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Aldo Capasso
su Santa Maria della Spina

Lucio D'Ambra su
La Spada d'Orlando

La Barunissa di Carini: Introduzione, traduzione e note di 
F. D. M.

 

Queste pagine sono in corso di allestimento

XXIV.

— Visite! visite! — annunziò Guiduccio precedendo le Barnetti nella camera della puerpera. 

Elena, dopo dodici giorni passati a letto, s'era rialzata allora per la prima volta e, tuttavia un po' pallida nell'ampia vestaglia bianca, adagiata, in una poltrona, discorreva con la signora Luchini, col barone Roberti e con le Moretti. Claudio assisteva anche lui, ma senza prender parte alla conversazione, scostandosi ogni tanto quando qualcuno dei presenti gli rivolgeva la parola.

— Oh, Elena! — esclamarono festosamente le nuove arrivate, baciandola — Di già in piedi?

— Vorrei esserci in piedi — rispose ella con la voce un po' stanca — ma le mie gambe non lo permettono.

— Io non so — osservò il barone, battendosi un gran colpo di nocche su la fronte — come facciano certe donne del popolo, specialmente, che cominciano ad accudire alle loro faccende perfino due giorni dopo il parto.

— Gente volgare: — faceva Luchini, con sprezzo gente abbrutita come le bestie...

A queste parole saccenti, Elena e Ada Barnetti si scambiarono uno sguardo ironico.

— E il battesimo quando? — saltò su Teodora d'un tratto — certo farai una bella festa...

— Fra qualche giorno, non dubitare — rispose Elena, avendo capito l'antifona — Avrai la bella festa... con quel che segue.

— E hai deciso d'allattano tu stessa, il bambino? — domandò Clorinda.

— Oh sì, cara mia: i baliatici mi sembrano ostentazioni. Dio m'ha fatta in modo d'alimentarli io stessa i miei figli.

— È una schiavitù io trovo — obbiettò la Luchini.

I discorsi continuarono ancora su lo stesso argomento. Il barone Roberti gettava occhiate curiose su Claudio, un po' stupito forse della sua cera strana. Questi se ne accorse e provò a distrarsi.

— Cos'ha signor Claudio?

— Niente, barone. Non si è stati per nulla venti giorni a letto col tifo. Dopo circa un mese, mi sento ancora debole... soffro di pesantezza alla testa.

Appunto; egli adesso si spiegava così ogni malessere insolito. Anche così aveva scusato ai propri occhi l'uccisione di Nerone; quella sera egli cominciava a star male e la malattia si era manifestata proprio con quell'atto stravagante.

Tra il cicaleccio delle donne, Claudio continuò a parlare col barone Roberti.

—E del babbo ha notizie?

— E' sulla via del ritorno: tra una settimana io credo, sarà a Napoli.

— E lei?

— lo non sono andato a Costantinopoli!

— No, dicevo: che farà lei?

— Ritornerò a Napoli o resterò qui.... ma no, è meglio che ritorni a Napoli, per partire poi col babbo, in un prossimo viaggio. Non voglio più vedere nessuno.

Il barone torse due volte il collo, fece per spalancare gli occhi, sorpreso da quelle parole, ma il tic lo costrinse invece ad ammiccare: li spalancò dopo e si picchiò col pugno su la spalla sinistra.

— E perché?

— Capirà, Costantinopoli, Smirne, Patrasso, sono città molto belle e interessanti… e poi, per me sono preferibili a tutte le altre, perché non ci conosco nessuno, non posso incontrarmi con gente che mi ha fatto del male....

Il barone lo fissava turbato. Poi si voltò a guardare gli altri, sussultando furiosamente con la spalla destra, per leggere nei presenti l'impressione di quelle parole; ma nessuno li ascoltava. llia diceva:

— Libertà, la figliuola del mio lattaio, ha un bimbo d'un anno grasso così....

— Farina lattea! farina lattea! — sosteneva la Luchini — è necessaria.

Arrivò in buon punto lo zio Francesco a troncare la disputa. La conversazione mutò piega: dopo un momento si parlava della professoressa Marconi, una russa chiamata così perché moglie d'un professore illustre, la quale, a quel che si diceva aveva sollevato uno scandalo; Claudio che s'era di nuovo distratto, udì alfine queste parole di Ada Barnetti:

— Vi dico di sì; a le corse a San Rossore, incontrò la rivale e, dalla carrozza le si avventò a colpi d'ombrello.

— Evviva la russa! — esclamò Clorinda sarcastica.

— È disgustoso — disse la Luchini — una signora scendere al livello di una donna di quella fatta.

— Una cocotte! — aggiunse Elena — ma la più disgustosa mi par lei, la signora!

— E quel povero marito?

— Non sa più dove mettere la testa — disse argutamente Ilia: tutti risero.

— Povero professore! — concluse la giovane Barnetti — non se lo meritava davvero d'essere tradito così.

S'udì allora una voce rauca ed alterata:

— È un'infamia!

Era Claudio, tutti si volsero a lui e lo scorsero agitatissimo, con la faccia contraffatta. Elena lo guardava, pallidissima, fuori di sé, tutti lo guardavano un po' impacciati; zio Francesco che pareva sulle spine, finalmente interruppe il silenzio imbarazzante.

