LA PREISTORIA
La Sardegna, per quanto si sa, non fu
tra le terre più anticamente abitate. Dell'uomo vissuto
in quella forma di civiltà, che siamo soliti chiamare
Paleolitica, non sono state sinora trovate tracce sicure.
Per la Trexenta non si conoscono neanche
documentazioni materiali pertinenti alle fasi antica e media
del Neolitico (Età della pietra levigata). Si hanno,
tuttavia, precise testimonianze monumentali e materiali
attribuibili agli orizzonti della Cultura di San Michele
di Ozieri (Neolitico superiore) e Abealzu Filigosa (Calcolitico),
entro un arco di tempo compreso fra la fine del IV e la
prima metà del III millennio a. C..
In quell'Epoca molte zone della Sardegna
erano già punteggiate di presenze umane: gli archeologi
distinguono, per quel periodo, due manifestazioni diverse
del modo di essere e di abitare, due "Culture":
quella di Arzachena, caratterizzata da grandi tombe "a
circolo" -dette così perché le sepolture
erano collocate al centro di circoli di grandi pietre- e
quella di S. Michele, che prende il nome da una grotta di
Ozieri dove ne furono rinvenute le testimonianze più
significative.
Alla forte e compatta concentrazione delle
genti appartenenti a quest'ultima Cultura nelle zone litorali
e sublitorali, fanno riscontro i centri di collina della
Marmilla, della Trexenta, e gli insediamenti degli altipiani
del Logudoro, del Goceano, di quelli sotto al Marghine,
ecc..
Queste popolazioni, la cui diffusione
altimetrica corrisponde grosso modo a quella dell'insediamento
umano odierno, occupavano luoghi di morfologia ed economia
diversa (terreni pascolativi, zone cerealicole, bassure
lacustri ricche di pesca, suoli metalliferi, ecc.).
Mentre nelle zone pastorali l'abitazione
era spesso costituita da una caverna naturale, nelle zone
pianeggianti prevaleva la capanna (fatta di pietre, di frasche,
di erbe palustri, ecc..) aggregata con altre a formare un
villaggio, che però non si sviluppava sino a raggiungere
il tipo della collettività urbana.
I villaggi, non correndo pericoli di sorta,
non erano fortificati. Gli antichi abitatori ebbero, quindi,
la possibilità di svolgere, in uno stato di pace,
le loro forme autonome di vita e di attività non
minacciate da popoli estranei.
Per lo più, gli agglomerati, erano
ubicati in punti elevati, come a Turriga, in agro di Selegas.
Nell'ambito della Cultura di Ozieri ebbe
origine, per impulso orientale, e si diffuse, in aspetti
formali vari, "l'idolo della Dea madre di stile planare".
Ma non si perde del tutto lo schema del precedente idolo
femminile "obeso", che tende a semplificarsi,
appiattendosi.
Per quanto riguarda questa fase, il sito
più importante è situato in territorio di
Selegas: a Turriga, appunto, ed è legato al ritrovamento
della famosa statuina marmorea, nota con l'errata denominazione
di Dea madre di Senorbì, attualmente conservata nel
Museo Archeologico Nazionale di Cagliari.
Lo stile planare (ossia la traduzione
metafisica della figura umana) si rileva compiutamente nelle
statuine in marmo e in altre pietre del tipo cosiddetto
"Cicladico", di cui, appunto, la Dea madre di
"Selegas", dovette costituire il modello iconografico
più diretto. La maggiore ricchezza e differenziazione
delle immagini sacre di questo tipo pare essere il risultato
dell'espansione generalizzata e progredita della forma economica
agricola, mentre l'estrema stilizzazione lineare delle figure
sembra rispondere ad un pensiero evoluto sul piano metafisico
e religioso.
La Dea madre di "Selegas", è
stereotipata e geometrica, senza attributi femminili ridondanti
come, invece, accade nelle Veneri paleolitiche. Essa appartiene
al tipo di quelle rinvenute nelle Cicladi e, in generale,
nel bacino dell'Egeo.
La statua, fatta su calcare marmoreo,
venne ritrovata nel 1935 in una cava in regione Turriga,
inserita nella spaccatura di due grossi massi, giacente
di fianco nella frattura naturale del banco roccioso, sotto
una coltre di un metro di terra, col cono terminale rivolto
verso l'interno. Essa doveva servire, senza dubbio, a concentrare
l'attenzione del fedele su quello che formava l'attributo
essenziale donna-madre, feconda alimentatrice della vita.
