazie all'espansione anche
tecnologica dei sensi e dell'umano intelletto. Una sensibilità complessa e lucidamente
sognante, capace di apprezzare a colpo d'occhio l'astratta continuità di una funzione
d'onda incarnata in un segmento di realtà artificiale. Come del resto assolutamente
astratta è anche e soprattutto l'ubiquità, la pluridimensionalità dei sensi umani
dislocati in un sistema di comunicazioni senza punti di riferimento. Questa dimensione
viene suggerita dalla settima radio, voce della "Stella Perfetta" che
"imbrillanta di sé tempo e spazio" e che indica agli artisti la necessità di
creare opere di "geometrica e quasi astratta semplicità". Ma come? Allegramente
sposando "... le macchine che sono vostre figlie e diventano consorti
moltiplicatrici". Intuizione che tutti avrebbero giudicato visionaria, ma che assume
un senso alla luce del nostro presente.
Il morphing
In una battuta si può concludere che a differenza di Duchamp Marinetti non credeva
nelle macchine celibi. La storia dell'evoluzione tecnologica e le visioni futurologiche,
anche le meno avveniristiche, gli hanno dato ragione. Il mondo della tecnologia è ormai
affollato da siffatte "consorti moltiplicatrici". Mi soffermerò soltanto su una
di esse, forse perché emblema involontario di una diffusa e mutata cognizione dell'essere
umano. Il morphing è il noto programma che permette di trasformare gradualmente
l'immagine digitale di un oggetto fondendo progressivamente due distinte sagome
manipolando una texture mapping. Una piuma può così trapassare in una caffettiera, un
aereo in un insetto, un topo nella Statua della Libertà, il volto di Madonna in quello di
Hitler.
Le applicazioni sono per definizione illimitate e virtuali nel significato etimologico
dell'aggettivo; ma le più interessanti e inquietanti sono le "contaminazioni".
La fissazione e la successiva manipolazione degli stadi intermedi fra un'immagine e
un'altra appartengono senza dubbio a questa categoria.
La scelta del termine che denota il programma non è casuale. Nulla lo è. 'Morphing'
condivide lo stesso spazio semantico dei termini morfologia, morfogenesi, morfina, Morfeo.
La sua importanza va ben oltre le applicazioni artistiche o mediatiche. Dissento
totalmente da chi non dà importanza alla genesi delle parole e all'etimologia.
Le parole sono sempre la manifestazione dell'aletheia. Esse contengono sempre un germe di
verità manifesta. In greco 'morphé' indica banalmente la 'forma', la 'figura', la
'statura'. Il vocabolo significa ciò che è 'esteriore', 'l'esteriorità', ma in senso
stretto anche la 'persona', la maschera sociale. Euripide usa morphé nell'accezione di
'specie', il che non è trascurabile, come vedremo. La terminologia filosofica di
Aristotele piega il vocabolo al significato di 'principio formale'; Platone nella
Repubblica (380) vi annette il concetto di 'apparenza'. E così anche Senofonte nei Detti
memorabili di Socrate. Da 'morphé' deriva morfasmo: la 'danza imitatrice dei moti
d'animali', quasi una accezione pre-totemica. La forma è anche 'contraffazione' e con
questo significato, che introduce un giudizio politico riguardante un concetto
eminentemente estetico, la parola compare nel Convito di Senofonte.
La connotazione politica di siffatte manipolazioni va ben oltre il loro uso improprio. La
potenzialità politica deriva piuttosto dal fatto che questi ordigni estetici riescono a
concentrare in pochi istanti l'intrinseca paradossalità del continuum spazio-temporale.
Il morphing esibisce ciò che la Natura di per sé vuole mostrare per gradi e per ritmi.
È noto da tempo che la struttura di tutte le forme obbedisce a un complesso di funzioni
continue. Ma non è certo privo di significato il fatto che l'appercezione dei mutamenti
obbedisca a una temporalità calibrata, a una oscillazione periodica degli stimoli e delle
risposte che consente al soggetto de-limitato l'individuazione dei referenti. Qualunque
sia la realtà ultima delle sostanze e delle forme ad esse corrispondenti essa sul piano
linguistico obbediva al principio dell'analogia entis. Ma ora, grazie alle tecnologie del
virtuale, l'analogia entis trapassa dal piano mentale al piano empirico. Ed è questo il
principale effetto psicodinamico del computer.
Infatti, le dimostrazioni morfologenetiche di D'Arcy Thompson, corrispondenti ai
capolavori di M. C. Escher, non potevano che rimarcare l'esistenza di piani e di limiti
strutturali, e in definitiva di vincoli posti in essere al solo scopo di conservare
l'identità delle forme specifiche, fino a quando non subentrino pressioni ambientali
insuperabili. 24
A quel punto interverrano vincoli dinamici di altra natura che consentiranno il mutamento
morfologico e strutturale. La teoria della Catastrofi di René Thom e le elaborazioni dei
modelli caotici di Prigogine appartengono a questo tipo di modellizzazioni. 25 La lezione
di Thompson resta dunque sul piano delle idealizzazioni euristiche, mentre al contrario il
morphing si incunea nel flusso spazio-temporale, annullando le sue interne oscillazioni.
Il morphing appartiene al lato oscuro del mondo dei sogni; esso prolifera intorno al
castello degli incubi. Il morphing ha la funzione di concentrare la temporalità e di
eliminare i confini. In questa sua corsa contro l'irreversibilità esso esibisce anche la
sua intima appartenenza al regno delle arti magiche, la sua stretta parentela con la
pietra filosofale, il suo principium communionis, la sua potenza intrinsecamente
sovversiva.
In questo senso il 'morphing' è il piano di esistenza in cui si collocano tutte le
tecnologie virtuali, comprese quelle che in futuro consentiranno manipolazioni e
'morfizzazioni' degli 'oggetti' fisici.
Le potenzialità politiche di questa macchina della suggestione sono state comprese
tempestivamente. Celebre resta il caso dell'immagine di Bill Clinton manipolata per fini
propagandistici dai maghi del computer dello staff repubblicano durante le passate
elezioni governative. Si trattò, forse, del primo esempio di caricatura virtuale della
storia e probabilmente questo inatteso uso del morphing ebbe un impatto psicologico
determinante, in una nazione come gli Usa, in cui l'immagine del leader conta talvolta
più del programma politico.
In Italia il presentatore Pippo Baudo per primo divertì il pubblico televisivo con
analoghe trovate. Il morphing è un ordigno ad alto potenziale come dimostrano le
innumerevoli invenzioni pubblicitarie che ne fanno un uso perfino smodato. La réclame
televisiva di un noto prodotto cosmetico lancia un messaggio universale usando il morphing
per trasformare una persona in mille altre d'ambo i sessi. Ma in questo uso minimale
esistono già tutte le premesse del 'morphing-macchina-universale'. Le sperimentazioni sul
cosiddetto corpo post-organico, ultima frontiera della Body-Art, non sono che
l'espressione tangibile e appunto "antiorganica" del potenziale morfogenetico
raggiunto dalle tecnologie del virtuale. Senza la virtualizzazione tecnologica della
realtà fenomenica e sociale neppure esisterebbero siffatte sperimentazioni.
Eppure fino a ieri, nel nostro paese, l'uso del morphing non aveva sedotto gli esperti
della propaganda politica. Una simile "diffidenza" dipende da fattori
eterogenei. Ad esempio dalla sopravvivenza in Italia e nell'Europa in generale di un forte
radicamento ideologico basato sul "principio di 'identità". La memoria storica
sembra poco incline al gioco metamorfico, e forse sembra anche oscuramente consapevole del
suo giogo. Ma un siffatto potere è stato compreso appieno dai movimenti giovanili e dalle
risorte avanguardie artistiche politicamente impegnate.
Il potenziale comunicazionale delle elaborazioni digitali non soltanto influenza, ma di
fatto costruisce un background che dissolve il radicamento ideologico. In questo scorcio
di fine millennio accade insomma che un argomento politico possa esser commentato con più
efficacia e incisività da un'immagine digitale che dalla rassegna stampa e audiovisiva di
una settimana. Per esempio, il videoartista Daniele Poltronieri commentò il mancato
tentativo del 'governissimo' mediante l'impressionante morphing delle fisionomie di
D'Alema e di Berlusconi (cfr. ANDREA MONTI, Altro che inciucio, in "Panorama", 8
febbraio 96, pp. 7-8). In questo caso, non soltanto la successione delle immagini fisse
restituiva in un sol colpo d'occhio, e drammaticamente, il significato politico
dell'evento, ma addirittura la figura intermedia, cioè l'incredibile ibrido
D'Alema-Berlusconi, si caricava mostruosamente di una pluralità di inquietanti
significati. A quella prima prova sono seguite innumerevoli variazioni sullo stesso
registro estetico. E tutte efficaci.
