Giganti
Giganti sulle spalle dei nani
Il millennio volta pagina, si lancia in un futuro avveniristico e archivia il suo passato.
Nessuno indossa il lutto. Nessuno reclama il credito. Ma così deve essere.
La dimensione memoriale non può né deve sopravvivere allespansione generativa e
frattale dei segnali: atmosfera generata dal nuovo sistema-mondo.
Ecco che il millennio sorge altero e vigile, ma anche consapevole che il tempo
riservatogli non potrà più riconoscersi.
Dal suo dominio è stato cacciato il sapore ed è stato bandito il tono.
In una parola già da tempo il sistema-mondo si prepara a chiudere la sua millenaria
partita con lo Stile.
Il problema dello stile nellepoca della espansione progressiva dei segnali comporta
il fatto che la riconoscibilità trascolora dalle gerarchie della forma alle piramidi del
contenuto estremizzato e del particolare ingigantito. Esagerazione e non accrescimento,
enfasi, perfino iperbole, ma non misura.
Eccesso e forzatura; mai equilibrio.
Régis Debray notava a questo proposito che la civiltà dei media elettronici e
impalpabili deve pagare la sua imponderabilità a suon di poderose intraprese
architettoniche: lobbligo di far vedere, quando c'è già tanto da vedere, spinge a
conservare di preferenza un certo tipo di patrimonio, prima di tutto architettonico, ma
anche a costruire in grande: Grande Louvre, Grande Arco, Grandissima Biblioteca.
Small is too dangerous, sostiene Debray.
Questa tendenza al gigantismo non deve però ingannare; anche perché si può agevolmente
obiettare che il titanismo architettonico e statuario, inventato dalle grandi civiltà del
passato remoto, era destinato alla memoria, ed era insomma permanente, per quanto
possibile. La similitudine fra il gigantismo arcaico, antico e moderno risiede unicamente
nella potenza dimensionale; ma diametralmente opposti sono i contenuti. Non è lecito
parlare di sfida alla conservazione anche perché i secoli futuri
conserveranno ben pochi esempi materiali del nostro attuale gigantismo.
Ben diverso è il titanismo nato dal conflitto fra le prime burocrazie chirografiche
gemelle: l'amministrazione e il clero, il potere del sovrano e il potere della Chiesa,
entrambi di ascendenza divina e ambedue interessati alla seduzione del gigantismo, al suo
messaggio lanciato nei secoli dei secoli. 2 Inoltre, la magnificenza architettonica delle
antiche civiltà si manifestava soprattutto nelle opere pubbliche destinate al culto dei
morti, e obbediva all'idealizzazione dell'autorità. Dal regno di Chefren in poi (ca. 2565
a. C.) l'immagine del Faraone rappresenta lo Stato e tende tanto al gigantismo quanto alla
visione frontale. Tuttavia le piramidi, questi giganti astratto-geometrici, sono pur
sempre tombe. Anche Napoleone giace in una gran tomba, sia pure lillipuziana, se
paragonata alle piramidi egizie. Siamo comunque al cospetto di forme di idealizzazione del
potere sovrano, forme generate in momenti storici che evidenziano una grande raffinatezza
dell'organizzazione chirografica e, nel caso delletà napoleonica, la prima
affermazione delle grandi burocrazie nazionali, selezionate dalla pervasività della
cultura tipografica e dalla sua intrinseca psicodinamica.
Noi contemporanei, democratici, alfabetizzati e videodipendenti, non proviamo alcun reale
disagio di fronte a queste e ad altre forme di deificazione storicamente accertate. Ciò
vuol dire che al di là delle svolte epocali e storiche determinate dall'avvento di sempre
nuove tecnologie del pensiero e dell'immagine esiste un segreto filo conduttore, una
stratificazione archeopsichica, che in qualche misura collega l'individuo immerso nella
civiltà dei media elettronici al suo antichissimo avo sumero o egizio.
La vecchia Europa genera nuove divinità laiche con grande fatica, anche perché essa è
stata duramente provata dalla storia; ma basta vivere per qualche tempo nel nord America
per capire che in questo punto nevralgico del pianeta gli dei sono ancora generati, da
almeno un secolo, e alla catena di montaggio.
Negli Usa si può infatti aspirare alla divinizzazione, proprio come accadeva ai cesari
dell'antica Roma. Non a caso l'America del nord è anche la patria dei super eroi.
Ma quel che da noi è soltanto pura fantasy lì è realtà viva, pulsante. In ciascun
McDonald's del globo il menu del momento ha lo stesso nome e sfrutta le medesime immagini
dell'ultimo personaggio immaginario sfornato da Hollywood. A New York, nel megastore della
Warner Bros, sono esposte e accuratamente protette in teche di cristallo le reliquie della
produzione dei più famosi cartoons, dei super eroi.
Durante la mia ultima escursione negli Usa ebbi un approccio eminentemente emico
all'intimo significato del gigantismo mediatico quando mio malgrado fui catturato e
incatenato dalle ciclopiche affiches di Michael Jackson che dominavano le formicolanti
folle della Broadway. La divinità demonica di una rock star ebbe
probabilmente sulla mia psiche un effetto paragonabile al turbamento che riceveva il
pellegrino greco al cospetto del colosso crisoelefantino scolpito da Fidia.