Più che un'immagine tombale, per il doppio dell'anima
del defunto, si deve ritenere una rappresentazione della
vita, idea centrale delle religioni Neolitiche mediterranee,
legato al culto della fecondità e associato a quello
lunare e solare.
L'importanza delle sue dimensioni: cm.
40 di altezza e cm. 18 al maggior sviluppo delle spalle,
dimostra che non si tratta di una stipe funebre. E' sormontata
da un capo a collo tozzo allungato, e termina in una punta
conica che inizia dalla regione toracica, mentre le spalle,
dalle braccia non sviluppate, sono sommariamente rappresentate
da due alete discendenti, leggermente oblique in due linee
che s'incontrano idealmente oltre l'estremità del
cono terminale; il corpo è decisamente appiatito,
infatti, il petto si riduce ad una specie di tavola trapezoidale,
che s'incurva sensibilmente ai margini delle alette davanti
e dietro, ed è munita di due mammelle discretamente
sviluppate. Da questo punto di vista può essere avvicinata
ai grandi Menhirs mammellati esistenti nell'isola.
Inoltre, l'idoletto, per la rappresentazione
schematica del volto espresso dal solo setto nasale che
divide due piani inclinati tra di loro, mostra un'identità
di ceppo con quelli cicladici innegabile. Con quelli esso
ha in comune anche il solco triangolare che divide il collo
dal petto.
Con questa scultura si congiunge la civiltà
sarda all'egea, della quale, però, i prodotti del
genere non raggiungono mai quelle dimensioni e quella perfezione
che vediamo nella statuina sarda, che rappresenta l'esemplare
più grande e più importante di tutto il mondo.
Con l'Eneolitico (seconda metà
del III millennio a.C.) le attività agricole andarono
concentrandosi nelle zone pianeggianti e di bassa collina,
ove l'agricoltura è più redditizia per la
feracità delle terre, la facilità di lavorarle
e la mitezza del clima rispetto alle terre pedemontane o
degli altipiani, che furono destinate agli allevamenti;
per cui, s'iniziò una prima differenziazione delle
attività umane fra gente del piano e gente delle
alte colline e degli altipiani, posto che le montagne centrali,
per il rigore del clima e l'asperità del suolo, fossero
poco o per nulla abitate, salvo da qualche tribù
di cacciatori.
Mentre per la pastorizia si ha bisogno
di vaste superfici terriere, con esiguo impiego di manodopera,
nell'agricoltura il fenomeno è inverso rispetto a
quest'ultima variabile, in quanto le colture richiedono
maggior manodopera, perciò nelle zone agricole si
svilupparono centri demografici non meno importanti e ricchi
di quelli pastorali.
Con lo sviluppo demografico e agricolo
e con i conseguenti rapporti commerciali e, quindi, umani,
la tribù villaggio, che da prima aveva una struttura
monoica, assunse proporzioni tali che promossero la creazione
di propaggini, che, col tempo, si scissero dando origine
a nuovi gruppi e centri demografici agricoli o pastorali
autonomi, che uniti da interessi culturali ed economici,
diedero vita a più vaste e complesse entità
demografiche e territoriali.
In questa Età, come in quella successiva,
l'Età del bronzo antico (1800-1500 a.C.), il momento
più caratteristico di ogni Cultura è la sepoltura.
Fu in quel periodo che i protosardi eressero
le pietrefitte dove svolgevano i loro riti magico-religiosi
per allontanare le avversità; costruirono i Dolmen
e scavarono le Domus de Janas (le loro tombe). Agli stessi
costruttori delle Domus de Janas e, in seguito delle Tombe
di giganti, si fa risalire la costruzione dei Nuraghi.
La civiltà nuragica ebbe origine
da una popolazione di pastori guerrieri proveniente -a quanto
pare- dalle regioni a Sud del Mar Caspio, e arrivata in
Sardegna fra il 1800 e il 1500 a.C., dopo aver compiuto
un lungo viaggio attraverso l'Asia Minore, l'Africa ed il
Mar Mediterraneo.
Questo popolo viveva allo stato patriarcale,
in tribù autonome, con una forte coesione fra loro;
era animato da un profondo spirito religioso; costruiva
pozzi sacri per l'adorazione delle acque, adorava il sole,
seppelliva i morti nelle tombe di giganti; tesseva la lana,
modellava la creta con grande abilità, lavorava il
bronzo con maestria. E viveva in capanne isolate o in villaggi
protetti da torri: i nuraghi, appunto.