Il cittadino-elettore, posto di fronte a un'immagine consimile (che è priva di commenti,
del tutto estranea ai contenuti, oltreché esteticamente concentrata sul solo senso della
vista) tende inevitabilmente a concludere che la scelta ideologica non esiste; che l'agone
elettorale accredita leaderships interessate soltanto alla distribuzione delle cariche.
L'immagine in questione suggerisce ipso facto che i ruoli dei leaders possano essere
permutati senza danno e che insomma il leader sia oggi una statua cava, un elemento
decorativo svuotato tanto del potere quanto della personalità. Sicché il leader, per
affermarsi, deve necessariamente indossare i panni di questo o di quello stereotipo.
Supponiamo ora che la metamorfosi digitale conquisti, come credo fermamente, il ruolo di
parametro estetico universale. Avremo un morphing evidente e un morphing subliminale.
Avremo una tecnica di produzione dell'immagine finita che si affianca al montaggio,
completandolo e potenziandone gli effetti.
Questa nuova struttura dell'immagine suggerisce che si vive nell'agitazione della
transizione perenne, nell'alea dell'incostante, nel regno dell'inconsistente e infine,
appunto, nel dominio del virtuale. Però è anche vero che grazie al morphing il
manipolatore dell'immagine, il creativo, si riappropria di quel potere sulle coscienze, di
quella capacità di mediazione col potere costituto che nella storia dell'arte è quasi
del tutto assente, perlomeno in forma dichiarata. L'artista digitale è infatti
costantemente turbato dalle ipotesi di lavoro e dalle conseguenze della sua scelta.
La sensibilità dell'artista digitale può esprimere aspetti della realtà che altrimenti
resterebbero celati. Anche soltanto manipolando il volto umano, egli può lavorare
all'infinito sull'Icona, modificando a piacimento certe caratteristiche e non altre,
secondo l'estro del momento. Ma ancor più seguendo le tracce inconsce suggerite dai
volumi, dalle linee, dalle curve, dalle ombre, dai colori, dalle associazioni di idee,
dagli archetipi emergenti. Il suo potere sulla fisionomia spazza ogni sopravvivenza
dell'estetica del rispecchiamento e contemporaneamente elimina dall'orizzonte della
pratica artistica ogni residuo romantico.
In un certo senso l'artista virtuale non è né inventore né interprete. Egli è però un
'lettore-scrittore' e le pagine del suo libro virtuale sono composte dall'infinita catena
delle permutazioni consentite. In un simile campo di relazioni non soltanto diventa
problematica la verità, cioè la referenzialità di un'asserzione, ma diventa impossibile
anche la spiegazione di un evento. L'evento non si spiega ma si 'dispiega'. Esso è
solipsistico anche se il suo uso è rivolto alle moltitudini. Ma proprio per questo
l'artista digitale assume su di sé la responsabilità e il potere della suggestione, e si
fa mago fra i maghi.
L'artista digitale crea per ibridazione. Solo apparentemente egli crea dal nulla. Egli
sceglie gli immaginari sentieri dell'evoluzione bio-tecnologica e s'incammina in un
viaggio oltre le colonne d'Ercole della rappresentazione. Poi, arpeggiando sulle tese
corde delle anime irretite dalla sensibilità ipermoderna, l'artista virtuale partorisce i
mostri, i demoni o gli angeli che esse nascondono. Mario Canali, del gruppo "Correnti
magnetiche" , a questo proposito sostiene quanto segue:
Il mondo del virtuale è il mondo delle idee corpo, è il mondo in cui i processi del
pensiero possono sussistere in quanto rimangono nella materia modulata. Per questo il
computer, l'ultima e più orgogliosa affermazione del sogno cartesiano di una mente
separata, eterea, altra rispetto al corpo, il computer che voleva essere la definitiva
smaterializzazione di tutto ciò che è di fisico, materiale, pesante la tecnologia ancora
aveva, il computer, nella sua evoluzione, ha ricondotto al corpo. Ora ascolta le voci,
interpreta il movimento di uno sguardo, il piegarsi di una testa, il tendersi di un
muscolo, riconosce il peso, il calore, i movimenti di tutto il corpo. 26
"Correnti Magnetiche", gruppo composto da Canali e da Leonardo Aurelio,
Riccardo Sinisgaglia, Marcello Campione, Elio Massironi, Sabine Reiff e da Flavia Alman ha
prodotto pionieristiche installazioni virtuali interattive che hanno esplorato il tema del
corpo metamorfico e anamorfico, del corpo deformato e deformabile: il corpo in quanto
bacino di utenza della mostrificazione. Un meta-organismo psichicamente torturato,
segmentato, "pluralizzato" senza soluzione di continuità.
Tra gli artisti italiani che intervengono sul corpo esclusivamente attraverso le
interfacce digitali, Paolo Bresciani si distingue per la sua capacità di trasformare la
chirurgia plastica del mondo digitale in un happening psicosociale. La mente dell'artista
digitale può dunque dimostrarsi una vera sonda psichica, capace di svelare aspetti della
personalità nascosti nelle più riposte caratteristiche somatiche del soggetto. Queste
singolari performances hanno sovente provocato le risentite reazioni del pubblico, forse
consapevole che l'artista hi-tech nasconde in sé il potere dello sciamano.
Sciamanesimo virtuale
Il potere del tradizionale sciamano si accompagna a un comportamento estatico che è
però episodico, ma che ha sempre una base empirica. Egli diventa il tramite di forze che
si impossessano della sua persona e che agiscono sulle vite circostanti. In un certo senso
lo sciamano deve rinunciare alla propria personalità. Questa condizione esistenziale è
ovviamente estranea agli statuti delle società occidentali, là dove ogni comportamento
non aderente ai canoni che formano le accettate strutture della personalità rientra
immediatamente nella casistica dell'alienazione mentale o della devianza.
Eppure l'era digitale sta rapidamente distruggendo le tecniche del controllo della
personalità. Ed è solo il preludio a un vero passaggio di stato. Grazie al mondo
digitale il dominio della percezione valica in volo silenzioso vecchie e solide muraglie,
attraversa come fantasma pareti considerate impenetrabili. Visto dall''esterno', può
accadere che l'individuo che possiede queste nuove percezioni sembri in qualche misura un
"posseduto" invaso da qualcosa di estraneo a sé. E di fatto, in certo senso, lo
è. In realtà, l'intero universo ipermediale appartiene al regno del conturbante. Perciò
il mondo 'esterno' reagisce a questo evento antropologico creando metafore passe-partout.
Si discute ad esempio di navigazione in rete. Ma per alcuni sarebbe più appropriato
parlare di fusione con la rete. Si costruiscono protesi interattive che estendono i sensi;
ma i sensi di chi? di tutti coloro che sono nati e cresciuti nell'era predigitale. Mentre
al contrario si deve parlare di simbionti che avvertono l'oscuro bisogno di creare in sé
stessi nuovi organi sensoriali. Tra costoro i profeti del divenire.
Il senso comune definisce queste persone "profeti-visionari", e non a caso.
Individui come Jaron Lanier, William Gibson, Douglas Rushkoff, Timothy Leary 27 o come
l'italiana Helèna Velena 28 a ben vedere sono marchiati dal segno che distingue lo
sciamano. Le biografie di questi personaggi sono singolarmente accomunate da un impulso a
sfidare i limiti del proprio sentire, dal desiderio di esercitare un invisibile controllo
su sé stessi, oltre che dall'inesplicabile capacità di incidere sulla realtà
circostante. Gli sciamani del virtuale credono sulla base della nozione antropologica di
simpatia che si prepara il regno della metamorfosi. Essi immaginano che la crisalide homo
sapiens sapiens stia per trasformarsi nell'homo digitalis.
Questa consapevolezza emerge dalla stretta osservazione degli eventi interpretata in vari
modi grazie alla metafora del corpo post-organico: una metafora che deriva dalle pagine
filosofiche di Deleuze e Guattari. Loro è il concetto di 'Corpo senza Organi', corpo
esteso ma dai limiti fluttuanti che prelude alla progressiva virtualizzazione dell'ente.
