1 - una premessa
Le fiabe vanno strappate ai bambini. Lo spettacolo di Amnesia
Vivace "Caccia ‘L drago – Fabula in musica da J.R.R. Tolkien"
cerca di andare in questa direzione:un attore racconta, parla,
parla, straparla e il pubblico: ascolta. La scena è
scarna, essenziale, ben poco fiabesca o bambinesca: pentole, candele,
un baule, un ombrello, un telo nero, una sola quinta bianca che
si staglia su un pavimento tutto bianco. Il racconto stesso è
costruito come una piccola opera in musica per voce, corpo e pianoforte,
una partitura per nulla medioevaleggiante, anzi piuttosto novecentesca,
che accompagna la narrazione ed anima musicalmente gli impulsi
ritmici della parola, nel racconto vero e proprio come nel gesto.
Uno spettacolo da Tolkien? Ma no, non è vero! Se fosse
vero i casi sarebbero due: una scelta ideologica o una scelta
paracula. No. E nemmeno la terza e peggiore delle ipotesi:
una scelta neutra.
Tolkien non è qui per caso: il Tolkien antimodernista,
il professorotto di Oxford, il creatore di mondi e di linguaggi,
l’evasore fiscale dalla Modernità viene qui -con
arbitrario e violento atto amorevole- spietatamente ricollocato
nel contesto culturale e musicale opprimente della modernità;
viene tuffato in pieno ‘900 e l’effetto è stridente e soffocante.
2 -Tolkien e Joyce?
Probabilmente, oltre al "Signore degli Anelli", non c’è
altro romanzo del novecento degno di contrapporsi, per mole, spessore,
pretesa universalità, quantità di estimatori e detrattori,
all’"Ulisse" di Joyce. Le posizioni naturalmente sono all’opposto,
pensiamo soprattutto alle cose più evidenti: l’epicizzazione
del contemporaneo quotidiano in Joyce (una giornata qualunque
della Dublino del 1904), la volenterosa resurrezione [1]
dell’Epos antico in Tolkien (la creazione di un intero mondo immaginario,
il tema del viaggio...); il linguaggio frantumato, totale dell’uno
e quello piano, tranquillo, d’immediata comunicazione dell’altro.
3 - Tolkien e Beckett!
Se il referente più logico o meglio, il nemico giurato
del "Signore degli Anelli" resta "L’Ulisse" e viceversa, per "Il
cacciatore di draghi" Amnesia Vivace ha scelto il Beckett di "Finale
di Partita". Perché? Perché sì. Innanzitutto
ci è saltata subito agli occhi l’evidente contrapposizione
tra il mondo chiuso in scatola di Beckett da un lato, il seminterrato
sperduto nel nulla di "Finale di partita" (la cucina "tre metri
per tre metri per tre metri" di cui parla Clov) [2],
la stessa frantumazione beckettiana del gesto e dello spazio scenico;
dall’altro il mondo vasto, colorato, sostanzialmente affermativo
immaginato da Tolkien per questa fiaba medioevaleggiante in cui
un contadino, un po’ per fortuna un po’ per innata saggezza contadina
e senso pratico, conquista un regno e praticamente soppianta il
precedente sovrano di legittimo sangue blu, di alta regalità
ma fiacco, debole, molle, anacronistico: in definitiva troppo
poco borghese.
Ma quella di Tolkien è una vastità apparente, un
mondo vasto ma pur sempre circoscritto e autoreferenziale. Il
mondo circoscritto di Beckett al contrario è infinitamente
aperto ad ogni possibilità: fuori dal seminterrato che
c’è? Un universo infinito, forse lo stesso degli altri
suoi testi o forse no. Tolkien prolunga le linee e crea un sistema.
Beckett costruisce per frantumi accatastati, non definisce la
totalità del suo mondo ma la presuppone.
4 - bilancio (con)temporaneo
Ma cos’hanno in comune Tolkien e Beckett? Nulla. Probabilmente
non vorrebbero saperne l’uno dell’altro; una buona ragione per
metterli insieme in un solo spettacolo. Il contrasto di luce e
di ombra ci rende percepibile la realtà, nei suoi volumi,
nelle sue forme geometriche, nei suoi colori; dalla contrapposizione
degli opposti avanza la sintesi del reale [3];
contrapponendo Tolkien a Beckett si evidenzia lo scarto dell’uno
dall’altro ed è possibile collocare in una luce finalmente
obiettiva entrambi, due autori così lontani tra loro eppure
vissuti in un contesto comune, il novecento di Schönberg
e del surrealismo, di Hiroshima e di Auschwitz. La società
moderna fa di noi dei disadattati, ci frantuma e disorienta e
violenta, dalla stessa causa due effetti diametralmente diversi.
Questo ci affascina. Da soli, e l’uno e l’altro, non valgono quanto
valgono assieme: insieme milluplicano la loro portata deflagrante,
la loro forza polemica. Sì.
NOTE
[1] Si potrebbe addirittura
parlare di zombificazione, soprattutto pensando al contagio
che l’epos tolkieniano ha insufflato nell’epigonato industriale
che ne è susseguito (da Terry Brooks a Harry Potter passando
per Dragonlance e Dungeons & Dragons).
[2] Cfr. S. Beckett, Finale
di partita, Einaudi, Torino 1990, p. 6
[3] Eraclito: "L’opposto concorde
e dai discordi bellissima armonia", fr.8 in H. Diels - W. Kranz,
Die Fragmente der Vorsokratiker, Berlino 1951-52
Daniele
Timpano