La loro civiltà ebbe tre fasi (arcaica,
media, recente) e si concluse verso il terzo secolo a.C.
con la conquista da parte dei romani.
Il nuraghe è generalmente una costruzione
con camera circolare coperta da una falsa cupola. Questo
tipo di nuraghe detto a "tholos" (ne esiste un
altro tipo più primitivo di forma rettangolare) è
quello più
diffuso e che ha mantenuto gli esempi
più armonici, rivela una componente anatolico-egea,
nelle sue caratteristiche tecnico-architettoniche.
Recenti scoperte hanno consentito di definire
con sicurezza la forma superiore della torre nuragica, che
finiva in un terrazzo, circondato da un parapetto murario,
o sospeso su mensole con fori sul pavimento del ballatoio.
L'esistenza dei balconi è confermata anche dai modellini
in pietra e bronzo di torri semplici e plurime.
Sul finire del II millennio e sicuramente
agli inizi del I millennio a.C. alle torri isolate si aggiungono
altri corpi di fabbrica, i quali non alterandone il fondamento
architettonico, le arricchiscono e le rendono più
elaborate. Nascono, così, i nuraghi plurimi le cui
forme più vistose ed elaborate conservano la torre
primitiva nel mezzo di un fasciame murario (bastione) di
varia figura, articolato ai margini, in corrispondenza delle
torri minori. Questi nuraghi sono chiamati polilobati, in
quanto le torrette perimetrali figurano come tanti lobi
in cui si espande la massa centrale, dominata dal cono maggiore
o mastio. A seconda del numero delle torrette si distingue
il tipo di nuraghe. I nuraghi di questo tipo costituirebbero
il nucleo in cui s'incentrano le proliferazioni dei nuraghi
minori (costituiti da semplici torri) destinate a tutelare
la vita della tribù e gli interessi territoriali
dei piccoli reami.
Secondo alcuni studiosi, il nuraghe sarebbe,
più che una fortezza, un tempio solare, il monumento
religioso fulcro di una comunità nuragica guidata
e sorreta da sacerdoti.
I nuragici identificavano gli Dei con
gli astri. Il sole ebbe nell'antichità un posto preminente,
così anche i costruttori dei nuraghi avrebbero orientato
i loro templi (i nuraghi) verso la luce che poteva penetrare
attraverso l'ingresso e l'apertura sopra l'ingresso stesso
in occasione dei solstizi (Sud-Sud-Est). La credenza religiosa
nel Dio Sole e negli astri, teneva uniti clan e tribù
nuragiche, mentre si sviluppava un'architettura megalitica
fondata sulla conoscenza della matematica e dell'astronomia.
Gli architetti dei nuraghi dovevano, infatti, avere delle
conoscenze matematiche, necessarie, non solo per la costruzione
della tholos, ma anche per le osservazioni astronomiche
che servivano per la previsione delle lunazioni, dei solstizi,
ecc..
Mentre i pozzi sacri potrebbero essere
stati degli osservatori astronomici; luoghi di osservazione
legati al culto della luna e dell'acqua, a differenza delle
costruzioni nuragiche, strettamente connesse al culto solare
ed astrale.
Concludendo, in origine i nuraghi erano
osservatori astronomici, templi, fortezze, abitazioni: presumibilmente
edificati secondo canoni astronomici. Successivamente, con
le invasioni nemiche, assunsero, prevalentemente, un carattere
difensivo anche rifasciando le torri preesistenti con antemurali
o torri aggiunte. L'isola dei nuraghi ci ha lasciato, come
espressione d'arte, le statuette di bronzo (circa 500),
che rappresentano l'intera dimensione della cultura e della
società del tempo.
Oggi, in tutta la Sardegna, si conservano
circa settemila nuraghi, diffusi con una media regionale
di 0,27 per Kmq. (in Trexenta anche 0,90).
Costruiti da schiavi o semischiavi, i
nuraghi rappresentano un grande sforzo umano, economico
e sociale.
La Trexenta, ricca zona nuragica, forse
dipendeva dalla gens dell'acropoli di Serri.
In territorio di Selegas, il maggior centro
nuragico finora conosciuto è situato a Nuritzi.
