XXVII - XXVIII
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Aldo Capasso
su Santa Maria della Spina

Lucio D'Ambra su
La Spada d'Orlando

La Barunissa di Carini: Introduzione, traduzione e note di 
F. D. M.

 

Queste pagine sono in corso di allestimento

XXVII.

Elena non riusciva più a dissimulare, a vincersi: aveva bisogno di lui. Gli si allacciò al collo freneticamente singhiozzando: 

— Claudio, Claudio! amami ancora! amami, prendimi ancora! 

Ed egli, reso più intontito dalle sensazioni della notte, la prese, così, d'un tratto, rinnovando dopo tanto tempo il piacere quasi obliato. 

Stabilirono di non dormir più separati. 

— Vedi — lo persuase lei — la notte, a star sola, in compagnia del bambino che piange spesso, io soffro... ho paura, non so, ho dispetto... Tu sei qui, vicino a me, separato da un muro solamente eppure non riesco a darmi pace... Spesse volte sono stata sul punto di chiamarti, di venire a bussare alla tua porta, per domandare un po' di posto accanto a te...

Essi stessi passarono il letto di lui nella camera di Elena che era più grande. 

Claudio lasciò fare: s'adoperò anche lui, ma certamente aveva qualcosa di nuovo negli occhi, nel viso, perché Elena lo guardava spesso, colpita, e alfine non poté trattenersi dal chiedergli: 

— Cos'hai? 

— Nulla — egli rispose. 

Ella ripeté più volte la domanda quel giorno, e Claudio sempre le rispose invariabilmente. Un momento vi fu che Elena, mostrando un certo timore, gli prese il capo fra le mani obbligandolo a guardarla fisso negli occhi. 

— Claudio in nome di Dio, a che pensi? Da qualche tempo, da quando sei ritornato da Napoli, tu non mi appari più quello di prima!... e, oggi... oggi... sei così per causa mia? 

— No, no! 

— E allora? Dimmi la verità, piccolo mio. T'è accaduto qualche cosa grave a Napoli? Qualche cosa che non vuoi confessarmi? O pure hai lasciato laggiù qualche altra Elena, più bella della tua? lo non te lo perdonerei, sai? ti graffio, ti sviso... 

E gli sorrideva per distrarlo. 

Claudio volle spiegarglielo in modo convincente. 

— No, Elena non è questo... Il sapermi odiato da tanti, il sapere che c'è della gente che m'ha fatto del male e che forse me ne farebbe dell'altro... Ho qualche cosa qui, nella testa, che mi dà tanto dolore... qualche cosa come un pensiero congelato, diventato di cristallo, è fermo qui, in mezzo al mio cervello... 

Pensò in quell'istante, di volo, senza darvi gran peso, che Fabio nel suo tempestoso dialogo con Elena, lo aveva chiamato pazzo. Anche Elena, in quello stesso momento, dovette pensare a ciò, perché il suo viso assunse subitamente un'aria di preoccupazione e gli chiese con voce grave: 

— Caro, bisogna che tu vada a Pisa, a interrogare un medico... Il Marconi ch'è specialista di malattie nervose... senza indugio, ci andrai oggi stesso. A Pisa procurerai di non farti vedere da nessuno. Puoi andare anzi per l'Arno, con la barca di Andrea il passatore, ch'è ormeggiata proprio ai piedi del colle... Ci andrai? Oggi stesso? 

— Si — promise egli lieto di quella non sua volontà. 

Ma quel giorno accadde un'altro fatto inaspettato: a mezzogiorno la serva, che soleva portare ogni mattina alle otto le provviste per tutta la giornata, non era ancora venuta. 

— Che diamine fa quella poltrona?! — esclamava Elena. 

Bisognò che Claudio scendesse a Lugnano per cercar della donna, con l'incarico di portare lui stesso le provviste, al più presto. La contadina stava male. La sera precedente l'aveva assalita un febbrone da cavallo, che ora la teneva inchiodata nel letto. Non poteva venire, né per quel giorno né per molti dei successivi. Claudio, la vide senza che ella potesse parlare e udì le spiegazioni e le scuse da la bocca di una giovinetta che stava sulla soglia dell'abituro. Vide e udì con indifferenza. Gli diedero le provviste, che la giovinetta aveva comprate la mattina, sperando di mandarle o di portarle lei stessa alla Villa Landucci, e gli consigliarono di cercare un'altra serva, per quei giorni, lì stesso a Cascina. 

