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L'affresco - Storia
testi: S. Baroni - Redazione Sacrum Luce
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Affresco è
un termine che deriva dall'espressione "a fresco" e fa riferimento alla
pittura murale: si tratta di un'opera dipinta, appunto, su una
superficie ancora "fresca", umida di calce e sabbia con colori di
costituzione terrosa, in modo rapido e in ogni caso prima che la
superficie preparata si sia seccata. La caratteristica dell'affresco
infatti è data dalla reazione chimica che avviene tra la calce spenta,
presente nell'intonaco, e l'anidride carbonica dell'atmosfera; da tale
reazione si origina una pellicola di carbonato di calcio che esplica la
funzione di legante fissando stabilmente i colori.
L'antichità
La pittura murale si può ritenere antica quanto l'architettura. Nelle
antiche civiltà mediterranee, si adoperarono sistemi di pittura sul muro
ancora umido, sebbene i metodi di preparazione del muro stesso
sembrano diversi da quelli adottati poi nella pratica dell'affresco
vera e propria. Incerta per la perdita di esempi, è la situazione
per quanto riguarda la Grecia. |
I procedimenti tecnici rilevati dagli archeologi sui resti più antichi
si possono ricondurre a due pratiche principali: stuccare le
congiunzioni delle pietre ed ogni irregolarità che potesse nuocere alla
continuità delle tinte, quindi stendere un fondo regolare di calce per
accogliere il disegno improvvisato sulla parete o, come si è notato in
qualche pittura egiziana, reticolato da un modello preparato.
L'affresco romano
La tecnica
dell'affresco si stabilizza e si diffonde in Etruria e a Roma; preziose
notizie ci provengono da Vitruvio e da Plinio che indicano il metodo per
ottenere un bell' intonaco: nel suo trattato "De Architectura",
scritto probabilmente tra l'epoca di Cesare e quella di Augusto,
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Vitruvio fornisce informazioni dettagliate sul modo di preparare la
parete, per la quale prescrive un triplice strato d'arriccio ed un
triplice strato d'intonaco e fa capire con chiarezza di conoscere le
proprietà dell'intonaco fresco nel fissare i colori: "I colori messi
sopra gli intonaci non bene asciutti a causa di ciò non se ne vanno, ma
restano fermati". In questa semplice osservazione è contenuto il
principio base di tale genere di esecuzione che i latini chiamavano "udo
tectorio", cioè "a umido": i pigmenti distesi sull'intonaco appena
applicato alla parete e non ancora seccato vi rimangono infatti fissati
per effetto dell'indurimento e della carbonatazione della calce.
Dalle fonti e dall'osservazione archeologica risulta che un intonaco
romano è costituito generalmente da due strati ben distinti, che possono
essere formati, ciascuno, da numerose stesure sovrapposte, fino ad uno
spessore complessivo di 8-12 cm.
Ogni stesura veniva applicata quando la
malta era ancora umida, cioè cominciava appena a fare presa, se invece
era già asciutta veniva picchiettata per far aggrappare la nuova malta. |
L'esecuzione di un affresco romano nella tarda repubblica e in epoca
imperiale era condotta da due figure distinte di artisti: il decoratore,
"tector albarius", applicava l'intonaco, stendeva le campiture di
base, eseguiva le decorazioni più semplici con motivi ripetuti e
dipingeva le decorazioni architettoniche; il "pictor imaginarius"
completava la pittura con le scene figurate.
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