— Oh, oh, ragazzo mio... basta! tu mi sembri un predicatore... Non ti scaldare tanto! Mi fa l'effetto che tu abbia letto qualche libro che t'ha dato alla testa...

— Del Bourget, certamente — disse Ada ridendo per toglier tutti d'imbarazzo. E infatti si rise e il discorso finì lì.

Claudio si rimise tosto: e s'accorse di aver detto qualche cosa che avrebbe dovuto tacere e si pentì, anche perché temette che tutti avessero capito ch'egli alludeva a sua madre. Pensò di spiegare che s'ingannavano, e poi, preferì tacere, non insistere più oltre su quell'argomento e per cancellare ogni sospetto mostrarsi gaio.

Elena, sempre pallida, gli gettò ancora qualche sguardo accorato di rimprovero, e finalmente, quando tutti andarono via, accompagnati fino alla porta dallo zio Francesco, ella, piano e concitata, poté dirgli:

— Stupido!...

— Perché?

— E cattivo anche, e cretino! Sei un ragazzaccio senza cuore e senza cervello. Sono cose da dirsi quelle?

— Ah... no, ti giuro che tu non c'entri.., il tuo caso è un altro.

Ma ritornava lo zio e dovettero tacersi.

Si rappaciarono due giorni dopo, che ella mandò Venezia in casa degli zii a chiamarlo. Dopo avergli fatta un' altra strapazzata pel broncio che le aveva tenuto, non lasciandosi vedere per tanto tempo, gli si buttò fra le braccia, baciandolo.

— Cattivo! cattivo! mio monello senza cuore.

Egli senti, così stretto da lei serpeggiare un'altra volta il piacere nelle sue carni, la voluttà pressoché dimenticata, dopo tre mesi, e allora, scordando tutto le si allacciò con un trasporto inatteso. Venezia non era in casa, Guiduccio faceva il chiasso coi piccoli amici in casa Luchini. Erano dunque soli, poiché Kate non esisteva tanto più che in quel momento reggeva il neonato dormente. Claudio baciò Elena come soleva negli istanti di passione.
Ella si fece alla finestra per socchiudere le imposte, ma dando uno sguardo alla piazza, impallidì e si volse vivamente contrariata.

— Fabio! — esclamò — a quest'ora!...

— Come mai?...

— Non so... che diavolo gli avviene?

Claudio sentì un grande smarrimento: non voleva trovarsi dinanzi al marito di Elena, tanto più che da tempo non lo vedeva.

— Nascondimi — le disse.

— Oh! e perché poi? — fece ella, attonita è forse la prima volta che ti trova qui?

— No, no, non voglio vederlo.., sento che finirebbe male!... Abbiamo avuto una volta un certo colloquio...

— Che colloquio?

— Presto, ti dico... te ne prego: non voglio incontrarmi con lui... finirebbe male, non intendi?

Elena, vedendolo così agitato, non insistette e lo introdusse nello stanzino attiguo alla sua camera, che faceva da spogliatoio.

— Di qui, potrai anche uscire senza che lui veda, sei subito in anticamera.

Ma Claudio, volle fermarsi un po' ad ascoltare, quando sentì il passo pesante di Fabio che entrava difilato in camera di sua moglie.

— Cos' è stato oggi? Come mai tanto anticipo? — domandò la voce di Elena.

— Ho chiesto che mi lasciassero uscir prima... perché avevo da fare.

— Che da fare? cos'hai?

Passò una pausa. Poi Elena, stizzosamente esclamò:

— Smettila con codesto maledetto sigaro — mi appesti la camera.

Fabio bofonchiò qualche parola di cui Claudio capì soltanto:

— Ci vuole un bel coraggio

— Bel coraggio di che ?...

— A trattarmi come tu mi tratti...

Squillò una risata ironica.

— T'ho pregato sempre di non venirmi a fumare sotto il naso; dunque che c'è?

— C'è — rispose Fabio dopo un momento — che io avevo pregato tuo cugino d'un certo affare...

— lo non so nulla. Claudio non me n'ha parlato.

— Lo so... e adesso te ne parlo io, perché tu m'aiuti...

— Ma di che si tratta? Che faccia da funerale!... tu mi spaventi!...

— Te lo dico subito... — Silenzio. Poi la voce ripigliò esitante — Ricordi l'anno passato, quando bisognò pagare dall'oggi al domani quella nota dei mobili rinnovati… per le suppellettili nuove?

— Ricordo, ebbene?

Erano duemila franchi... Venturi non voleva più aspettare...

— Sì, sì, lo so... E non le hai pagate?

— Appunto… Ricordi, poco tempo dopo, la tua sarta?

— Oh; ma quella era una miseria!

— Milletrecento lire...

— Che! meno, molto meno...

— Bene, sbaglierò io, dico ch'erano tante. E poi ci fu quel gioiello che tu hai voluto... Quel dono che tu hai fatto a l'Amelia quando s'è maritata.., le feste... i banchetti... le gite che tu hai voluto fare...

— Ma mi dici un po' che cos' è tutto questo inventario?

