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Aldo Capasso
su Santa Maria della Spina

Lucio D'Ambra su
La Spada d'Orlando

La Barunissa di Carini: Introduzione, traduzione e note di 
F. D. M.

 

Queste pagine sono in corso di allestimento

XVIII.

Pisa, 10 marzo.

Claudio mio,

Ma che cosa ti accade, dunque che non mi vuoi più rispondere? non dico scrivermi a lungo, ma avvisarmi almeno d'aver ricevuto le ultime tre lettere che ti ho mandato. In quarantadue giorni, non m'hai scritto che quattro volte. Io sono una pazza, non so più che pensar di te, non immagino che fai, non capisco che t'avviene.

Non mi ami più forse? non mi desideri più? ma se non so più vivere senza l'amor tuo?! Ti amo senza conforto, senza ritegno; dico a tutti che ti voglio qui, direi che non posso continuare questa vita stupida senza i tuoi baci che sono il mio sangue.

E non faccio che pensarti; ti ho sempre con me, in me, senza posa e vedo dappertutto la tua bocca, e se chiudo gli occhi, mi pare di sentirmela su la mia bocca.

Son già compiuti i cinque mesi: fra quattro sarò madre. Io non penso al pericolo che questo fatto può espormi. Non ci penso, non me ne importa; ma vorrei almeno che tu fossi accanto per mia gioia. Di Fabio non mi preoccupo troppo; la gente poi; non sa e non capirà niente, sono perciò quasi tranquilla.

Qualunque cosa accada, vieni, vieni, vieni! Non posso, non so più vivere senza di te, m'intendi? Vieni a prendermi ancora, vieni a prendermi tutta, a farmi morire di te.

Claudio, Claudio mio, ritorna! lo passo le giornate a ricordare i più bei giorni trascorsi, e quando ho finito di ripassare nella mente anche i particolari più minuziosi che il pensiero dite mi richiama alla memoria, ritorno a gli stessi, ricominciando da capo.

A rivederci, amore mio, rispondimi, non continuare a tenermi il broncio, non mi far soffrire di più! Scrivimi avvisandomi della data del tuo arrivo. Ti bacia mille volte la tua

Elena.

Pisa, 15 marzo.

Caro nipote,

lo e Clotilde stiamo bene in salute e altrettanto speriamo sentire di te. Il tempo s'e messo al vento e adesso non fa altro che tirare, ch'è un piacere. I reumi non mi vogliono lasciare in pace, come tu sai. Tuo padre, quando ripiglia servizio? Sapevamo, se non erro, che dopo l'entrata in riparazione del suo piroscafo egli avrebbe domandato l'aspettativa, ma intanto mi pare che sieno passati circa nove mesi, dalla disgraziata sventura di quella nostra perdita e non se ne parla; forse ha voluto una proroga?

E tu perché non ti sei fatto più vivo? Perché non scrivi nemmeno una cartolina illustrata a Elena?

Costei pare malata e non vuole dire niente a nessuno. Le si parla e risponde come se la morsicassero le vipere. Dio ne scampi; mi domanda spesso di te e pare una pazza!

Caro nipote, figlio mio, io non sono un ingenuo perché una certa esperienza di mondo ce l'ho e ho capito che avete fatto qualche frittata. Ma lei mi ha detto chiaro e tondo che se tu non ritorni a Pisa, è decisa a partire per raggiungerti. Sarebbe uno scandalo che metterebbe nella bocca di tutti il nostro buon nome, e il povero vecchio di tuo zio ne morirebbe di dolore.
Per l'anima di tua madre vieni, altrimenti Elena diventa matta da legare. Una volta che sarai qui penserò io a tenervi a posto per far finire a poco a poco, questa storia!

Vieni, dunque, ascolta lo zio e non far l'imbecille anche tu, altrimenti vi pianto tutti coi vostri grattacapi.

Addio: ascolta quello che ti dico io. Addio. Abbraccia tuo padre, Clotilde vi saluta. Ti abbraccio. Il tuo aff.mo zio

Francesco.

Queste due lettere, ricevute a poca distanza l'una dall'altra, convinsero Claudio a ripartire. Egli vi si decise senza entusiasmo, quasi obbedendo a una necessità ineluttabile, secondando quel che gli pareva il suo destino. L'immagine di Elena piena d'amore, Elena dalla bella bocca procace, gli metteva sempre nelle vene un desiderio intenso; ma la carne soltanto s'inebriava del ricordo di lei.

Scrisse che sarebbe partito nella settimana prossima.

Egli voleva ancora qualche giorno indugiarsi a Napoli per cercare il momento di chiedere a suo padre la conferma del sospetto che gli bruciava nel petto, ma in più di venti giorni non aveva saputo raccogliere un tale momento, non aveva avuto il coraggio d'interrogare l'afflittissimo uomo.

Quando Claudio comunicò a Don Gennaro la sua intenzione di ritornare a Pisa, il buon vecchio si fece pallido, ma non disse parola: soltanto allargò le braccia e incurvò le spalle, condiscendendo rassegnatamente. Ma il giorno dopo gli disse:

— Ti trovi bene a Pisa?
— Non so papà — rispose Claudio nervosamente — ci vado così... per muovermi, per distrarmi un poco... Ritornerò presto a Napoli, probabilmente. Ma tu che farai?

— Nemmen io lo so. Forse, se il mio vapore, come a Palermo ov'è in riparazione assicurano, sarà pronto a fine mese, io riprenderò il mare.

— Io penso una cosa, papà: non puoi qualche volta portarmi con te? in uno dei tuoi viaggi? La mamma non me lo permise mai; ma adesso io penso che mi farebbe un gran bene allontanarmi, verso luoghi ignoti, per distrarmi meglio.

Don Gennaro lo guardò attentamente un po' stupito.

— Che hai, Claudio?

— Niente, che mi vedi? - rispose egli, pur sentendo che a poco a poco, suo malgrado, si esaltava — Ma gli è che sono stanco, non so... Qui non posso vivere, non so che cosa fare...

— Allora perché vuoi ritornare a Pisa e lasciarmi solo?