In Deleuze e Guattari il Corpo diventa ben presto il campo d'azione di tutte le
sperimentazioni possibili, e anzi l'idea stessa di sperimentazione nel suo stesso proporsi
sul piano immanente; quel che essi definiscono e ribattezzano "piano della
consistenza". Questo attacco al corpo organico è mosso dal principio che
nell"organismo" è latente l'archetipo della Struttura. Dunque, L'organizzazione
spicosomatica degli organi (e delle loro rispettive funzioni e reciproche interazioni)
prelude al successivo piano dell'Organizzazione politico-economica. In luogo dell'estetica
dell'Organizzazione Deleuze e Guattari introducono ciò che potrei definire
l'"estetica dell'Orgasmo" (o dell'orgiasmo?), il cui motore è ovviamente il
corpo, e anzi l'insieme dei corpi distribuito rizomaticamente sui vari piani di
consistenza di quest'universo dichiaratamente spinoziano.
Non a caso in Deleuze e Guattari l'insorgenza di un Corpo senza Organi, di ciò che oggi
viene appunto definito da alcuni artisti e critici il corpo "post-organico", è
immediatamente in guerra contro ogni forma di dualismo:
Il corpo senza organi è il campo di immanenza del desiderio, il piano di consistenza
proprio del desiderio (là dove il desiderio si definisce come processo di produzione,
senza referenza e nessuna istanza esterna, mancanza che verrebbe a scavarlo, piacere che
verrebbe a colmarlo). Ogni volta che il desiderio è tradito, maledetto, strappato al suo
campo d'immanenza c'è un prete di mezzo. Il prete ha lanciato la triplice maledizione sul
desiderio: quella della legge negativa, quella della regola estrinseca, quella dell'ideale
trascendente. 29
Nella figura del prete gli autori racchiudono anche il ruolo "laico" dello
psicanalista. Ma non certo dello sciamano, figura che aleggia non citata su tutta l'opera.
Lo sciamano, e la sua parte occidentale evolutasi nelle vesti del mago, del dottor Faust
alchimista e artista, è infatti l'uomo dei desideri impossibili, colui che sfida i limiti
del suo stesso "organismo" spinto dalle proprie pulsioni. Deleuze e Guattari non
inventano alcunché, anche perché l'energia faustiana è descritta efficacemente in tutte
le sue innumerevoli incarnazioni letterarie, dall'ur-Faust fino al Faust di Goethe e
all'ancora più enigmatico Adrian Leverkhün del Doctor Faustus di Thomas Mann.
L'eterogenesi dei fini che muove i vari interpreti della figura di Faust cade di fronte
alla categoria estetica racchiusa in ogni personaggio sciamanico. Si tratta della
categoria nietzschiana del "dionisiaco", ripresa non a caso da Camille Paglia
per spiegare la moltiplicazione estetica delle "persone sessuali" nel corso dei
millenni. Ma le Personae di Camille Paglia sono appunto Corpi senza Organi" che
obbediscono all'insorgenza di impulsi interiori ineliminabili. Si è affermato che il
desiderio è il vero feticcio dell'artista port-organico, la sua pietra filosofale e il
suo potere sciamanico. Lo sciamano non è un sacerdote. Egli "realizza" i
desideri propri e altrui abitando in un confine fluido e appunto dis-organizzato, e in
questo recinto sciamanico egli può e deve influenzare materialmente i corpi. Dirò anzi
che il campo d'azione dello sciamano è sempre per definzione il Corpo e solo il Corpo. Da
qui la sua svalutazione e contemporaneamente l'esaltazione estrema, quasi mistica del
"Corpo di tutti i corpi", il metacorpo dell'Universo intero, con le sue
possibili e infinite inter-relazioni. È la rinascita dell'Ilozoismo. Ma produzione,
trasformazioni inter-relate e "virtualità" sono quasi sinonimi, come ha
sostenuto il tecno-filosofo Pierre Lévy. Una parte avanzata del mondo dell'arte
contemporanea non fa che seguire e rendere eclatanti questi stessi principi teorici.
Per esempio, il lavoro sul corpo della francese Orlan tradisce la natura tecno-alchemica
delle attuali espressioni della mutazione. Non a caso nel lavoro della Orlan medicina e
chirurgia plastica (forme ormai tradizionali di magia del bisturi e di magia
dell'ingegneria genetica) si fondono con la magia dell'arte mimetica (gli elementi
somatici tratti dai capolavori rinascimentali) e con la magia del computer (l'astratto
sovrintendente a tutte le possibili metamorfosi).
Si potrebbe decifrare il lavoro della Orlan ricorrendo anche a giochi linguistici presi in
prestito dai territori dell'esoterismo. L'operazione chirurgica è per definizione un
evento eccezionale determinato dalla necessità di riconquistare il feticcio della
"salute". L'intervento chirurgico suggerisce dunque l'idea che il corpo sia un
servomeccanismo usurato dal tempo. Scopo di un intervento è dunque quello di restituire
al corpo-macchina le sue "ottimali" condizioni. Accade invece che nelle azioni
della Orlan l'intervento chirurgico si trasformi in un evento rituale, se non canonico o
addirittura liturgico. In qualche misura accade che il corpo fisico, composto di carne,
ossa e sangue, segua le sorti evolutive di un corpo astrale teleologicamente determinato
mediate l'intercessione dell'eterico corpo del computer. La mente computazionale è
infatti sede privilegiata delle metamorfosi virtuali, ed è anche, secondo le note teorie
di Paul Virilio, un motore azionato dallo scambio tra forma ed energia: forme del sapere,
delle arti, delle scienze. Ed energie sprigionate dal corpo sociale, dalle sue proiezioni
massmediatiche e dai suoi simboli in osmotica relazione.
Medicina e magia, com'è noto, condividono la stessa radice. Poi, lentamente, la medicina
conquista quella dignità razionalista che era estranea alla figura di Esculapio. Questa
trasformazione (e prima metamorfosi di uno statuto culturale) è banalmente legata alle
fortune del positivismo scientifico ben più che al reale immenso progresso della
disciplina. Perciò il medico finisce con l'assumere tutti le caratteristiche esteriori
che definiscono l'astratto stereotipo dello scienziato. Questo inesorabile slittamento dal
dominio religioso a quello laico obbedisce anche al bisogno di esercitare quell'autorità
che consente alla figura del medico di rivoluzionare i fondamenti della propria
disciplina, conservando però l'autorità che gli deriva dall'accesso a una forma di
conoscenza. Come notava Marcel Mauss, nelle scienze la forza della logica individuale è
sufficiente a rivoluzionare qualsiasi tradizione. Lo scienziato è perciò libero, se
crede, di "... risalire teoricamente fino al punto di partenza della sua tecnica o
della sua scienza, approvarla o rettificarla, ad ogni passo, a suo rischio e
pericolo".
Al contrario, alla magia tradizionale è estranea l'interna attività critica e questa sua
forza si tramutò in un'imperdonabile debolezza non appena la magia entrò in contatto con
la cultura razionalista. Questa chiara definizione delle parti e delle rispettive dignità
entra in crisi con l'apparizione della civiltà digitale. Gli statuti dell'ortodossia
scientifica si basano sull'esistenza di una logica sequenziale condivisa dalla comunità
scientifica. Ma l'universo digitale non fornisce porti così sicuri. Al contrario, al suo
interno l'informazione che entra da una porta digitale seguendo una logica lineare esce da
mille finestre deformata dalla potente vibrazione informazionale che fa da sfondo a
un'inconcepibile e accelerata attività interna. Il sistema digitale risuona come una
camera acustica e al suo interno è impossibile isolare un singolo suono dominante.
Immediatamente, appare chiaro che il soggetto capace di interpretare le varie risonanze
del sistema mediatico digitale non è più il tecnoscienziato gravato dal suo ingombrante
bagaglio di nozioni dedotte, bensì, paradossalmente, l'artista-sciamano, colui che si
spoglia della "personalità". Di fronte all'universo digitale il tecnocrate
accetta l'eracliteo scorrere di ogni cosa e stoltamente conclude che non è possibile
immergersi due volte nella stessa acqua. Ma il profeta-artista semplicemente si tuffa come
un delfino, scoprendo infine che il colpo di pinna fa parte della corrente, e che una
volta accettato il ritmo del flusso si diventa il flusso.
