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"L’aver accompagnato,
tra l’altro, nello spettacolo proposto i temi con strofette
da cabaret e da vecchio varietà, non ha giovato ad uscire
da certi limiti, anzi li ha aggravati, snaturando in un certo
senso lo stile della scrittura, dando l’impressione falsa di
un autore legato al teatro ‘leggero’ e alle mode rivistaiole
del suo tempo. […] L’omaggio, promosso dal Teatro di Roma, avrebbe
certamente meritato maggior peso, un impegno meno frettoloso
e più mirato. Indubbiamente il critico più severo
sarebbe stato Flaiano stesso. Un godimento immaginare ciò
che avrebbe scritto." (ANSA)
Stanco di essere stanco. Così
oggi (20 novembre) Flaiano se ne sarebbe andato, mi piace pensare,
suicidandosi d’infarto. Stanco del mondo e della sua stessa
vita. Stanco delle cose viste, dette, ripetute. E stanco sarebbe
stato, oggi dopo trent’anni esatti, della cricca di variettari
generazione Bagaglino-Costanzo-SalaTestaccio.
Flaiano non fa ridere. O meglio,
fa sganasciare dalle risate…ma provate ad assaporare quelle risate.
Lo si può fare solamente leggendo Flaiano. E uno
spettacolo rispettoso dell’autore dovrebbe saper leggere tra le
righe, dovrebbe essere un teatro della parola (quanto inaspettatamente
simili, in questo, Flaiano e Pasolini!) in cui gli attori sono
prima di tutto fedeli spettatori. Non avviene questo in
un teatro (quello di Roma) gestito dal più attore degli
attori: un individuo raggrinzito che combutta con il secondo (e
ufficioso) gestore del Teatro di Roma, il poliedrico, tanto bravo
quanto autoreferenziale Gigi Proietti. Ormai tutto è da
e per loro. Cosa aspettarsi all’Argentina da una lettura di
Flaiano con Romina Mondello? Forse una prossima serata: "Luisa
Corna legge Seneca". Forse Flaiano stesso l’avrebbe detto. Si
legge poco Flaiano (seppure esemplarmente pubblicato da Bompiani
in tutte le sue forme). Ma parlò chiaro sul teatro. Era
il lontanissimo 1944. Carmelo Bene vagiva. Flaiano scriveva:
"Oggi il pubblico
si rifiuta di fare il più piccolo sforzo di immaginazione,
non vuole discutere e tira al sodo. […] Gli impresari non sono
benefattori ed è finito il tempo – oppure non è
ancora cominciato – che un modesto impiegato del gas, come Antoine,
dedicava al teatro tutta una vita, dando al suo paese quel Théatre
Libre che (con tutti i suoi difetti, e forse in virtù
di essi) sarebbe stato così fecondo di ulteriori idee.
Noi pensiamo che se non avviene il miracolo, cioè se
qualcuno non si decide a trasformare subito un magazzino in
platea e a rappresentare l’abbicì dello spettatore moderno,
saremo costretti a un teatro digestivo". [1]
Un monito per tutti. Un monito per
l’Italia uscita da poco dal buio del fascismo, che aveva costretto
ad un annullamento delle "richieste", a un appiattimento del gusto.
Un monito ad un popolo che "si era già fatto fregare".
L’articolo si chiude con una citazione dall’Ubu Roi di
Alfred Jarry. E’ colto, Flaiano, mai grossolano ma sempre leggero
nella sua profondità. Ossimorico in tutto. Moralista. Avanti
sempre di anni (più di venti ne sarebbero passati prima
che qualcuno prendesse davvero un magazzino per trasformarlo in
platea). Flaiano sa scrivere: "Ha una bocca enorme, quando canta
le si vedono le ovaie", ma sa anche che il mondo non capirà
mai quanto profonda può essere una buffa frase come "Con
i piedi fortemente poggiati sulle nuvole". Ma Flaiano induce ad
un riso secco, immediato. Tuttavia, per i tempi che corrono, non
è abbastanza grossolano. Allora eccolo infiocchettato di
soubrette e canzonette, messo in piedi da cabarettisti sedicenti.
Perché il pubblico vuole attori ridanciani (meglio se ridono
in scena come l’ormai manieristicamente slabbrato Proietti), poppe
e musical! E gli impresari, i direttori di teatri, tv e riviste
specializzate seguono l’onda: accondiscendendo, abbassando, semplificando.
Si permette a Maurizio Costanzo di far citare Flaiano a Pietro
Taricone e a Orietta Berti, sempre a sproposito. Taricone annuncia:
"Non farò la fine della meteora come il Marziano a Roma
di Flaiano", ignorando che nella commedia si parla di un intellettuale,
di un pensatore, non di una star. Mentre Costanzo consola il suo
pubblico dicendo che, in fondo, "la felicità sta nel non
desiderare che ciò che già si possiede", cancellando
il profondo pessimismo dell’aforisma, che racconta dell’impossibilità
di trovare la vera felicità cercandola, poiché essa
risiede nell’assenza di pensiero, nella stupidità.
Flaiano muore oggi. Muore
e ri-muore. Mangiato dalla mediocrità, mangiato dalla massa,
dalla specializzazione. Muore di nuovo. E quasi fa piacere pensarlo
già morto da trent’anni. Lontano da tutto quello che sa
del suo profondo, vissuto e raffinato disgusto e che oggi, impunemente,
porta il suo nome.
L’Ass. Cult. IPOTESI
e il LABit offrono un omaggio all’altro Flaiano. Verranno
deposti dei fiori in Via Montecristo numero 6 (Montesacro) dove
viveva, e presto verrà messa una targa. Il 22 al Teatro
SS. Redentore verrà replicato (ingresso GRATUITO) lo spettacolo
Con i piedi fortemente poggiati sulle nuvole. [2]
Un tributo sincero, un atto d’amore. Contro chi non si accorge
che la merda appesta la nostra cultura, la televisione, il Teatro
di Roma. Contro chi sorride a lamentele di questo tipo e cambia
discorso. Contro chi non si lamenta e dice che in fondo non è
poi così male la cultura dell’intrattenimento e della semplicità.
Contro chi ammette che tutto questo può essere buono, qualche
parola ancora di un autore morto senza più speranze negli
uomini:
"Se ammetterai che la merda
è buona, dovrai mangiarla due volte al giorno".
NOTE
[1]
E. Flaiano, "Un teatro per cani?" comparso sulla rivista
Risorgimento Liberale, dicembre 1944.
[2] Lo spettacolo realizzato
dall'Ass. Cult. IPOTESI con la regia di G. Linari è
andato in scena al Teatro Furio Camillo di Roma dal 12 al 17 novembre
2002.
Due recensioni dello stesso su questo numero della rivista: ->
Coi piedi fortemente poggiati sulle nuvole e ->
Cerami-Piovani vs Flaiano. Coi piedi fortemente
poggiati sulle nuvole verrà replicato al Metateatro
(via di S. Crisogono, Roma) dal 18 febbraio 2003.
Gabriele
Linari
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