Camille Paglia ha osservato che il titanismo e il gigantismo psichico, così espliciti in
Michelangelo o in Goethe, sono caratteristiche maschili: vere e proprie proiezioni
falliche che manifestano l'aspirazione all'affrancamento definitivo dal principio
femminile, che è invece ctonio, confusionale e dionisiaco.3
Il gigantismo corrisponderebbe dunque ad unapollinea volontà di
autoidentificazione: una sfida cosmica e titanica tendente allaffermazione e
allespansione dellindividualità. Ritengo che le attuali espressioni del
gigantismo rappresentino l'ultima e suicida sfida interna alle potenzialità estetiche
prodotte dalla psicodinamica delle comunicazioni elettroniche. Il maschile gigantismo si
oppone, infatti, a unagguerritissima falange di categorie femminili, oscure, umorali
e confusionali. Nelle forme estetiche del nostro tempo esistono innumerevoli coppie
estreme, a volte anche opposte, che riflettono tensioni antropologiche emergenti e
irrisolte. Strutture contraddittorie e dinamicamente conflittuali. L'opposizione fra il
gigantismo e il monumentalismo resta a mio parere la più spettacolare, anche per la sua
razionale applicazione nel cinema e nell'animazione. Ma non meno rilevanti sono le coppie
che oppongono il Demoniaco allAscetico, lOrrido al Pittoresco,
lImmaginifico e il Visionario al Realistico, il Fantascientifico al Fantastico e al
Fiabesco. Forme della rappresentazione che non convivono (come si dice in nome di
unantropologia delle culture nomadiche) ma che al contrario si combattono senza
sosta.
Esempi di gigantismo si notano in Christo, Schifano, Burri, De Dominicis, Botero. Il
demoniaco è il territorio di Damien Hirst, di Marina Abramovic, ma anche e in diverse
forme di Mattew Barbey o di Chapman.
Larte visionaria, ultima discendenza di Gustave Moreau, Caspar David Friedrich,
Arnold Böcklin, William Blake e di Odilon Redon la ritroviamo per esempio in Giger, del
quale tratterò nel quarto capitolo a proposito del fondamentale archetipo
dellAlien. Di capitale importanza è il fatto che in generale è tutta l'arte che
esplora la frontiera elettronica è potentemente attratta da queste suggestioni, forse a
causa del mistico rapporto fra limmagine e il suono.
Larte contemporanea, talvolta senza pudore, in ogni caso per principio, ricorre
all'estremo, allirripetibile, al memorabile; o a quel ben mirato particolare che
deve colpire milioni o miliardi di persone, che deve restare nella memoria attraverso il
riflesso dei media. Christo Javacheff, scultore statunitense di origine bulgara, nel 1976
impacchettò temporaneamente la Running Fence stendendo un nastro di nylon alto cinque
metri per oltre trentotto chilometri, lungo due contee della California.
Nell83 impacchettò alcune isole nella Biscayne Bay in Florida,
nell85 il Pont Neuf a Parigi. Infine nel 95, dopo aver vinto un
estenuante contenzioso con le autorità tedesche, imballò il Reichstag di Berlino, il
simbolo dei simboli della volontà di potenza. Su un altro versante (tipicamente italiano)
Gino De Dominicis costruì uno scheletro quasi-umano (o ultraumano) grande quanto quello
di un dinosauro, anticipando l'esplosione mediatica di questarchetipo imputabile al
binomio Michael Crichton-Stephen Spielberg.
In definitiva larte contemporanea è un laboratorio antropologico importante perché
in esso si affila larma dellestremismo e dellestremo limite. Non
soltanto lestremo limite estensionale, ma anche il limite territoriale di tutte le
frontiere fisiche, psichiche, morali. Gli artisti ricorrono allestremizzazione anche
perché molti fra loro sono consapevoli che esistono alcune regole mediatiche inespresse
ma apodittiche; essi hanno una precisa nozione della realtà circostante, la quale
esibisce limiti costantemente superati. Si costruiscono ponti lunghi decine di miglia,
grattacieli di mezzo chilometro, gallerie che attraversano il mare, si progettano dighe
ciclopiche che modificano l'assetto geologico di intere nazioni, satelliti artificiali che
inanellano Marte, Giove e Saturno. Si annuncia con giustificato compiacimento che il
Voyager 2 ha divorato il suo decimiliardesimo chilometro. Ma le sonde che scavalcano il
cosmico recinto de sistema solare e le vacanze orbitali promesse dai giapponesi annunciano
nei fatti lera dei viaggi interplanetari. L'immensità del cosmo impone misure
colossali, metri astrali inimmaginabili: unità astronomiche e parsec nascono per radunare
nei pascoli galattici gli ammassi stellari. Di fronte a siffatte estensioni quale
importanza può ancora avere qualche edificio di ferro e cemento? Il finalismo della
tecnologia spaziale esprime il dominio sullo spazio, ma non si cura della dimensione
temporale.