L'esprit de finesse di questo nuovo corifeo del futuro vince e annulla l'esprit de
géométrie di coloro che hanno contribuito a creare i virtuali mondi alternativi sulle
ferree leggi dell'algebra booleana.
Il corpo in ostaggio
Profeta ante litteram è il greco-australiano Stelarc, noto soprattutto per le
performances con il terzo braccio o per le 'sculture da stomaco'. Stelarc è anche la
reincarnazione di Odisseo, un uomo consapevole del suo divenire, un teorico e uno
sperimentalista del superamento degli attuali limiti corporali; un dantesco Ulisse nelle
cui vene, non a caso, scorre sangue greco e che perciò accetta il rischio delle Colonne
d'Ercole. Egli ci avverte che in futuro l'organismo umano sarà 'colonizzato', monitorato
e costantemente riprogrammato da microrobot e da sensori intelligenti. Le nanotecnologie
trasformeranno il corpo in un laboratorio; l'organismo dovrà dunque abituarsi ai suoi
sensi "interni", dovrà accettare l'ottimizzazione delle sue pulsazioni o della
produzione ormonale. I nanorobot saranno dunque gli operai si una microfabbrica in grado
di riconfigurazione il patrimonio genetico del plasma germinale, e tutto ciò mentre
minutissimi "biot" colloidali lavoreranno tra le connessioni delle nostre
cellule cerebrali, producendo secondo il nostro desiderio l'estasi dell'orgasmo o
l'assoluta insensibilità.
Il metamorfismo di Stelarc appartiene a una laica visione del modernismo. Sotto
osservazione è l'unità psicosomatica che sperimenta la progressiva emancipazione dall'Io
cosciente. Egli rappresenta dunque la parte diurna, apollinea, della coscienza del
divenire. Al contrario il regista Shinja Tsukamoto interpreta il momento critico e
catastrofico della metamorfosi in atto adottando l'oscurità coribantica del tempestoso
Dioniso. Il Tetsuo plasmato dalla fantasia di questo singolare artista nipponico è
infatti un personaggio che letteralmente esplode sotto la pressione della carne
elettromacchinica.
Questa opposta interpretazione del medesimo fenomeno richiede forse qualche nota
aggiuntiva. Il mosaico della mutazione si dispiega fra due nuclei significativi: da un
lato il corpo in quanto oggetto rassicurante e "tradizionale", ma dall'altro
l'avvento di un apparato virtuale che conferisce alle nuove forme di organizzazione del
sociale un aspetto dinamico e intrinsecamente "rivoluzionario".
Tuttavia questa ineluttabile rivoluzione sensoriale si consuma a spese del corpo. Il corpo
umano non è più l'inalienabile "proprietà" dell'"individuo" che lo
"possiede", ma è al contrario un oggetto fisico permutabile e ipotecabile a
piacimento.
Il corpo umano diventa dunque un vero 'ostaggio' dell'apparato tecnologico. Al cospetto
dello strapotente, infallibile, invincibile Leviathan tecnologico e virtuale, il corpo
conserva il suo carico di necessità biologiche. Esso palesa come non mai la sua
debolezza, il segno della maledizione di Adamo: la sua mortalità.
Al contrario, non avendo percezione della morte, l'Apparato che sovrintende ai destini di
ogni singolo corpo non può avere alcun senso della trascendenza delle cose e delle
azioni. In una parola esso esclude la sofferenza. Proprio per questo il corpo in ostaggio
può paradossalmente ricavare dal suo infelice stato un senso di benessere, se non di
sicurezza. L'Apparato promette infatti la fluida ma saldissima stabilità dell'ordine
costituito. Infine, la natura elettromacchinica dell'apparato si rivela proprio nel fatto
che esso agisce attraverso procedure complesse ma rigide.
Dunque, l"Apparato" non è altro che il complesso delle banche dati
progressivamente interconnesse. Ed è ovvio che l'Apparato implica l'esistenza di
tecnocrazie che riflettono la struttura verticistica ma pur sempre astratta delle
procedure dei programmi esperti. In questa chiave è difficile sottrarsi all'impressione
che ogni aspetto della dinamica sociale (dai riti di iniziazione ai codici
comportamentali) sia ormai nient'altro che un insieme di permutazioni consentite
dall'Apparato sulla base delle descrizioni definite di ciascuno contenute nella memoria
dell'apparato medesimo.
Perciò l'Apparato informatico è contemporaneamente il censore e la matrice di ogni
comportamento accettabile: un astratto livellatore e ordinatore delle personalità che
agisce grazie al potere conseguito sui corpi: i corpi in ostaggio. Chi abbandona la
personalità viene pertanto ben presto sospinto ai bordi dell'Apparato simbolico. Egli
entra nel regno illegale della devianza e infine deve abbandonarsi al flusso
dell'alienazione mentale. O accettare lo status di artista-profeta.
Ma per la massa il prezzo del patto con l'Apparato implica la cessione di ogni diritto sul
corpo. Da quel momento il corpo accetta la possibilità di trasformarsi in vittima
sacrificale per un olocausto virtuale. Questo è, forse, il vero significato dell'Epizoo
di Marcel, Lì Antunez Roca. Non si tratta, come si è detto, di una scultura vivente,
quanto piuttosto di una metafora del sacrificio di sé. Il più alto ufficio del sacerdote
risiede infatti nell'offerta rituale al Dio. In questo caso, però, il rito celebrativo
lascia il campo all'evento: il pubblico è invitato a interviene sul corpo di Antunez
attraverso un complesso sistema di immagini elaborate dal computer che a sua volta, a
distanza, aziona alcuni pericolosi servomeccanismi collegati a parti del corpo e del volto
dell'artista. La brutale metamorfosi del corpo è ora provocata dalla violenza astratta
del sistema. Il pubblico è invitato al delirio del sacrificio e in ciò esso assomiglia a
quei carnefici che nelle moderne stanze della morte non conoscono il vero esito del
proprio gesto.
Tuttavia, nella rappresentazione di Antunez, l'elemento religioso spicca su ogni altro
significato. Il pubblico in questo caso incarna la norma, cioè il contratto stipulato fra
il Leviatano tecnologico e la massa dei corpi tenuta in ostaggio. Il segnale che aziona il
sistema è un'emanazione dei desideri e degli inconsci timori della massa. Rinnovando
ancora una volta quel misterioso sentimento che lega la vittima al suo persecutore,
l'artista-profeta offre il proprio corpo sull'altare dell'espiazione. La logica del gesto
vorrebbe dunque che un giorno il ruolo del biblico Isacco fosse portato a compimento. Il
capro espiatorio sarà forse effettivamente sgozzato. Forse chi scrive un giorno sarà non
più il risibile visionario ma il cronista di un simile evento.
La dissoluzione della forma nell'era dei mondi virtuali
Quale sarà il destino dell'Arte nel futuro che si prepara? E se è vero che il nostro
secolo è stato capace di precipitare l'arte dalle vette abitate dagli assoluti alle
colline affollate dai giochi linguistici, resta da vedere cosa accadrà nel ventunesimo
secolo, nel tempo dell'ipermodernità. Mondo che è possibile anche definire con
l'appellativo di "era della dissoluzione della forma". L'ipotesi avanzata in
questo scritto può perciò essere ridotta a una sola frase: in questo nostro
presente-futuro dell'arte resta innanzi tutto la sua riduzione a unità di informazione
distribuita in un sistema aperto rispetto all'incremento dell'informazione, ma chiuso
rispetto al suo controllo. La struttura di questo sistema impone inoltre un costante
incremento dell'informazione circolante in rete.
Si moltiplicano i siti Internet che offrono l'accesso ai grandi musei. Un'offerta che
segue una domanda pressante. Da qui l'interesse della Microsoft e la nascita del progetto
dell'Archivio Continuum, elaborato da Bill Gates e dalla sua équipe. La Microsoft è da
sempre interessata al controllo dell'accesso all'informazione. Anche a costo di ridurre i
contenuti culturali (e dunque contestuali) delle informazioni a semplici dati. E
d'altronde la logica dell'informazione in rete non lascia scelta. Il progetto Continuum si
basa sul principio che il sistema dell'informazione on line resta indifferente al
contenuto dell'informazione. Di fatto ogni informazione può essere permutata, ricombinata
con altra informazione, secondo i principi individuati da Shannon. La filosofia della
Microsoft è dunque riconducibile alla soluzione di problemi squisitamente cibernetici:
incremento dell'informazione, eliminazione per quanto possibile della ridondanza, ecc.
