cfr. Esodo 19 20; Deuteronomio 5
La grande teofania del Sinai

cfr. Esodo 32; Deuteronomio 9 10
IL vitello d'oro: Mosè mediatore del perdono

vv. 3 6: il testo comincia con questo chiamare di Dio. Quando andiamo a vedere dei commentari, ci dicono che a v.3 c'è un'unione di due fonti: perché si dice che Mosè sale e il Signore lo chiamò dal monte: questo sembra contraddittorio: se Mosè è salito, ò il Signore l'ha chiamato dal monte prima (allora, c'è uno spostamento); oppure, Mosè è già salito e non è dal monte che lo chiama Dio. E poi, Dio dice:

“questo dirai alla casa di Giacobbe e annuncerai agli Israeliti.”

prima dice Giacobbe e poi dice Israele, quindi sono due fonti.

Ma quello che invece è interessante è proprio quest'apparente stranezza di Mosè che sale e Dio che lo chiama, nel senso che le due cose vanno insieme e non sono l'una conseguenza dell'altra. Potremmo dire così: qui, c'è il mistero di due desideri di incontro che si incontrano. C'è Mosè che va verso Dio e Dio che chiama Mosè perché vada verso di Lui. Sembra che non ci sia un prima e un dopo. Il desiderio di Mosè è già in atto quando Dio gli parla; d'altra parte, è perché Dio parla perché Dio desidera l'incontro con Mosè, che Mosè può desiderare. E i due si incontrano.

Quello che è importante di questo discorso è che nell'incontro tra i due tra Dio e il mediatore c'è una fusione delle due parole. Perché è Dio che parla: “questo dirai”, quindi, Dio dice le sue parole; che, però, invece diventano le parole che Mosè dice a Israele a Giacobbe al popolo. La vera fusione, che è tipica della parola profetica Mosè è il grande profeta , è proprio quella della parola. Lì, dove chi parla è Dio e il profeta contemporaneamente. Perché le parole del profeta sono le parole di Dio che Dio dice al popolo attraverso il profeta. E' Dio che parla mentre parla il profeta.
Il profeta parla la parola di Dio facendola però sua. Dio rivela il senso degli eventi (cfr. Geremia). Il profeta perciò è portatore di quella parola, ma non come chi semplicemente ripete la parola di un altro, ma come chi parla con le sue parole, dicendo la parola dell'altro. Vedremo meglio questo discorso quando vedremo 'i profeti', ma qui comincia la fusione della parola di Dio e la parola dell'uomo.
Il parlare di Mosè, in obbedienza alla parola di Dio (la parola è: tu dirai) diventa presenza presso Il popolo del parlare di Dio. E' l'obbedienza di Mosè che consente alla parola di Dio di diventare udibile tra il popolo. E' l'obbedienza di Mosè che concretamente rende presente Dio in mezzo al popolo. La parola di cui Mosè si fa portatore e mediatore è la parola che interpreta la storia e il senso stesso del popolo.
Il modo in cui il senso del popolo è interpretato è facendo riferimento all' Esodo al passato, per aprirsi al futuro. Dio ricorda il passato di salvezza di Israele perché sia capace di aprirsi oggi alla salvezza che Dio offre e che sarà per sempre. Ed è abbastanza interessante il modo in cui l'Esodo viene qui menzionato. Tutto l'episodio della liberazione d'Israele dall'Egitto è:

“Voi avete visto ciò che io (Dio) ho fatto all'Egitto e come ho sollevato voi su ali di aquile e vi ho fatti venire fino a me” (v.4).

L'Esodo sembra essere questo: ciò che Dio ha fatto all'Egitto; non si parla qui di uscita dall'Egitto, ma qui invece è:

“Io ho fatto qualcosa all'Egitto, e vi ho portato sulle ali fino a me”.

Come se l'evento dell' Esodo fosse la grande manifestazione di ciò che Dio fa per il suo popolo ma manifestata nel suo fare contro un altro popolo contro l'Egitto. Non solo nel senso che Dio nel momento dell'Esodo si manifesta come il giudice che salva l'innocente, punendo il colpevole. Il problema è di un Egitto che sta opprimendo Israele; Israele innocente e oppresso grida al Signore che interviene come giudice e si rende conto dell'innocenza del popolo e della colpa degli Egiziani, perciò, libera gli innocenti punendo gli Egiziani. Questo è lo schema di questo discorso.