— Niente: volevo ricordarti che i denari di casa nostra sono andati via a fiumi.

— Pum! a fiumi... mi fai ridere... Io non ho fatto vita da... da fiumi, lo sai bene? Il matrimonio è stato per me un carcere.

— E va bene, non dicevo questo io!... Volevo solo dirti che abbiamo speso di più di quel ch'io guadagnassi...

— Ma c' era anche il mio reddito... per quanto poco, è sempre un aiuto... E le seimila lire di cauzione, per la banca, non erano mie?

— Si... ma non bastano più.

— Come?

Seguì ancora un silenzio, s'udì il respiro un poco ansimante di Fabio, che dopo un momento riprese esitante:

— Per contentarti sempre... m'è toccato... prendere qualche cosa dalla cassa...

Elena non disse nulla. Egli continuò:

— Io pensavo che c'era sempre la cauzione a coprire gli ammanchi... Ma siccome hanno una gran fiducia in me... rimandavano di mese in mese il rendiconto biennale... lo non calcolavo più le cifre e... prelevavo ancora...

Claudio, che dal suo nascondiglio udiva, cominciò a sentire un senso di grande pietà per quella voce roca, sommessa, voce timida d'accusato. Essa continuava:

— Ma il mese scorso mi si chiese il rendiconto... Io domandai un po' di tempo, accusando
l'accumulo del lavoro, gli arretrati... che so io... Ma lunedì, dopo dimani l'altro, debbo assolutamente presentare la Cassa...

E la voce tacque. Claudio senti un grande rimorso di non avere scritto a suo padre, per cattiveria, per rappresaglia contro l'uomo antipatico ed odioso... Forse don Gennaro non avrebbe potuto approntare l'intera somma; ma almeno una metà sarebbe bastata. E pensando a ciò, Claudio aveva nella fantasia una visione stravagante di Costantinopoli piena d'oro.

— A quanto somma l'ammanco? — domandò la voce lenta, un po' sorda, di Elena.

— A dodicimila lire.

— Dodicimila? Ma è impossibile! —— e la voce si fece acuta — e tu vieni a rinfacciare dodicimila lire di spese tutte a me? Non è possibile, no... Chi sa che cosa ne hai fatto!

— Non gridare! Non gridare!... Pensiamo piuttosto al rimedio?!

— Come vuoi tu che io rimedi in due giorni? Procura di attendere...

Claudio, disgustato, ma senza intendere precisamente di chi e di che cosa, si assorse un momento: non ascoltò più. Si disse di scrivere, di telegrafare subito a suo padre, e fece per uscire dall'altra porta. Ma su la soglia lo rattenne la voce di Fabio, diventata più roca per un' accento d'ira e di minaccia.

— E' così che tu t'interessi della mia sventura? E non è stata tutta tua la colpa?

— Mia?... mia?... dovevi dirmelo

— Tu m'hai rovinato ed ora mi rispondi così! Tutto hai fatto contro di me... tutto quello che si può fare contro un uomo... e ora l'ultima... l'ultima... mi dai anche un figlio che non è mio!...

Claudio fu agghiacciato da un trasalimento vivissimo.

— M'hai visto tacere e hai creduto che mi fossi rassegnato!... Ma almeno aiutami nella disgrazia... perchè sono un marito che ha fatto tutto quello che hai voluto!... avrei dovuto fare dunque come Lello, il vetturale, che uccise la moglie?

— Ah! ah! provati! Perché m'hai sposata ?... Non capivi l'infelicità mia? Non t'amavo, non ti volevo… è stata una tortura per me, m'intendi?... — E finalmente dopo otto anni ho amato un altro, mi sono liberata, ho capito un poco che cosa è la vita...

— Ti sei data a un pazzo... a un pazzo che dovrebbe stare al manicomio, a uno che bisognerebbe guardare in cella... e hai dimenticato tuo figlio!

— Chi è, chi è il pazzo?

— Lui, credi che non lo sappia?... Ho saputo la storia, e me ne sono anche accorto in questi ultimi mesi... tuo cugino Claudio...

— Sei tu il pazzo!... Non è vero.

Claudio un momento allibì... poi una gran luce, un lampo momentaneo si fece nella sua anima. Lo zio materno suicida nel manicomio, di cui egli aveva ignorato l'esistenza fino a diciannove anni, quando l'aveva saputo per un'indiscrezione della serva di casa... le cure di sua madre, le sorveglianze per evitargli ogni emozione... quell'indefinibile cosa ch'egli stesso sentiva dentro di sé... Pazzo! egli era destinato alla pazzia, a morire nell'anima, di questa morte inesorabile!… Nella camera attigua udiva confusamente, simile a un ronzio tumultuoso, le due voci violente che continuavano ad altercare...

XXV

Per tutto il giorno seguente, Claudio restò in casa, chiuso nella sua camera, o facendo brevi
apparizioni nelle altre stanze. Lo zio e la zia lo seguivano con gli occhi, facevano delle domande a cui egli rispondeva come uno che si destasse. La sua loquacità dei giorni precedenti s'era d'un tratto mutata nel più profondo mutismo.

— Claudio — gli chiese un momento lo zio Francesco — che hai?

