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Home > Pentateuco > La salvezza del popolo "su ali d'aquila"


Mosè mediatore tra Popolo e Dio: La salvezza del popolo "su ali d'aquila"

cfr. Esodo 19 20; Deuteronomio 5
La grande teofania del Sinai

cfr. Esodo 32; Deuteronomio 9 10
IL vitello d'oro: Mosè mediatore del perdono

Dopo aver fatto questo (cfr. evento teofanico del sinai parte 3), Dio ha portato in salvo il suo popolo. Si usa un'immagine molto bella:

il popolo viene sollevato su ali di aquile (v.3).

L'aquila ricorda la grande velocità, la capacità di coprire grande distanze, di volare molto in alto, quindi, di essere imprendibile. Quindi, la salvezza che Dio ha operato per Israele è stata tale che nessuno avrebbe potuto fermarli, raggiungergli, perché, se ti porta via un'aquila nessuno riesce più a riprenderti. Altrove l'immagine dell'aquila viene applicata ai nemici, proprio quando si vuole dire che i nemici erano molto veloci: i cavalli dei nemici erano come aquile. In questo caso invece è Dio come aquila, che salva il popolo; dunque, un'immagine di salvezza, però fatta attraverso una metafora che di per sé non è una metafora immediatamente positiva, perché l'aquila è un animale pericoloso. Se si va vedere il mondo vicino a Israele, c'è per esempio Assur, il dio dell'Assiria che ha ali come l'aquila.
Non è escluso che Israele abbia veduto venire contro questi ali di aquila, quando l'Assiria andava contro Israele. Nella memoria di Israele ce ne sono ancora di queste immagini, qualche cosa di spaventoso perché erano il simbolo della potenza nemica. Comunque certamente sono metafora per i nemici e certamente l'esperienza dell'aquila è quella di un rapace, di un animale feroce. Qui, la metafora di ferocia diventa metafora di tenerezza. Non si dice che Dio è come una gallina con i suoi pulcini: questo lo dice Gesù, ed è un'immagine più bella; l'immagine della tenerezza: la chioccia che raccoglie i pulcini: un'immagine di sicurezza, un 'immagine di salvezza.
Ma, qui, è una salvezza diversa, una salvezza che suppone il pericolo e la lotta, che suppone una qualche situazione di violenza. Siamo in una situazione di conflitto contro l'Egitto, quindi, una chioccia fa poco; l'aquila invece contro l'Egitto va bene. E allora, è interessante, perché siamo nello stesso discorso di prima: la potenza di Dio che si manifesta come morte, che si manifesta appunto come l'aquila rapace, è però per la salvezza dei suoi. Ciò che ha fatto contro l'Egitto è per la vita di Israele; l'aquila, che di solito fa paura, invece è per portare miracolosamente in salvo i suoi.

Tutto questo è per “portarvi a me” (cfr. v.4). Tutto quanto è per poter raggiungere il Signore, è per poter arrivare alla relazione piena con lui.
L'uscita dell'Egitto non tanto è finalizzata all'entrata nella terra, ma all'entrata nel tempio. E solo quando sulla terra c'è il tempio, l'Esodo finisce. La terra è importante perché è il luogo in cui è possibile essere in comunione con Dio. Finché si stava nell'Egitto era impossibile. Ricordiamo i discorsi che innumerevoli volte vengono fatti: il testo che precede l'uscita dall'Egitto, lì, dove Mosè continua a parlare (con il faraone) del fatto che Israele deve uscire per andare da Dio sul monte a fare il sacrificio. Tutta la richiesta che Mosè continua a fare al faraone è il Signore dice: lascia andare il mio popolo perché vengano da me sul monte a sacrificare.
Dunque, il cammino di salvezza ha il suo culmine e il suo compimento nel servizio cultuale a Dio inteso come espressione di comunione fra Dio e il popolo. La salvezza è: non essere salvati dall'Egitto ma cedere ad una presenza, ad una comunione che è quella di Dio. Questo è il vero Esodo; il vero essere salvati. Non serva a nulla essere salvati dall'Egitto se questo non è per essere in comunione con Dio. E le due cose coincidono.

 


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