— E necessario ch'io vi ritorni, è necessario! — esclamò Claudio vivamente, come se suo padre non avesse profferito quella domanda velatamente amara nel tono più mansueto — Del resto, pensa che sei stato tu stesso a mandarmi a Pisa, senza che io te l'avessi chiesto. Sei stato tu a volerlo, e adesso è necessario ch'io vi ritorni per mia maledizione.

— Che hai, Claudio, che hai? — gridò il padre fissandolo con aria smarrita a cui Claudio non badò.

E Claudio, eccitatissimo, tornò a dire:

— Ci sono molti che vogliono il mio male, ed io non posso evitarli, molti che mi odiano e mi perseguitano, a Pisa come qui... e pure è necessario che io vada. Ma se tu non m'avessi mandato via, tu che certo non mi ami perché hai sempre creduto che io non t'amassi, se tu non m'avessi mandato via non sarei mai entrato in Santa Maria della Spina...

Suo padre se lo prese fra le braccia singhiozzando, come aveva fatto per la morte della moglie.

— Claudio, figlio mio, calmati! calmati! in nome di tua madre! calmati!... — gli diceva fra i singulti.

E Claudio lo udì, lo abbracciò anche lui, vide accorrere Assunta tutta sossopra, si stupì di quel che aveva detto, si rimproverò quell'ingiustificato trasporto di collera contro l'uomo che l'adorava.

— Vieni con me subito prima d'andare a Pisa: vedrai tanti bei paesi, Corfù, Patrasso, Atene, Salonicco, Costantinopoli, Smirne, — lo andava persuadendo suo padre.

— No, papà, no; lasciami prima ritornare a Pisa; — rispondeva lui dolcemente, ma reciso; — resterò quanto meno mi sarà possibile: al tuo prossimo viaggio...

— Allora verrò teco anch'io, presso i parenti.

— E perché? — fece Claudio stupito, guardandolo fissamente — Non sono certo un bambino.

— Per non lasciarti...

— E perché? no, no, non voglio!

E poi che dava a vedere di esaltarsi un'altra volta, il padre non insistette.

Qualche altro giorno passò.

Don Gennaro soleva ogni sera, dopo la cena, quando il figlio usciva, o leggere o ritirarsi nella sua camera, e lì al buio dinanzi alla finestra aperta, guardando le stelle, fumava la pipa come quand'era di guardia sui ponte dei suo bastimento.

Una volta appunto, splendendo in cielo la più chiara notte di marzo, quando le stelle pareva rabbrividissero al primo alito dell'imminente primavera, egli era immerso nella sua muta conversazione con la notte. Dalle lontane vie più popolate della città giungeva come un'eco il frastuono vario, e pareva un murmure di flutti sotto il grecale. Sfumava nell'aria l'albore lunare delle lampade elettriche, che illuminavano la strada.

Quella sera Claudio subito dopo cena era uscito un momento, dicendo che andava a comprare le sigarette. Da più giorni egli meditava di interrogare il padre a proposito di quella tal lettera trovata nell'armadio della morta. Mancavano pochi giorni alla data fissata da lui stesso per ritornare a Pisa e bisognava ormai decidersi: parlare, chiedere, sapere, non voleva, non avrebbe potuto partire con quella spina nel cuore.

Ma come? non aveva saputo, per quanto avesse studiato e fatto propositi dentro di sé, per trovare un mezzo per strappare al padre la verità che quegli certamente doveva custodire. Cento volte aveva preparato nel pensiero le parole più adatte alla richiesta terribile, e sempre, sul punto di profferirle aveva sentito mancare il coraggio, ogni idea si era confusa nella sua mente, e questo ritardo alimentava sempre più il sospetto e l'angoscia nell'animo suo.

Quella sera, però, si decise fermamente. Dopo una breve mezz'ora di assenza ritornò a casa, avendo divisato di parlar subito con Don Gennaro. Egli avrebbe voluto parlargli ed ascoltarlo senza essere guardato in faccia, o avrebbe voluto non esistere, essere soltanto una bocca per interrogare e un orecchio per sentire; lo imbarazzava, lo intimidiva stranamente, l'essere guardato da suo padre e il guardarlo, nel discorrere d'una tal penosissima cosa.

Andò sino alla camera buia, ma su la soglia si fermò esitando ancora. Si udiva nel silenzio tacito soltanto il sommesso scoppiettio delle labbra di Don Gennaro, ad ogni boccata di fumo, ed il cigolio cadenzato, ad ogni aspirazione della cannula umida di saliva e di nicotina.

Claudio pensò che le sue domande avrebbero turbato il buon uomo, in un istante di pace, e che sarebbe stato meglio partire e forse poi scrivergli, e chiedergli e sapere ogni cosa per lettera.
Ma nel volgersi per tornare indietro il suo piede inciampò e al rumore suo padre, avvertito della presenza di lui, soggiunse:

— Oh, sei già ritornato?

— Si papà — rispose la voce di Claudio commossa.

Egli si avanzò allora a passi mal sicuri e venne a fermarsi accanto alla sedia a sdraio ove Don Gennaro stava adagiato, di fronte alla finestra aperta; Claudio, che restava tutto nell'ombra più fitta, intravide il biancheggiate del viso e delle mani paterne, al debole barlume astrale che penetrava dalla finestra aperta.

— Non fumi tu? — chiese ancora Don Gennaro bonario.

— Ho già fumato.

— E nessuno dei tuoi amici è venuto stasera a prenderti?

— Li ho evitati, mi seccano. Preferisco restare solo...

— Perché Claudio? Non è meglio che tu ti divaghi?

— Ma tu perché t'interessi tanto papà, di vedermi divagare? È strano. Anche la mamma aveva una gran cura di non lasciarmi mai solo, e mi stava sempre dietro per impedirmi, si può dire, che mi assorbissi un momento a pensare.

Claudio vide l'ombra biancheggiante del viso di suo padre muoversi come se si voltasse verso di lui; un'altra ombra più tenue, una mano, parve trasvolare alzandosi fino a quella per ritrarsi stringendo il punto ardente della pipa. Seguì un silenzio.