L'Archivio Continuum si basa sull'idea di costituire un unico database riguardante il
contenuto dei maggiori musei del mondo. Ed è un sintomo della transizione in atto il
fatto che all'entusiastica accoglienza siano subentrate mille difficoltà in materia di
copyright.
Trasformazione del mercato dell'arte
In ogni caso queste e altre strategie di mercato mostrano che anche nell'arte il
momento della produzione segue le sorti delle forme di distribuzione. Imponenti database
adatti alle esigenze più disparate sono già una realtà operativa. Il progetto
editoriale della Chadwyck-Hearley è solo un esempio del trattamento informatico
dell'editoria applicato su vasta scala, e capace di trasformare intere biblioteche in
banche dati periodicamente aggiornate. È il segno di una tendenza in atto da tempo. Il
problema della "caoticità" delle informazioni in rete si risolve adottando
"motori di ricerca" sempre più raffinati. E così si è giunti al Global
Inventory Project, il database dei database, idea sperimentale del M.I.T. dietro la quale
si cela una ben distinta concezione: il controllo della rete è possibile solo se si
riesce a conoscere, ad analizzare, istante per istante, la dinamica delle transazioni in
rete (movimenti commerciali, entertainment, telelavoro).
Che cosa accadrà in questo caso nel mondo dell'arte? Avverrà che dovranno molto presto
essere ripensate le norme non scritte che regolano il variegato mondo degli studiosi
d'arte, dei critici d'arte, degli artisti, dei collezionisti, delle gallerie d'arte e di
quanti altri soggetti affollano un così ricco segmento economico e culturale.
In questa rivoluzione hanno un ruolo non soltanto i database ma anche i rapidi mutamenti
strutturali. Per esempio, non è chiaro quale sarà l'impatto che avrà il Network
Computer, o NC. Com'è noto, Il NC si basa sulla diffusione di terminali molto semplici
che renderanno costoso e poco pratico il tradizionale Pc. La rivoluzione del NC si basa al
contrario sul fatto che tanto il software quanto i dati sono scaricati e costantemente
aggiornati dalla rete. Ma proprio per queste sue caratteristiche il NC imporrà
l'omologazione e il monopolio dei mezzi di produzione. L'utente non solo potrà, ma in
effetti sarà costretto a comprare tanto il software quanto le informazioni disponibili
nella rete. Dunque, il Net transita dall'entertainment all'offerta di servizi
specializzati. Il passo successivo è ovvio: le grandi istituzioni (nel nostro caso le
grandi istituzioni dell'arte) avranno tutto l'interesse a creare nuovi compartimenti, per
esempio sviluppando banche dati specializzate che si rivolgono non soltanto al settore
dell'editoria elettronica d'arte, ma anche nei vari segmenti in cui sussistono relazioni
di interesse fra utenti. 30
Altro argomento: presto o tardi l'intero mondo dell'arte si servirà dell'Internet per
gestire e diffondere a scopi commerciali cataloghi dei propri articoli. È un fenomeno in
tumultuosa espansione, anche perché l'evoluzione del mercato internazionale dell'arte è
sempre più spesso determinata dalla qualità e dalla quantità di informazioni
disponibili. Gli operatori del settore devono conoscere in tempo reale le oscillazioni del
mercato, le novità, l'andamento generale non solo dei prodotti di singoli artisti famosi
o meno noti, ma spesso di intere tendenze. Tutto ciò assimila il mercato dell'arte alla
borsa.
La telematica non soltanto non distruggerà, come si paventa, queste forme di
speculazione, ma al contrario le incrementerà vertiginosamente. L'offerta di prodotti
d'arte attraverso il Net è già una realtà. Opera in questo settore l'agenzia Bloomberg;
e da qualche tempo la società Investment & Banking Group ha messo a punto la Banking
Art, segmento dei servizi finanziari del private banking attraverso il quale la clientela
può investire in opere d'arte senza i rischi, l'alea, le difficoltà (ma anche le
opportunità) connesse al tradizionale mercato d'arte, che nonostante tutto resta un
mercato di seconda mano.
L'opera d'arte assume così le sembianze di un bene qualsiasi e viene di fatto assimilata
alla proprietà fondiaria o alle azioni o ai buoni del tesoro. E di fatto può essere
scambiata con altrettanti beni fungibili secondo il prezzo di listino o l'andamento del
mercato. Questa "invarianza" rispetto a scelte estetiche che dovrebbero più di
altre coinvolgere il sistema di valori di riferimento (il cosiddetto "gusto") si
deve anche all'esistenza di strutture capillarmente diffuse che elaborano/macinano in
tempo reale informazioni, senza alcun rapporto necessario con i contenuti contestuali. Di
conseguenza viene a cadere l'influenza culturale del gruppo e si dissolvono le categorie
(anche estetiche) che condizionano le decisioni. Il valore dell'opera d'arte si
astrattizza e di fatto esso è assimilato al valore nominale della carta moneta, o ancor
meglio della virtuale "monetica".
Tutto ciò si concilia poco e male con l'idea che l'arte sia un territorio dello spirito.
Anche se il fenomeno non è che la logica conclusione di un sistema dell'arte aderente
alle logiche del post-capitalismo. Il mondo dell'arte tradizionale gravita infatti e da
tempo intorno a fenomeni promozionali preconfezionati, decisi a tavolino da musei,
fondazioni, gallerie di rilevanza internazionale, grandi collezioni, istituzioni pubbliche
e private. L'apparato della critica e dell'informazione d'arte è vincolato a questi
cardini e dunque anch'esso si muove in direzioni prevalentemente stabilite.
In un certo senso, quindi, anche nell'arte si assiste alla convivenza tra la mentalità
"tipografica" e il nuovo linguaggio dell'Internet. Un esempio emblematico? La
mossa tattica attuata dalla rivista "Flash Art", che ha tempestivamente immesso
nell'Internet "Art Diary", le "pagine gialle" dell'artista.
Si tratta di un'intelligente mossa tattica, ma non strategica. Ai consueti mezzi di
comunicazione (comprese le riviste settoriali) manca infatti una chiara visione dei
possibili rapporti di forza che si instaurano nel Net e perciò essi adottano senza
innovazioni il punto di vista di una situazione comunicazionale a loro estranea,
adottandone i sistemi in posizione di chiara subalternità. Ma la realtà mostra che le
nuove forme di comunicazione condizionano e mutano la tonalità, oltre che il gusto di un
intero universo estetico. Presto o tardi le transazioni via Internet sostituiranno ogni
forma di scambio materiale. Moderne catacombe dei preziosi reperti materiali sono oggi i
sotterranei delle banche giapponesi, svizzere, statunitensi. È lecito credere che grandi
organizzazioni fiduciarie estese proprio come l'Internet a livello planetario si
incaricheranno di conservare immense quantità di opere d'arte valutabili al cambio
secondo le oscillazioni dei titoli virtuali corrispondenti. Inoltre, i musei prendono il
posto delle banche nazionali, anche perché le opere d'arte tendono in qualche misura a
sostituire l'oro. Questa realtà iniziò a delinearsi timidamente a partire dalla metà
degli anni '70, in pratica da quando il dollaro fu definitivamente svincolato dal suo
corrispondente valore aureo. Forse non a caso gli esordi della "monetica"
coincisero con una diversa valutazione delle opere d'arte, le quali proprio in quel
periodo iniziano ad acquistare una funzione equivalente alle riserve auree. La nobiltà
del metallo si trasferisce nella carta moneta non svalutabile dei prodotti dell'arte e
analogamente si afferma la penetrazione a livello planetario del marketing statunitense
applicato all'arte. Questa strategia si è rivelata efficace quando si è trattato di
coniare nuova moneta "estetica". Ma si è rivelata insufficiente di fronte alle
immense riserve "auree" dei paesi ricchi d'arte e di storia. Da qui le
faraoniche campagne acquisti da parti delle istituzioni statunitensi, ma anche dei
privati. Significativo è il caso del Codice Hammer. Ciò che fu del "miliardario
rosso" è oggi di Bill Gates, ma in ogni caso resta in territorio statunitense.
