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L'onda anomala di Kammamuri

Mi rode il culo disordinatamente. Ascolto Ninetta, ma il mio sguardo si perde nel suo. Le palpebre a tre quarti non sbattono mai. L'aria probabilmente anche strafottente. Il fatto è che mi rode il culo disordinatamente. Non in modo produttivo voglio dire. Come quando prendi un gol e reagisci di rabbia. Quante volte succede. Questa volta no. Non c'è rabbia nel mio sguardo perso. Semmai sconforto, come quando prendi il gol subito dopo aver accorciato le distanze. Il gol che ti stende. Il gol che al massimo ti fa reagire disordinatamente. Il 3-1 dell'altroieri sera a Milano. Il gol che proprio non devi prendere. Ninetta parla e parla. Ha pure ragione se ci penso bene. Solo che l'unica cosa che mi viene da dirle è: "Ma che cazzo vuoi?". È l'unico pensiero che riesco a fare, mica lo so perché. O forse lo so. Perché tanto prima o poi dovrà succedere e allora che si fatica a fare per superare i primi ostacoli. Perché tanto dopo ci sono i secondi. E così via. Tanto vale mollare subito. Non lo so. In realtà neppure questo penso davvero. Solo che mentre lei si affanna a parlarmi, a chiedermi il perché di tanti miei comportamenti assurdi, io non riesco a concentrarmi su di lei. Mi divago pensando agli autografi raccolti nel settantuno a Spoleto dal fratello di Gecko. Presidente, vicepresidente, accompagnatore e così via fino ad arrivare all'ultima delle riserve. Perfino un certo signor Brozzi, esperto del Coni per i manti erbosi. Li ha appesi nel corridoio di casa sua. Il fratello di Gecko è una di quelle persone che vedo raramente, ma che nonostante questo, ogni volta non solo vedo con piacere, ma anche mi sembra essere passati due o tre giorni dall'ultima volta. È un'altra generazione rispetto alla nostra. Ma non è un'altra generazione nel senso che non si riesce a capirsi. È un'altra generazione nel senso che ti trasmette i pezzi che ti mancano. Le radici, la memoria di quello che successe quando ancora non eri in grado di capire o di ricordare. Quando abbiamo preso appuntamento per vedere a casa sua Milan-Roma aveva accompagnato il fratello al bar perché pioveva a dirotto. Io non so se avete in mente quelle persone che come le incrociate avete voglia di bloccarle. A me capita così. Cerco di portare avanti il contatto anche a forza di banalità. Ecco, il fratello di Gecko è uno di quelli. Quando eravamo piccoli lui con i suoi amici stava al tre pini. Erano più grandi, e solo il poter stare a contatto con loro per dieci minuti mi elettrizzava. Assaporavo il gusto del sentirmi parte di un gruppo composto da tutti fichi. Gente tosta, insomma. E anche se alla fine per la maggior parte del tempo ci prendevano per il culo o ci spedivano a comprare le sigarette era comunque un privilegio. Il privilegio di appartenere, seppure di striscio, al gruppo migliore, quello in cui da un momento all'altro poteva succedere qualcosa di devastante. Foss'anche solo una partitella sul marciapiede. Ora ovviamente sono cambiate un sacco di cose. Lui ha pure un paio di figli. I suoi amici chissà dove stanno e davanti al tre pini ci sta una specie di miniparchetto. Ma per me quella rimane sempre la piazzetta completamente riverniciata dopo lo scudetto. Tutto questo riesco a vedere nello sguardo di Ninetta. Eppure non riesco a dirle niente. A questo punto si è accorta che non ci sto con la testa, o meglio che sto da un'altra parte. Ma dico possibile che non riesce a capire. Non voglio andare in quarantena, voglio solo stare da solo per qualche sera. Non perché la Roma ha perso ancora Milano. Solo perché mi rode il culo disordinatamente e quindi conoscendomi so che