Ma appena dette quelle parole a cui, pronunziandole, egli non aveva dato troppo peso, Claudio s'accorse che effettivamente ciò era strano. Egli non aveva mai badato al fatto che i suoi lo avevano trattato come di solito non si trattano i fanciulli e i giovani restringendo il cerchio naturale della sua vita, impedendogli di soffrire, di gioire. Perché? Solo adesso egli si accorgeva che le gioie e le sofferenze arrivategli d'un tratto, tumultuosamente dopo la morte della madre, erano troppo insolite per lui, e segnavano nel suo spirito un'orma troppo profonda. Egli fu distratto dal suo proponimento ponendo mente a questo fatto ricordatogli e chiaritogli ora d'un subito dalle sue stesse parole.

Chiuso nell'ombra egli lo considerava, sorpreso, quando la voce di suo padre un poco mutata, l'attrasse di nuovo:

— Tua madre ti adorava, lo sai bene e poneva ogni cura a non farti mai soffrire; tu sei stato l'unico figlio.

Ed altri pensieri lo assalirono a queste parole. L'unico figlio? Ed era certo? E se sua madre fosse stata veramente un'adultera?

— Può darsi — disse — anche tu sei convinto che la mamma mi amasse molto?

— Ne dubiti? Essa non dedicò forse quasi esclusivamente a te tutta la sua vita? Fu la tua mamma, 1'amica, la maestra...

Ancora una lunga pausa. Il piccolo punto ardente arse brillando dinanzi all'ombra bianca del viso di Don Gennaro, proiettandovi un lieve riflesso rossastro; le labbra scoppiettarono, la cannula cigolò, giunse sull'aria, di lontano, l'accento rauco d'una tromba d'automobile.

— Papà — cominciò finalmente Claudio, decidendosi — io vorrei portar meco qualche ricordo di mia madre.

— Non ne hai più d'uno figliolo? Hai il suo ritratto.., hai...

— Vorrei qualche cosa di più vivo... Mi ricordo che ella conservava tutte le lettere che arrivavano: siccome attraverso a quelle si può quasi seguire la sua vita, io vorrei prenderle, leggerle, seguirla nelle piccole cose della sua esistenza. Fu contento di essersi espresso in tal modo; ma era trepidante. Per un istante si udirono soltanto i due respiri fatti ad un tratto più affrettati. Quando la voce di Don Gennaro parlò di nuovo, era un po' rotta:

— Sì, figlio, prendile: domani te ne darò quante ne rimangono ancora.

— Ah, — fece Claudio lentamente — qualcuna s'è dunque perduta?

— Sì... è naturale del resto in tanti anni... 

— Mamma riceveva tante lettere?

— Ma... non troppe.., così, dalle sue amiche... da i parenti...

Claudio aggiunse tutto d'un fiato:

— E d'uomini ne riceveva?

Le ombre biancheggianti del viso e delle mani balzarono, brancolarono un poco nel buio; una mano si posò tastoni su la spalla di Claudio, la voce rauca del padre esclamò:

— Claudio, cos'hai? perché mi fai queste domande?

Egli, invisibile, fece un sorriso vacuo, disse qualche parola escusativa:

— Niente papà... domandavo per sapere... — e poi più franco aggiunse:

— Io amavo molto mia madre e vorrei conoscere in ogni particolare la sua esistenza...

— Tua madre — gli rispose la voce tremula — fu una santa...

E quella voce non pareva più la voce del babbo e fece vivamente trasalire Claudio. Egli impensatamente chiese ancora:

— Ma allora, perché una volta chiuso in camera sua, tu avesti un diverbio con lei che io, bimbo, non potei udire?

Egli stesso udì queste parole e trasalì un'altra volta; nel buio fitto ebbe la sensazione che non fosse più lui, che egli si fosse dissolto nell'ombra, che fosse divenuto un essere innaturale a pronunziare quelle parole terribili che contenevano una insistente accusa alla memoria della morta. E allora ebbe paura della sua voce, di quella tenebra, di quell'accusa, di tutto quello che aveva fatto e le parole del padre che gli rispondeva caddero dentro l'anima sua rintronando con una sonorità di metallo, senza che egli si curasse bene d'intenderle:

— C'è sempre dei piccoli diverbi nelle famiglie... che monta?. Che cosa hai creduto, Claudio?... Non pensare a nulla, calmati, sii tranquillo... Niente ci può avvelenare più di un sospetto; conviene meglio aver fede...

La piccola stella rossa si era spenta nel bianco della mano. Claudio per riprender coscienza di sé, si fece fino alla finestra e si intravide al debole chiarore astrale. Non si stupì per quel momento che suo padre avesse così facilmente capito il suo sospetto, che gli rispondesse come s'egli avesse chiaramente manifestato il suo pensiero: il babbo aveva ragione: egli non sapeva più insistere, non voleva più parlare di ciò, ne era affaticato, ne sentiva l'inutilità...

E restò a contemplare, con dolce meraviglia, come se non le avesse mai vedute, le stelle.

XIX.

Claudio arrivò a Pisa di notte. Alla stazione trovò lo zio Francesco solo, che lo abbracciò silenziosamente e che poi gli chiese:

— E tuo padre?

Durante il tragitto non scambiarono che brevi parole. Lo zio appariva preoccupato, benché tentasse di non parerlo, Claudio non ardiva domandargli nulla e rispondeva sempre a monosillabi, con gli occhi fuori della carrozza, guardando sfilarsi ai lati i fanali velati dalla nebbia e le ombre dei palazzi massicci, qua e là illuminati in qualche finestra. E ricordò il suo primo arrivo a Pisa, in carrozza, con Elena accanto. Anche allora le vie erano semideserte e si udiva lo scalpiccio del cavalluccio affaticato e il trenare delle ruote sul lastrico sonoro; nelle strade più anguste quello strepito diventava più forte e svegliava cento echi rumoreggianti. La carrozza stampava sui muri la luce scorrente delle sue lanterne, che nel lung'Arno si distese al suolo. Come allora.

Arrivati a casa, zio Francesco tirando il campanello di strada, senza voltarsi verso Claudio, gli disse:

— Elena avrebbe voluto vederti stasera stessa. lo ho fatto di tutto per persuaderla... Fabio...