Egli se ne ritornò, non comprendendo la necessità di cercare un'altra serva, e poi gli seccava mortalmente camminare, chiedere, parlare con le persone, chiunque esse fossero. Quel che aveva confessato a Elena era vero: nel suo cervello c'era qualcosa, simile ad una pietra affondata nella materia molle. 

Ritornando su per la china egli provava ogni momento dei trasalimenti inspiegabili; camminava a capo basso, senza pensar nulla, ma parendogli a poco a poco che la testa gli si dilatasse. Poi, se rialzava il capo, e vedeva il cielo netto, la campagna ondulata, la striscia azzurrastra e luccicante del fiume, lo spettacolo gli metteva sgomento e si diceva che era impossibile che tutto ciò esistesse e fosse veramente attorno a lui. 

Quando giunse a casa, disse per prima cosa a Elena: 

— Sono sicuro che il babbo è già a Pisa. 

Elena non volle rispondergli; gli domandò invece se avesse visto la donna. 

— Non viene, ho parlato con la figlia, ch'è una bella ragazza... ma ha un grembiule assai sudicio. 

— E perché non viene? 

— È malata. Bisognerebbe mandare il dottor Marconi anche a lei. 

Elena lo squadrò inquieta, ma egli era calmissimo, aveva dipinta in faccia un'aria infantile. 

La giornata passò, senza che Claudio sentisse niente contro Kate, pur vedendola col piccolo Ettore in braccio. Stette lunghe ore in giardino, all'ombra umidiccia dei grandi alberi fronzuti e tristi. 

La sera, dopo cena, Elena che gli aveva tenuto quasi sempre gli occhi addosso, andò a sederglisi sulle ginocchia, lisciandogli delicatamente i capelli. 

— Mi vuoi bene, bambolino? 

— Sì, tanto! — egli rispose con tenerezza — carezzami così, fra i capelli, così... 

— Tu non sei seccato, è vero? non hai nessun pensiero contro di me. 

— No, no, — rispondeva Claudio socchiudendo gli occhi sotto le carezze, e intendendo quelle parole appena, lontanamente. 

— Sei buono, è vero? Domani verrai con me a Pisa... andremo insieme... lo, per non farmi riconoscere, metterò quel velo verde, grande e fitto che a te piaceva tanto... 

— Sì... 

E Claudio sentiva nel seno un'angoscia deliziosa, come un nodo, salire, stringerlo alla gola... Sentì un bisogno infinito di piangere, di sciogliere in lacrime quel nodo soffocante, di piangere per sé, per sua madre, per suo padre, per tante cose dolorose che non ricordava, che non pensava... E questo gli avrebbe fatto tanto bene, tanto bene. 

Ma in quel momento Elena lo sfiorò con la bocca su la bocca, in un bacio lungo, ardente, uno di quei baci che gli attanagliavano la nuca nelle morse gelide della voluttà, che gl'intorbidivano ogni pensiero ed ogni sentimento ed esaltavano elettricamente tutto l'essere suo... 

Allora spalancò gli occhi socchiusi incontrando quelli di Elena, vicinissimi, grandi, vertiginosi... L'abbracciò stretta, nervosamente... 

— No — sussurrò ella al suo orecchio — non ora... non qui... 

Ed era anche lei agitata da fremiti di desiderio. Coricò il piccino addormentato nella culla accanto al loro letto e gridò nell'orecchio di Kate ch'era tardi. 

— Ah !... ah !... puona note! - augurò la vecchia inconscia di tutto. 

Elena e Claudio si ritrassero nella loro camera, e subito egli l'abbracciò un'altra volta, con un trasporto non avuto mai, con passione frenetica. Ella lo secondava, felice di quel che le pareva una resipiscenza, di questo ardente ritorno all'amore. 

La casa isolata taceva, animata soltanto dal respiro dei due dormenti e dal sospiro dei due amanti. Fuori la campagna stormiva ogni tanto con tutte le sue fronde, e pareva uno sciabordio d'acque lontane. Il giardino ombroso e folto frusciava, ma cupamente, quasi ricordasse o presagisse qualche cosa di funesto. 

Claudio ed Elena si erano già allacciati nell'amplesso della gioia. La luce fioca d'una stearica deposta sul comodino illuminava di scorcio il viso della donna supina, chiazzandolo d'ombre: la bocca sorrideva lievemente, bisbigliando parole fievoli, come sospiri; gli occhi ora si socchiudevano, ora si sbarravano smisuratamente... E Claudio, fissando quegli occhi, vicinissimi, grandi, e vertiginosi, ebbe un momento la visione d'altri occhi terribili... E allora, guardandoli bene, gli parve che quegli occhi, sotto i suoi, così spalancati lo minacciassero... Egli sentiva il piacere serpeggiare sottilmente nelle sue vene, e nello stesso tempo lo atterriva quello sguardo che pensò fosse d'un altro essere. Credé di sentire una voce, lontanamente, chiedergli: 

— Che hai, amore? 