Il destino del Codice Gates ha anche un suo significato recondito. Torna in auge una
antica aspirazione della superpotenza stutunitense in vigore fino agli anni '60: vendere a
prezzi vantaggiosi nel mondo (e soprattutto sul mercato europeo) la tecnologia e i beni di
consumo deperibili sfornati dall'immensa macchina di produzione del made in Usa e in
cambio ottenere beni duraturi attinti dalle riserve apparentemente illimitate di questi
paesi. Le opere d'arte sono in cima alla lista, naturalmente. Il disegno fu oscurato
dall'imprevista capacità reattiva delle nazioni d'oltreoceano che furono in grado di
avviare una trasformazione industriale radicale, pervasiva e concorrenziale. In
particolare, il Giappone già dall'immediato dopoguerra, optò per una politica
ultraprotezionista in materia di esportazioni di opere d'arte.
Ora, però, la partita si è spostata nel campo della produzione del software, settore
strategico primario nel quale la superpotenza statunitense non ha rivali. Una forma di
produzione che rivela capacità di penetrazione insospettabili, anche perché essa agisce
sullo stesso piano della produzione "immateriale" di valori spirituali incarnati
nelle opere d'arte. Il valore aggiunto dell'oggetto materiale dai connotati spirituali,
incarnazione di un passato irripetibile, tenderà perciò a incrementarsi in misura
direttamente proporzionale al decremento progressivo del costo dei prodotti virtuali.
Anche perché l'espansione della virtualità investirà tutti i campi, sicché l'opera del
futuro sarà innanzi tutto un prodotto digitale complesso e "anti-referenziale".
Tre domande cruciali
Ma quale tipo di forma d'arte finirà col prevalere? Che aspetto avrà l'artista del
futuro? E in che modo le nuove forme di produzione estetica diventeranno oggetto di
scambio?
A tal proposito Pier Luigi Capucci ha osservato che:
...Queste forme d'espressione, aperte e dal linguaggio relazionale, piuttosto che in
luoghi tradizionali come musei o gallerie sembrano trovarsi a proprio agio immerse
nell'ambito sociale, non specialistico [...] queste forme espressive estendono la
possibilità di fare arte, in qualche modo riproponendo le utopie di una esteticità
diffusa. 31
E diffusa sempre più mediante la comunicazione elettronica interattiva. Sicché la
percezione del "bello", o comunque l'esteticità di un evento, in forza della
virtualizzazione tende ad abbandonare il mondo degli oggetti per inabissarsi in quello
delle reti. Tutta la bellezza e tutta l'arte saranno dunque patrimonio della comunicazione
on line.
La caduta di valori estetici (per esempio negli agglomerati urbani), l'invasione e la
crescente pervasività del brutto, dell'antiestetico, dell'inestetico, sono con ogni
probabilità derivabili anche dalla progressiva virtualizzazione del bello, dell'attraente
e del seducente. Un processo che in realtà dura da decenni, ma che la comunicazione
elettronica interattiva ha accelerato enormemente.
Si può paragonare il mondo delle reti anche ad una calamita dell'artisticità. E ciò a
cagione della grande forza espressiva implicita o non ancora espressa con gli strumenti
che stimolano l'accesso al virtuale da varie latitudini dell'immaginario e con ogni mezzo.
Tutto ciò ci porta a riflettere sulla prima domanda. Quale tipo di forma d'arte finirà
col prevalere? La risposta è già nei fatti: tutte le forme e nessuna forma. Il nucleo
dell'artisticità virtuale risiede nella capacità metamorfica e il suo modello è
l'ibridazione. Perciò, l'estetica virtuale tenderà sempre più a fondersi con ogni
codice espressivo esistente. Da Tron alle realtà stellari potrebbe essere un altro titolo
di questo libro, se non fosse che il tema della Razza stellare tocca principi che vanno
ben oltre la rivoluzione della post-produzione elettronica applicata al cinema. In ogni
caso in questo settore della mutazione estetica si vede bene l'effetto in proiezione:
laboratori abitati da artisti-supertecnici progressivamente sostituiranno il set. L'idea
di fondo che guida queste righe è semplice. Lo scenario "situazionale" o, se si
vuole, "teatrale", non sarà più necessario perché sarà avvertito come falso.
Ciò che invece noi ancora oggi crediamo sia il mondo falsificato e falsificante
dell'elettronica (ma che dire poi dei materiali artificiali di nuovo conio?) sarà invece
percepito come vero. La referenzialità si eleva di un gradino, logico e ontologico. Da
quel punto di vista l'"essere situazionale", che ancora oggi concepisce il mondo
in termini di rapporti fra ruoli, apparirà poco più che un primitivo.
In ogni caso, tornando alla materialità del processo, si assisterà alla convergenza fra
i costi progressivamente ridotti della post-produzione e costante pervasività di siffatti
prodotti in tutti i settori: dall'architettura al design, dalla pubblicità, alla
fotografia, all'editoria.
Tutto ciò comporta una metamorfosi che investe la natura stessa dell'artista. E veniamo
così alla seconda domanda. Chi, o meglio che cosa sarà l'artista del futuro? Ebbene in
un'era affidata alle forme espressive virtuali anche l'artista in un certo senso sarà
'virtuale'. Si è conclusa l'era delle grandi personalità, proprio come nel cinema è
ormai in declino il Mito. L'antireferenzialità dell'opera virtuale elimina alla radice il
problema della 'firma', cioè del suggello dello stile.
Questo fenomeno è stato già in parte anticipato nella teoria e nella pratica dell'arte o
della pubblicità. Per esempio, la 'Factory' di Andy Warhol proponeva la riduzione
progressiva dello stile al logo. L'identico principio nutre il lavoro di Oliviero Toscani,
intelligente applicazione di un'esteticità corpuscolare, dominio in cui è arduo
distinguere l'atto della produzione di senso dalla sua circuitazione.
Le forme di produzione del virtuale aggiungono profondità all'estensione orizzontale
dell'artisticità diffusa e da questa fusione emergono figure professionali dagli incerti
contorni. L'artista si trasformerà in un manipolatore di informazioni dotato di
competenze specialistiche nel campo del software.
Ora, l'artista non è più un mediatore che interpreta l'immaginario della sua epoca
attraverso gli strumenti tecnici disponibili. E tuttavia egli non può neppure incarnare
la figura romantica del Genio. Sarà premiato l'abile manipolatore di una massa di
informazioni altrimenti insignificante. Perciò il nostro presente (e ancor più
l'immediato futuro) impone all'artista una rinunzia: per esistere l'artista deve in primo
luogo spogliarsi della propria inviolabile personalità, ultimo retaggio dell'aura
trasmigrato dall'opera alla biografia.
L'arte dell'era digitale in qualche misura farà resuscitare l'umiltà dello scalpellino
delle grandi cattedrali gotiche, o del pittore che decorava le tombe dei faraoni. Dunque,
l'artista non sarà più solo, anche perché la specializzazione delle competenze nel
campo del software impone forme di progettazione collettive sempre più complesse,
raffinate e coinvolgenti. Altro fattore non trascurabile è la velocità di produzione, il
ritmo di un mercato virtuale violentemente appiattito sull'istante. Necessità di
competenza diffusa e settorializzata e violenta accelerazione della produzione
determineranno la diffusione del lavoro d'équipe, soprattutto nel campo
dell'immaginazione creativa.
Tuttavia, non è detto che questa rivoluzione psicologica significhi la fine dell'arte. Al
contrario, nel mondo del Net la figura professionale del creatore di suggestioni sarà
centrale, sarà una colonna portante nell'edificio dell'economia virtuale. Svanisce il
Genio individuale, ma al suo posto emerge un Michelangelo Collettivo nell'atto di
dipingere un'immensa, dinamica, immateriale e sempre nuova Sistina virtuale. L'era delle
grandi individualità dell'arte è finita. Certamente. Ma è iniziata l'era delle grandi
unità narrative collettive.
Le considerazioni appena enunciate affrontano il problema della trasformazione del sistema
dell'arte sotto la potente spinta della più imponente macchina del mutamento culturale
mai inventata. Il problema ancipite è però universale, culturalmente ecumenico, anche se
in questo caso nasce da considerazioni di natura estetica. E con ciò veniamo alla terza e
ultima domanda, di fronte alla quale il filo del ragionamento raccoglie tutte le residue
forze iniziando da alcuni quesiti preliminari.
Perché, non tanto nell'apparenza quanto nella sostanza, sembra svanito l'agone artistico?