La porta aprendosi, interruppe il suo dire. Entrarono.

La zia Clotilde accolse un po' freddamente il nipote. Egli lo notò e pensò che forse la vecchia avesse avuto sentore anche lei dei suoi amori con Elena. Ciò gli fece ancora una volta pensare che egli non era amato, ma odiato, specialmente lì a Pisa ove credeva di non vedere che gente disposta a fargli del male.

Appena l'ebbero lasciato solo nella sua camera, si chiarì in lui quel sentimento oscuro che parecchie volte gli aveva punto l'anima, una profonda avversione per la zia, per lo zio, per Fabio, per Guiduccio, per la cugina, per tutti. Quest'averlo costretto a ritornare lo seccava; gli rincresceva grandemente di essersi ficcato in quell'impiccio, fin dal suo amore con Elena! Vedersi ora accanto quella faccia dura della zia Clotilde, quell'imbecille di Fabio, quel noioso di zio Francesco !...

Lo riscosse da quei pensieri un lievissimo rumore vellutato; era Nerone che, sbucato di sotto l'armadio, gli veniva incontro con aria festosa. Egli lo carezzò; ma quando la bestia gli balzò addosso fissandolo coi suoi grandi occhi d'oro, il solito lontano terrore lo prese e andò a buttarlo fuori della camera.

E smaniò tra continui incubi durante la notte, odiando tutta la sua vita. Avrebbe voluto avere l'ali per ritornare a Napoli presso il padre e partire subito con lui su la nave e vedere Patrasso, Costantinopoli, Smirne... Costantinopoli specialmente: questo nome lo assordava interiormente, rimbombando entro di lui senza posa, finché anch'esso gli diede fastidio. Pensò che forse sarebbe stato meglio morire...

Rivedendosi il giorno dopo con Elena, si ritrovarono entrambi assai mutati.

Elena appena gli fu dinanzi, non curando la presenza di Venezia, gli saltò al collo perdutamente, restando a lungo avviticchiata a lui, mormorando frasi rotte e soffocate. Egli avrebbe voluto respingerla seccandogli che la serva potesse capire qualche cosa, malcontento di se stesso e di lei. Era men bella di prima, Elena. Non sentiva più, almeno per quel momento, quella inspiegabile angoscia beata che gli aveva tanto fatto desiderare la bellissima donna. E malediceva ancora quella passione, il suo viaggio, tutto quanto era passato.

— Claudio mio!... Finalmente!... Non fuggirai più adesso... Non fuggirai più...

Egli notava frattanto che Elena, in un'ampia vestaglia rossa, riusciva a dissimulare il suo stato, tanto per ingannare chi fosse ignaro della verità. Però, nella veemenza dell'abbraccio di lei, immaginò la creaturina palpitante entro quel seno, e gli pareva impossibile che fosse anche sua. Che schifo! Dunque l'amore si risolve così? E non è meglio lasciarlo nello stato di puro desiderio, di sogno senza baci, senza amplessi brutali? Oh! la nostalgia della cosa che non ha nome !...

— Claudio, non mi dici nulla?... perché non parli ?... non mi ami proprio più ?...

Egli la baciava, facendosi forza, ma a pena, su la fronte, sulle gote, tra i capelli, i quali gli pareva avessero un troppo acuto odor di sudore che lo nauseava. E questa donna era la sua amante, colei che gli aveva data la follia della lussuria, colei che somigliava a sua madre. «Ma rimane sempre immutata la mia avversione per quell'uomo e per quella vecchia inglese che m'ha tutta l'aria d'una mezzana». Ricordò che era tornato anche per questo, per strappare la verità a Kate, la quale sapeva tutto.

— Mi ami Claudio? mi ami? — gli chiedeva Elena scotendolo, duramente quasi, a vederlo così trasognato.

— Ti amo!

E sentendo di mentire provava un'ira indicibile contro se stesso, e nel pensiero si chiamava ipocrita, debole, vigliacco. Ella, sempre allacciata al suo collo, volendoselo trarre a sedere accanto su l'ottomana, incespicò in una piega del tappeto e fece traballare anche lui mentre gli diceva:

— Dio! Dio!... come t'adoro!...

Gli parve ridicola, vide ridicola la loro situazione e pensò che faccia potesse avere egli stesso in quel momento. Si vide come in uno specchio ghignante e truce. Debole! Ipocrita! Vigliacco! Perché faceva questo? Perché aveva avuto per lei, prima, tante inutili smanie?

— Fabio comincia a sospettare sai? Da parecchi giorni lo vedo torvo, cogitabondo, evita di parlarmi. E il mio Guido stesso mi sembra che si sia allontanato da me! Tutto per causa tua, capisci?... Ma io ti amo sempre; che importa?!

Quando Kate, a cui Venezia aveva fatto capire urlando che Claudio era arrivato, venne ridendo a salutarlo, egli ebbe un tuffo al cuore. Eccola, colei che poteva dirgli tutto, dargli la pace o aumentare il suo strazio, senza rimedio.

— Pen arrivat' ah! ah! ah !... Ha fatt' pon viaccio!?

Egli le strinse a pena la piccola secca mano fredda con odiosità mal celata, e avrebbe voluto subito gridarle la sua richiesta, subito sapere.

Guiduccio verso mezzogiorno tornò da scuola, piagnucolante, e andò dritto dalla mamma, non curando lo zio di Napoli.

— Mamma... Righetti il figlio del merciaio, mi ha dato un pizzicotto e la maestra ha castigato me...

— Ebbene ragazzaccio non si saluta nemmeno lo zio?

E la madre lo spinse verso Claudio, a cui il bimbo diede un bacio fra le lagrime, mogio, mogio.

Anche Fabio gli apparve mutato. Quand'egli arrivò al tocco e mezzo, Claudio credette opportuno e doveroso d'andargli incontro; il marito di Elena, fece secco secco senza sorpresa:

— Oh! sei ritornato? — come se egli fosse stato fuori per uno o due giorni soltanto, in gita di piacere.

Queste accoglienze impensierirono di più Claudio. Temette che quella gente, zia, marito, figlio, sospettassero, sapessero qualche cosa dei suoi amori per Elena, e dissimulassero stentatamente ordendo e macchinando una vendetta proditoria, un infernale intrigo a suo danno.