Ma non rispose... Voleva godere senza vedere quegli occhi, e allora avanzò una mano per coprirli, per estinguerli. La sua mano incontrò un collo ignudo, caldo, palpitante... balenò nella sua mente l'altra visione d'un collo da stringere, da spremerne tutto il sangue da una dilatata ferita... 

Sentì delle parole, poi delle grida e il corpo di Elena spasimante d'amore si contorse, si agitò, si dibatté convulsamente sotto di lui. Ciò aumentò in guisa folle il suo godimento; ma vide anche gli occhi sbarrarsi, schizzanti, terribili, ancora più minacciosi... e allora chiuse i suoi sentendo anche sotto la mano raggrinzita il collo da spremere, da spremere con gioia infinita... 

— Lasciami!... lasciami!... — urlava una voce rauca, di lupa: ma a lui non giungeva che un confuso ronzio. Le braccia di Elena si tendevano invano per respingerlo, tutta la persona di lei guizzava, sobbalzava, ed egli stringeva sempre più, serrando i denti, rantolando nel piacere folle... 

Alfine Elena non si dibatté più, non si mosse più, si irrigidì, ed egli pure stette un momento immobile, abbracciandola ancora... L'eccitamento nei suoi nervi e nel suo spirito si spegneva, e l'intontimento, simile a benda grigia, calava un'altra volta su la sua intelligenza. Si scosse, si sollevò in ginocchio in mezzo al letto. Alla luce vacillante della candela, scorse il volto di Elena orribile, tumido, dalla bocca dischiusa, gli occhi apertissimi e impietriti fissi a la volta... Il lume faceva ondeggiare le ombre su quel viso, che pareva ancora, così, mosso da contrazioni e da smorfie orrende... 

— Elena! Elena! — chiamò Claudio non comprendendo. 

Elena non rispose. Egli pensò che le fosse venuto male, d'un tratto. Occorreva chiamare subito un medico, il Marconi, il Marconi, il Marconi. Traversò le altre stanze, aprì la porta, passò pel giardino, spalancò il cancello, e venne all'aperto, così discinto. 

La notte splendeva. Egli corse giù per la china verso l'Arno che vedeva luccicare: e sentiva una paura, una grande paura della solitudine. Si fermò un momento per vedere se Elena lo seguisse... vide invece un occhio di luce che ammiccava da una finestra della villa. Ricordò che qualcuno gli aveva parlato d' un battello: scese al fiume, lo trovò, lo slegò, vi saltò, abbandonandosi alla corrente. E l'intontimento della sua anima era accompagnato da un terrore indicibile... 

La mattina dopo a Pisa alcuni passanti scorsero dinanzi la piccola porta laterale della chiesa di Santa Maria della Spina, un uomo seminudo, stravolto, che batteva forsennatamente coi pugni contro l'uscio massiccio, gridando: 

— La mia vita!... rendimi la mia vita!... 

E fu cosi che Don Gennaro riebbe suo figlio.

XXVIII.

(Kate fu risvegliata a l'improvviso da un riscossone violento di tutta la casa, simile ad un effetto di terremoto. Apri gli occhi appannati e stette attenta, sforzandosi di percepire qualche suono, qualche rumore: ma niente giunse a ferire il suo orecchio duro; avverti soltanto una corrente aerea nella cameretta, un certa ventilazione non naturale nella casa chiusa. 

Un'altra scossa, accompagnata da un soffio più forte la fece alzare a sedere sul letto. Capì: qualche finestra era rimasta aperta. Ma non si mosse, pensando che qualcuno sarebbe andato, prima e meglio di lei, a chiuderla. 

La finestra o porta che fosse fu sbatacchiata dal vento un'altra volta. Sì come ciò le impediva di ripigliar sonno e la teneva poco tranquilla, decise subito d'alzarsi lei stessa, visto che nessuno degli altri abitanti della casa se ne curava. 

Si levò, si coprì a la meglio e uscì, sempre al buio, da la sua camera, a passi lenti e a tastoni, perché ancora non conosceva bene la casa; nella vecchia dimora, ov'era abituata, avrebbe camminato speditamente pur fra le tenebre più fitte. 

