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Cacciando ‘l drago Teatro
si rischia sempre. Perché a volte ‘l drago muore ma trattiene
per sé gran parte delle ricchezze. L’astuzia del cacciatore
deve garantire una caccia completa e la completa vittoria. Daniele
Timpano ha vinto, ha portato a casa la testa de ’l drago, ma forse
qualcosa nella grotta è rimasto.
Insomma, parto col dire che
l’aspetto più affascinante dello spettacolo caccia ‘l
drago, sta in questa nuova visione di Tolkien. E non è
poco. Voglio dire che il grosso del bottino sta proprio qui. Probabilmente
a ’l drago sono rimasti gli spicci.
Un pianoforte, una voce, un
corpo. L’essenzialità è una complicazione, ma è
anche uno dei grossi pregi del teatro. L’inizio dello spettacolo
è dilatato all’eccesso, in un gioco di note sospese, in
attesa che il corpo-Timpano si svegli dalla sua allucinata postura.
Attese: qualcosa di più beckettiano? Far(si) attendere
è un pregio dell’artista, non un vizio, quando quest’attesa
è parte di un processo di significazione. E caccia ‘l
drago, da quel momento in poi, è un’orgia di significanti.
Tutto segna. "Uno spettacolo didascalico!" tuonerebbe qualcuno
aggiustando la pelliccia sulle spalle. Ebbene sì, meravigliosamente
didascalico. Daniele Timpano/Regista mette sul piatto una serie
di segni chiari, che rimandano ai significati fiabeschi del racconto
di Tolkien. La favola medioevaleggiante diviene un racconto fatto
di anomalie, di "cose" che funzionano non come dovrebbero funzionare,
ma in tutto e per tutto simili alle idee alla base di queste "cose":
l’ombrello/spada e lo straccio/cane e il cuscino/drago... L’idea
che si ha è quella semplice e accattivante di un bambino
che gioca nella sua stanza. Timpano/Regista ha l’intuito di portare
un certo tipo di narrativa (proprio ora prepotentemente in voga
nelle pompose messe in scena cinematografiche di Peter Jackson)
su un piano di gioco che per (nuova) convenzione non le appartiene.
E rompere con la tradizione all’inizio della stessa…non è
cosa né comune né facile.
Né facile, per Timpano/Attore,
sostenere questo gioco per un’ora e mezza. Ma la caccia, ripeto,
è riuscita. Il racconto rapisce (nonostante il sottoscritto
detesti le storie di draghi) e l’ironia dell’interpretazione
è sottile e implacabile, seminando risate e senso di
paradosso tra il pubblico. Il bottino che è rimasto nella
grotta? Beh…sta nel conflitto, non sempre risolto, tra i due Timpano:
Attore e Regista. Si ha l’impressione che all’inizio delle prove
ci sia stata tra loro una certa incomprensione, forse qualche
screzio, o magari problemi di contratto e contributi. Una certa
freddezza nel rapporto. Per cui Timpano/Attore ha rifiutato l’aiuto
dei Timpano/Regista e questi, nei momenti di bisogno, pare glie
l’abbia negato. In sostanza manca una certa (odio la parola, giuro)
pulizia. Timpano non sbaglia, ma a volte sembra tralasciare.
So di aver visto una prima
recita, nata tra troppe difficoltà e quindi imperfetta
per natura. So cosa vuol dire una prima. Tuttavia alcuni vizi
si intuiscono. Ma ripeto, sono spicci nella grotta de ’l drago.
L’operazione in sé ha, credo, un valore culturale e artistico
in grado di scavalcare (e perdonare) le imperfezioni. A volte
Daniele Timpano è forse troppo Uomo e poco Icona
(o opera d’arte vivente, detto senza troppe seghe) e rompe in
maniera troppo brusca l’illusione scenica. Ma rompere non è
sempre un delitto. Un po’ più di rigidità e un nuovo
e proficuo dialogo tra Timpano/Attore e Timpano/Regista, renderanno
a caccia ‘l drago anche gli spicci, per portare in trionfo
una testa già tagliata con davvero grande maestria.
Gabriele Linari
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