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L'affresco - Storia
testi: S. Baroni - Redazione Sacrum Luce
Il romanico
La pittura
preromanica e romanica occidentale presenta caratteristiche tecniche
abbastanza simili a quella bizantina. Più libero e d'invenzione era il
disegno preparatorio in ocra (come mostrano i numerosi ripensamenti):
esso risulta spesso meglio conservato proprio perché eseguito
sull'intonaco fresco, mentre il compimento avveniva a calce. Ci si
poteva aiutare, specie per i colori che tollerano male la calce, con
leganti aggiuntivi quali, ad esempio, colla, latte o albume.Tra il Due e
Trecento si assiste, in Italia, alla diffusione della decorazione ad
affresco, legata ad una fase di sperimentazione. Le nuove esigenze della
rappresentazione e della ricerca stilistica determinano sostanziali
innovazioni nell'esecuzione: l'uso della sinopia (ossia il disegno
preparatorio sull'arriccio) e il procedere per "giornate" nell'applicare
l'intonaco e stendere i colori.
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Proprio mentre la raffinata tecnica classica sembrava ormai
scomparsa definitivamente dal mondo mediterraneo, un vasto movimento
antichizzante portò a quel rinnovamento per cui l'Italia vide
l'inizio di un corso artistico che l'avrebbe sostanzialmente
differenziata per buon tempo dal resto d'Europa. Tali tendenze
naturalmente influenzarono gli aspetti tecnici:riportarono in auge procedure quasi dimenticate, riscoprirono
le antiche, interpretandole, modificandole fino a crearne quasi delle
nuove: causa, espressione e conseguenza della nuova arte e della nuova
pittura. |
Proprio
a Roma, dove si vedevano ancora nelle basiliche antiche rappresentazioni
e raffigurazioni in pitture murali che risalivano alla chiesa primitiva,
prima della cattività avignonense fu avviato il poderoso revival
antichizzante che si espresse in cicli pittorici in parte perduti o
ricordati solo da memorie letterarie. Di tali opere gli affreschi del
Sancta Sanctorum, resi recentemente fruibili, rappresentano una
importantissima, unica testimonianza.
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In tale clima di risvegliato interesse per l'antico sono da collocare
anche le grandi imprese a mosaico della fine del XIII secolo: spesso
dovute a maestranze formatisi a Bisanzio (laddove si credeva che il
"classico" non fosse mai venuto meno), queste opere non mancarono di
dare un contributo determinante al successivo sviluppo della pittura "a
buon fresco". Fu infatti al principio del XIV secolo, in Italia centrale,
che divenne una pratica comune intonacare i muri da decorare
pittoricamente un po' per volta, a piccoli pezzi, e dipingere così
nell'intonaco fresco con i colori stemperati semplicemente in acqua,
lasciando che la calce del muro intonacato agisse come legante per il
colore. Questo metodo di lavoro ad affresco derivava quasi
certamente dalla tecnica di decorazione a mosaico diretto, in cui
era necessario stendere il cemento che doveva ricevere le tessere
colorate, a pezzi, in piccole |
porzioni per
volta, così che non si stabilisse o seccasse prima che le tessere
fossero collocate al loro posto. Il pittore di mosaici lisciava la
sua superficie muraria tanto quanto necessario con un intonaco grezzo e
tracciava il proprio disegno con terra rossa sulla superficie di questo
intonaco. Poi, man mano che lavorava, copriva una parte del disegno con
una porzione di intonaco e, guidato dalle linee di contorno, inseriva le
tessere di pietre o smalti colorati o dorati che dovevano formare il
dipinto.
Molti pittori in Italia, alla fine del XIII secolo, erano cresciuti
nella tradizione della pittura a mosaico oppure erano al corrente di
questo procedere artistico. Così all'inizio del XIV secolo fu facile per
loro convertirsi naturalmente alla pratica di dipingere a pennello,
pezzo per pezzo, e condurre il lavoro sull'intonaco fresco .
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Come nella pittura a mosaico, così pure nell'autentico affresco
trecentesco, l'artista disegnava il proprio lavoro a piena misura sulla
base dell'intonaco grezzo, con terre rosse o ocre, e ne copriva con
l'intonaco fresco solo quel tanto che sperava essere in grado di finire
in giornata.
Tagliava poi
con la cazzuola la cima di ogni sezione, una volta finita, e congiungeva
l'aggiunta di intonaco nuovo in modo preciso sotto la cima tagliata del
lavoro del giorno precedente. Tali pratiche erano richieste da un
procedere più meditato e lento, dovuto ad una nuova libertà tematica
e figurativa e ad un accresciuto valore plastico e spaziale; |
i primi esempi
del procedere "a giornate" li troviamo nella Crocifissione della sala
Capitolare di S. Domenico, a Pistoia , probabilmente della seconda metà
del Duecento e di cui rimane la sinopia, e nelle Storie del Vecchio e
Nuovo Testamento, nella Basilica superiore di Assisi.