Il nuraghe Nuritzi, di tipo complesso,
di cui, oggi, è rilevabile la parte inferiore del
mastio, che appare decentrato rispetto alla pianta totale,
si ritiene che fosse il centro politico e militare di una
tribù o di un clan che controllava la vallata circostante.
Lo scavo effettuato nel 1983 ha documentato
che il nuraghe fu demolito o distrutto intorno all'ottavo
secolo a.C., e chiuso da un lastricato che interessava oltre
che il vano anche la cortina muraria esterna ridotta ai
due ultimi filari di base. Attorno ad esso sono stati trovati
anche residui di ossa di suini, caprini ed ovini, valve
di molluschi ed una grossa scoria di rame. E' stata, altresì,
documentata la presenza di evidenti tracce di combustione,
che (con gli elementi raccolti durante lo scavo di una torre)
dovrebbero confermare l'ipotesi di una definitiva distruzione
ed il suo conseguente abbandono.
Altri nuraghi si trovano a Bruncu is Olias,
Bruncu de sa Guardia, Bruncu sa Figu e a Ungrera.
Al nuraghe Simieri, in agro di Selegas,
faceva riscontro il complesso nuragico sito in regione Santu
Teru di Senorbì, dove è stata anche ipotizzata
l'esistenza di un tempio a pozzo. Qui, nel 1841, fu rinvenuto
uno dei più bei bronzetti nuragici che orna il Museo
Archeologico Nazionale di Cagliari: un soldato nuragico
cornuto, con scudo e spada nella destra. La statuina è
di accurata fattura, ben proporzionata e plasmata con dovizia
di particolari. Il piccolo bronzo è impostato frontalmente
su base piatta con quattro fori destinati ad alloggiare
dei chiodi per il fissaggio ad un supporto. La figurina
è caratterizzata, soprattutto, da un elmo con lunghe
corna che si slanciano verticalmente, incurvandosi simmetricamente
all'indietro. Il corpo appare stretto da una tunica a due
balze a cui si sovrappone una corta corazza provvista, a
metà altezza, di una cintura a cerniera dalla quale
pendono sulle spalle due bande frangiate. Gli stinchi sono
coperti da gambiere curate nella rappresentazione particolare
dei singoli anelli delle stringhe di cuoio girate nei polpacci.
Lo scudo, impugnato nella mano sinistra, è circolare
con umbrone centrale e da esso spuntano in alto tre piccole
spade.
L'eleganza della rappresentazione, che
cura i particolari senza nuocere alla solidità dell'impostazione
globale, fanno di questo bronzetto uno dei capolavori della
plastica nuragica dell'Età del ferro.
Secondo lo studioso Federico Aru -il quale
sostiene che la Cultura di Ozieri derivi dalla colonizzazione,
in epoca prenuragica, della Sardegna, da parte dei Sumeri-
il Bruncu Simieri, sul quale sorge l'omonimo nuraghe, sarebbe
una chiara alterazione di monte dei Sumeri. Secondo il citato
Autore, sul Bruncu Simieri, sia per la posizione in luogo
elevato, condizione primaria degli Zikkurat, e sia per altri
elementi legati ad un'organizzazione templare della zona
(nella quale esistevano una trentina di centri agricoli,
fra quelli tuttora esistenti e quelli ora distrutti, che
si distinguevano per una iniziale radice sumerica "se"
e accadica "seu", significanti: grano), al posto
del nuraghe doveva sorgere, in epoca eneolitica uno Zikkurat,
abbattuto dai nuragici per l'utilizzo del materiale utile
alla costruzione del nuraghe.
"L'attuale mammellone presenta in
cima un aspetto simile a quello di Barumini prima dell'inizio
dello scavo del nuraghe" -così ha scritto il
sopracitato Autore- il quale così prosegue: "Il
sito non è stato mai oggetto di interesse degli archeologi,
eppure uno scavo serio potrebbe riservare stupefacenti sorprese...
Attorno a questo centro comunitario templare, che palpitava
di vitale attività agricola, tutta una zona sacra
dedicata agli dei della triade: Sole, Luna, e Venere, rappresentante
la Dea madre Ishtar." Era credenza comune dei Sumeri
che gli dei avessero la loro sede e si manifestassero sui
monti e, quindi, i luoghi di culto dovevano essere situati
in luogo alto, a metà strada fra il cielo e la terra.