La differenza fra questo genere di gigantismo tecnologico e il senso del monumentale sta
nel fatto che soltanto il secondo si inscrive nella logica della stupefazione senza età,
affidata alle generazioni postume. La Sfinge è stata creata per durare nei millenni, per
accreditare un'immagine eterna della forma attraverso l'eternità della sostanza. Al
contrario, nessunopera appartenente al mondo macroscopico creata in questo nostro
tempo è davvero permanente, se non nella memoria della storia dell'arte. Non certo nella
memoria in formazione dei nostri nipoti e pronipoti. Si avvera la profezia
dellarchitetto futurista Antonio SantElia, che nel manifesto sull
architettura futurista (1914) annunciò la caducità delle città moderne. Ogni
generazione avrebbe distrutto e ricostruito la propria città. Città virtuali ante
litteram, dunque.
Daltra parte le opere architettoniche di questo nostro ciclo hanno un loro valore
duso limitato nel tempo. Unintrapresa ciclopica comunica limpressione di
essere soltanto uno stadio di unevoluzione che impone il costante superamento di
ogni fase. Questo principio vale anche per quelle imprese scientifiche che a tutta prima
sembrano in sé conchiuse. Per esempio, la mappatura del genoma umano in realtà
presuppone la manipolazione genetica, e in prospettiva mira alla realizzazione dell'uomo
transgenico: l'ente ultraumano.
Gli artisti contemporanei percepiscono chiaramente il titanismo delle tecnologie e
reagiscono valicando l'estremo anche in altri modi. Per esempio sfidando gli estremi
limiti della liceità, o quantomeno di ciò che è ritenuto lecito nel nostro contesto
storico. Così, Demian Hirst taglia smembra agnelli, mucche, squali e li conserva nella
formalina. Ma il passo logico successivo, probabilmente vietato dal reato di vilipendio di
cadavere, consisterebbe nella possibilità di esporre i resti mortali di un essere umano
opportunamente segato. Allopera darte non è ancora concesso ciò che si
effettua nei laboratori. E forse un giorno esisterà la camera della morte come opera
darte: esecuzione dal vivo, partecipazione orgiastica al rito dello smembramento del
condannato e banchetto cannibalico inclusi nel prezzo del biglietto.
La serialità, seconda e non meno efficace forma di perpetuazione dell'effimero, divenne,
come si sa, la nota dominante dalla Pop-art. L'incremento della serialità implica
l'incremento di diffusione dell'immagine presso un pubblico sempre più vasto e
indifferenziato (affiches, fotografia, retino serigrafico) Il processo com'è noto è
descritto da Walter Benjamin e si può anzi affermare che la citazione obbligatoria del
concetto benjaminiano di morte dell'aura sia un esempio eccellente di
serialità autoreferenziale e ricorsiva. E un esempio quasi metafisico del potere della
metaserialità
L'esistenza di unaura dellopera d'arte, sia pur attribuita a un
tempo definitivamente archiviato, è certo una nozione altamente problematica e per lo
studioso di scienze sociali realmente sfuggente, se non imbarazzante. Ma forse è
possibile ottenere una migliore immagine di quanto accade ogniqualvolta un prodotto
estetico incontra un suo pubblico se sostituiamo al termine "aura"
lespressione "campo di risonanza". Questa nozione compare spesso negli
studi di estetica. Florenskij riteneva che la pubblicità può creare delle vere e proprie
"macchine magiche" dotate di campi di forza psichica e capaci di influenzare i
comportamenti delle masse.
È importante ricordare che la Pop Art non fu che la fase conclusiva e riflessiva dei
processi creativi innescati dallevoluzione dell'arte popolare e dei prodotti di
massa, della pubblicità, del fumetto, dellaffiche, dei cartelli e della segnaletica
autostradali.4 Macdonald definiva in anticipo sui tempi questo mondo estetico il riflesso
antropologico del Midcult.5 Del resto, com'è noto, i contributi creativi di Paolozzi,
Lichtenstein, Rosenquist o Wesselmann non sono che elaborazioni di un universo segnico
preesistente, come aveva del resto ben compreso Peter Greenberg vent'anni prima che il
fenomeno Pop si affacciasse sul mercato dell'arte e della moda culturale.6
Forse una certa qual eccezionalità si deve riconoscere a Claes Oldenburg e ad Andy
Warhol. Oldemburg fu infatti particolarmente attratto dalla rappresentazione
tridimensionale e monumentale doggetti d'uso plastificati. In qualche modo Oldenburg
aveva intuito il senso della progressiva virtualizzazione del reale. Andy Warhol, dal
canto suo, avvertì che sullimmagine tecnicamente manipolata attecchisce un
inevitabile processo di de-realizzazione, 7 e questa sua idea si esprime al meglio nei
film che realizzò con la telecamera fissa, laddove il tempo reale, ma scandito dalla
cinepresa, si dimostra un tempo assurdamente rallentato. Lo scorrimento
"leggero" e fluido della temporalità agostiniana può essere dunque
artificialmente trasformato in un tempo insostenibilmente "pesante". Ma
questoperazione implicava già allora che la "vera" temporalità è da un
pezzo amministrata dall'universo dei media fotomeccanici, precursori poveri degli
elettronici mondi artificiali e delle realtà virtuali.