— Nulla.., così... — e rispondendo egli faceva un sorriso, studiando di mostrarsi ilare, tranquillo in viso, per timore che anche suo zio non lo temesse pazzo.

— Babbo tuo, verrà presto dunque?

— Sì... e mi condurrà poi a Costantinopoli, ove non troverò più nessuno che mi voglia del male... — E pensava, ciò dicendo, a qualcuno, indefinitamente, che poteva anche essere Fabio.

— Ma no — voleva persuaderlo Francesco — anche qui non c'è alcuno che non ti voglia del bene, di che temi? di chi?

— Lo so io.

E Claudio lasciò lo zio per ritirarsi, pensoso e ipocondriaco all'apparenza, nella sua camera.
Egli pensò con insistenza quel giorno, a Santa Maria della Spina, la chiesa ove gli si era palesata la sua passione per Elena: e in suo cuore la malediceva, convinto che in quella chiesa fosse rimasta, da allora, qualche cosa di lui. E, nel ricordo, al posto di Elena, metteva sua madre: l'altra adultera? Ma questi suoi pensieri adesso erano quasi calmi, non più come nei primi tempi, quando se li sentiva ribollire nel cervello acceso.

La mattina dopo, domenica, Martina si presentò in casa Massano tutta sossopra.

— Ah, signora! ah, signora!… balbettava trafelata.

— Cos' è accaduto? — le chiese Francesco, mentre anche Claudio e Clotilde accorrevano.

— Che disgrazia sapesse! ?... che grande disgrazia!

— Ma parla dunque...

— Mentre venivo qui, passando dal Ponte della Fortezza, ho visto una gran folla di gente che vi si assiepava...

— Ebbene?

— Parlavano tutti ad un tempo... e' erano anche delle guardie, dei carabinieri.., il fiume, come sa... è in piena...

— Qualche annegato...

— Sì... no... Sa chi è annegato?

— Chi?

— Il marito di sua nipote... il sor Fabio...

Fu uno scoppio di grida: Claudio solo restò muto.

— Che diamine dici?

— Sì col figliolo... con Guiduccio...

— Ma come?

— Hanno trovato stamane la sua giacca, che conteneva una lettera, ov'egli diceva che si buttava in Arno per finirla.., e la gente dice ch'è stato per causa della Banca, ove egli aveva preso cinquemila lire...

— Sarai pazza! — esclamò Francesco correndo a prendere il cappello per uscire e informarsi.

— Ah, Santa Vergine! —— invocava Clotilde giungendo le mani — lo dicevo io che finiva male... lo dicevo!

Francesco scappò via dicendo che andava a sentire anche da Elena, Claudio pensò che tutto questo non era possibile.

— La farina del diavolo va tutta in crusca —sentenziò la zia, rivolta a lui — Vedi, tu che non volevi credermi?

Ma Claudio non metteva troppo interesse a quell'avvenimento: restò silenzioso e meditabondo, si sdraiò in una poltrona nella sua camera e si mise a fumare. La zia Clotilde si rivolse un momento a lui, per dirgli:

— Bisognerebbe che andassimo anche noi per sentire. Mio Dio, ci pensi tu a la gravità d'una tale disgrazia ?... Quel povero infelice a quest'ora forse è morto... e Guiduccio? Ma non capisco come c'entri Guiduccio... Ah, beata madre di Loreto! lo voglio andare a sentire... Tu vieni?

— Verrò dopo, zia: per ora non posso. — Egli pensava che se il fatto era vero chissà quanti fastidi gliene sarebbero venuti; voleva perciò ritardarli, almeno. Di lì a poco scappava Clotilde esclamando:

— Vergine santa !... speriamo che non sia vero!... — Da dieci minuti era andata via, quando, con una grande scampanellata alla porta, si presenta Venezia domandando del signorino Claudio.

— Venga, signor Claudio — gli disse, senza più la sua placidità solita — venga a casa... la signora lo vole... dice che vole subito parlare con lei.

E Claudio a malincuore, fu costretto ad uscire, maledicendo quegli avvenimenti d'inferno. Egli aveva una gran nostalgia della sua casa tranquilla, della sua vita calma ed uguale d'un tempo. 

La mattinata era chiara e tiepida. Per il lung'Arno accorreva gente verso il Ponte della Fortezza, ove Claudio scorse infatti un denso assembramento di persone, su cui si inalberava anche qualche pennacchio di carabiniere. Ma il cielo era sì nitido e ilare, che egli pensò che tutta quella folla facesse per chiasso. Quando stava per arrivare in casa Mauri vide lo zio Francesco e la moglie che ne uscivano e si avviavano difilati per altra strada.

Trovò Elena in lagrime, disperata.

— È vero? — egli le domandò.

Ella si guardò attorno e, quando fu sicura che erano proprio soli gli disse fra i singhiozzi:

— Quell'assassino ha voluto vendicarsi di me... ha voluto rubarmi il figliolo!

— Non è vero allora?...

— Ha finto di buttarsi nel fiume, ha fatto così per sviare le tracce... e poi, lo so, non sarebbe stato capace. La verità l'ha scritta a me, leggi.— Ed Elena porse a Claudio un foglio di carta spiegazzato, abbandonandosi poi su una sedia, abbattuta, vinta.