Trovandosi troppo a disagio in quella camera, andò via poco dopo il pranzo, insieme con Fabio che volle trarselo dietro per essere accompagnato sino alla Banca, ove lo condusse per mostrargli i locali.

Ivi attraversò due o tre stanzoni occupati da massicci scrittoi, dietro i quali lo sbirciarono sornionamente di sopra le lenti gli impiegati, tuffati tra i libri mastri e gli enormi registri. In quelle grandi sale riscaldate eccessivamente dalle stufe egli si sentì mozzare il respiro; girava guardandosi attorno, senza comprendere perché fosse venuto, perché avesse acconsentito a venire. L'aria era graveolente di carta grossa e di pipe. Le penne scricchiolavano su gli scartafacci. La voce monotona di un fattorino contava dei pacchi, buttandoli su un tavolo, cadenzatamente:

— Ventidue... Ventiquattro... Ventisei!...

Fabio introdusse Claudio nel suo studio dicendogli:

— Ed ora concedimi cinque minuti.., ho da parlarti.

Claudio, entrò preoccupato, guardandosi attorno, e quando vide Fabio chiudersi l'uscio dietro si domandò, se non stesse per accadere qualche cosa di grave. Invece Fabio sedette alla scrivania, nel suo seggiolone di vimini, fece seder lui in una poltrona lì accanto, e aprì la bocca per parlare, ma il tremito più visibile delle sue mani e del sigaro fra le sue labbra, dava a vedere una tal quale titubanza.

— E.... voi, tu e tuo padre, - cominciò - siete dunque decisi a venire a stabilirvi qui?

— No — rispose Claudio — seguendo con gli occhi tutti i suoi movimenti — non se n'è parlato.

E intanto pensava a quel che doveva rispondergli per difendersi, per negare la sua tresca con Elena.

— Allora tuo padre non verrà a Pisa?

— No ch'io sappia.

— Io, vedi, avrei bisogno di parlargli d'un certo affare che mi sta molto a cuore.

Passò un silenzio, Fabio esitava, Claudio attendeva, un po' stordito ma deciso a tutto. Non capiva, però, perché colui venisse a parlargli di suo padre.

— Vedi, — continuò Fabio, facendosi coraggio — non te n'ho parlato a casa perché Elena si seccherebbe... e ho temuto che anche tu potessi noiarti...

— Ma cosa? — fece Claudio un po' seccato è nervoso, con atto di impazienza.

— Ecco... tuo padre certamente ha in serbo dei denari?!

Claudio su le prime non intese, dovette usare una certa fatica perché la sua mente seguisse questa inaspettata piega della conversazione.

— Credo anch'io... non so...

— Come non sai? — esclamò Fabio, come sdegnato — Non sai se tuo padre abbia un dieci o dodicimila franchi di risparmi?

— A me non l'ha mai detto; ma potrebbe darsi, perché?

— Io vorrei, vedi, che mi prestasse una tal sommetta che mi occorre d'urgenza.

Claudio si sorprendeva sempre più; come mai quell'uomo pensava al denaro, mentre, certo, sapeva?... E veniva proprio a chiederlo a lui?!

— Tu cosa mi rispondi?

— Va bene, se papà possiede tanto denaro, può darsi che acconsenta... Scrivigliene... o se vuoi che glie lo scriva io...

— Ecco: sarebbe meglio che te ne interessassi tu. Ma lo farai?

— Lo farò, va bene.

— Presto, e mi comunicherai subito la risposta. Ma non dirne niente a mia moglie, te ne prego.

— Perché?

— È una storia lunga... Tu sei nostro parente e certe cose non si possono sempre dire... Elena...— aggiunse a voce più bassa — non sa moderarsi; ha speso e spende eccessivamente.., e abbiamo dei debiti... debiti urgenti, che io sono costretto a soddisfare al più presto, altrimenti siamo rovinati...

Claudio era trasognato; gli pareva impossibile di aver bene udito. Come mai, si ripeteva, Fabio poteva pensare a simili cose e veniva a parlarne proprio a lui? Ma dunque non sapeva? E ciò gli sembrava ridicolo al tempo stesso.

— Orbene — insistette il marito di Elena — che mi rispondi?

— Te l'ho detto — concluse Claudio alzandosi — ne scriverò al babbo. Spero ch'egli sia in grado di fare quanto tu chiedi.

Prese commiato da lui e lasciò l'ufficio riattraversando gli ampi stanzoni occupati da gli scrivani che al suo passare rialzavano il viso di tra gli scartafacci, sogguardandolo sornionamente.

Claudio volle fare due passi prima di rincasare. Per lung'Arno passeggiavano rare persone a cui egli, assorto in pensieri non badava. Ebbe la sensazione di passare invisibile per quel luogo, e si sentì come in un estraneo paese, fra gente estranea, in un sito nuovo e mai visto, ove solo la sua anima andasse, sconosciuta, vagando ed aspettando la consolazione ignota. L'invase una tenerezza non provata mai e gli strinse il seno un soffocamento doloroso, una infinita voglia di piangere.

— Ma si... dà retta a quella pettegola! — gorgheggiò dietro di lui una voce di donna.

E sentì altre parole confuse, che non comprese, quasi scivolassero sul suo spirito assorto.
Nell'aria perlacea il tramonto versava i suoi colori portentosi.

L'orizzonte era d'argento frastagliato tutt'intorno dalla linea ondulata delle colline: le cose attorno parevano attonite al cospetto d'un prodigio. Dal fondo dell'anima di Claudio risorse tutto il suo dolore, mal manifestatosi fino a quel momento, che gli parve piovesse sul suo cuore con la tenerezza del crepuscolo. Che cosa era stata la sua esistenza da sei mesi e che cosa sarebbe stata domani? Qual mèta la sua? Oh! se nulla di quel che lo martoriava fosse vero!

Allontanando momentaneamente i ricordi cattivi, egli si senti l'anima leggera e la speranza lo invase, ineffabile beatitudine del bimbo!