Perché non si lotta più per l'affermazione di questa o di quell'idea dell'arte, di
questa o di quell'esperienza estetica? Ebbene, questa caduta di tensione non può che
essere il pallido riflesso di una più vasta e radicale trasmutazione delle fondamenta
economiche e politiche dell'esistenza umana. Per esempio, e paradossalmente, nelle
società ad alto tasso di sviluppo accade che gli interpreti istituzionali del liberismo e
del materialismo storico finiscano nei fatti col navigare sullo stesso vascello, costretti
in questa forzosa convivenza dall'approssimarsi del post-capitalismo e del mondialismo.
Inoltre, in questa fase storica in atto accade che l'etica della rivoluzione dei valori
tende a trasformarsi in etica del consumerismo. Sacrificio individuale e collettivo
apparentemente libero, in realtà sempre più coatto e universalmente praticato nei templi
profani, ovvero nei supermercati, nelle concessionarie, nelle fiere del libro, nei grandi
magazzini, nelle manifestazioni culturali e last but not least anche nelle esposizioni
d'arte.
Ciò che era verticale diventa ora orizzontale. Ai valori relativizzati quanto si vuole,
ma pur sempre avvertiti come universali, si sostituiscono le singole valutazioni azionate
da un sistema di riferimento sempre locale, sempre 'particolare', ma governato da regole
astratte globali. In questa situazione si afferma dunque l'estetica della parentesi, del
contesto, ma parimenti si impone quasi motu proprio l'estetica del numero ordinale, cioè
dell'ordo, dell'ordinamento, e appunto dell'ordine reciproco di tutti gli elementi di un
insieme dato. In pratica si afferma un'estetica anestetica, violentissima sulle ragioni
del mercato, ma priva di contraddizioni interne al suo stesso enunciato. Un'estetica priva
di punti di vista riconosciuti o riconoscibili. Un'estetica senza cardinalità.
Un'estetica che moltiplica senza soluzione di continuità i caratteri e le modalità della
valutazione estetica. Un'ipertrofia estetica.
Trasmutazione di tutte le forme e caduta delle culture dominanti
Ora, il momento estetico, l'atto recante un contenuto estetico e il gesto artistico
diventano lo specchio non della contaminazione, come si dice, bensì della combustione di
un propellente culturologico che ciascuno confeziona e poi infiamma secondo il suo talento
e in ragione del momento, mescolando fra loro linguaggi appartenenti a universi separati
ma sempre più connessi. Anche dal punto di vista meramente pragmatico il mondo
presente-futuro appare immerso in un conglomerato di significati valutati sulla scala
quasi tattile del più concreto campo di relazioni immaginabile: l'universo delle merci.
L'ipertrofia estetica segue esattamente le sorti dell'ipertrofia delle merci sospinta da
un moltiplicatore di segni qual è l'ordinateur. Un motore che spinge la storia in regioni
frattali, organiche, sintetiche, ma anche in dimensioni autoreferenziali, autogenerative,
automimetiche. Sicché, si delinea una immane, straordinaria, affascinante ma anche
terrificante funzione di connessione.
Definiamo oggi questa funzione con il nome di 'complessità', e non a torto. La definiamo
in questo modo perché siamo forse nuovamente consapevoli del fatto che il posto che ci
viene assegnato, o che ci conquistiamo nel tessuto della connessione in espansione, non
può che appellarsi ad una visione parziale ed evolutiva di una piccola partizione
estraibile dall'insieme del campo di relazioni. La novità di questa nostra visione
risiede però nel fatto che la sua specificità mereologica è ora percepita sul piano
immanente, e in essa scopriamo che la creazione individuale sembra orientata a tal punto
dal primato della psicologia quanto in generale le relazioni fra tutte le comunità del
pianeta sembrano ormai soggiacere quasi esclusivamente alle ragioni dell'economia.
L'ipotesi estrema e per certi versi paradossale contenuta in questo scritto è forse a
questo punto evidente: se l'idea del primato di una astratta funzione della connessione
governata dalla coerenza interna ai tecnosistemi possiede qualche consistenza, allora si
può anche affermare che la Cultura ha esaurito o si trova in procinto di esaurire la sua
funzione storica. In sintesi, la funzione di connessione è la tomba della Cultura.
In particolare, viene da chiedersi se in un'epoca come la nostra sia ancora possibile la
nascita del mito, e in particolare se possano sorgere miti culturali, forti o deboli,
duraturi o effimeri. Proprio questa rassicurante esistenza di un Olimpo mitografico sembra
già in procinto di subire un'erosione di forza pari all'incremento della quantità di
circolazione dei segni di nuova e nuovissima formazione, e al decremento della consistenza
dei simboli. Del resto, la riduzione della creazione all'azione contestuale segue le sorti
di una civiltà che giustifica la profanazione del 'simbolico'. Ed ecco che la creazione
non può che seguire una via orizzontale, atomica, atonica. Una sintesi che ad esempio si
rivela perfettamente adeguata all'universo orizzontale della pubblicità, ma che si
dimostra assolutamente inadatta a esprimere alcunché non appena si intenda sostituire il
pur minimo gradiente di universalità al generale dominio del particolare.
Infine non sussiste Cultura in un mondo in cui il giudizio è sempre più virgolettato, e
in un contesto in cui il gusto non è mai coincidente né stabile. Ma soprattutto non
esiste cultura in senso esteso laddove non è logicamente possibile il radicamento del
'carattere'. Com'è noto, in molti contesti linguistici occidentali il termine 'cultura'
è spesso sinonimo di 'civiltà', e in definitiva, seguendo Mauss, di forma.
Ma l'universo tecnologico del presente-futuro è esso stesso l'universale, camaleontica ed
evolutiva meta-forma dell'esistente. Perciò ogni suo elemento coscienziale (ovvero ogni
punto di congiunzione della rete di relazioni) mira soprattutto a manifestare o a
comprendere il contenuto dell'azione. In definitiva, le forme particolari che emergono da
un siffatto contesto esprimerebbero una singolare ed effimera coincidenza fra il momento
estetico e l''oggetto', artistico, simbolico, estetico che sia. Un equilibrio instabile
che può sussistere soltanto nella dimensione dell'"istante".
Al contenuto si richiede un valore di verità immediatamente fruibile, qui e ora. E solo
nell'hic et nunc. All'interno di questo universo relazionale che si espande in profondità
e in estensione si pone la questione se sia ancora possibile l'instaurazione di una
cultura dominante. E ciò perché in un mondo senza forme 'materiali' connaturate e
relativamente stabili anche la competitività fra soggetti logici risulta instabile. In
conclusione, nel fluido vitale dell'informazione circolante in tempo reale viene a mancare
il movente che ha determinato la ritualizzazione del conflitto, senza la quale non è data
Cultura.
Ciò che accade all'esterno di questo mondo cessa di essere importante e in sostanza esce
dall'orizzonte degli eventi storicamente determinanti.
Ora, la dimensione immateriale dell'elettronica interattiva, questa meraviglia tecnologica
e tecnopoietica, assume l'aspetto di una forza storica incarnata. Notiamo
quest'incarnazione e ci soffermiamo sul cangiamento delle forme. In realtà osserviamo
l'alterazione costante e accelerata delle relazioni fra i segni e i denotati, di cui le
forme in mutamento sono l'immagine storica. La forza storica della funzione di connessione
rivela oggi la trama onnipresente e inconscia di un campo di relazioni che è
metasimbolico. E dunque essa può essere paragonata all'incubatrice di un'identità
collettiva che si afferma in vario modo e grado nei suoi elementi corpuscolari.
La massa d'urto della creatività collettiva inconscia è probabilmente abissale, ed è
veramente prossima al limite della storia.
Questa forza sottopone il mondo circostante a una pressione interna tendenzialmente
esplosiva. La moltiplicazione dissipativa dei referenti è allora il prodotto di una
sistema che controlla i flussi di relazioni fra soggetti che si moltiplicano senza sosta.
Dal punto di vista estetico la meta-forma dà luogo a innumerate visioni del mondo, tutte
mutualmente incompatibili, ciascuna distaccata dall'altra, ma tutte intimamente connesse.
In un siffatto mondo di identità moltiplicate l'Arte cessa di incarnare le sia pur
residuali idealità normative che aveva finora conservato. Non potendo incarnare un'idea
plastica qualsiasi l'arte cessa anche di essere una pratica devozionale, sia pur profana,
e torna al suo originale significato di . Perciò il suo stesso statuto ontologico
unitario si trova ad affrontare una crisi senza precedenti. Ma in quanto categoria
merceologica l'arte trova una perfetta corrispondenza nelle raffinatezze del consumerismo.