Claudio lesse, colla, mente annebbiata, due o tre volte quella lettera prima di capirla. In essa Fabio manifestava ad Elena la sua intenzione di fuggirsene lontano, all'estero, prima che lo arrestassero, visto che non c'era rimedio immediato. Ma aggiungeva che menava dietro suo figlio, senza il quale non avrebbe saputo vivere e le raccomandava di tacere con tutti, perché egli avrebbe dato a credere che si sarebbe suicidato.

La tragedia dunque era una farsa. Ma pure a questa novità Claudio restò indifferente: che Fabio fosse morto o fuggiasco, e Guiduccio ne seguisse la sorte, a lui non importava nulla.

— Hai capito — esclamò Elena — ed io resto col danno e la vergogna… e senza mio figlio! Che cosa ne farà, ora, quell'uomo? dove lo condurrà? potrò io più rivederlo? — E le lagrime riaffluivano in copia ai suoi cigli, ed essa smaniava senza pace.

Kate, nelle altre stanze, inconscia di tutto quanto accadeva non vedendo, non udendo, passeggiava in lungo ed in largo, col piccolo Ettore fra le braccia. Il bambino vagiva, affamato, e la vecchia gli sussurrava le più dolci parole.

— Dove andavano gli zii? — domandò Claudio, tanto per dire qualche cosa.

— Io non ho voluto dir nulla a loro… ho lasciato che credessero come gli altri. Sono andati al Commissariato di Polizia.., alla Questura... non so bene.

— A far che? si chiese Claudio. — Egli non comprendeva come mai qualcuno, molti anzi, potessero interessarsi tanto a quell'avvenimento, a un fatto qualsiasi. Gli pareva che non ne valesse la pena, che non valesse la pena di nulla.

— Ah, — soggiunse Elena ad un tratto — io non ci resisto! lo non posso vivere così! Che cosa accadrà adesso? Lo immagino: verrà la polizia a frugare in casa, a fare indagini, a interrogare me, si farà un processo... io vi sarò implicata... La gente saprà tutto, le amiche mi compassioneranno... Ah! no! non può, non deve essere! — E s'accendeva, e aveva scatti furibondi.— Claudio, bisogna che tu mi sottragga a questa vergogna — aggiunse attaccandosi risolutamente a lui — portami via… andiamo altrove assieme...

Egli restò sbalordito. Rispose un po' imbambolato, senza badarci, seguendo una sua idea:

— A Costantinopoli...

— Che! giusto lì... in un luogo, anche vicino, isolato, ove nessuno ci conoscesse e non conoscessimo nessuno... soli…

Queste parole per un momento, scossero Claudio: immaginò una casa in campagna, solitaria, in mezzo al verde, come quella che ricordava e che ammirava tanto ad Agnano. Si ricordò anche, così di volo, della villetta color pistacchio che Elena, gli aveva mostrato lungo lo stradale il giorno ch'erano andati assieme e la Sterpaia di San Rossore.

— Sì... — disse — andiamo...

— Andremo via di nascosto, anche a zio Francesco... a Venezia...

Ma s'interruppe a una nuova crisi di lacrime:

— E mio figlio? Il mio Guiduccio ?...

Claudio si seccava mortalmente a quel pianto, a quelle giaculatorie, gli pareva che Elena fosse diventata stupida repentinamente, e, così gli dava ai nervi. Sentiva una volontà sfrenata di metterle con forza una mano sulla bocca e farla tacere.

Ma ella udì alfine piangere il bimbo, e andò a toglierlo dalle braccia di Kate per allattarlo. Tornò a sedere di fronte a Claudio col busto aperto sul seno e la mammella pendente a cui il piccino ingordo s'era attaccato. E Claudio la guardava, guardava il bambino, ch'era suo figlio, e provava un senso indefinibile di fastidio, augurandosi in cuor suo che queste cose avessero presto a cessare.

Non decisero niente, quel giorno. Ma la mattina dopo Elena lo mandò a chiamare un'altra volta, per dirgli che aveva trovato quel che loro abbisognava.

— No, non ci resto qui... io vado in cerca di mio figlio, all'impazzata... o andiamo a chiuderci in un luogo ove nessuno possa scoprirci... le Moretti già, che ti pare? hanno domandato mie nuove... Temo fra l'oggi e domani di vedermele piombare qui.

Essa si ricordava di una casetta in mezzo a un giardino, su un colle, poco più in su di Lugnano, lontana da ogni altra casa, ove si arrivava per una viottola: era la dimora che ci voleva.

Quel giorno stesso andarono, clandestinamente, per visitarla. Presero il treno per Cascina e andarono con un biroccino a Lugnano. Ivi, lasciandosi alle spalle il mucchio bianco e roseo di case, traghettato l'Arno, si misero a piedi per una viottola che montava il pendio dolce d'una collina, in cima alla quale, tra il verde di alcuni alberi, biancheggiava una casa.
Elena, che usciva per la prima volta, camminava a fatica, ansimando; dopo un centinaio di passi su per la viottola dovette appoggiarsi al braccio di Claudio. Costui andava taciturno e sempre con quella sua aria d'insonnolito. Tutto l'azzurro aperto, spalancato sul suo capo, gli pesava sull'anima.