Di stanza in istanza, brancolando lungo le pareti, arrivò ove si sentiva di più il soffio aereo. Giunse a una porta aperta e non seppe rendersi conto da prima quale essa fosse: la spinse, s'avanzò e comprese subito di essere a l'aperto, nel giardino. Era, dunque, la porta esterna: come mai aperta? Chi era entrato? o chi era uscito? 

Un po' inquieta, chiamò a voce alta: 

— El'nà! El'na! 

Ma lo squillo della voce nota non giunse, in risposta, al suo orecchio. Chiusa allora la porta, si avanzò ancora lungo le pareti e volle chiamare di nuovo. 

— Claudio! Signor Claudio! 

Uguale silenzio. Ella temé che fosse la sua sordità a non permetterle di udire e s'avanzo ancora, domandando: 

— Perchè la port' era apert'? 

Silenzio sempre: nelle sue orecchie non era che il ronzio del suo stesso sangue, accelerato nei palpiti da l'emozione del fatto insolito. 

Le parve, a un tratto, d'intravedere un barlume, una luce fioca fioca attraverso la benda ostinata che ricopriva i suoi poveri occhi; andò, rincorata un poco, verso quel barlume, continuando a chiamare Elena e Claudio. 

Arrivò in un'altra camera, certamente illuminata, perché la caligine dinanzi a le sue pupille si fece ivi men nera. Procedendo con le mani protese incontrò la spalliera d'un letto e, palpeggiando sempre lungo questo, mosse ancora qualche passo. 

Si accorse di essere nella camera di Elena, e la chiamò impaziente, rimproverandole con un tumulto di parole la sua spensieratezza, l'enorme sbadataggine di lasciare così la porta aperta, di notte, in campagna... 

Ma nemmeno questa volta udì rispondersi. Toccando sul letto senti però, una gamba ignuda, un corpo disteso, che riconobbe facilmente per quello della nipote. 

La scosse, dolcemente da prima, poi più forte, chiamandola ad alta voce. Sentendola restare inerte, sentendosela rigida sotto le mani, trasalì. Che cosa le era avvenuto? Forse era stata presa da un male improvviso. 

— Signor Claudio... che cos' à El'na? — domandò spaventata, supponendo che Claudio fosse lì presente. 

Un'idea, che stimò la più vicina a la verità, l'assalì subitamente. Certo Claudio era uscito in fretta, per andare a chiamare qualcuno, un medico, atterrito e... nella emozione, aveva perfino dimenticato di chiudere la porta. Così si spiegava ogni cosa... ma perché Claudio non aveva almeno avvertito lei? 

Ed Elena, che cosa aveva Elena? Kate tremava, non sapendo che pensare... avrebbe voluto somministrare a la nipote qualche cordiale, darle magari dell'aceto, dell'acqua... ma dove prenderli, e come, in quella odiosissima casa ove le era impossibile muoversi? 

Si pose, ritta, accanto a l'origliere, aspettando febbrilmente e ripetendo di tanto in tanto i suoi appelli queruli. Toccò ancora il letto, in ogni senso, e lo trovò scomposto e, . anche, lo trovò troppo ampio... Non era un letto per Elena sola, quello... Chi vi dormiva insieme con lei? 

Questo pensiero la fece trasalire di nuovo, in modo diverso. 

Anelante, si rivolse mille domande ansiose che fin allora non aveva curato di fare a nessuno, abituata com'era a vivere di quel che le concedevano. Quali fatti nuovi e stranissimi erano accaduti in quegli ultimi tempi? Perché erano in quella casa? Elena le aveva, spiegato semplicemente: per mutar aria dopo lo sgravo. E Fabio dov'era con Guiduccio? Elena le aveva detto asciutta asciutta: In viaggio per un affare. E Claudio perchè stava con loro?

Tremò, temé d'avere compreso qualcosa che a la sua vecchia e casta verginità sembrava mostruosa!... 

In quel momento le parve di sentire, a pena a pena, un piccolo suono acuto divenutole ormai familiare: il vagito del bambino, del suo Siegfried, che certamente era nella stessa camera della madre. Infatti il suono si ripeté, e Kate volle subito accorrere al bimbo che invocava il suo abituale nutrimento notturno... Andò verso il vagito, con le braccia innanzi, s'imbatté nella culla e si tolse la creaturina in braccio: 

— Mein liebes Kind! Was willst du? 

Siegfried continuava a vagire disperatamente, per quanto ella tentasse acquietarlo, e Kate sperò che quella voce potesse, meglio d'ogni medico e d'ogni cordiale, far ritornare in sé Elena svenuta. Si appressò di nuovo al letto, scotendo la nipote; e sempre invano.