A un tratto, sull'altra riva, lontana e circonfusa dall'ultima luce in una gloria di candore, ravvisò Santa Maria della Spina, Il suo cuore ebbe un palpito. Inconsciamente mosse verso la chiesa. Passando il ponte, vi si fermò un istante per rimirare il fiume giallastro che brontolava incessante sotto di lui.

La porticina della chiesa era aperta e, come quel giorno, il custode faceva pulizia.

— Buona sera, signorino.

Era come quel giorno. L'istessa luce scialba si diffondeva da le stesse ampie invetriate, perdendosi sonnolenta ne gli angoli bui. La stessa lampada ardeva dinanzi al simulacro della Madonna, illuminandola dal basso in alto, dandole dei toni rossicci, aspri di penombre fluttuanti.

Claudio guardava, un poco intontito, mentre la vociaccia sgarbata del custode ciceronava come allora. E pur vedendo che tutto era uguale apparentemente, sentiva che tutto era intimamente mutato. Pareva che la chiesa avesse un'altr'anima, fredda ed ostile. L'opprimeva, ora, quell'aria grave, quel barlume fioco, queI silenzio rabbrividente di sonorità.

Qui era stato accanto a lei, qui l'aveva baciata per la prima volta, qui era nato il suo amore, era cominciato il mutamento profondo dello spirito... Ma...

- ...e ha quasi quattrocent'anni sa?

Ma come tutto ciò era avvenuto? Perché egli aveva amato Elena? Forse se egli non fosse mai entrato in quella chiesa, con lei, ove il momento insolito lo aveva vinto, la sua vita sarebbe rimasta sempre uguale, qual'era prima, vita semplice ed ingenua di giovinetto, che egli, allora, credeva vacua ed inutile. Oh, meglio anche questa vita vacua ed inutile, fatta di piccoli bisogni, di tenui desideri, di cose comuni, piuttosto che la vita presente, vita d'angosce, di sofferenze, d'irrequietudini incomprensibili e mediocri, mediocri e vane perché non avevano quello scopo alto e grande, ma si pascevano e forse si sarebbero consumate inutilmente... Oh, la sua nostalgia, a cui tutto il suo essere era impotente!...

La chiesa impassibile parve un momento s'illuminasse fantasmagoricamente ai suoi occhi: e le pareti, le colonne, l'altare, le immagini, la lampada oscillarono, s'agitarono in inauditi atti schernevoli, sghignazzanti, comunicando anche a lui una strana, dolorosa voglia di ridere... Santa Maria della Spina racchiudeva ora la sua buona vita passata ch'egli vi aveva deposta quel giorno, sostituendola con un'altra vita misteriosamente inquieta, piena di sentimenti violenti che crescevano, s'aumentavano in modo spaventoso, alterando il suo cuore e la sua mente... vita nuova e terribile che forse lo avrebbe distrutto!

XX.

Interrogare Kate, sapere, ecco cosa voleva Claudio. Per parecchi giorni ebbe la convinzione d'essere ritornato a Pisa unicamente per questo.

Ma trovare un mezzo qualsiasi per potere, senza essere udito da altri, parlare con la vecchia, era quasi impossibile. Kate passava le giornate sola nella camera, attigua alla sala da pranzo, e nelle altre stanze era sempre sotto gli occhi di. qualcuno: di Elena, del bimbo, della serva.
Una mattina, Claudio era presso la sua amante, Venezia era fuori, Guiduccio a scuola, Fabio al banco. Elena stava un po' male, quel giorno; accusava una grande lassezza e dei crampi alle gambe.

— Stammi accanto — aveva detto a lui — parlami, dimmi di quelle cose che solevi dirmi nei primi tempi.

Ed egli le stava accanto, ma senza aprir bocca, perché sentiva di non saper più dire le parole che ella chiedeva. La sua mente, invece, era tutta rivolta a Kate che canterellava nella gola rauca chissà quale sua vecchia canzone.

— Perché non parli? — gli chiese Elena a un tratto, quasi con durezza — Mi stai lì, con quella faccia oscura... Ti diverte tanto la mia compagnia?

— Che vuoi — tentò scusarsi lui — sono un po' preoccupato... Penso a mio padre che ho abbandonato mentre egli avrebbe ancora voluto tenermi con sé...

— Tre o quattro mesi fa non ci avresti pensato con tanta insistenza... Sei mutato, io me ne accorgo... Non sei più lo stesso! Forse qualche altra Elena ti frulla nel cervello?...

— No, te lo giuro...

— Non giurare. Io lo so. Per te ci voleva forse un'altra... un'altra, come per esempio, la Guiccioli, che tu hai tanto ammirato quel giorno in chiesa.

— Quando? non ricordo...

— Si, fammi il nesci ora — proseguì Elena, irritandosi — voi altri uomini preferite le donne tutte smorfie, preferite quelle cascanti che vi sanno menare pel naso stordendovi coi loro profumi e con le loro frasi studiate... Una donna bene esperta nell'arte dell'amore, perché l'ha messo in opera con cento, vale più a gli occhi vostri di una donna che non sa, che non ha malizie, che vi si dona tutta fin dal primo giorno.., e poi ne piange le conseguenze.

E gli occhi di Elena s'arrossarono, e gonfiarono di lagrime, ch'ella cercò di ringoiare.

— No, Elena, no — fece Claudio infastidito e commosso studiandosi di apparire sincero — ti giuro che t'inganni: a nessuna donna io pensavo... non ho amato che te.

E le prese una mano, ch'ella cercò di svincolare sforzando di dominarsi con un sorriso pallido e stentato.

— Che!... che!... ragazzo!... Lo capisco, io, che tutta la poesia è finita...

E rovesciandosi indietro ella proruppe in pianto. Claudio, s'alzò con premura, le si fece più accosto, l'abbracciò.

— Elena, ma perché. fai così? calmati, ascoltami!...

Elena lo respingeva guatandolo con occhi biechi sotto le lagrime.

— Vattene!... Vattene!

Egli sentiva che era suo dovere calmarla, dissuaderla; ma pure, in fondo alla sua coscienza, c'era una gran voglia di scapparsene, e di finirla davvero.