Per via incontrarono una donna, una contadina ancor giovane e linda.

— Vanno alla villa? — domandò loro.

— Sì — rispose Elena — è da affittare?

— Sì, signora, ecco le chiavi; son io la custode. Son la custode del cavaliere Landucci, il padrone della villa, che dimora giù a Cascina. Non lo sapevano? Se io non fossi venuta oggi per dare un'occhiata all'orto, rischiavano di ritornare indietro fino a Lugnano, per domandar di qualcuno, e poi venire a Cascina dal padrone. Vedono? non c'è nessuno qui nei dintorni: la casa è tranquilla...

Così dicendo essa precedeva i due per la stradetta, camminando di fianco, la bocca allargata da un sorrisone ingenuo.

— Son venuta da Cascina a piedi — continuava — faccio in due salti, io. E son soli ?... Hanno bimbi? Contano di starci molto?

Elena rispondeva quietamente a quell'esplosione di domande, e si fermava ogni tanto per prender fiato. 

La donna apri il cancello della villetta e poi la porta, dinanzi alla quale li aspettò, chiacchierando sempre, mentre essi guardavano attorno il piccolo giardino ombroso, ingombro d'erbacce e di fitte ramaglie che gli davano un aspetto tetro. Ma a Claudio piacque quell'orto, la cui densa, pesante volta di fogliame, che non lasciava trasparire che qualche lembo di cielo, non era perforata che da rari fili di luce quasi palpabile pei molti atomi che vi brulicavano. Egli si assise sul margine d'una vaschetta secca e scalcinata e s indugiò a contemplare il giardino, che aveva un suggestivo carattere claustrale, senza altri colori che il verde, il glauco dei cotogni, degli olmi, aggrovigliati d'erbe parassite.

— Claudio — chiamò Elena, ed egli la segui, per vedere l'interno della villa. La contadina loquace, ciarlava, illustrando ogni stanza, spalancando tutte le finestre e le porte
facendo notare la nettezza, la bella esposizione a mezzogiorno delle camere da letto, il panorama superbo, l'aria eccellente, I due la seguivano in silenzio per le stanze bianche dalle pareti di calce, dal soffitto a travi imbiancate, dal pavimento a mattoni rossi. Un momento Elena si portò il fazzoletto agli occhi per nascondervi qualche lagrima mal trattenuta.

E Claudio, si ricordò a un tratto in quelle camerette semplici e ignude come celle, di quello zio di sua madre che s'era sfracellato il cranio contro la parete. Egli pensò che non avrebbe saputo fare lo stesso, e che era impossibile che anche lui fosse pazzo.

Dalla finestra guardava il giardino da l'alto, e gli alberi intricati gli parevano e gli apparivano come un folto mucchio di verzura, su la quale avrebbe voluto buttarsi e distendersi, per riposare lungamente.

XXVI.

S'installarono alla meglio nella villa Landucci, dopo due giorni. Da Cascina si fecero portare le suppellettili più necessarie, per non dar nell'occhio col trasporto dei mobili e di stoviglie, a quei di Pisa.

Da Pisa fuggirono, può dirsi, senza avvertir nessuno, di buon mattino, che ancora faceva buio. Claudio aveva detto allo zio, con quella sua aria ipocondriaca che pareva non ammettesse replica, ch'egli si sarebbe assentato per qualche giorno, dovendo recarsi a Firenze. E lo zio non replicò, soltanto la zia brontolò di nascosto, e gli osservò:

— E se viene tuo padre?

— Io sarò qui, pel suo arrivo.

Egli ed Elena misero Kate in una carrozzella chiusa, la quale attraversò le strade ove i lumai spegnevano allora i fanali, e arrivarono alla stazione. Era un'alba grigia: la stazione sembrava deserta: attraversarono la sala d'aspetto, sonora, e furono su la banchina. Ivi qualche ombra silenziosa trascorreva.

Una lanterna s'appressava da lontano oscillando, e pareva saltellasse sul suolo, a poco a poco si poté discernere il ferroviere che la portava. Claudio non sapeva darsi pace perché egli fosse là, perché così facilmente andasse ove Elena voleva, e aveva il pensiero confuso di lasciarsi dietro, trascuratamente, qualcosa di molto grave. E cos'era? Kate? no, essa veniva con loro. Sua madre? Da un pezzo, da oltre un anno essa ormai, l'adultera, era morta. Lo zio pazzo? no era una sciocchezza, non voleva pensarci. Santa Maria della Spina? sì, forse quella, il suo passato, la sua vita innocente e pura di fanciullo... S'udiva ogni
tanto qualche voce, qualche colpo di martello, qualche fischio vicinissimo che lacerava il silenzio, facendo trasalire Claudio. Elena taceva, nascosto completamente il viso da un fitto e ampio velo, e teneva in braccio il bambino addormentato. Kate, ritta, nel suo abito di antico taglio, tutto luccicante di jais, con una carcassina di paglia adorna d'un nastro e d'una piuminetta sul capo, guardava nel vuoto, tenendo penzoloni fra le mani un'enorme ventaglio socchiuso. Di tanto in tanto domandava:

— Pisogna aspettar' molt' ... E' lontan'?... Il pampino... torme?...

