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L'onda anomala      di Kammamuri

Mi giro facendo leva sul gomito sinistro. Poi appena liberato dalla stretta delle gambe di Ninetta mi abbandono di schianto sul letto. Gli occhi piantati sul soffitto. Anzi oltre il soffitto. Il respiro forte, ritmato stretto. Aspetto che passi. Anche lei aspetta che passi. Poi si gira di fianco appoggiando la testa sul gomito e comincia a toccarmi i capelli. Così. Senza dire niente. Il respiro ora è meno forte, sempre ritmato, ma più lentamente. Cerco di tirarmi su. Per mettermi anche io di fianco, come per ricomporre una simmetria appena perduta, ma Ninetta mi ferma. "Tutto a posto?" le chiedo. Annuisce ma senza parlare. La vita è piena di momenti che discriminano tra un prima e un dopo. Ogni storia ne è piena. Ogni relazione. Quando una amica la vedi stando steso di fianco in un letto, con la testa appoggiata al gomito e il respiro ritmato stretto vuol dire che hai appena vissuto uno di quei momenti. Un momento che discriminerà tra prima e dopo fino a trasformare l'intero rapporto. Anche se finisce in quel preciso momento. Quando di una amica riesci a vedere gli occhi fino a potertici specchiare dentro tanto sei vicino allora sì che cambia qualche cosa. Complicità forse. Magari si chiama così. A dire il vero io non ho mai capito bene cosa voglia dire davvero quella parola. Complicità. Forse è proprio questo quello che nasce in quel momento dopo il quale niente rimane esattamente come prima. Forse la complicità è la capacità di sostenere un silenzio senza provare imbarazzo, e di sicuro in questo momento di silenzio la stanza ne è veramente piena. Direi proprio di sì. È un momento importante quello in cui riesci a stare nudo in silenzio fissando lo sguardo di una donna che ti fissa in silenzio. Nuda anche lei. Il tutto senza il minimo imbarazzo. Ninetta finalmente comincia a parlare: "Ti posso chiedere una cosa?". "Certo", rispondo di getto anche se a dire il vero non è mai una idea geniale quella di autorizzare una domanda prima di saperne quantomeno i contorni. Vai a dire di no, poi. A Ninetta per giunta. Accetto il rischio. Spero non ci sia di mezzo la Roma. "Promesso?". "Tu prima dimmi cos'è…". "Promesso?". Cedo. "Promesso". Accetto il rischio e trattengo il respiro. "Mi ci riporterai alla partita?". Stavolta in silenzio ci rimango io, anche se abbozzo un sorriso. Come a dire che anche a me ha fatto molto piacere oggi andare allo stadio con lei, solo che poi non è andato tutto per il meglio. Lei non lo sa quanto è grave quello che è successo ma non è certamente questo il momento per parlarne. Facciamo un passo indietro. Domenica sera. La sera di Roma-Fiorentina. Saranno all'incirca le 22,10 e sono allo stadio. La partita va avanti come si dice su un binario morto. Gecko se la prende a turno con l'arbitro e col guardalinee. Prima con l'arbitro, che per lui è un nemico e non un elemento super partes. Lui è di quelli che dice non "L'anno scorso con Borriello abbiamo perso tre volte". No. Dice "L'anno scorso contro Borriello abbiamo perso tre volte". Poi passa al guardalinee, che lui chiama guardialinee e che in quanto assistente di un nemico è un mezzo nemico. Per lui l'arbitro e tutti i sui assistenti sono contro, non c'è niente da fare. Fausto è concentrato come al solito. Lui la partita la vive in una specie di trance. Partite come queste poi le soffre peggio del solito. Li guardo entrambi, un po' di soppiatto, come a scusarmi. Sì, lo so che ho sempre disprezzato quelli che vanno via prima, ma proprio non posso fare altrimenti. C'è Ninetta, devo andare e basta. Non riesco a prendere bene il tempo dell'uscita. Ogni momento sembra quello buono, la partita tutto sommato ristagna, che vuoi che succeda, mi dico, e poi è la prima ed ultima volta. Ogni momento però, allo stesso modo potrebbe portare l'episodio che tutti i settantamila aspettano. Nel calcio si sa, basta pure un minuto a volte. Che non me la ricordo Roma-Fiorentina di due anni fa? Entra Bartelt alla disperata e risolve. Che situazione. Ninetta insiste. A Gecko e Fausto mica gliel'ho detto che vado via prima. Già sono arrivato dopo, capirai, quelli si saranno sentiti mezzi traditi. Ad un certo punto prendo il coraggio e mi alzo. Non dico niente altro che non sia il minimo indispensabile per salutare. "N'do cazzo vai…? Che sei scemo?" mi dice Fausto, che allora è in trance solo per quello che gli pare a lui ma in realtà controlla. Non rispondo e comincio la gincana fino alle scalette. Poi da lì senza mai girarmi fino al boccaporto. Schivo centinaia di persone e con ognuna provo una sottile vergogna. Stringo la mano di Ninetta e con lo sguardo basso penso a quello che sto facendo. È la prima volta nella mia vita che vado via