In mancanza di un luogo alto naturale, lo creavano artificialmente
con un cumulo di pietra o terra, come ci rivela lo Zikkurat
di Monte Accodì, tuttora esistente, nella Nurra,
il cui nome sarebbe una corruzione di Monte degli Accadi.
Questo Zikkurat, costruito artificialmente
in aperta pianura è costituito da una torre trapezoidale
costruita su muri perimetrali colmata da strati di terra,
con una rampa sulla quale dovevano ascendere i sacerdoti
per effettuare i sacrifici e i sacri riti.
Le sepolture caratteristiche dell'Età
dei nuraghi sono dette "tombe di giganti", per
il fatto di essere state tombe collettive, di dimensioni
spesso considerevoli. Gli elementi costitutivi sono la camera
sepolcrale a pianta rettangolare allungata e spesso lastricata,
il cumulo contenuto da una crepidine di pietre con parte
posteriore absidata, ed un'area rituale antistante, compresa
in una struttura semicircolare detta "esedra",
al centro della quale si apre l'accesso alla camera, distinto
da un elemento di facciata. Lo schema generale del piano
risulta così quello di una testa bovina, con le corna
disegnate dall'ampia esedra a mezza luna. E' uno schema
simbolico, come è quello della chiesa cristiana che
ripete il segno della Croce, e suggerisce l'immagine del
toro, la divinità, cioè, che assieme alla
Gran madre protegge i morti.
Al centro dell'esedra sorgono le stele
monolitiche che rappresentano l'organo sessuale maschile
e stanno a significare la forza attiva, fecondatrice della
divinità (Sole, ecc.; dietro al fallo si cela, dunque,
il dio maschio); altre, mammellate, rappresentano la Dea
madre che protegge i morti. Anche la tomba di giganti, come
la domu de janas, imitava un tipo di dimora del vivo, per
quel concetto tradizionale di ritenere che l'aldilà
non fosse che un prolungamento della vita domestica. Esse
rappresentano altresì il potere riconosciuto allo
spirito dei morti (e in particolare degli antenati-eroi
deposti nei sepolcri-templi). Le pietre fitte disposte intorno
alle tombe di giganti riassumono la coppia divina che già
esisteva all'Età della pietra e del rame: cioè
il Dio che incarna il principio maschile e la Dea madre
che sintetizza il principio femminile. Gli elementi di questa
religione "sessuale" si riproducono oltre che
nell'edificio della tomba di giganti anche nella vita di
tutti i giorni.
I resti di una tomba di giganti si trova
nei pressi del nuraghe "Is Olias".
Ma il culto centrale e principale dell'Età
dei nuraghi era quello delle acque. L'acqua dei pozzi induceva
la suggestione del ciclo vitale che si svolge nel grembo
materno: nasce la figura della Dea madre(19).
I pozzi sacri, dovevano essere, come le
tombe di giganti, numerosi nel territorio di Selegas. Resti
di un pozzo sacro si trovano presso il nuraghe "Sa
Figu"; un altro doveva sorgere nei pressi della chiesa
di Sant'Elia. Inoltre, secondo alcune attendibili notizie,
la stessa chiesa di Santa Vitalia sarebbe stata eretta sul
luogo dove sorgeva un pozzo sacro.
Accanto alla Dea madre, genitrice e vivificatrice
dell'organico e dell'inorganico, tutrice e rigeneratrice
della morte, regolatrice del ciclo lunare, e, pertanto,
di natura uranico-astrale, stava una figura di dio maschio
(il Sole) espresso drasticamente nella forma essenziale
del fallo. Il dio maschio era figura complementare e necessaria
alla Dea madre, non toccata da uomo e allo stato verginale.
Sia in periodo prenuragico che nuragico,
col dualismo del ciclo vegetale (nascita e morte periodica
della vegetazione) che si riflette nel dualismo uranico
(cielo solare, lunare-astrale) e nel dualismo umano (mistero
della vita e della morte), gli dei sono spiriti invisibili
che animano tutta la materia fisica, gli organismi, l'uomo
e il mondo intero, percettibile e intuibile (il Cosmo).
LA
PREISTORIA - I
FENICIO PUNICI - LA
DOMINAZIONE ROMANA - IL
MEDIOEVO - LA
DOMINAZIONE SPAGNOLA - IL
PERIODO SABAUDO E IL XIX SECOLO - IL
XX SECOLO
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