Ed ecco il moltiplicarsi senza fine degli artisti, degli stili, dei prodotti, delle
tendenze, dei 'discorsi intorno a'. Quando un prodotto satura il mercato allora per tenere
alta la tensione fra la domanda e l'offerta si ricorre anche alla apparente
diversificazione del prodotto. Questa strategia, applicata al mondo dell'arte, dà luogo
al trionfo dell'Eclettismo.
L'estetica dell'eclettismo si afferma ad esempio nei grandi contenitori espositivi, e più
diffusamente ovunque nel contesto di quelle pratiche dell'arte che possiamo in effetti
definire 'tradizionali'. Semplici immagini che riflettono in mille modi la fine della
'forma'. Sotto la superficie di una tolleranza apparentemente illimitata si cela l'idea
incarnata secondo la quale tutte le espressioni d'arte sono equivalenti. Pertanto ogni
espressione tende a valere in sé, venendo appunto a cadere il principio che la vorrebbe
latrice di una Weltanschauung. L'eclettismo è l'ultima chance del postmodernismo. Ma
oltre il bordo si affaccia l'era dell'ultramodernismo e dell'estetica virtuale, vera
responsabile della frantumazione in atto. In questo conflitto fra la moltiplicazione delle
forme e la consistenza dei contenuti tende a emergere una nuova generazione che domina i
mezzi del futuro e che possiede la forma mentis capace di esprimerne al massimo le
potenzialità. Da questa generazione presa nel suo insieme si attende forse una scelta
verticale, cioè un impulso orientato in direzione delle vette del cuore, della ragione,
dello spirito.
1 G. De Chirico, Zeusi l'esploratore, in "Valori Plastici", 15 novembre 1918.
2 L. Mumford, The City in History, 1961, La città nella storia, trad. it. a cura di
Ettore Capriolo, Bompiani, Milano, 1997, p. 571 e ss.
3 M. McLuhan, Understanding Media, 1964, Gli strumenti del comunicare, Milano,
Garzanti, 1967, p. 309 e sgg.
4 C. Carrà, Il quadrante dello spirito, in "Valori Plastici", 15 novembre
1918.
5 M. Verdone, Cinema e letteratura del Futurismo, Ediz. di Bianco e Nero, Roma, 1968;
Manifesti futuristi e scritti teorici di Arnaldo Ginna e Bruno Corra, a cura di Mario
Verdone, Longo Editore, Ravenna, 1984.
6 Manifesto Ricostruzione futurista dell'universo, firmato "Balla e de Pero
astrattisti futuristi", Milano, 11 marzo 1915, in Casa Balla e il Futurismo a Roma, a
cura di Enrico Crispolti, catalogo della mostra, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato,
settembre 1989, p. 227.
7 M. Sarfatti, Segni colori e luci. Note d'arte, Bologna 1925, p. 135.
8 L. Venturi, Il paesaggio. Un problema della Mostra del Novecento, in "Il
Secolo", 2 marzo 1926 e in Pretesti di critica, Milano 1929.
9 L'aereo è certamente un medium nel senso mcluhaniano, giacché McLuhan, com'è noto,
inglobava in questa espressione la radio, la televisione, i giornali, ma anche la ruota,
l'automobile e l'aereo.
10 Balla, Benedetta, Depero, Dottori, Fillia, Marinetti, Prampolini, Somenzi e Tato,
L'Aeropittura, (1929), in E. Crispolti, Il secondo Futurismo, Torino 1961 p. 280 e ss.
11 G. Bottai, Progressismo e futurismo, in "L'Ardito", 1 gennaio 1921, in
Giuseppe Bottai, La politica delle arti, scritti 1818-1943, a cura di Alessandro Masi,
Roma, Editalia, 1992 p. 64.
12 G. Bottai, La giovinezza come ordine nuovo, in "Primato", 15 luglio 1942,
ibidem p. 297.
13 G. Bottai, Il cammino dell'arte, in "Primato", 15 gennaio 1942.
14 U. Boccioni, Pittura e scultura futuriste (dinamismo plastico), Edizioni futuriste
di "Poesia", Milano 1914, p. 203; poi in U: Boccioni. Scritti editi e inediti, a
cura di Z. Birolli, Feltrinelli, Milano, 1971. R. Notte, Boccioni profeta di mondi
virtuali, in "Terzo Occhio". a. XX, n. 73, dicembre 1994, pp. 10-13; poi in
Millennio virtuale, Seam, Roma 1996.
15 U. Boccioni, op. cit., p. 203.
16 C. Belli, Kn, (1935), Edizioni di Vanni Scheiwiller, terza edizione accresciuta,
1988, p. 150.
17 in F. Azari, Vita simultanea futurista, a cura di Lucia Collarile, Edizioni Museo
Aereonautico G. Caproni, Trento, 1992, p. 93.
18 K. Capek, R.U.R. (Rossum's Universal Robots). Da dove nacque la progenie del Cyborg,
a cura di Vanni De Simone, Synergon, Bologna, 1995.
19 "La Radia", manifesto futurista firmato da F.T. Marinetti e da Pino
Masnata, pubblicato nelle "Gazzetta del popolo" di Torino dell'ottobre 1933 fu
preceduto dal manifesto "Il teatro futurista Aeroradiotelevisivo", firmato da
Marinetti e pubblicato sempre nella "Gazzetta del popolo" nell'aprile 1931. In
questo testo Marinetti tra l'altro immagina "smisurati pannelli di aeropoesie" e
"giganteschi schermi per televisione" che solcano il cielo appesi agli
aereoplani.
20 R. Notte, L'Olocausto virtuale, in "Juliet" n. 78 giugno 1996, T. Macrì,
Il corpo postorganico. Sconfinamenti della performance, Costa & Nolan, Genova, agosto
1996; F. A. Miglietti, Dalla piega alla piaga. Esseri delle contaminazioni contemporanee,
Costa & Nolan, 1997.
21 A. Caronia, Il corpo virtuale, Franco Muzzio Editore, Padova, 1996, p. 24 e sgg.; G.
P. Ceserani, Gli automi. Storia e mito, Laterza, Roma-Bari, 1983. A. Caronia - D. Gallo,
Houdini e Faust, Baldini&Castoldi, Milano 1997.
22 F.T. Marinetti, L'aropoema di Gesù, (1944), con una nota di Claudia Salaris,
Edizioni del Grifo, Montepulciano (Siena), 1991.
23 G. Agnese, Il profeta Marinetti cinquant'anni dopo, in "Il Tempo", Roma 1
dicembre 1994, poi ampliato in "Mass Media", a. XIII, n° 5, novembre-dicembre
1994, pp. 38-41. La tesi di Agnese è stata poi ripresa da Ludwig Seifarth; cfr. L.
Seifarth, Wyndham Lewis und der Vortizismus, in "Blast". Vortizismus die erste
avantgarde in England 1914-1918, catalogo della mostra, Hannover-München 1996-1997, p.
100.
24 D'Arcy W. Thompson, Crescita e forma, Bollati Boringhieri, Torino, 1969.
25 I. Prigogine, From Being to Becoming. Time and Complexity in the Phisical Sciences,
1978, Dall'essere al divenire. Tempo e complessità nelle scienze fisiche, trad. it a cura
di Gianluca Bocchi e Mauro Ceruti, Giulio Einaudi, Torino, 1986, p. 251 e ss.
26 M. Canali, Virtuale, Archetipi, Corpo, in Correnti Magnetiche. Imagini virtuali e
installazioni interattive, catalogo della mostra a cura di M.G. Mattei, Arnaud-Gramma,
Perugia, 1996 pp. 49-50.
27 T. Leary, Caos e Cibercultura, collana "Urra", Apogeo, Milano, 1995.
28 H. J. Velena, Annihilate this week, Synergon, Bologna, 1993; Dal cybersex al
transgender, Castelvecchi, Roma, 1995.
29 G. Deleuze - F. Guattari, Mille plateaux - Capitalisme et schizophrénie, Les
Editions Minuit, 1980, trad. it. Come farsi un corpo senza organi. Millepiani, Capitalismo
Schizofrenia, II vol., Castelvecchi, Roma, 1996, p. 12.
29 P. L. Capucci, Arte e tecnologie. Comunicazione, estetica e tecnoscienze, Edizioni
dell'Ortica, Bologna, 1996, p. 94.