dallo stadio prima del fischio finale. Vabbè, ormai è fatta. Mentre scendo le scale che portano fuori noto che pure il cesso, sulla destra è completamente deserto. Un gruppetto di pischelli fa quelle stesse scale di corsa. In salita però. Le voci piano piano si compattano e ammorbidiscono insieme. Sottolineano le azioni, una specie di radiocronaca senza parole. Solo con i suoni. Proprio mentre attraverso il cancello verde un boato secco. Improvviso. Violentissimo. Un vecchio dietro un banchetto di foto e portachiavi urla gooooo… gooooo ma io ho già capito quello che è successo. Ci sono parecchie persone lì fuori, molte più di quante pensassi. Cominciano a correre come impazziti e urlano. Io invece non ce la faccio ad urlare. Ninetta salta contenta e mi abbraccia. Io sono mezzo impietrito e mezzo contento. Indeciso ancora sul sentimento cui assegnare il sopravvento. Non so se gioire per il gol o se vergognarmi all'idea di Fausto e Gecko che là dentro si abbracciano. Non so se piangere per essermi perso il gol o se essere contento perché in fondo è la prima volta che Ninetta mi abbraccia e nel tempo ho imparato a capire che le cose si mettono bene proprio quando una ragazza più o meno per caso comincia in qualche modo a toccarti. Anche per sbaglio, col gomito, camminando, oppure per darti un finto pizzicotto mezzo solleticato sul fianco. Figuriamoci un abbraccio. Il vecchio dei portachiavi nel frattempo s'è incantato. Continua ad urlare gooooo… gooooo. Vado dritto a capo chino. Ninetta probabilmente intuisce la gravità della situazione. Non lo sa quanto è grave ma intuisce che è grave. Probabilmente per questo si addolcisce particolarmente. Non che ne abbia bisogno, che già quando mi guarda con mezzo sorriso sulla bocca e le sopracciglia leggermente inarcate mi squaglio, ma nel viaggio dallo stadio a casa sua la situazione si addolcisce ulteriormente. E ora eccola qui che mi guarda da molto vicino senza immaginare, credo, che a quel boato sentito per la prima volta da fuori io ancora ci stavo pensando. O forse lo sa, lo immagina, e proprio per questo rilancia la sfida. Bella domanda quella di riandare insieme allo stadio. Posta in questo frangente per di più. Poi magari se rispondo serio faccio la figura di quello che non capisce che era uno scherzo per sdrammatizzare, un modo per rompere il silenzio. No, non credo, non sono quelli i momenti in cui il silenzio ti pesa, e poi durante la partita avevo anche avuto la sensazione che si stesse divertendo. Oh, intendiamoci, non che uno tifoso ci si improvvisi, Fausto dice che specialmente con le ragazze bisogna starci attenti che sono capaci di cambiare squadra appena cambiano il ragazzo. Non ho mai capito come facciano le ragazze ad essere così ondivaghe col calcio e con la musica. Non tutte, ovviamente, ma ne ho conosciute alcune passate dalla Lazio e dal dark alla Roma e al pop più commerciale. Roba che io un salto del genere non so neppure se riuscirei a farlo in un'altra vita. Tra l'altro Gecko lo conosceva già e Fausto come fai a non affezionartici dopo tre secondi. Insomma mi pare più verosimile che dica sul serio. Una terza ipotesi potrebbe essere che mi prende per il culo ma francamente non mi pare il momento e neppure il tipo. Mi sa che davvero le è piaciuto e ci vuole tornare. Solo che se pure la prossima volta mi presento dieci minuti prima mica la passo liscia con quei due. Posto che di andare via prima del fischio finale mai più. Una volta mi è bastata e avanzata e visto il trauma penso la ricorderò non a lungo. Per sempre. Lei nel frattempo è sempre stesa di fianco, col suo braccio destro sopra il cuscino e la testa appoggiata sulla mano. Con l'altra di mano mi accarezza i capelli ad uno ad uno. Se continua a lungo finisce che me li cotona e quando mi alzo sembro Napo Orso Capo. Respira in silenzio. Penso che aspetti la mia risposta. Ma dico possibile che ogni volta questo momento debba essere devastato da paranoie, processi alle intenzioni, timori e quant'altro? Sarà che uno si sente in colpa per l'avvenuto relax e insieme per i primi pensieri che cominciano involontariamente a fuggire oltre il confine del lenzuolo, però così diventa destabilizzante per la mia psiche. Attorcigliato come sono in questi pensieri ho perso la cognizione del tempo. Ne deve essere passato perché comincio a sentire freddo. Approfitto del momento. Mi infilo sotto le coperte e la abbraccio. "Ok. Ti ci riporto alla partita. Però giurami che non andiamo via prima?", "dài… metti che ormai ci sono due gol di scarto?". Mi giro di scatto e mi trovo a dieci centimetri il mezzo sorriso e le sopracciglia leggermente inarcate. Sospiro forte digrignando i denti. Ninetta Ninetta che ti farei.

 

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