Proprio mentre la nuova tecnica stava prendendo corpo, il grande
cantiere umbro si offrì come il luogo dove le varie esperienze ebbero
modo di incontrarsi e coagularsi in un'unica maniera, destinata ad avere
grande fortuna, veicolata da una importante bottega e poi dalla diaspora
degli artisti che vi lavorarono.
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La Basilica di S. Francesco ad Assisi fu per alcuni decenni il teatro
dell'attività di artisti di svariata provenienza; di maestri non
italiani, di Cimabue e della sua bottega, di pittori romani succeduti a
Cimabue nella navata della Chiesa Superiore, dove generalmente è
indicata la prima comparsa di Giotto , in seguito attivo anche nella
Chiesa Inferiore, assieme ai maestri della propria bottega, a svariati
collaboratori umbri e ai senesi Pietro Lorenzetti e Simone Martini.
Da Roma, ma soprattutto da Assisi vediamo la nuova pittura espandersi
per tutta la penisola: a Siena, a Pisa e in tutta la Toscana, in
Lombardia e a Napoli. La conoscenza della pittura giottesca nelle
diverse regioni d'Italia fu la conseguenza della prolifica attività
imprenditoriale del pittore fiorentino nei diversi centri: dopo Assisi,
a Padova, Rimini, Napoli e, da ultimo, in Lombardia.
Tuttavia il diffondersi della tecnica di tradizione giottesca, non fu
così lineare e semplice: in molte regioni, tradizioni specifiche,
reperibilità di materiali, qualità di calci e sabbie, gusti pittorici,
contribuirono grandemente a formare |
varianti e modi
di operare che rendono abbastanza diverse tra loro, anche da un punto di
vista tecnico oltre che stilistico, le applicazioni del principio del
cosiddetto "buon fresco" di marca toscana.
Così le condizioni geografiche e storiche che determinarono varie
"regioni" in senso storico-artistico, non mancarono di sviluppare
diverse "tradizioni tecniche" di pittura murale: piccole variazioni,
modeste finiture, dettagli che nel loro complesso contribuiscono però in
maniera determinante a caratterizzare l'aspetto della pittura o comunque
a mutare il processo di esecuzione.
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Certo già la pittura "a buon fresco", stemperando i colori in sola acqua
e lavorando sulla carbonatazione dell'intonaco, lasciava aperta la
possibilità di una serie di finiture necessarie ad esempio per
mascherare i giunti delle giornate di lavoro, oppure di stendere una
ricca serie di pigmenti che non avrebbero resistito alla causticità
dell'intonaco umido. Queste potevano essere seguite, secondo i casi, in
vario modo, in un secondo tempo a tempera o anche con pigmenti
stemperati in acqua di calce o più raramente ad olio.La tecnica del
"buon fresco" verrà messa a punto proprio da Giotto e dalla sua scuola,
sia nella preparazione sia nell'esecuzione pittorica, secondo le
seguenti fasi: preparazione dell'arriccio, esecuzione della sinopia,
stesura a fresco dei colori e rifinitura a tempera. |
Troviamo una prima ampia trattazione sull'affresco nel Libro dell'arte
di Cennino Cennini (fine sec. XIV, cap. LXVII) il quale considera
il "lavorare in muro... 'l più dolce e 'l più vago lavorare che sia" e
fornisce tutte le indicazioni necessarie, dalla preparazione del muro
alla stesura dei colori, ai pennelli da preferire, rivelando una precisa
e diretta conoscenza dei problemi inerenti tale tecnica.
Col suo Libro Cennino vuole offrire un trattato d'istruzione, di accesso
all'Arte, cioè alla Corporazione, al mestiere di pittore, un'opera
infondo divulgativa, come altre ve n'erano per le singole arti. Le sue
descrizioni perciò vogliono riproporre la purezza di un metodo e di una
tecnica, facendole risalire al "gran Maestro" Giotto, operante però
cent'anni prima. Di fronte a Cennino sta però la pittura di primo
quattrocento, ormai lontana dalla tecnica del capostipite e incline ad
accogliere anche le complesse finiture tardogotiche e altre
"degenerazioni", opera di "quelli che sanno poco dell'arte". Proprio per
questo egli scrive della più rigorosa tecnica a buon fresco, che era
stata modello ideale dei pittori trecenteschi ma non sempre fedelmente
seguita ed eseguita nella pratica.
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