Brancolando con una mano arrivò sino al viso di Elena, e lo senti freddo e contratto, senti sotto le dita la bocca aperta, la lingua cascante, gli occhi sbarrati nel vuoto... Un tremito d'orrore l'agghiacciò: moda? ella era forse morta? 

La benda dinanzi ai suoi occhi per un prodigio improvviso parve si squarciasse ad un tratto, e Kate credette vedere chiaramente Elena rigida, contraffatta, cadavere. Accanto a lei sul letto in disordine, le parve anche di scorgere un mostro spaventoso, da gli occhiacci rossi e infocati, da gli artigli adunchi, accovacciato minacciosamente contemplando l'uccisa. 

Un urlo le salì a la gola, ed ella arretrò. Inciampò in una poltrona, ove cadde a sedere col bambino sempre vagente fra le braccia... 

Ella era sola, sola, nella casa isolata, sola in compagnia di un cadavere, col piccolo essere affamato che si contorceva sul suo seno; Claudio era fuggito, forse non sarebbe ritornato mai più... Ricordò anche d'avere sentito che la serva non sarebbe più venuta a cominciare dal prossimo giorno. Ella sarebbe rimasta lì, prigioniera delle tenebre dei suoi occhi, insieme col piccino, prigioniero e impotente come lei, in quella tomba ove nessuno sapeva ch'essi erano sepolti. 

E la stanza si popolò a un tratto, per lei, di fantasmi di terrore. Sorsero giganti, da l'aspetto feroce, con braccia protese, con visi mutevoli, urlandole tutti parole d'abbominio ch'ella non comprendeva, udendo soltanto il rumoreggiare delle voci da tuoni! 

Gran Dio! si chiese ella annichilita, e quali colpe doveva espiare la sua misera vecchiaia? Chi le infliggeva questo castigo spietato, questa fine disperata, e perchè? 

Tra la folla dei fantasmi vide sorgere allora, lì, sul letto ove Elena esanime giaceva, l'apparizione più aborrita degl'incubi suoi. Ravvisò suo nipote Hermann, completamente ignudo, oscenamente allacciato ad un corpo ignudo di donna; ed anch'essa, contemplandoli, era ignuda e schifosa. La donna fra le braccia di Hermann ella la ravvisava: era Maria, la madre di Claudio... 

Sì, ella aveva un tempo, ventiquattr'anni innanzi, favorito un piccolo flirt, una piccola relazione platonica tra Maria ed Hermann, i due cognati, li aveva aiutati nello scambio delle lettere. Era stata debole, s'era lasciata vincere dalle preghiere del nipote viziato, che l'aveva persuasa trattarsi d'una innocentissima cosa... E poi quella passione non aveva avuto lunga durata, la moglie di Hermann era morta, essi avevan lasciato Napoli... 

Ma no! Ora ella capì che qualche cosa d'infame, senza ch'ella sapesse, era accaduto! Claudio era nato subito dopo quell'amore, Claudio forse era figlio di Hermann, del padre di Elena, e Claudio aveva rinnovato con Elena gli abbracciamenti immondi di Hermann con Maria... Orrore! Orrore! ecco la colpa che lei espiava, ecco che ella pure era travolta da la tragedia finale di quell'adulterio! 

Il bambino piangeva guizzando sul suo seno. Kate chinò gli occhi e lo vide, sì bello, sì rubicondo, sì ignavo e dolce come un cherubino, che pensò non potesse essere figlio di due delitti. 

E per acquietare l'innocente, che si stancava del suo stesso pianto, riprese a cullano amorosa, cantandogli per ninna nanna le strofe soavi e melanconiche d'un suo vecchio lied... Udì la propria voce, acuta, sonora, come quand'era ancor giovine, e piena di forza sicura. Continuando a guardare Siegfried già quieto le parve che una gran luce emanasse da lui, illuminando trionfalmente la camera ove tutti i fantasmi si dissiparono, svanirono... 

No, Elena non era morta. Fantasma della sua esaltazione anche quello. Elena si sarebbe presto destata, Claudio sarebbe presto accorso, e Fabio e Guido avrebbero fatto ritorno dal loro viaggio. 

Nella casa isolata qualcuno sarebbe anche venuto, col giorno che non era lontano: Kate sentiva che l'alba, un'alba pura di luglio, spaccava già nel cielo immacolato, tutto fatto per Siegfried, che ella continuava a cullare, cantando il suo vecchio melanconico lied... 

Il bambino s'era addormentato fra le sue braccia...).

IL ROMANZO FINISCE

 
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