Tuttavia, l'apparizione della Pop Art e la sua quasi immediata museificazione rappresentò
la fase finale di un lungo percorso dellimmagine meccanizzata. Nel disegno che segue
ho situato il fenomeno dellarte Pop nel punto più alto del grafico, in altre parole
nella situazione di massima risonanza e di minimo impatto. L'asse delle y misura infatti
l'intensità di impatto psichico del prodotto estetico finalizzato. La y esprime dunque la
forza d'attrazione psichica del campo di risonanza.
Sull'asse delle x tracciamo invece l'incremento quantitativo della serialità, che a sua
volta è funzione delle migliorie tecniche o delle nuove invenzioni applicate alla
riproduzione meccanica.Dalla funzione generica otteniamo una curva decrescente.
Contemporaneamente, però, la riproducibilità tecnica potenzia la possibilità
dellinstaurazione del Mito. La curva generica disegnata sopra illustra
leffetto osservato da Benjamin in questo modo: fotografia e riproduzione
fotomeccanica nel suo insieme distruggono progressivamente laura; lincremento
della funzione di x appare dunque decrescente.
In altri termini, aumentando il potere della riproducibilità meccanica tende a decrescere
e infine a svanire la definizione di grandi individualità che definirò
classiche.
Analogamente, grazie all'evoluzione delle tecnologie materiali si prepara
l'epoca delle grandi individualità che sono state molto opportunamente definite
meccaniche.
Possiamo rappresentare questo nuovo valore con una curva che si aggiunge alla prima e la
prolunga, ma questa volta, a partire dallx di flesso, landamento è
incrementale.
y = (x)
x1 x2 xF xn xz
A parità di intervalli da x1 a x2 la funzione decresce; dx, cioè l'incremento di x,
diminuisce fino a x3. La funzione è decrescente. In un intorno dell'x di flesso non si
osserva una significativa variazione della funzione. Lo stato di minima capacità di
stimolo contenuta nel mito classico corrisponde sul piano dei grandi eventi
storici alla stasi economica, al crollo di Wall Street, al declino della Repubblica di
Weimar. Il cinema, la moda e il giornalismo registrano e tramandano il sapore di questa
crisi trasversale, che abbraccia due continenti in una stretta mortale.
Ma una volta superato xF sulla funzione si registra un nuovo incremento. Inizia la
convulsa, disorganica, aggressiva ripresa. Il grafico della funzione che ho disegnato
serve a mostrare che a mio parere, superando xz, la funzione tende all'infinito.
L'introduzione di una funzione infinitaria nel grafico rappresenta la linea
devoluzione di quel sentimento comune definito "superomismo". Questo
sentimento del superamento dell'umano non è soltanto una nozione nietzschiana. Esso,
infatti, promana dalla straordinaria, incomprensibile affermazione delle grandi
individualità "meccaniche". In quel tempo Hitler va al potere e non a caso nel
1936 Carl G. Jung, in un suo memorabile saggio, associa questascesa alla
recrudescenza dellarchetipo contenuto nel mito di Wotan. 8
Com'è noto, dopo alcuni decenni McLuhan avanzò lipotesi che il suono magico della
radio ebbe uninfluenza particolare sul popolo tedesco. Il profeta dei
media attribuiva questa influenza nefasta al fatto che la mentalità del tedesco
medio non era stata a quellepoca completamente ristrutturata della psicodinamica
della stampa; la quale, a suo dire, in altri popoli avrebbe invece favorito il rigoglioso
sviluppo di quellindividualismo capace di frenare gli effetti subliminali del
tamburo neotribale. Cosa certamente non del tutto vera. 9
Il popolo tedesco, per dirla con Elias Canetti, è simile alla massa di una foresta
schierata in battaglia; simbolo vegetale che si presta a spiegare leffetto di un
tamburo neotribale su un popolo che al pari di una foresta non indietreggia di fronte a
nulla.10 Il tamburo della radio suonava anche oltre gli Urali, laddove Stalin consolidava
il suo cruento dominio. Il tamburo della radio suonava infine là dove si preparava una
nuova tempesta, questa volta non dacciaio ma di radiazioni. Non a caso Akira
Kurosawa, in Rapsodia d'agosto (1991), associò il fungo atomico al mitologema dell'occhio
luciferino. In quegli stessi anni al mondo si annunciò la nascita dei primi, rudimentali
elaboratori elettronici, destinati a compensare un potere distruttivo senza pari.
Con l'avvento dell'immagine elettronica le individualità mitiche tendono ad aumentare
di numero, ma del pari decresce la loro forza di impatto, cioè il loro grado di
corrispondenza alla riconoscibilità universale. Questo perché la capacità di
riproduzione diventa anche capacità di produzione, anche se sempre reale, ovvero (almeno
parzialmente) referenziale. Le immagini dell'elettronica (Tv) e poi del virtuale (reti e
postproduzione) convergono dapprincipio sulla realtà, poi si fondono e si mescolano con
essa e infine si sostituiscono alla realtà. La realtà perde consistenza e non può più
ospitare il mito incarnato. Può però ospitare il simbolo e l'archetipo. Trattando delle
relazioni fra le funzione del divo e la nascita del mito Marchall McLuhan affermò che
"la bassa intensità dell'immagine televisiva rifiuta praticamente l'alta intensità
dell'immagine mistica".11
Il seguente grafico espone a grandi linee l'andamento di questo fenomeno. Il diagramma è
stato disegnato in modo tale da evidenziare il prolungamento della curva che superato xe
segue un andamento nuovamente decrescente:
xe
Il grafico illustra anche il nuovo tipo di relazione che si viene ad instaurare fra ciò
che Wittgenstein definiva "la totalità degli stati del mondo" e i primi
germogli di virtualità. I mondi virtuali subentrano lentamente, disarticolando i già
allentati vincoli referenziali di una realtà che da tempo subiva la pressione
dell'informazione televisiva. L'incremento della funzione torna decrescente a partire
dagli anni '70 circa, e coincide dunque con la fine della guerra in Vietnam, con il
superamento dei limiti della trasmissioni tv in differita e con le nuove possibilità
della trasmissione satellitare in diretta. Il decremento della funzione mostra una certa
qual convergenza verso un punto di saturazione. Questa saturazione si riflette anche nella
realtà economica e politica e coincide con a caso con la massima espansione dei
deterrenti nucleari e con la crisi petrolifera mondiale.