farei solo casino. E certo che lo so che sono strano. E poi la botta è stata grossa. Se avessi la capacità di ridimensionare queste cose ovviamente starei meglio. Peccato che altrettanto ovviamente non farei le cose che di solito faccio. Se sono molto contento quando la Roma vince mi pare il minimo che io sia molto dispiaciuto se perde. La coerenza non c'entra niente e neppure il principio. È un fatto di cuore, non di testa. Di stomaco semmai. Non è giornata. Lei proprio non vuole capire e io proprio non riesco a seguire un periodo completo. Come mi deconcentro un attimo prende il sopravvento quella maledetta sera di due giorni fa. Per me è normale quando non riesco a concentrarmi pensare alla Roma o a qualcosa di connesso. È come se ci fossero una serie di pensieri, di emozioni, di ricordi che non necessitano concentrazione per essere lanciati nella testa. Pensieri che partono da soli. Forse perché ricorrono spesso e quindi si moltiplicano oppure stanno sempre lì, pronti ad innescarsi alla minima distrazione. Non lo so perché ma di certo so che alcuni ricordi ti rimbalzano talmente tante volte nella testa che alla fine non sai più se ricordi quel fatto o un altro momento in cui già stavi ricordandolo. Sono quei ricordi fatti di immagini mitiche. Io e Gecko avremo avuto dieci o dodici anni. Ancora la tre pini, ancora suo fratello. Era estate e da un alimentari portavamo un sacco di bottiglie di birra. Dentro un sacchetto di plastica. Una manico io e l'altro Gecko. Poi ogni trenta metri ci scambiavamo perché dovevamo stare con le braccia alzate per non far strusciare la busta per terra. Allora forse avevamo pure meno di dieci anni se la busta era più alta delle nostre gambe. Arrivati in piazzetta scaricammo tutto e suo fratello ci fece tenere il resto per giocare a flipper, tanto poi dopo la prima pallina che andava in buca in dieci secondi rigiocava lui. Ma per noi era bello così perché quella era comunque anche la nostra partita, e se avessero fatto il record quello sarebbe stato un po' anche il nostro record. Quella volta ci fermammo ad ascoltare un po' i loro discorsi. Parlavano di un episodio stranissimo. Un altro di quegli episodi che a forza di tornarmi alla mente ho trasformato in mito, e ora non so più se sia realmente accaduto o meno. Secondo loro Ginulfi in una amichevole tra la Roma e il Santos aveva parato un rigore a Pelè. Sempre negli anni del ritiro a Spoleto. Il Santos ormai faceva tournée in giro per il mondo come fosse il circo di Bufalo Bill. Con Pelè nel ruolo del grande cow-boy. Non so dire se lui sbagliò il rigore o se Ginulfi fece il miracolo. Francamente non so neanche se il fratello di Gecko se lo ricorda ancora. Tutto sommato poi non è neppure così importante come fu il tiro di fronte all'enormità della situazione. Ginulfi. Non so se ve lo ricordate. Io attaccai perfino la sua figurina su un'anta dell'armadio nella mia stanza. A quei tempi si usava. Fausto faceva perfino la collezione di adesivi raccolti a via del Corso. Mia madre comunque non gradì e mi fece passare un sabato pomeriggio a togliere la colla con un raschietto. Pare sia finita due a zero per il Santos. Ninetta all'improvviso smette di parlare e mi fissa in silenzio. Un silenzio che mi desta dai miei pensieri, che mi rapisce dal mio mondo virato seppia. Io con un tocco di genio e insieme delicatezza aderisco al silenzio per una decina di secondi. Poi me ne esco: "Allora si può saper che cazzo vuoi?". Ecco fatto. Era decisamente meglio che me ne stavo da solo. Non lo facevo per indelicatezza, mi conosco io. Lo facevo proprio per delicatezza. Si gira di scatto e se ne va.

 

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