Kate, frattanto, faceva udire la sua voce; produceva qualche rumore, movendo degli oggetti. Claudio tendeva le orecchie, attratto da quella voce, ed era sulle spine per andare subito da lei.

Finalmente Elena si calmò, allacciò le braccia attorno al collo di lui e rimase un pezzo così, scossa ogni tanto da singulti muti. Claudio le carezzava i capelli e il collo, con cuore gelido, e vedeva frattanto riflessa in uno specchio di fronte la sua immagine con la cugina fra le braccia. L'immagine dello specchio, anzi, mostrava tutto il dorso di Elena coperto da l'ampia vestaglia e solo la testa di lui, pallida e contratta, appariva sulle spalle della donna, come ella sollevasse su i cubiti un capo reciso. Guardando, l'illusione di Claudio si fece così intensa che n'ebbe terrore e si svincolò dalle braccia che 1'allacciavano.

— Mi ami sempre? mi ami molto? — gli chiese Elena sulla bocca.

— Molto, molto! — affermò lui chiudendo gli occhi.

Dopo un momento ella volle rompere il ghiaccio con una risata.

— Che sciocchezze!... ah! ah! ah! abbiamo fatto come due bimbi che si bisticciano, no? Ma sei tu che mi ci hai trascinata, monello! Per penitenza, adesso alzati, che io non posso muovermi, e va a prendermi da bere.

Egli obbedì volentieri. Attraversando la stanza da pranzo, udì ancora Kate; e allora s'arrestò un momento e poi si appressò piano piano fin sulla soglia della camera di lei. La sorprese intenta a passare una pezzuola sul suo comodino, con gesti un po' sciamannati chinando ogni tanto il viso per discernere meglio. Ella non lo scorse neppure, e Claudio, col cuore in tumulto, si domandò se non fosse il caso di entrare, chiudere l'uscio e costringere la vecchia a rispondergli di tutto.

— Claudio, che fai? — domandò la voce di Elena.

— Vengo — egli rispose accostandosi.

E per quel giorno non fu più possibile parlare con Kate.

Ma un altro giorno Claudio seppe che Elena doveva uscire con la signora Lucchini, per fare delle compere, e decise di parlare allora con la vecchia, approfittando dell' occasione che non si sarebbe presentata forse mai più. Ma tacque a tutti il suo divisamento.

Quel di, verso le quattro del pomeriggio, batteva infatti alla porta di casa Mauri. Elena era già fuori con Guido, egli non trovò che Kate con Venezia, la quale gli diede l'annuncio sorridendo che la signora non c'era. Claudio finse sorpresa.

— L'aspetterò — disse.

Bisognava, però, almeno per un quarto d'ora, sbarazzarsi anche della serva importuna, e la pregò di andare a comprargli delle sigarette. Così restò solo con Kate.

Claudio, appena Venezia fu andata via, si sentì profondamente commosso, tremava come dinanzi a un pericolo. Che avrebbe domandato, che avrebbe detto alla vecchia? Come cominciare l'indagine atroce? Kate era in camera da pranzo, seduta accanto alla finestra, e, inforcato sul naso un vecchio paio d'occhiali, dipanava imbrogliandola di più una matassa di lana. Ad ogni difficoltà che le sue dita incontravano, ella borbottava qualche parola in inglese. Non s'era pertanto accorta della presenza del giovane e si credeva sola.

Claudio stette un pezzo ritto immobile dinanzi a lei. Sentiva un'irritazione indicibile contro quella creatura così fatta, che non lo vedeva, non lo udiva; avrebbe voluto trovarsi dinanzi a un essere forte, franco, normale, per rivolgergli pacatamente una domanda e averne subito una risposta, chiara e netta, una risposta recisa.

Ma il tempo passava: Venezia non poteva essere andata lontana, fra pochi minuti sarebbe ritornata, e allora niente più possibilità di parlare con la sorda.

— Signora Kate... — egli disse avanzandosi — La vecchia non lo udì: facendosi scorrere la matassa sotto gli occhi ella imprecava d'impazienza.

— Signora Kate — fece Claudio più forte.

Kate alzò il capo, mugolò e poi disse con la sua voce stridula qualche cosa, porgendogli la lana: l'aveva preso per Elena.

— Son io — gridò egli allora.

La vecchia si alzò, appressandoglisi per guardarlo bene, lo riconobbe, mugolò più forte e fece una risata:

— Ah! ah!... è lei? lo lavor'... ma ma la lan'e è tuta così e non poso lavorar'. M'an comprat' una lan' cattiva: lo voglio tire a Venezia, per comprarla più pella. Ah! ah!

Claudio la lasciò parlare e intanto rimuginava nel cervello ciò che voleva dirle.

Comprendendo che con lei non c'era da indugiarsi in preliminari, le disse d'un subito:

— Signora Kate, lei ha conosciuto mia madre, non è vero?

Kate lo guardò e rise calorosamente:

— Ah! ah! ah!... l'ha saput' anche lei? sì, fra tre mesi sarà matre... anche a me fa molt' piacere, ma Elna non l'ha detto a nesuno: sarà una sorpres'.

Claudio contrariato vide che ella non aveva capito e volle ripeterle la domanda a voce più alta, ma forse le grida della voce mal nota si 'confusero di più nell'orecchio della sorda, perchè questa continuò:

— Sì... Eh! tute le sue amiche le dievano: topo Cuito sei diventata picra...

Claudio, cominciò ad eccitarsi e appressandosi ancora all'orecchio di Kate, le strillò con foga:

— Lei, sa qualche cosa sul conto di mia madre? Mi dica tutto, voglio saperlo.

La vecchia gli fissò in faccia i suoi grandi occhi impietriti, avendo nel volto un'espressione un po' trasognata. Poi fece quel mugolio abituale in lei quando non comprendeva e, tanto per dir qualche cosa, riprese:

— Vete, anch'io lavor' per il pampino che teve nascere. Questa lan' serve per fare cose per lui. Ah! ah! ah!

Claudio, ebbe un moto di rabbia. Come fare? che dire? egli non poteva dunque sapere? Ecco, la luce per la sua anima, tutta la verità, era lì, dinanzi a lui, rinchiusa in quel piccolo straccio di creatura: e questa creatura, sorda, cieca, insensibile a ogni sua sofferenza, a ogni suo martirio, non gliel'avrebbe mai rivelata!