Ma è anche il momento in cui si assiste alla programmazione dei viaggi interplanetari. E
tutte le nazioni tecnologicamente progredite iniziano quasi allunisono a servirsi
del trattamento informatico delle informazioni.
Tuttavia, alla rappresenzazione grafica su indicata occorre aggiungere anche l'asse delle
z, perché l'azione si svolge nel tempo, e per non in un tempo omogeneamente distribuito.
z = (x y)
dal punto T° in poi il vettore viola la barriera temporale, l'ordinamento cronometrico
collassa. I mondi virtuali, e le memorie globali e totali, preannunciano un eterno
presente che si sgrana in mille percorsi temporali autonomi. In questo tempo-spazio
concentrato eppure esteso all'infinito si definisce la visione ipermimetica
del reale. Funzione di linguaggi di ordine superiore.
Le curve tracciate sul grafico sono ovviamente immagini euristiche. Esse possono però
essere interpretabili alla luce della nozione di "organizzazione razionale del reale
fenomenico". Si è soliti considerare coincidenti lo sviluppo delle organizzazioni e
le tecniche del pensiero e della registrazione della memoria. Il progresso tecnologico, si
dice, provoca tra i suoi effetti un avanzamento, una maggiore complessità
dell'organizzazione. Ma dal punto di vista estetico vale il principio opposto. Gli
strumenti tecnologici sorgono e si affermano perché l'evoluzione interiore della forma
insegue e squaderna nuove possibilità tecniche.
È l'imperativo della forma che sostiene lo sviluppo tecnico. Non viceversa. Questo
processo incerto e altalenante si chiarisce nelle principi intelligibili e nei segni dei
tempi. Il raggio d'azione della tecnica qualifica una funzione incrementale discontinua
che integra le modalità della sua stessa rappresentazione.
La discontinuità, la dissonanza, si palesa ad esempio nel dialettico emergere di forme
sempre nuove che si incarnano nelle nuove frontiere tecniche della rappresentazione: gli
sviluppi della fotografia, il cinema, la radio, la televisione, il computer. Ogni volta
che un settore della creatività formale si incarna e praticamente crea i presupposti di
una nuova tecnica della rappresentazione (più raffinata e incisiva delle precedenti)
accade che gli altri settori si trovino a dovere ridisegnare il propri statuti estetici.
Il processo è sempre ibridante. Per esempio luso del sonoro nel cinema è stato a
posteriori considerato una autonoma e necessaria evoluzione del mezzo, ma come si sa in
quellepoca i protagonisti e gli spettatori di questa logica evoluzione
furono scossi da una vera rivoluzione estetica. Cosicché il cinema sonoro può essere
considerato un primo evidente esempio di ibridazione. La naturalezza del processo di
evoluzione tecnologica di uno strumento estetico deriva dalla distanza storica e dalla sua
peculiare sensibilità critica, la quale, a posteriori, ci permette di vedere questo
processo evolutivo come un fatto necessario, e in assoluto obbediente a leggi proprie.
Osserviamo il rapporto ibridante da un punto di vista organicistico. Diversamente vedevano
le cose i nostri antenati. Non a caso la nascita del sonoro fu salutata come la
"fine" del cinema. In quel momento agiva sulle coscienze comuni un altro tipo di
giudizio estetico, fondato sulla visione organicistica di quel tempo che non è il nostro.
Non cè dunque da stupirsi se i contemporanei di fronte ai mondi virtuali avvertano
sentimenti così contrastanti.
Il processo di fusione, e di ibridazione, si accelera e si complica nel tempo.
Leffetto apparente che risulta è quello di una sempre più accentuata
frammentazione estetica (con la conseguente separazione forzata dei settori di produzione,
ed è ciò che esige la realtà estetica del nostro tempo). In realtà inesauribili indizi
mostrano la tenace persistenza dellestetica ibridante: percezione del svolgimento in
atto condivisa da chi sperimenta dal vivo gli effetti dellelettronica avanzata.
Si dà sempre meno il caso che un fenomeno estetico appaia in tutta la sua evidenza nello
stato nascente di un avanzamento tecnico. Affinché il fenomeno giunga allevidenza
è necessario che la sua base materiale si trovi in posizione strategicamente vantaggiosa
rispetto agli altri strumenti della rappresentazione. Il caso dello standard Microsoft è
un esempio fin troppo evidente.