E non riusciva a celare il suo malumore per quel viaggio e quel cambiamento di dimora, di cui non le avevano spiegato le ragioni.

Finalmente partirono. E furono venti minuti di tedio, nel vagone, dove un uomo, disteso su tutto il sedile, russava; la lampada s'era spenta ed entrava dagli sportelli aperti il riflesso pallido del cielo albato.

Kate, dopo la corsa in treno, la scarrozzata da Cascina a l'Arno, il traghetto in chiatta, la salita a piedi, arrivata a casa, era seccatissima, e protestò mutamente contro tutte quelle novità disastrose andando a chiudersi nella stanza che le avevano assegnata. S'installarono dunque a villa Landucci. Elena, affacciandosi quella mattina stessa a una finestra che dava su un oliveto, a tergo della casa, disse lievemente inquieta:

— È un po' troppo solitaria, però... di notte specialmente siamo in un deserto. Bisogna venirci appositamente quassù.

Claudio la trovava deliziosa, specialmente per quel giardino da chiostro, chiuso ed opprimente, ove il verde pareva affardellato in disordine, con la polvere, le ragnatele, i rami scortecciati per la vecchiaia. Egli si dava l'illusione che quegli alberi fossero esseri misteriosamente sensibili e vivi, attristati da un ricordo o da un presagio funesto, sul quale vegliavano.

Claudio ed Elena presero due stanze separate, era stato lui a proporlo, naturalmente, ed ella non aveva disapprovato. Kate stava in una cameretta più lontana, allo stesso piano, perché la casa era tutta terrena. Avevano trovata una serva lugnanese che ogni mattina portava loro le provviste dal villaggio e nel pomeriggio se ne ritornava via. La loro vita trascorse per qualche giorno monotona e tranquilla, turbata soltanto da gl'improvvisi pianti di Elena quando la vinceva il ricordo del figliolo lontano, che forse non avrebbe riveduto mai più!

In uno di questi momenti di sconforto Claudio che se ne infastidiva le disse

— Ancora? Te ne prego Elena, basta!

Ella procurò di ricomporsi, e appressandoglisi, gli pose le mani su le spalle e poi piegò la testa sul petto di lui:

— Non ho più nessuno — gli sussurrò — non mi rimangono più affetti. Non ho più che te!

— Me, sì! — affermò lui, con mal frenata durezza.

Elena si ritrasse indietro vivamente e lo fissò attenta: i suoi occhi ebbero un lampo d'ira.

— E che! Me lo dici così? Ti son forse di peso, di già!...

— No... ma no... — negò prontamente Claudio, tentando di simulare, perché sentiva di far male.

— Sì... tu non sei più lo stesso; lo vedo, lo sento! Dopo avermi ridotta a questo, perché tutto è accaduto per colpa tua, capisci ?... ora ti sono di peso !...

L'idea di essere veramente responsabile di tutti i fatti gravi che erano avvenuti aveva sempre
tormentato Claudio; il sentirselo dire così, con violenza, lo spaventò: non voleva che fosse, non voleva sentirlo.

— No! — aggiunse con foga, per persuaderne anche se stesso — ti giuro ancora una volta che t'inganni... Sono qui, son sempre quello di prima, son disposto a quanto tu vuoi, soltanto, io sono per ora preoccupato dal pensiero di mio padre che deve arrivare a Pisa e non so quando; e certo non mi troverà... L'ultima sua lettera che io ricevetti veniva da Messina, ove egli si doveva fermare ventiquattro ore, e mi diceva che dopo qualche giorno, arrivato a Napoli, sarebbe venuto a Pisa a prendermi...

— E tu ci andrai!

Non ci aveva pensato. Poteva partirsene col padre e lasciare Elena in quello stato, in quei momenti lì, sola? Ma non volle risolvere nulla per il momento... avrebbe deciso poi.

— No — rispose — non andrò... non ti lascio.

Certo, ella non bramava che credergli, e gli credette. Però questo dialogo alquanto vivace ebbe l'effetto di tenerli un po' freddi l'una verso l'altro, per qualche giorno.

Claudio non tollerava di vedere suo figlio in braccio a Kate, mentre Elena glie lo affidava spesso. La vecchia teneva il bambino stretto contro il seno, appassionatamente, quasi, e così il visetto dell'infante stava presso il viso di lei che gli alitava su la bocca il suo respiro. Appariva a lui una cosa mostruosa quel volto consunto, solcato da mille rughe, dagli occhioni spenti e sporgenti, a contatto del faccino piccolo quanto una pesca, i cui occhietti ancora semiciechi si fissavano in quelli dell'essere deforme costantemente dinanzi a
loro. Occhietti semiciechi! L'esserino minuscolo, inerte, impotente alla vita che per esso cominciava, aveva una somiglianza strana con quell'altro essere impicciolito, stanco, impotente alla vita che per esso finiva; entrambi non vedevano e non udivano, né potevano, da soli, far nulla. E si cercavano e si amavano, perché anche Ettore mostrava di preferire la vecchia a chiunque altro, e quando era in braccio a lei stava più tranquillo, alle incomprensibili parole ch'ella gli diceva con la sua voce stridula, sorrideva. Ma, oltre che per ciò, Claudio non poteva patire quel contatto, quel sentimento che sempre la vecchia nemica destava in lui.