— Voglio sapere se mia madre fu un'adultera... Come si chiamava l'uomo che ella amò?

La vecchia ebbe uno scoppio di risa convulse, che le allargò deformemente la bocca tra le rughe del piccolo viso rinsecchito. Chissà che cosa ridicola ella aveva creduto di udire. Cercava di parlare, di rispondere qualche parola, ma l'ilarità esuberante glielo impediva. E Claudio, vedeva nella cavità sdentata della bocca aperta agitarsi la lingua: e pensò per un momento di farla venir fuori tutta dalla gola, rigida e paonazza, serrando tra le proprie mani il collo della nemica.

— Ah! ah! ah!.'.. è ver... ah! ah! ah!?... ella me lo ticeva... ah! ah! ah!...

Furibondo Claudio le fu addosso, parendogli d'essere schernito, e alzò le braccia per annientare quella povera cosa inconsciamente perversa che si contorceva nel riso inopportuno. Stravolto, con la voce divenuta rauca, con la coscienza annebbiata, le urlò ancora una volta:

— Parlo di mia madre, di Maria.., lei sa il nome del suo amante... chi fu?

Allora un mutamento improvviso e profondo si manifestò nella vecchia. Ella udì forse quella voce selvaggia che la turbò e vide in Claudio qualche cosa di terribile, I suoi occhi enormi si sbarrarono, fissi, come se volessero schizzar dalle orbite, il tremito del riso si mutò in tremito d'orrore... Diede un passo addietro, guardando quasi sul pavimento, e movendo gli occhi come se seguisse i movimenti di qualche fantasma.

— Maria... — gridò — Maria...

Il nome di sua madre! Claudio lo udì dalla bocca della nemica che tremava misteriosamente.
Ella sapeva! Ella sapeva! Ma la vide rovesciarsi, come in convulsione, su una sedia, terrorizzata, anelante. Volle chiedere ancora, incalzando... Ma pensò anche che continuando l'avrebbe uccisa... Fuggì incontrandosi con Venezia che ritornava sorridendo, placida, e che allibì vedendoselo ad un tratto dinanzi così stravolto.

Claudio andò via forsennatamente, senza dir parola, mentre la serva accorreva presso Kate terrorizzata.

Egli corse verso la casa di zio Francesco, vi giunse, non disse verbo a Martina che gli era venuta incontro e andò a chiudersi nella sua camera.

Sudato, ansimante, si gettò nel letto. Non s'era ingannato, no, non s'era ingannato!

Tutto era com'egli aveva sospettato, intuito! Sua madre era un'adultera e forse aveva consumato il suo tradimento in circostanze terribili, poi che la vecchia al solo udirne il nome ne riceveva un'impressione così violenta. La vecchia sapeva ogni cosa, era l'unica inviolabile custode di quel segreto che rappresentava per lui la tortura di tutta la sua esistenza. E, pensando tormentosamente così, egli si stupiva della lucidità del suo sospetto, nato da un nulla, dalla chiaroveggenza anormale della sua mente esaltata. E nel cervello sentiva la sua propria mano frugare tra la sostanza molle, e le unghie stridere contro le pareti irregolari della cavità ossea...

Il contatto di qualcosa di vellutato che lo toccava su un braccio lo riscosse. Alzò il viso: nella stanza s'era già fatto buio. Vide ad un palmo da sé due luci fosforiche, due stelle paurose, che lo fissavano ardentemente, e gli parvero piene d'una grande minaccia. Cos'erano quegli occhi che lo perseguitavano?

Claudio balzò a sedere sul letto e spinse innanzi una mano per cacciar via la visione paurosa; ma incontrò del velluto, da cui si sguainarono delle punte che lo graffiarono a sangue. Il dolore lo inferocì, e con un colpo rovesciò il nemico, facendolo saltare giù dal letto. Scorse di nuovo a un tratto, in un angolo, le due luci fosforiche fisse un'altra volta su di lui, più minacciose e dilatate ; udì da un angolo della stanza un brontolio. Quegli occhi lo esasperavano; egli voleva estinguerli; gli parve che fossero la causa d'ogni suo male, che forse sarebbero stati la sua mode!...

Afferrò, a tastoni, il pesante candeliere sul comodino, e lo scagliò con furia verso quell'angolo. S'udì uno gnaulìo di furore: i due occhi si chiusero un istante, ma tornarono a sbarrarsi in un altro angolo... Claudio, s'armò d'un bastone, corse loro addosso e picchiò. Sentì una cosa elastica balzare, con un gran soffio. Le corse dietro per la stanza, guidato dagli occhi di fantasma, colpendo sempre, picchiando anche contro le pareti e i mobili, deciso a spegnere quelle due stelle di malaugurio... Ad un tratto si sentì addosso, avvinghiata a una sua gamba, quella cosa elastica in cui i due occhi brillavano e con un moto di ribrezzo feroce, l'afferrò, se la strappò via, la sbatté contro la parete, contro il suolo, ripetutamente, ansando, con forza, folle... Sentiva tonfi, e tonfi, accompagnati da scricchiolii, da qualche strillo acuto, che a poco a poco si fece rantolante, si tacque... La cosa elastica e nervosa, in una sua mano, a poco a poco divenne inerte, più pesante ed egli la buttò via...

Si bussava alla sua porta, dalle cui fessure entravano fili di luce. Delle voci lo chiamavano.

— Claudio, Claudio... che hai ?... Signorino... apra... apra...

Un urtone spalancò la debole porta, ed entrarono zio Francesco, la zia Clotilde e Martina con un lume.

— Claudio, che hai? — gridò lo zio accorrendo a lui, al vederlo sconvolto in mezzo alla stanza, in posa d'allucinato.

— Ah! — esclamò zia Clotilde — il mio povero Nerone.

Claudio non udì, non vide più nulla: tutto gli ballò attorno, intorbidandosi d'una gran nebbia rossastra. Udì soltanto una voce lontana, strozzata che urlava:

— Quegli occhi! Quegli occhi! Essi volevano uccidermi.

 
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