In ogni caso il punto T° del grafico IV rappresenta il collasso o se si preferisce la
fusione di ogni possibile strumento della rappresentazione. Fino a quel punto contano
ancora le espressioni abituali e quantomeno indirettamente referenziali dell'esperienza.
La perfetta mimesi è appunto raggiunta nel punto T°, momento in cui ogni segmento della
realtà può vivere in eterno in forza di tecnologie mediatiche che sostituiscono
efficacemente la realtà medesima. Fenomeno non ancora attuale, è bene ricordarlo, ma che
nei fatti si annuncia a chiare lettere. Oltre T° il vettore entra anche nelle dimensioni
superiori alla terza e non può essere più rappresentato. Siamo penetrati nel Reame
dell'ipermimesi.
Derrick de Kerckhove ha acutamente notato che la nascita del personal computer non fu
che la logica conclusione di un processo di potenziamento e di frantumazione
dell'informazione. Un sottoprodotto del fenomeno dell'infopollution. 12 L'immaginario
sociale statunitense trovò presto gli interpreti di questi nuovi vettori della storia
convergenti verso scenari che fin dai primi tempi si dimostrarono problematicamente
aperti. In particolare lEra nuova fu salutata dallinatteso successo della
serie Star Trek.
Camille Paglia sostiene non a caso che Star Trek è la visione annunciata di
unavventura apollinea piena di rimandi dionisiaci.
13 Il ritualismo egizio della seconda serie, ben inteso dalla Paglia, non fa che
accentuare la funzione apotropaica di tutti quei complessi rituali ai quali ci ha abituati
la visione della serie televisiva.
Lo spazio esterno, il firmamento costellato di stelle, è da sempre regno del dionisiaco.
E in una misura ben più radicale e profonda di quanto non si possa attribuire
all'archetipo della Madre Terra. La fantascienza classica ha sovente sfruttato questa
percezione, anche perché il sentimento dell'insondabilità del cosmo mira ad amplificare
il timore umano di ciò che è al di là dell'orizzonte degli eventi. Il firmamento può
essere né più e né meno che una vuota scenografia di cartone creata da Dio per beffarsi
dell'esperimento umano, come avviene in un celebre racconto di Asimov. Ma
linsondabilità del Cosmo è in realtà più simile allabissalità dell
archetipo femminile di quanto non lo sia di un astratto e logico demiurgo maschile.
Luomo lancia la sua sfida al Cosmo intero ma scegliendo le armi della logica,
dellacume, della sagacia e della sottigliezza. E con questi affilati strumenti egli
si lancia alla conquista di un oceano amniotico senza pari: non a caso la science fiction
ha letteralmente inventato le navi spaziali e i loro cosmonauti.
Star Trek non è un semplice cult o un must, ma è piuttosto un "luogo"
dell'immaginario che è riuscito a interpretare alcune istanze fondamentali del nostro
tempo, dagli anni '60 ad oggi. Franco La Polla ha osservato che in più di un senso questa
straordinaria serie ideata da Gene Roddenberry propone l'immagine di una famiglia ideale,
e di una "casa", l'astronave interstellare Enterprise, il cui organigramma
costituisce in realtà una stabile e omogenea comunità. La stabilità antropologica
dellEnterprise contrasta non soltanto con la spaventosa velocità superluce che essa
raggiunge in pochi istanti ma anche e soprattutto con la varietà dei tipi umani e
umanoidi che essa ospita.14
Si può affermare che tanto la prima serie, dominata dal trio Kirk-Spock-McCoy, quanto
The Next Generation e i suoi Picard, Data, Worf, Riker, Geordi ecc.
rappresentino in più di un senso la coscienza diffusa che riconosce nel divenire della
civiltà tecnologica la genesi dello spaesamento e della dislocazione psicosensoriale.
Questa stessa diffusa coscienza si interroga sul senso dell'identità e sul concetto di
luogo in quanto base di ogni radicamento. Star Trek rappresenta la rara,
delicata metafora di una nuova coscienza comune. Una coscienza che riconosce di aver
superato il punto di non ritorno situato ben oltre le colonne d'Ercole poste a
salvaguardia delle conoscenze proibite, in quello "spazio" che è uno
sprofondamento nell'abisso della sacralità. La Polla ha poi notato che la science fiction
esplora uno spazio (mentale, fisico, temporale, sensoriale) che esclude la presenza del
divino: "Questa infatti alligna per sua natura sul terreno dell'ignoto, e la presenza
del divino ne tronca ogni possibilità non tanto di sviluppo quanto di tensione e di
continuazione.
Ma Star Trek non è che lo specchio di una realtà esperenziale diffusa. La sua fortuna
deriva proprio dalla stessa qualità riflettente. Così, l'Enterprise rappresenta di volta
in volta il calore della comunità familiare, sociale, territoriale: essa mostra proprio
quelloikos che sembra in stridente contrasto con lera della globalizzazione e
della mondializzazione. Ogni aggregato istituzionale prodotto da applicazioni tecnologiche
è in un certo senso unEnterprise. Ogni gruppo teleologicamente orientato forma
dunque un luogo incerto; contribuisce anzi a creare quellinsieme unico
di luoghi possibili in un flusso di eventi che orienta le masse nella direzione di una
perenne transitorietà.