Egli non aveva ancora smesso il pensiero d'interrogarla, di spremere da lei il segreto ch'egli anelava conoscere: non s'era dato per vinto. Però non sapeva più quali mezzi tentare per costringerla e, anche lo rendeva esitante un inspiegabile timore: adesso Kate gli incuteva paura più di prima, paura da vicino e odio da lontano. Si diceva sempre:

— La interrogherò domani.

E rimandava di giorno in giorno la sua indagine nell'indolenza nuova sopravvenuta dopo la sua malattia: tutto gli seccava; muoversi, agire, parlare, pensare; difatti non pensava più quanto prima, malgrado la sua aria meditabonda restava lungamente assorto a mente vuota in un intontimento assonnato.

La vita, poi, ch'era costretto a condurre nella nuova dimora, aumentava questo suo stato d'ozio materiale e spirituale.

Elena, almeno occupava il suo tempo a badare al bambino, a lui, a la serva, alla casa: era spesso in faccende, per distrarsi e, nei momenti di riposo, veniva a sederglisi di fronte aspettando o provocando qualche parola.

Una sera Claudio, prima d'andare a letto, volle affacciarsi alla finestra della sua camera che dava sull'oliveto, a tergo della casa. Il cielo s'era mantenuto fosco tutta la giornata e adesso l'aria umida prometteva un temporale imminente. Egli aveva il desiderio infantile di guardare le nuvole.

Non un lucore nella notte fonda, né per il cielo, né sulla terra: poco più in là del viso di Claudio pareva che l'atmosfera si chiudesse in una fitta cortina. Passavano ogni tanto nell'aria folate di vento, quasi come uno starnazzare di penne.

L'uragano, alfine, s'annunziò con un lontanissimo rotolare prolungato di tuono. Subito dopo una raffica impetuosa s'avventò contro la casa, fischiò, urlò, irruppe furibonda sull'uliveto che ebbe un fremito immenso. Poi le prime gocciole di pioggia caddero, scrosciando in tumulto su le fronde, su la terra, sul tetto.

Claudio si ritrasse un po', ma non volle chiuder la finestra. Cominciò a sentirsi a poco a poco eccitato da quella furia, gli piaceva nei primi momenti: credette che gli facesse bene, e l'aspirava con respiri più larghi.

L'intensità della tempesta crebbe. I lampi si susseguivano senza interruzione, segnando in ogni senso il cielo nero, come le strisce rosse di mille fuochi d'artifizio. L'acqua si rovesciava giù con uno scroscio formidabile, attutito ogni tanto dai soffi del vento che faceva tremare e urlare tutta l'aria. I tuoni si spandevano correndo sotto le nubi, continuati, come un tuono solo, empiendo l'immensità del loro rumore. E alla luce vivida balenante a tratti si vedevano gli alberi contorcersi disperatamente quasi mostruose creature
vive.

Così, da fanciullo, Claudio soleva ogni volta dalla sua finestra contemplare gli uragani, sentendosene acceso e infervorato. Nostalgie indefinite di cose belle, di cose grandi sorgevano in lui, e sua madre, che quasi sempre in quei momenti gli stava a fianco, lo carezzava spiegandogli con semplicità quei fenomeni che l'entusiasmavano. Anche adesso egli sentì dopo tanto tempo, dopo immemorabile tempo, anteriore alla sua malattia, la
sensazione provata tante volte in quell'altra vita: la nostalgia melanconicamente divina d'una cosa senza nome, d'una cosa mal chiara, che pure lo rapiva in desideri, in speranze sovrumane...

Ma tutto ora era finito, egli non era più lui. La sua vita vera, la sua prima vita era morta, rimasta laggiù nella piccola chiesa in riva a l'Arno, quella Pisa maledetta che gli era stata fonte di tante ansie e passioni cattive. Finita! Egli desiderò, volle ancora la sua vita e pensò di andare a riprenderla lì, a Santa Maria della Spina...

Poi i suoi pensieri s'addensarono, s'intorbidirono d'un tratto. Don Gennaro stava per arrivare, colui che non era suo padre... La madre, colei che lo aveva fatto piangere tanto era veramente un'adultera. Kate dietro gli occhi vetrini custodiva il segreto ch'egli voleva conoscere... Ah! strappare, strappare quegli occhi, per sapere il segreto su cui le due indi opache gravavano, come pietre di sepolcro!

Lo invase la frenesia di vedere la vecchia, di costringerla, di farle del male, chiedendole conto di tutto il dolore che gli aveva arrecato, e volle entrare nella camera ov'ella dormiva circondata dai suoi fantasmi, presto, sfondando la parete. E vi si avventò con sforzi immani, spingendo, premendovi su con tutta persona e rantolando...

— La mia vita!... La voglio! la voglio!...

Finalmente esausto, si rovesciò sul letto.

 
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