Questo luogo non è più una piattaforma oceanica che resiste alla furia degli
elementi. Esso è piuttosto una velocissima navicella iperspaziale che naviga a vista,
naturalmente grazie agli acutissimi "sensi" artificiali che la stessa tecnologia
non fa altro che affinare sempre più. Questesplorazione nel sensorio forse
rappresenta meglio di ogni altra metafora il processo dinabissamento
nellimmensità e nel cosmo: caratteristica unica della Razza stellare, metafora
della straordinaria avventura delluomo postcontemporaneo. Esther Dyson, presidente
dellElectronic Frontier Foundation, ha osservato che i nuovi paradigmi della
comunicazione in rete favoriscono forme di collaborazione fra diversi che in
altri tempi sarebbero state veramente inconcepibili.16 Ma questo viaggio verso
lincrocio delle diversità inizia ben prima che le tecnoculture affinino gli
strumenti pratici del loro divenire, e il suo terreno di coltura è ancora una volta la
megalopoli senza confini né nome, spazio topologico dalle mille trame cangianti che senza
tregua annoda tutti i residui luoghi in un tessuto comune ma privo di una
precisa identità.
Nellera della surmodernità, così come la definisce Marc Augé, non
esiste altro luogo concepibile se non allinterno di situazioni predefinite da norme,
come ad esempio quelle che regolano gli spazi e il tempo dei passeggeri. In definitiva se
un luogo può definirsi identitario, relazionale, storico, uno spazio che non
può definirsi né identitario né relazionale né storico, definirà un
nonluogo.Secondo Augé il mondo attuale è saturo di nonluoghi antropologici,
schizofrenicamente separati dai luoghi dellantichità e della storia, anche recente:
Un mondo in cui si nasce in clinica e si muore in ospedale, in cui si moltiplicano,
con modalità lussuose o inumane, i punti di transito o le occupazioni provvisorie (le
catene alberghiere le occupazioni abusive, i club di vacanze, i campi profughi, le
bidonville destinate al crollo o ad una perennità putrefatta), in cui si sviluppa una
fitta rete di mezzi di trasporto che sono anche spazi abitati, in cui grandi magazzini,
distributori automatici e carte di credito riannodano i gesti di un commercio
muto, un mondo promesso allindividualità solitaria, al passaggio e
alleffimero propone allantropologo [
] un oggetto nuovo del quale
conviene misurare le dimensioni inedite prima di chiedersi di quale sguardo sia
possibile.
Lo scenario che stupisce Augé fu per la verità preconizzato quarantanni fa da
Lewis Mumford:
La forma della metropoli è dunque la sua uniformità, come la sua meta è
unespansione senza meta. Chi opera entro i limiti ideologici di questo regime ha una
concezione del progresso puramente quantitativa: cerca di far più alti i suoi edifici,
più larghe le sue strade, più ampi i suoi parcheggi; moltiplica i ponti, le autostrade e
i tunnel, rendendo sempre più facile lentrare e luscire dalla città ma
limitando lo spazio urbano disponibile per funzioni che non siano quelle del trasporto
[
] Una città del genere finirebbe per comprendere mezzo ettaro di costruzioni ogni
miglio quadrato di autostrade e parcheggi.
Mumford sembra quasi avere disegnato punto per punto la scenografia degli esterni di Crash
di Cronenber (1996); un capolavoro che in versione cinematografica descrive ben più
efficacemente delle moraleggianti doglianze di Augé quel senso della perenne deriva,
della transitorietà di ogni evento e delleffimero in cui trascolora la vicenda di
tanta parte dellumanità occidentale contemporanea. Crash esibisce la realtà delle
superautostrade e dei caselli, dei motel e dei garage di scambio. Leffetto irreale
che il film promana in ogni sua inquadratura dipende forse dal fatto che non siamo
abituati a riflettere sul panorama urbano ovunque diffuso. Eppure il regista non fa altro
che puntare la cinepresa sulla realtà, producendo uno spettacolo a suo modo
realista. Lazione è scandita da una tagliente musica Dub che amplifica
leffetto di straneamento. Cronenberg esibisce la carica erotica della
contemporaneità, non la giudica. E se è vero che lestetica dellimpermanenza
produce una sessualità biomeccanica e sadomasochista come quella profusa a piene mani in
questo film, essa contemporaneamente libera le persone dalle tagliole del luogo
comune, proiettandole verso inedite modalità dell esplorazione del sé.
Crash colpisce (o scandalizza) proprio per il suo taglio immoralista, che induce ad
associare questopera magistrale al de Sade de La filosofia nel boudoir o di Justine.
Certo, si tratterà di una esplorazione che corteggia la morte, che si inscrive nella zona
dombra della civiltà contemporanea. Ciò nondimeno siamo al cospetto di
unenergia positiva e liberatoria, di un prodotto finale che esprime tutte le
potenzialità psicodinamiche insite nellera dellaccelerazione complessa.
Ritengo che un siffatto composito processo non sia che limmagine cinetica del
passaggio di stato del sistema. Come afferma Piero Zanini, la fine delle frontiere, la
caduta delle ripartizioni e dei confini cui si assiste non è il riflesso di uno stato
dequilibrio cinetico, simile alla dinamica che tiene in piedi la trottola, ma che
produce la costituzione di confini portatili. 20 A ben vedere la stessa
dissoluzione dei luoghi e delle frontiere non può che preludere alla formazione di una
nuova e gigantesca frontiera. Quella dello spazio esterno. E però necessario che lo
stato dequilibrio dinamico del sistema giunga ad un punto di rottura, ma anche ad un
livello energetico senza precedenti. Lenergia cinetica del sistema-mondo è dunque
espressa nei molteplici vettori accelerati dalleconomia, dalla ricerca scientifica e
dalle tecnologie. Ma il risultato di queste accelerazioni convergenti si converte in una
spaventosa energia potenziale. Siamo soliti individuare quest energia nelle sue
varie forme quando prendiamo coscienza del disagio, dellanomia e, scendendo per i
rami, dellemarginazione progressiva di masse umane sempre più consistenti. Eppure
queste due catastrofiche forze sono prossime alla loro massa critica.
La conclusione di questo processo, e la sola alternativa allautodistruzione
collettiva, non può che essere una nuova via: il destino cosciente della Razza stellare.
Al termine di ogni episodio di Star Trek il teaser recita:
Spazio, ultima frontiera. Ecco i viaggi dell'astronave Enterprise durante la sua ultima
missione quinquennale diretta all'esplorazione di nuovi mondi, alla ricerca di altre forme
di vita e di civiltà, fino ad arrivare là dove nessun uomo è mai giunto prima.
La fantascienza da tempo prefigura il sapore magico di una nuova e dellultima
frontiera. Forse della sola vera frontiera mai esistita, da quando un piccolo antropoide,
egli soltanto il tutto il brulicante mondo vivente, dimenticò la preda e fissò per un
istante lo zenit.
1 Régis Debray, L'État séducteur, Gallimard, 1993, trad. it. Lo stato seduttore. Le
rivoluzioni mediologiche del potere. Editori Riuniti, Roma, 1997, p. 92.
2 Jack Goody, The Logic of Writing and the Organization of Society, Cambridge
University Press 1986, trad. it. La logica della scrittura e l'organizzazione della
società, Einaudi, Torino, 1988, p. 24 e ss.
3 Camille Paglia, Sexual Personae, Yale University, 1990; Sexual Personae. Arte e
decadenza da Nefertiti a Emily Dickinson, trad. it. a cura di Daniele Morante, Einaudi,
Torino, 1993, p. 385.
4 Lucy R. Lippard, Pop Art, Rusconi, Milano, 1989.
5 Dwight Macdonald, Masscult & Midcult, 1960, Masscult e Midcult, trad. it. a cura
di Adriana Dell'Orto e Annalisa Gersoni Kelley, Edizioni e/o, Roma, 1997, p. 54 e ss.
6 Clement Greenberg, Avant-Garde and Kitsch, (1939), in Art and Culture, Beacon Press,
Boston, 1965, pp. 3-21.
7 Jean Baudrillard, Le crime parfait, Galilée, Paris, 1995, p. 114 e ss.
8 Carl G. Jung, Wotan, 1936, in Opere di C. G. Jung, Boringhieri, Torino, vol. 10.
9 Marchall McLuhan, Understanding Media, New York 1964, Gli strumenti del comunicare,
trad. it. di Ettore Capriolo, Garzanti, Milano, 1977, p. 309 e ss.
10 Elias Canetti, Masse und Macht, 1960, Massa e potere, trad. it. di Furio Jesi, in
Opere 1932-1973, a cura di Giorgio Cusatelli, Bompiani, Milano, 1990, p. 1077 e ss.
11 Ibidem, p. 305.
12 Derrick de Kerckhove, The Skin of Culture, Toronto 1995, La pelle della cultura.
Un'indagine sulla nuova realtà elettronica, a cura di Christopher Dewdney, trad. it. Di
Maria Teresa Carbone, Costa & Nolan, Genova, 1996, p. 182 e ss.
13 Camille Paglia, Vamps & Tramps, Vintage Books, New York, 1994, p. XXII della
prefazione.
14 Franco La Polla, Star Trek. Foto di gruppo con astronave, Puntozero, Bologna 1996,
p. 13 e ss.
15 Ibidem, p. 126.
16 Esther Dyson, Release 2.0. Second Thoughts On the Digital Age, 1997, Release 2.0.
Come vivere nell'era digitale, trad. it. A cura di Bruno Osimo, Mondadori, Milano 1997, p.
36 e ss.
17 Marc Augé, Non-lieux, Paris 1992, Non luoghi. Introduzione a un'antropologia della
surmodernità, Elèuthera, Milano, 1996, p. 94.
18 Ib. pp. 73-4.
19 Lewis Mumford, The City in History, 1961, La città nella storia, trad. it. A cura
di Ettore Capriolo, Bompiani, Milano 1997, p. 674.
20 Piero Zanini, Significati del confine. I limiti naturali, storici, mentali, Bruno
Mondadori, Milano, 1997, p. 49 e ss. Circa la nuova definizione dei confini individuali e
vitali cfr. Paul Virilio, La vitesse de libération, Galilée, Paris, 1995, p. 95 e ss.